5
esulano dalla presente trattazione. È auspicabile, e quanto mai opportuno,
rivedere le attuali politiche industriali ed indirizzare l'intervento di sostegno
verso imprese o categorie di imprese che risultino essere realmente in
difficoltà, in particolar modo strutturando la politica di intervento in
maniera tale da destinare i fondi alle imprese più piccole ed a quelle più
giovani.
Gli sforzi fatti finora hanno condotto ad una razionalizzazione delle forme
di aiuto: il contributo e le sue forme di utilizzo si sono evolute nel corso
degli anni ed oggi si è arrivati ad un notevole livello di specificità
nell'ambito del campo di applicazione, cosa che ha permesso di indirizzare
e diversificare il sostegno in base alle esigenze, ai bisogni e, non da ultimo,
alle condizioni ambientali in cui l'impresa si trova ad operare. Il problema
di fondo si concreta sostanzialmente sull'applicabilità delle procedure di
erogazione delle agevolazioni, troppo spesso complicate e inadatte alle
esigenze di rapidità tipiche delle imprese in stato di difficoltà finanziaria;
ancora una volta chi risulta essere più svantaggiato sono le imprese di
modeste dimensioni che, essendo frequentemente pilotate a vista, non
riescono a beneficiare del lavoro svolto dall'area funzionale "finanza",
entità tipica invece dell'organigramma che contraddistingue
l'organizzazione dei grandi gruppi aziendali rispetto alle altre imprese.
L'analisi delle contribuzioni a fondo perduto offre numerosi spunti per un
approfondimento del fenomeno sia a livello economico finanziario sia
riguardo al modo di esposizione in bilancio che, in mancanza di una
normativa civilistica precisa, si adatta sostanzialmente alle disposizioni del
legislatore tributario con prescrizioni che appaiono, da un lato,
ulteriormente agevolative e, dall'altro, come al solito, condizionanti la
formazione del bilancio d'esercizio.
6
In particolare, dal punto di vista dell'economia aziendale, l'interpretazione
dottrinale non è univoca, infatti non tutti gli Autori convengono che sia
corretto annoverare i contributi "in conto capitale" tra le voci del il
patrimonio netto, affermando che il criterio di rilevazione reddituale meglio
si adatta alle caratteristiche intrinseche della posta in questione. La doppia
interpretazione aziendale delle contribuzioni "in conto capitale" non trova
riscontro a livello europeo dove sembra essersi affermata la tesi
redditualista; attualmente la nostra dottrina, se pur divisa, tende sempre più
a condividere l'impostazione d'oltralpe, pur rimanendo un cospicuo numero
di fautori del criterio patrimoniale.
Naturalmente le metodologie di iscrizione in bilancio sopra accennate
devono confrontarsi con la fitta, e spesso intricata, rete della normativa
tributaria che, almeno in linea di principio, è mossa da esigenze diverse da
quella civilistica. Com'è noto il codice civile, disponendo la redazione del
bilancio di esercizio, non omette di precisare che la situazione patrimoniale
e finanziaria ed il risultato economico dell'impresa devono essere
rappresentati in modo veritiero e corretto; inoltre, aggiunge che il bilancio
deve essere redatto perseguendo il principio della chiarezza, ai fini di una
corretta informazione dei lettori del documento.
Da parte sua, il legislatore tributario è spinto dalla necessità di creare un
sistema normativo capace di selezionare tutte le possibili fonti di reddito
che vengono ad essere prodotte dall'impresa sia con riferimento al suo "core
business", che alle operazioni non strettamente legate all'attività oggetto
dell'impresa; per fare ciò si avvale di specifici criteri di imputazione che di
volta in volta vengono applicati alle varie tipologie di componenti positivi
di reddito.
7
Non tutti gli Autori sono concordi nel dare una specifica collocazione
aziendalistica alle contribuzioni in argomento, considerandole fenomeni
astrattamente generali ed imprevedibili in tale ambito, rinviando una
trattazione più completa alla finanza aziendale e alla riclassificazione ed
analisi dei bilanci di esercizio delle imprese. Tuttavia, il non considerare a
livello economico-aziendale l'influenza che dagli interventi pubblici deriva
all'economia delle imprese, conduce, di conseguenza, ad ignorare, o a non
dare il giusto peso, a quelle particolari categorie di grandezze che oltre a
modificare l'assetto finanziario di cui possono disporre i sistemi aziendali,
ne influenzano, in modo inscindibile, sia l'andamento economico che la
struttura patrimoniale, considerata nell'attuale sua configurazione e
soprattutto nel suo divenire. Conseguentemente, i giudizi di valore che
vengono pertanto espressi sia con riguardo alla formazione dei bilanci di
esercizio che con riferimento ad altri eventi collegati ad operazioni munite
del carattere di straordinarietà, ne risulteranno, almeno in qualche misura,
falsati con tutti gli annessi riflessi negativi sia a livello operativo che
programmatico.
8
CAPITOLO PRIMO
IL RUOLO DELLO STATO NELL'ECONOMIA
E LE POLITICHE DI SOSTEGNO ALL'IMPRESA
1.1 Considerazioni generali
Il sistema impresa per espletare la sua funzione produttiva ha bisogno di
fondi: talvolta i conferimenti che gli individui interessati apportano a titolo
di capitale di rischio risultano essere congrui rispetto all'obiettivo da
raggiungere; più spesso i soli finanziamenti della proprietà azionaria non
appaiono adeguati ed è quindi necessario reperire le adeguate risorse
attingendo nel sistema bancario e creditizio.
1
Insieme a questi due canali di
finanziamento l'impresa bisognosa può, in alcune situazioni, fare
affidamento sulle agevolazioni che lo Stato mette a disposizione sotto varie
forme; più in particolare, può beneficiare di contributi a fondo perduto, in
conto esercizio, in conto interessi, in conto impianti, ecc., nonché di una
serie di agevolazioni fiscali.
La collocazione civilistica, giuridica e fiscale dei contributi non è
considerata dagli economisti che rimandano la disquisizione ai teorici
aziendalisti, tuttavia essi non mancano di considerare il fenomeno con una
espressione che riassume in se molti aspetti di politica economica e fiscale:
i trasferimenti alle imprese.
1
Fa notare il Ferrero: “La "domanda aziendale" di fattori produttivi nasce dal "fabbisogno di
fattori" che l'impresa deve "coprire" per fronteggiare le esigenze (ossia i bisogni) della
produzione.”. Cfr. G. Ferrero, Impresa e management, Milano, Giuffrè, 1987.
9
Con questo termine si suole indicare l'intervento dello Stato per
l'incentivazione ed il sostegno delle imprese nazionali, attuantesi
principalmente attraverso manovre di politiche fiscali espansive, ma anche
con l'adozione di politiche monetarie volte alla riduzione del tasso di
interesse e, indirettamente, all'incremento degli investimenti.
10
1.2 Il PIL e la crescita di lungo periodo
Gli economisti sono concordi nell'affermare che la crescita economica
segue un trend ascendente in relazione ai fattori lavoro, capitale e
tecnologia che compongono la funzione di produzione: questa è influenzata
dalle fluttuazioni che avvengono nel mercato del lavoro, in quello dei
capitali e dallo stato della tecnologia.
Nel lungo periodo il PIL è uguale all'ammontare di produzione nazionale
che si otterrebbe se tutti coloro che volessero lavorare ai livelli di salario
offerti potessero trovare un impiego; è uguale, quindi, al PIL potenziale o
PIL di pieno impiego. Questa condizione si raggiunge quando il mercato
del lavoro è in equilibrio.
La macroeconomia tenta di spiegare il perché nel breve periodo il PIL si
discosta dal suo sentiero di crescita; in che modo cioè il sistema economico
reagisce alle perturbazioni del mercato, e qual'è il processo di
aggiustamento che conduce all'equilibrio di lungo periodo.
2
Nel corso del tempo numerosi Autori si sono adoperati in questo senso
elaborando teorie destinate a divenire scuole di pensiero dell'economia
moderna: si pensi a John Maynard Keynes, padre della omonima teoria; a
Milton Friedman, fautore della scuola monetarista; a Robert Lucas e
Thomas Sargent, sostenitori del pensiero neoclassico; a Edmund Phelps e
Olivier Blanchard esponenti della scuola neokeynesiana e molti altri.
3
Lo sviluppo economico può essere influenzato dall'intervento pubblico che,
agendo sui tre fattori che determinano la crescita, e cioè la produttività, la
formazione del capitale e la forza lavoro, può modificarne il trend di
2
Per approfondimenti: R. Frisch, Problemi di propagazione e impulso nella dinamica
economica, 1933. Utile risulta essere il saggio di James Tobin "Commentary", in Industrial
Change and Public Policy.
3
Per approfondimenti si veda R. E. Hall, J. B. Taylor, Macroeconomia seconda edizione, Milano,
Hoepli, 1995; ma anche R. Dornbusch S. Fischer, R. Startz, Economia, II edizione.
11
evoluzione. Ora, un sistema economico dovrebbe crescere spontaneamente
e l'azione dell'autorità centrale si giustifica qualora esistesse un fallimento
di mercato: questa situazione si verifica quando vi è divergenza tra i
benefici privati ed i benefici sociali di una particolare attività. Esistono
molte attività che generano crescita ed in alcuni casi i benefici sociali
superano quelli privati; perciò è auspicabile l'intervento pubblico che può
incoraggiare tali attività.
4
Secondo alcuni Autori il fattore della crescita diminuito maggiormente
negli ultimi anni è il progresso tecnologico, per cui stimolare la
produttività del lavoro e del capitale è divenuto uno degli obiettivi della
attuale politica economica, in contrasto con le passate politiche pubbliche
che concentravano gli interventi intorno alla creazione di capitale.
Sostenere la crescita incrementando lo stock di capitale richiede un elevato
e duraturo livello della spesa per investimenti che, per un dato livello di
produzione, può aversi solo in presenza di una modesta domanda delle
famiglie e del settore pubblico; per espandere gli investimenti occorre
dunque ridurre le altre componenti della domanda aggregata: i consumi, gli
acquisti del settore pubblico o le esportazioni nette.
La politica economica è in grado di stimolare la crescita degli investimenti
attraverso due forme di intervento. Il primo opera indirettamente attraverso
agevolazioni fiscali e contributi finanziari (in conto capitale o in conto
interessi) concessi agli investimenti realizzati da imprese industriali e
commerciali.
4
Un utile spunto di approfondimento si può trovare nel volume di J. E. Stiglitz, L'economia del
settore pubblico; ma anche C. Cosciani, Scienza delle Finanze, Giuffré, Torino; F. Forte, Teoria
generale della finanza pubblica, 3 voll. Boringhieri; B. Griziotti, Elementi di Scienza delle
finanze, Giuffré, Milano; L. Einaudi, Principi di Scienza delle finanze, Utet, Torino.
12
Il secondo tipo di intervento è attuato direttamente dallo Stato e dagli altri
enti pubblici e dalle imprese a partecipazione statale che mirano
all'accumulazione del capitale; da rilevare che il graduale avanzamento del
processo di privatizzazione sta portando ad una perdita di importanza di
questo modo di intervento.
Indipendentemente dalla tipologia delle scelte politiche effettuate, che
ovviamente non possono essere qui esaurite, si può tuttavia asserire che un
programma di politica economica deve possedere dei requisiti essenziali,
deve in ogni caso essere mirato, cioè ben strutturato attorno agli obiettivi,
attraverso uno studio attento e circostanziato degli strumenti più idonei a
tale fine.
5
Non basta insomma conoscere lo scopo, ma è necessario
individuare, nelle reali condizioni economiche, quali mezzi appaiono più
adatti a realizzarlo. Ciò, soprattutto, in considerazione del fatto che le
finalità di politica economica possono apparire contrastanti o
complementari e che uno stesso strumento si presta alla realizzazione di
scopi diversi, a volte opposti.
6
Occorre, ad esempio, considerare che obiettivi come quelli della stabilità
monetaria e della piena occupazione sono contrastanti, poiché quegli
strumenti che favoriscono la piena occupazione - quali la diminuzione del
tasso d'interesse - generano peraltro inflazione in determinate circostanze.
5
Sulla relazione tra il numero degli strumenti e il numero degli obiettivi, e sul problema
dell'assegnazione degli strumenti agli obiettivi si veda il libro di Jan Tinbergen, On the Theory of
Economic Policy (Amesterdam: North Holland, 1952).
6
Per una trattazione completa dell'argomento si veda il saggio di John B. Taylor, "An Appeal for
Rationality in the Policy Activism Debate", in The Monetary and Fiscal Policy Debate: Lessons
from Two Decades, a cura di R. W. Hafer (Totowa, N. J. : Allanheld, 1986). Interessanti sono
anche i lavori di Robert Lucas, "Econometric Policy Evaluation: A Critique", in The Phillips
Curve, a cura di Karl Brunner e Allan Meltzer, Carnegie Rochester Conference Series, vol. 1 (
Amsterdam: North-Holland, 1976); Christopher Sims, "Policy Analysis with Econometric
Models", Brookings Papers on Economic Activity, vol. 1 (1982).
13
Così, anche la piena occupazione e l'equilibrio della bilancia dei pagamenti
in deficit, sono obiettivi per i quali appare piuttosto difficile la realizzazione
congiunta: infatti, l'aumento della domanda stimolerebbe la piena
occupazione, attraverso il meccanismo dell'acceleratore, ma farebbe
aumentare anche le importazioni, qualora l'offerta interna fosse sufficiente,
accrescendo così il deficit della bilancia dei pagamenti. L'accrescimento
altresì dello sviluppo economico contrasta con la redistribuzione del reddito
a favore delle categorie meno abbienti. Infatti, tale seconda finalità
implicherebbe lo spostamento della ricchezza dalle categorie più ricche, che
sono di solito anche quelle che risparmiano di più - favorendo così gli
investimenti e lo sviluppo - alle categorie meno abbienti che finiscono col
consumare tutto il loro reddito.
14
1.3 La politica fiscale
Lo Stato svolge un'attività finanziaria pubblica per la cui realizzazione
necessita di entrate che vengono coattivamente prelevate dai contribuenti.
La soddisfazione dei bisogni pubblici, soprattutto di quelli generali e
indivisibili (quali la giustizia e l'ordine pubblico), richiede il contributo
coattivo dei cittadini.
Nell'ambito dell'accennata attività finanziaria dello Stato si individua la
politica fiscale, che si preoccupa fondamentalmente del raggiungimento di
alcuni essenziali obiettivi quali: la stabilizzazione dell'economia nel breve
periodo; la redistribuzione del reddito; lo sviluppo economico.
7
Nell'ambito della prima finalità lo Stato si servirà dello strumento
d'imposte, aumentandone il prelievo nei momenti in cui la domanda interna
supera l'offerta e determina spinte inflazionistiche, con aumento dei prezzi e
tendenza al peggioramento della bilancia dei pagamenti. In tale circostanza
l'aumento delle imposte ridurrà il reddito individuale e, quindi, farà
diminuire i consumi causando, attraverso la nota applicazione del
moltiplicatore keynesiano, una diminuzione della domanda ed un
ridimensionamento dei prezzi. Tutto ciò favorirà, nel caso di deficit, un
equilibrio della bilancia dei pagamenti. La scelta del Governo potrebbe
anche essere quella di colpire con un aumento delle imposte solo certe
categorie di contribuenti, ad esempio consumatori o imprenditori, attraverso
imposte speciali, determinando nei settori colpiti una diminuzione
rispettivamente dei consumi o degli investimenti.
7
Per approfondimenti si veda P. Bosi, Teoria della politica fiscale, Il Mulino, Bologna, 1981.
15
Al contrario, la diminuzione delle imposte sarà consigliabile in caso di
disoccupazione e di depressione economica, poiché in tale circostanza,
stimolando i consumi, si otterrà un aumento della produzione e del reddito
nazionale, risolvendosi conseguentemente, seppur in parte, i problemi di
disoccupazione.
Per quanto attiene alla finalità di redistribuzione del reddito è evidente che
esso, come già detto, va trasferito alle classi meno abbienti per raggiungere
lo scopo dell'equità sociale, espressione del principio dell'uguaglianza
sostanziale tra i cittadini sancita nell'articolo 3, secondo comma, della
Costituzione della Repubblica Italiana. In tale ottica le imposte non
colpiscono affatto, o lo fanno in misura molto modesta, i possessori di
redditi minimi, e ciò in base ai principi dell'uniformità impositiva e della
progressività dell'imposta stabilita dall'articolo 53 della Costituzione.
Nell'ambito della terza finalità, lo stato potrà destinare una parte
considerevole di fondi dell'erario alle spese per lo sviluppo economico,
favorendo, attraverso sussidi o provvedimenti di agevolazione fiscale, le
imprese che si impegnano nel campo della ricerca e del progresso tecnico-
economico.
8
8
Un utile testo di riferimento si ritrova in: N. Acocella, Fondamenti di politica economica, NIS,
Firenze, 1994.
16
1.4 La politica monetaria
Per quanto attiene alla politica monetaria e creditizia, uno dei campi in cui è
più rilevante l'intervento dello Stato, le autorità monetarie potranno fissare
il saggio d'interesse, il tasso ufficiale di sconto, la consistenza delle
operazioni di mercato aperto, il volume del credito e il coefficiente di
riserva obbligatoria, condizionando, in tal modo, l'andamento del ciclo
economico per evitare congiunture sfavorevoli e conservare o raggiungere
il massimo livello di attività economica compatibile con l'assenza di
pressioni inflazionistiche. Esaminiamo brevemente come possono essere
manovrati i suaccennati strumenti, a seconda degli obiettivi da realizzare.
9
Il Saggio d'interesse è collegato da una relazione inversa al livello degli
investimenti per cui, volendo aumentare il loro volume, occorre ridurre il
tasso di interesse. In tal modo scenderà il costo del denaro, gli imprenditori
saranno pertanto stimolati ad investire e si otterrà, infine, un aumento del
reddito nazionale. Se, invece, sono in atto pressioni inflazionistiche, sarà
opportuno ridurre la quantità di moneta in circolazione, in modo che,
secondo i principi della teoria quantitativa, si otterrà un aumento del suo
valore ed una diminuzione dei prezzi. Stesso risultato può essere realizzato
anche aumentando il saggio d'interesse. Ovviamente, come in ogni
circostanza in cui si fa uso di determinati strumenti, occorre tener conto
delle reazioni collaterali, che in questo caso potranno essere la diminuzione
degli investimenti e, conseguentemente, dell'occupazione.
Il Saggio di sconto costituisce un mezzo di regolazione dell'attività
creditizia delle banche.
9
Per approfondimenti: G. Vaciago, Teoria e politica monetaria, Il Mulino, Bologna, 1978.
Inoltre, degli utili testi di riferimento sono: E. Monti, M. Onado, Il mercato monetario e
finanziario in Italia, Il Mulino, Bologna, 1989; C. Bisoni, Il mercato monetario italiano, Giuffré,
Milano, 1983; D. E. W. Laidler, La domanda di moneta, Vita e Pensiero, Milano, 1976.
17
Infatti, un aumento del saggio ufficiale di sconto, che è praticato dalla
Banca Centrale alle banche ordinarie ad esempio sul risconto delle
cambiali, comporta un aumento del saggio di libero sconto, cioè di quello
praticato dalla banca ai clienti che intendono ottenere, previa deduzione
dell'interesse, l'anticipazione dell'importo di una cambiale non ancora
scaduta. Di fronte a tale aumento, i clienti preferiranno trattenere ancora i
titoli, in attesa della scadenza, e si verificherà quindi una diminuzione della
quantità di moneta in circolazione con conseguente contenimento dei
prezzi.
Una tale manovra è perciò consigliabile di fronte a fenomeni inflazionistici
e restringe ovviamente l'attività creditizia delle banche. Il contrario si
verificherà in caso di diminuzione del saggio suddetto.
L'innalzamento del saggio di sconto può altresì essere utilizzato per
migliorare il deficit della bilancia dei pagamenti: in tal caso la diminuzione
dei prezzi comporta una riduzione delle importazioni ed un aumento delle
esportazioni. I consumatori nazionali saranno spinti a comprare all'interno,
quelli stranieri acquisteranno in Italia facendo salire le esportazioni,
cosicché i nostri prodotti diverranno competitivi all'estero. L'aumento del
saggio di sconto comporta inoltre un innalzamento del saggio d'interesse e
quindi costituisce per i capitali stranieri un incentivo al trasferimento in
Italia, con conseguente miglioramento della bilancia dei pagamenti.
10
Infine, una diminuzione del saggio di sconto può causare un incremento
degli investimenti e dell'occupazione, rendendo i primi più profittevoli a
causa del basso costo del denaro e stimolando quindi l'attività
imprenditorile.
10
Per approfondimenti: F. Cotula (a cura di, La politica monetaria in Italia, volume I e II, Il
Mulino, Bologna, 1994.
18
Le Operazioni di mercato aperto (OPA) comprendono l'acquisto e la
vendita di titoli di Stato o garantiti dallo stesso e sono effettuate dall'Istituto
di emissione per immettere o rastrellare dal mercato biglietti di banca.
Nel primo caso lo Stato, acquistando titoli, immette liquidità nel sistema
con tutte le prevedibili esaminate conseguenze, nel secondo caso, vendendo
titoli, toglie denaro dalla circolazione combattendo così le spinte
inflazionistiche.
Le banche hanno l'obbligo di depositare presso l'Istituto Centrale, come
Riserva obbligatoria una parte dei loro capitali: ovviamente, tanto più basso
è il coefficiente di riserva obbligatoria, tanto più elevata è la quantità di
moneta che le banche possono immettere in circolazione e tanto più alto è il
valore del moltiplicatore del credito. Esso corrisponde all'effetto reattivo
che viene a verificarsi tra le varie banche che hanno ricevuto un deposito e
lo reimmettono in circolazione, trattenendo solo la percentuale di riserva
obbligatoria. L'effetto moltiplicativo finale causato dal deposito in
questione è, quindi, in relazione inversa rispetto al coefficiente suddetto,
anzi il moltiplicatore è dato appunto dal reciproco del coefficiente di riserva
obbligatoria.
11
11
Nel testo a cura di Franco Cotula, La politica monetaria in Italia. Obiettivi e strumenti, Il
Mulino, Bologna, 1989: C. O. Gelsomino, Il rifinanziamento delle aziende di credito; B. Bianchi,
Le operazioni di mercato aperto; E. A. Zautzik, La riserva obbligatoria delle aziende di credito.
A. Pin, La riserva obbligatoria in Italia: strumento di politica monetaria con vizio di origine, in
“Note economiche”, n. 3/4, 1986.