Tra i conferimenti che hanno per oggetto somme di denaro, si
usa distinguere tra “entrate ordinarie” ed “entrate straordinarie”
3
.
Le prime, c.d. contributi sindacali associativi ( contributo per
tessera e contributi periodici ), si riproducono con periodicità, e
si sostanziano in quelle somme che i lavoratori, soci delle
associazioni sindacali, sono tenuti a corrispondere in virtù della
loro iscrizione ed in esecuzione delle disposizioni statutarie e
delle deliberazioni degli organi dell’associazione.
Le “entrate straordinarie” si verificano in via speciale. Sono,
infatti, i contributi c.d. per assistenza contrattuale ( le c.d. quote
di servizio), che, disciplinati dalla contrattazione collettiva, non
trovano il loro fondamento nel rapporto associativo tra lavoratori
e sindacati, bensì nel servizio reso dai medesimi ( lo svolgimento
delle trattative contrattuali e il rinnovo del contratto collettivo ).
Nell’ordinamento corporativo l’obbligo contributivo sorgeva
principalmente in dipendenza dello stato professionale, e cioè per
il solo fatto dell’appartenenza del datore di lavoro o del
lavoratore alla categoria rappresentata dall’associazione: a tali
contributi ( detti obbligatori in quanto imposti per legge a tutti gli
appartenenti alle categorie professionali ) potevano aggiungersi
contributi integrativi e facoltativi: questi ultimi erano connessi
all’iscrizione in qualità di socio all’associazione, e pertanto
traevano origine da una manifestazione di volontà dell’associato.
3
G. ARDAU, Sistema istituzionale di diritto del lavoro, Milano, 1965, p. 291; P.
CIPRESSI, op. cit., p. 52.
4
Dal dopoguerra in poi, la riscossione di tali contributi veniva
effettuata mediante un versamento diretto da parte del lavoratore
al sindacato prescelto.
A tale scopo le associazioni sindacali si avvalevano di precettori
posti direttamente sul luogo di lavoro. Tale sistema di esazione
venne sostituito negli anni 60, in forza di apposite clausole
inserite nei contratti collettivi di categoria, da una specifica
ritenuta sul salario che l’imprenditore operava preliminarmente e
poi provvedeva e versare all’associazione sindacale indicata
espressamente dal lavoratore: ciò avveniva mediante la
compilazione e la sottoscrizione di una apposita delega.
Questo metodo di riscossione ha comportato un rafforzamento
notevole delle organizzazioni sindacali che hanno visto eliminare
quei vincoli di dipendenza esterna prima estremamente forti e
invischianti, conquistando una certa autonomia finanziaria e
incrementando decisamente le entrate.
Tale pratica si è andata gradualmente consolidando, fino ad
essere poi prevista per legge dall’art. 26 dello Statuto dei
lavoratori (l. 20 maggio 1970, n. 300).
La norma, dopo aver introdotto al primo comma il diritto dei
lavoratori di raccogliere, all’interno dei luoghi di lavoro e senza
pregiudizio del normale svolgimento dell’attività lavorativa, i
contributi per le loro organizzazioni sindacali, sanciva al secondo
comma il diritto dei sindacati di percepire i contributi mediante
trattenute sulle retribuzioni dei lavoratori iscritti, secondo le
5
modalità stabilite dai contratti collettivi di lavoro. Il terzo
comma, infine, riferendosi alle aziende in cui il rapporto non era
regolato da contratti collettivi, riconosceva al lavoratore il diritto
di chiedere che il versamento dei contributi sindacali avvenisse
mediante trattenuta sulla retribuzione.
I commi 2 e 3 dell’articolo 26 avevano, quindi, conferito forza di
legge a quelle norme contrattuali collettive che imponevano
l’obbligo a carico dei datori di lavoro di trattenere, dalla busta
paga dei lavoratori che rilasciassero specifica delega, il
contributo sindacale e di versarne l’importo alla associazione
sindacale prescelta dal singolo lavoratore.
Peraltro, tali norme avevano posto dubbi e problemi interpretativi
circa la legittimazione dell’organizzazione sindacale a ricevere
ed agire: infatti il richiamo contenuto nel co. 2° dell’art. 26 alle
modalità di pagamento stabilite nei contratti collettivi aveva fatto
ritenere che solo ai soggetti firmatari spettasse il diritto a ottenere
il pagamento nei confronti del datore e , in caso di violazione,
l’esercizio dell’azione di tutela ex art. 28 Stat. lav.
Ma, la giurisprudenza di legittimità aveva riconosciuto
l’irrilevanza del requisito in questione sotto il profilo della
titolarità dell’azione e, per gli effetti, aveva attribuito il pieno
diritto in favore anche delle associazioni sindacali non firmatarie
di contratti collettivi di avvalersi dello strumento di tutela ex art.
6
28 Stat. lav. per il pagamento della quota sindacale
arbitrariamente trattenuta dal datore di lavoro
4
.
Vigendo l’art. 26 nella sua interezza, era di scarsa rilevanza
qualificare giuridicamente la fattispecie, se essa enunciasse una
delegazione di pagamento o una cessione di credito: il diritto
delle associazioni sindacali a percepire i contributi tramite
trattenuta sul salario derivava, infatti, direttamente dalla legge.
Ciò nonostante, si aprì un dibattito per considerare quale
ulteriore significato obbligatorio potesse attribuirsi alla
disposizione di legge se comunque l’operazione descritta poteva
derivare da un’ordinaria cessione del credito (art. 1260 c.c.),
rispetto alla quale il debitore ceduto non era chiamato ad
esprimere il suo consenso.
Si poteva, infatti, ricavare l’inutilità dell’art. 26, a meno di non
ritenere che non di cessione di credito si trattasse ma di
delegazione di pagamento.
Cosicché, se non ci fosse stata l’esplicita previsione normativa di
cui all’art. 26, l’operazione richiesta dall’associazione sindacale
o dal lavoratore non sarebbe stata riconducibile alla cessione del
credito ma alla delegazione di pagamento (art. 1268 c.c.)
5
,
rispetto alla quale era richiesto il consenso del debitore ceduto.
4
Così Cass. 9 settembre 1991, n. 9470, in Riv. it. dir. lav., 1992, II, 836, n.
PASCUCCI; Cass. 9 febbraio 1989, n. 822, in Foro It., 1989, I, 2821; ; Trib. Milano
15 maggio 1993, in Dir. lav., 1993, p. 806. In dottrina vedi C. M. BIANCA,
L’applicabilità dell’art. 26 terzo comma dello Statuto dei lavoratori ai sindacati
non firmatari di contratti collettivi, in Riv. giur. lav., 1989, II, p. 267.
5
Questa tesi è a sua volta divisa tra la qualificazione del negozio quale delegatio
promittendi o quale delegatio solvendi. Nel primo senso, tra gli altri, M.
7
Si poteva sostenere, allora, che il legislatore dello Statuto si era
preoccupato del possibile mancato consenso del delegato per
affermare, al contrario, il suo obbligo di dar corso alla trattenuta;
in altre parole, si era introdotta una cessione di credito speciale
qualificata dall’esigenza di tutelare lo specifico interesse
costituzionalmente protetto (art. 39 Cost.).
Era questa la ragione della sostanziale prevalenza, nel periodo
anteriore al referendum del 95, della tesi dottrinaria e
giurisprudenziale che qualificava la fattispecie come delegazione
di pagamento e non come cessione del credito.
Su tale impianto normativo e più precisamente sull’esazione, per
ritenuta datoriale, dei contributi sindacali, nel 1995 fu inoltrata
richiesta di referendum popolare il cui esito, com’è noto, portò
all’abrogazione del secondo e terzo comma dell’art. 26 dello
Statuto dei lavoratori.
Il Comitato promotore enunciò nei seguenti termini le ragioni
della consultazione popolare:
“L’intento dei promotori è quello di restituire la materia
all’autonomia privata, facendo venir meno l’obbligo legale di
cooperazione gravante sul datore di lavoro. Tale obbligo
giuridico, scaturito dalle abrogande disposizioni avrebbe in
concreto determinato un vincolo contributivo a tempo
indeterminato a carico del lavoratore anche indipendentemente
PAPALEONI, I contributi sindacali: profili teorici e applicativi, in Giust. civ., 1982,
I, p. 835 ss.; nel secondo, maggioritario, M. DELL’OLIO, in Commentario dello
Statuto dei lavoratori, diretto da U. PROSPERETTI, II, Milano, 1975, p. 813 ss.
8
dalla permanenza del vincolo associativo. Ben altra sarebbe
l’ipotesi in cui l’assunzione dell’obbligo datoriale derivasse da
una genuina espressione di autonomia negoziale. Allora
l’operare di altri istituti civilistici quali la cessione del credito o
la delegazione di pagamento, al medesimo fine utilizzabili, si
collocherebbe su un piano contrattuale e non sarebbe attuativo
di una previsione legislativa. Tanto varrebbe a dimostrare
l’effettiva portata modificativa del referendum: infatti il
meccanismo che si intende abrogare non ha natura ricognitiva
dell’ordinaria normativa civilistica ma rappresenta una figura
specifica ben definita, la cui eventuale abrogazione referendaria
avrebbe l’effetto di incidere in senso modificativo sulla materia
nel suo complesso”.
La Corte Costituzionale, chiamata a verificare l’ammissibilità
della consultazione, affermò che “i due commi dell’art. 26 Stat.
lav. sono strettamente collegati fra di loro concorrendo a
configurare in ogni caso la trattenuta come diritto perfetto del
sindacato: il momento di collegamento è individuabile proprio
nel diritto del sindacato alla trattenuta dei contributi sindacali
sul salario. L’intendimento abrogativo consiste, appunto, nel
voler eliminare la base legale di quel diritto e del correlativo
obbligo di intermediazione, per restituire la materia
all’autonomia contrattuale, individuale e collettiva”.
Orbene, l’abrogazione del diritto di cui al comma 2 dell’art. 26
nonché del correlativo obbligo per il datore di lavoro di
9
trattenere, su delega del lavoratore, direttamente dalla busta paga
i contributi sindacali e di versarli all’associazione designata dal
lavoratore, nella pratica, tuttavia, non ha prodotto effetti rilevanti
dal momento che la maggior parte dei contratti collettivi
nazionali ha continuato a disciplinare la materia dei contributi
sindacali secondo il meccanismo della ritenuta diretta operata dal
datore di lavoro non più in virtù di un obbligo di legge bensì in
virtù dell’autonomia negoziale espressa dalle parti stipulanti il
contratto collettivo: infatti la disciplina legale, ripetuta sotto
forma di disciplina contrattuale collettiva di natura cd.
normativa, continuava così a produrre i propri effetti nei
confronti di tutti i lavoratori destinatari del contratto
6
.
Viceversa, l’esito del referendum ha determinato un evidente
peggioramento della situazione per quanto concerne i sindacati
non firmatari, la cui pretesa non è più assistita dalla fonte legale
(art. 26, co. 3°): da qui il tentativo di individuare un diritto alla
destinazione sindacale di parte della retribuzione in capo ai
singoli lavoratori, da cui desumere, indirettamente, il diritto dei
sindacati.
Così alcune organizzazioni sindacali hanno invocato a proprio
favore l’applicazione delle clausole contrattuali in materia di
6
Così G. GIUGNI, Diritto sindacale, Bari, 1996, p. 118; P. ALLEVA, Quesiti
referendari e proposte di innovazione legislativa, in Riv. giur. lav., 1994, I, p. 537
ss.; L. PELAGGI, Agenti sindacali, protocollo del luglio 1993 ed esiti referendari
del giugno 1995 in tema di rsa e di contributi sindacali, in Dir. prat. lav.,1995, n.
40, Inserto, XXX ss.
10
trattenute sindacali che non facevano espresso riferimento alle
organizzazioni sindacali firmatarie.
Al riguardo tanto la dottrina quanto la giurisprudenza di merito
hanno espresso opinioni divergenti. Alcuni
7
hanno optato per la
natura obbligatoria di tali clausole e, quindi, la costituzione di
diritti a favore delle sole organizzazioni sindacali stipulanti; altri
8
hanno affermato la natura normativa delle clausole e,
conseguentemente, il diritto di ogni lavoratore alle trattenute
sindacali. I giudici di legittimità
9
, peraltro, hanno affermato che
la possibilità di invocare le clausole contrattuali a favore dei
sindacati non firmatari è rimessa alla volontà delle
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, ponendo
la parola fine alla citata querelle.
Per i lavoratori iscritti a sindacati non firmatari, dottrina e
giurisprudenza si sono nuovamente divise sulla riconduzione
dell’operazione in questione alle due diverse categorie del diritto
civile, ossia alla delegazione di pagamento ( artt. 1268 e 1269
c.c) o, in via alternativa, alla cessione del credito ( artt. 1260 e ss.
c.c.): a favore dell’una e dell’altra proposta interpretativa
militano argomenti letterali e logici di pari dignità e coerenza e,
7
Pret. Milano 27 novembre 1995, in Notiz. giur. lav., 1995, p. 693; Pret. Milano 13
gennaio 1996, in Mass. giur. lav., 1996, p. 162; in dottrina vedi M. PAPALEONI,
Normativa in tema di rsa e contributi sindacali, in Mass. giur. lav., 2001, p. 556.
8
Trib. Milano 21 febbraio 1998, in Mass. giur. lav., 1998, p. 405; Trib. Milano 28
novembre 1998, Orient. giur. lav., 1998, I, p. 851. In dottrina vedi M. FEZZI,
Inutilità ed irrilevanza del referendum sull’art. 26 Stat. lav. in materia di
versamento dei contributi sindacali anche in favore di sindacati non stipulanti il
c.c.n.l., in Dir. e lav., 1995, p. 775.
9
Cass. 28 luglio 2004, n. 14284, in Riv. it. dir. lav., 2005, II, 576, n. PALLA.
11
per altro verso, sulla base della riconducibilità all’uno o all’altro
istituto derivano conseguenze ed effetti diametralmente opposti,
sia sul piano delle relazioni sindacali che dei rapporti datore-
lavoratore.
In base al modello della delegazione di pagamento, il lavoratore
si identificherebbe con il delegante, il datore di lavoro con il
delegato e l’associazione sindacale con il delegatario. Secondo il
codice civile “ il terzo delegato per eseguire il pagamento non è
tenuto ad accettare l’incarico, ancorché sia debitore del
delegante” ( art. 1269 Co. 2 ) .
Ciò in pratica significa che legittimamente il datore potrebbe
rifiutarsi di effettuare la ritenuta sindacale della retribuzione in
favore dell’organizzazione, senza per questo incorrere in
comportamento antisindacale ai sensi dell’art. 28 Statuto dei
Lavoratori
10
.
A tale modello si contrappone quello fondato sulla cessione di
credito prevista dall’art. 1260 del codice civile secondo il quale :
“il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo
credito, anche senza il consenso del debitore, purché il credito
non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non
sia vietato dalla legge”
11
.
10
In tal senso si veda la giurisprudenza di merito successiva al referendum del
1995: Pret. Padova 13 ottobre 1995; Pret. Venezia 31 ottobre 1995; Pret. Milano 27
novembre 1995, tutte in Quaderni di Adl, n. 1, 1996; Trib. Milano 12 ottobre 1999,
in Orient. giur. lav., 1999, I, p. 598; Pret. Bergamo 15 novembre 1997, in Riv. it.
dir. lav., 1997, I, p. 936.
11
Nel senso della cessione del credito si veda: Trib. Milano 28 luglio 2000, in
Orient. giur. lav., 2000, I, p. 621; Pret. Milano 5 luglio 1997, in Lav. giur., 1998, I,
12