II
Ad oggi sussiste l´impossibilita` di estendere analogicamente al
rapporto di convivenza le norme che regolano la famiglia
legittima, come ritenuto dalla dottrina maggioritaria che
afferma:
se si potessero estendere per analogia le norme sui diritti, obblighi e poteri
che sono previsti per le situazioni familiari, senza che se ne debbano
richiedere i presupposti, si arriverebbe praticamente a cancellare tutto il
sistema legislativo che e` destinato a collegare presupposti e conseguenze
dei vincoli legali.
(Trabucchi 1981, 353)
Di conseguenza, resta per i conviventi la possibilità di
concludere accordi di natura negoziale alla luce del vigente
panorama legislativo.
Cap. I
I contratti di convivenza:
Validità e ammissibilità nel nostro ordinamento.
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1. 1 Il contratto di convivenza.
Si definisce contratto di convivenza il contratto avente ad oggetto
la regolamentazione del ménage tra conviventi, a contenuto
esclusivamente patrimoniale, quale la distribuzione dei costi di
ordinaria amministrazione, il regime degli acquisti compiuti
durante il rapporto o in precedenza ed eventualmente gli effetti
dello scioglimento della convivenza.
E`, infatti, pacifica in dottrina l´impossibilita` di coercizione
degli obblighi di fedeltà, di coabitazione e di assistenza proprie
del rapporto tra coniugi che possono sorgere soltanto dal vincolo
del matrimonio.
Ne consegue che anche se le parti inserissero questi obblighi in
una convenzione pattizia o dettassero delle regole per
disciplinare le modalità del rapporto di convivenza, queste
pattuizioni sarebbero radicalmente nulle perché illecite.
L´ammissibilita` di questa tipologia di contratti che, nella
legislazione straniera, ha trovato assenso e una larga diffusione -
si va dai cohabitation contracts, ai contrats de ménage, fino ai
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recenti PaCS francesi – nel nostro ordinamento non e` priva di
ostacoli. Si pone il problema della riconduzione degli obblighi
derivanti da una convivenza alla fattispecie delle obbligazioni
naturali; l´eventuale contrasto con l´ordine pubblico e il buon
costume, ecc.
Il contratto di convivenza si presenta come fattispecie atipica,
non disciplinata specificamente per legge.
Non può, infatti, essere ricondotto alla rendita vitalizia
disciplinata dall´art. 1872 e ss. c.c. ne` al vitalizio alimentare ne`
al contratto di mantenimento.
Nel contratto di convivenza non esistono un debitore e un
creditore, ma il rapporto si caratterizza per la scambievolezza
delle prestazioni, siano esse di dare o di fare, e nel collegamento
sinallagmatico delle prestazioni, senza cessioni di capitale o
alienazioni di beni.
Nel contratto di mantenimento, invece, vi e` una parte che si
obbliga nei confronti dell´altra a fornire vitto, alloggio e
assistenza per tutta la durata della vita ed in relazione ai bisogni
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del mantenuto dietro l´alienazione di un bene immobile o
dell´attribuzione di altri beni, quali somme di denaro.
La dottrina prevalente considera anche il contratto di
mantenimento un contratto atipico con la considerazione che
l´oggetto nella rendita vitalizia e` un dare mentre nel contratto di
mantenimento l´oggetto e` costituito da una prestazione
complessa in cui assume rilievo anche il facere.
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1. 2 La negozialita`dei conviventi tra autonomia privata
e modelli legislativi.
Nel corso dell´ultimo ventennio si sono andate facendo sempre
piu` numerose le pubblicazioni straniere, nelle quali s’e`
suggerito alle coppie conviventi more uxorio di pianificare la vita
in comune mediante la stipulazione di apposite convenzioni
(cohabitation contracts, Partrenschaftsverträge, contrats ménage),
proponendo talora anche veri e propri modelli e << contratti
tipo>>.
La preventiva soluzione per via negoziale dei numerosi e
complessi problemi patrimoniali della famiglia di fatto non
costituisce neppure una novita` assoluta, posto che l´analisi
storica evidenzia testimonianze in Francia e in Spagna, risalenti
addirittura ai secoli XIII e XIV.
Estremamente significativo appare il fatto che proprio nella
direzione della negozialita`, e non certo in quella
dell´imposizione di effetti giuridici conseguenti alla sola
sussistenza del rapporto di fatto, si muovano le soluzioni
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normative che di recente, in vari paesi dell´Europa continentale,
si sono prefissate di affrontare e risolvere i problemi giuridici
posti dalle convivenze omo- ed eterosessuali.
La prima legge che si e` occupata del fenomeno e` stata quella
danese, del 1982; essa ha istituito il modello della registered
partnerschip, per cui la registrazione del rapporto di convivenza
produce i medesimi effetti del matrimonio, salvo quanto previsto
in materia di adozione e di potestà dei genitori.
Tale modello e` stato seguito negli anni successivi anche da
Norvegia (1993), Svezia (1994), Islanda (1996), Olanda (1998), e
Germania (2001).
Tali ordinamenti hanno quindi optato per una tendenziale
equiparazione tra le unioni familiari eterosessuali ed
omosessuali.
Una siffatta evoluzione delle normative nazionali e` stata
condivisa dal Parlamento Europeo, le cui risoluzioni dell´8
Febbraio 1994 e del 16 Marzo 2000, finalizzate alla rimozione di
ogni forma di discriminazione verso le persone omosessuali,
richiedono un maggiore impegno della commissione e degli Stati
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membri nella tutela delle relazioni familiari fra persone dello
stesso sesso, attraverso l´apertura del matrimonio civile o di uno
strumento giuridico equivalente.
Invero altri Paesi non hanno seguito la via dell´equiparazione,
preferendo forme di tutela autonome e settoriali.
Si tratta delle normative introdotte in Belgio (1998), Catalogna
(1998), e Francia (1999).
Queste si basano, generalmente sulla parificazione delle coppie
di conviventi; in tal modo, senza alcuna equiparazione all´istituto
del matrimonio, viene offerta alle coppie di persone dello stesso
sesso la medesima tutela prevista per i conviventi
1
.
Al riguardo e in prima approssimazione potrà dirsi che queste
legislazioni appaiono riconducibili a due grandi categorie, grosso
modo corrispondenti alle aree geografiche << latina >> e <<
mitteleuropea-nordica >> del nostro continente.
Nelle prime l´intento del Legislatore sembra essere quello di
fornire uno strumento posto a disposizione sia di coppie etero che
1
Oberto Giacomo, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Torino, 1991.
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omosessuali e la preoccupazione sembra volta a porre in risalto il
carattere non matrimoniale dell´unione, mentre nelle seconde
appare molto piu` evidente l´intento di apprestare un istituto di
tipo para-matrimoniale dell´unione sino a giungere al caso dei
Paesi Bassi e del Belgio dove le forme di partenariato registrato
introdotte da alcuni anni (anche per coppie eterosessuali) si
trovano ora a convivere con un matrimonio che ha di recente
perso il tradizionale requisito della diversità di sesso tra i
contraenti.
Proprio questa fondamentale distinzione fa si`che, nel primo tipo
di ordinamenti, il prius sia costituito dal contratto, e dunque da
una manifestazione di volontà principalmente diretta a
disciplinare i rapporti patrimoniali, ancorché estesa a
ricomprendere profili di carattere personale.
Il negozio viene comunque inserito in un meccanismo
pubblicitario tendente ad apprestare opponibilita` ai terzi, nonché
un surrogato di << celebrazione >> che si sostanzia, in realtà
nella registrazione dell´accordo, ma che nell´intento (per lo meno
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in quello politico) del Legislatore, dovrebbe soddisfare le istanze
dei movimenti per la parità dei diritti tra tutti i soggetti
dell´ordinamento, a prescindere dalla loro inclinazione sessuale.
Nella seconda categoria di ordinamenti, invece, il prius sembra
essere rappresentato piu` che dal negozio sugli aspetti
patrimoniali, dalla dichiarazione effettuata di fronte all´ufficiale
dello stato civile (o ad altro pubblico ufficiale, variamente
designato dalla legge), che viene ad assumere, il significato non
già di una mera consegna d´un documento contenente la volontà
negoziale delle parti, ma di una vera e propria celebrazione, con
la pubblica esternazione di un consenso in grado di produrre
effetti di tipo paramatrimoniale
2
.
Per quanto riguarda le convivenze omosessuali, nessun dubbio
può sorgere neppure da noi sull´ammissibilita` pure in questo
caso di contratti di convivenza, negli stessi limiti valevoli per le
coppie eterosessuali.
Ciò appare tanto piu` vero alla luce non solo della recente
2
Sesta Michele, Diritto di famiglia, Padova, 2003, p.350 ss.
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creazione, nel campo del diritto di famiglia, di uno << spazio
giudiziario comune europeo >>, ma anche della costituzione in
fieri, nel nostro continente, di un vero e proprio <<spazio
giuridico comune>>, con l´avvicinamento delle legislazioni
sostanziali envisage` dalle conclusioni del Consiglio Europeo
svoltosi a Tampere il 15 e 16 ottobre 1999.
Alla luce di questi dati l´Italia non può piu` ostinarsi a rimanere
sorda alle voci che da ogni parte d´Europa si levano a tutela delle
convivenze tra persone del medesimo sesso che desiderino
sottoporre i loro rapporti ad effetti giuridici.
Venendo al nucleo centrale dell´argomento, vale a dire
all´individuazione delle clausole che possono caratterizzare un
contratto di convivenza, andrà subito detto che l`espressione <<
contratto di convivenza >> non viene qui assunta a designare
l´accordo con cui due persone si impegnano a convivere more
uxorio: ogni vincolo di carattere personale sfugge alla
regolamentazione pattizia.
La terminologia abbraccia piuttosto tutte quelle intese di
contenuto patrimoniale che i conviventi (indipendentemente dalla
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presenza o meno di un impegno formale a condividere la futura
esistenza, ma comunque sul presupposto di questa) possono
concludere al fine di regolare i rispettivi rapporti economici,
sottoponendo a regole prefissate la soluzione degli eventuali
problemi che potrebbero insorgere durante il ménage.
Eventuali dubbi sulla meritevolezza di tutela (art. 1322 c.c.)
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sembrano superabili sulla base della considerazione che: degna di
protezione appare ogni pattuizione la quale si prefigga di evitare
liti future e di fornire un minimo di sicurezza economica al
partner << debole >>.
Secondariamente, gli aspetti salienti di tali convenzioni
dovrebbero essere costituiti dall´assunzione di un obbligo
reciproco di contribuzione nell´interesse della famiglia (obbligo
di mantenimento a carico di uno dei conviventi verso l´altro), con
la specificazione delle relative modalità qualitative e quantitative,
3
Autonomia contrattuale: le parti possono liberamente determinare il contenuto del
contratto nei limiti imposti dalla legge.
Le parti possono concludere anche contratti che non appartengono ai tipi aventi una
disciplina particolare purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo
l`ordinamento giuridico.
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nonché dell´eventuale regime degli acquisti da operarsi
congiuntamente o separatamente.
Le intese immaginabili sono svariate, e innumerevoli le
combinazioni delle medesime.