9
1. Introduzione
Il manifestarsi e l’acuirsi della recessione, negli anni a cavallo tra il
1980 e 1990, ha messo in luce molti nuovi problemi economici tra i
quali spicca quello della disoccupazione.
Le imprese si sono trovate per la prima volta di fronte a problemi di
riorganizzazione del personale molto spinosi: dopo che negli anni ‘80
la crescita del potere dei sindacati aveva creato solidi baluardi attorno
al principio della sicurezza del posto del lavoro, le imprese si sono
infatti trovate nella necessità di “inventare” nuove forme di lavoro
che fossero compatibili con le prese di posizione sindacali e che, al
tempo stesso, permettessero di sfruttare al meglio la risorsa umana.
Tuttavia non è solo dal mondo imprenditoriale che si avverte una
forte spinta alla flessibilità e alla creazione di nuove forme di lavoro
(vche engono oggi chiamate “atipiche” o “precarie” a secondo del
punto di vista sociale attraverso il quale le si guarda), ma è anche il
mondo del lavoro che le domanda, giudicando molte volte
anacronistico il principio del “lavoro sicuro” e considerandole una
soluzione per molte fasce di lavoratori che fino ad oggi sono state
pressoché ignorate dalle autorità governative: si tratta soprattutto dei
giovani, degli anziani, delle donne, dei liberi professionisti, persone
comunque per le quali un lavoro part-time, oppure un lavoro
10
stagionale o temporaneo potrebbero essere un’occasione per sfruttare
il tempo libero o per arrotondare lo il reddito famigliare..
Questa tesi intende affrontare il problema dei lavori atipici e della
loro diffusione nel mercato del lavoro e, partendo dalla realtà
concreta, cerca di indagare le motivazioni razionali che spingono da
un lato l’imprenditore a creare occupazione atipica, dall’altro il
lavoratore ad accettare o meno occupazioni che potrebbero non
assicuragli, nel lungo periodo, un tenore di vita sufficiente.
Proprio la precarietà del lavoro atipico è il maggior svantaggio di tali
forme di occupazione: se è vero che, in teoria, possono dare una mano
a creare nuova occupazione, è anche vero che non si tratta di lavori
sicuri, protetti socialmente e retribuiti a sufficienza.
E’ quindi preferibile un lavoro precario ed insicuro, ma disponibile
subito, ad una situazione di disoccupazione, oppure è meglio cercarsi
un lavoro sicuro, con il rischio di restare anni in lista presso gli uffici
di collocamento?
Da qualunque parte lo si guardi, il problema resta comunque
subordinato ad una regolamentazione efficiente e, soprattutto, non
anacronistica; l’esperienza americana, dove il lavoro in affitto è una
realtà in costante crescita e le agenzie private di lavoro interinale si
moltiplicano, è una prova che i lavori atipici possono essere un valido
11
strumento non solo per creare occupazione, ma anche per introdurre i
giovani nel mondo del lavoro.
D’altro canto il mercato del lavoro americano è noto per le sue
caratteristiche di spiccato liberismo: non vi sono enti pubblici di
collocamento, non vi sono enti di previdenza pubblica...
Il primo capitolo di questa tesi analizza le tipologie dei lavori atipici
più diffusi, cerca di far luce sui vantaggi e svantaggi di ognuno e ne
riporta le dimensioni (in termini assoluti e comparati).
Dove possibile si cerca di capire, mediante i dati empirici, quanto
queste forme di occupazione possano contribuire alla creazione di
occupazione.
Il capitolo si conclude con una rassegna legislativa in cui vengono
presentati i tratti salienti delle discipline che regolamentano i lavori
atipici (tra cui particolare risalto viene dato al part-time) nei paesi
industrializzati.
Il secondo capitolo analizza, da un punto di vista matematico, come e
perché un imprenditore sceglie di impiegare parte della propria forza
lavoro in modo “atipico”: scopriremo che sia nel caso di un modello
statico, sia nel caso di un modello dinamico, ciò che determina la
possibilità dell’esistenza di un lavoro atipico sono i costi che
l’impresa deve sostenere per il mantenimento dell’occupazione.
12
Vengono presentati poi i due casi emblematici della Germania e della
Spagna: nel primo paese, nonostante i forti incentivi pubblici,
l’occupazione atipica non si è diffusa e comunque non ha contribuito
in maniera determinante alla crescita dell’occupazione.
In Spagna, invece, più di un terzo della popolazione attiva risulta
impegnata su base atipica.
Il terzo capitolo si propone di analizzare la realtà sociale, legislativa
ed economica di uno dei contratti atipici più diffusi: il part-time.
In questo capitolo si cercano le motivazioni che stanno alla base
dell’esistenza di tale forma di occupazione; si indaga circa l’entità di
tale forma di occupazione in alcuni paesi europei e viene presentato
un modello economico di domanda/offerta che cerca di spiegare le
motivazioni e le conseguenze economiche del lavoro part-time.
13
2. Lavori atipici: uno sguardo d'insieme
2.1 Il concetto di lavoro atipico
Negli ultimi venti o trenta anni nei paesi industrializzati si sono fatti
grandi passi nella direzione della regolamentazione del rapporto di
lavoro allo scopo di eliminare ogni forma di abuso possibile tra
datore di lavoro e dipendente. Ciò ha contribuito a rendere il posto di
lavoro sicuro, permanente, stabile e garantito, sia dal punto di vista
della remunerazione sia dei benefici sociali.
Tuttavia il dibattito sul lavoro precario, sempre presente nei paesi in
via di sviluppo dove i posti di lavoro sono insicuri, poco pagati e
sottoposti ad ogni tipo di abuso, e la cui eliminazione era stata
l'obiettivo delle riforme nei paesi industrializzati, è riemerso con
forza nell'ultimo decennio.
In questo periodo si sperimentano infatti una persistenza e talvolta
anche una crescita di forme di lavoro definite "atipiche",
"contingenti", "non convenzionali" o ancora "precarie".
Tali forme di lavoro non sono soggette a classificazioni generali: si
tratta di lavori part time, di contratti di lavoro temporaneo o a tempo
determinato, di lavori domestici per conto terzi, di lavori "notturni"
(il termine inglese moonlighting , al chiaro di luna, rende bene il
concetto), di lavori in proprio, di lavori a domicilio...
14
Questa eterogeneità rende le classificazioni pericolose, ma fa
emergere una prima conclusione: lavoro atipico non significa
necessariamente lavoro anche precario.
C'è infatti una crescente dissonanza tra la relazione di lavoro "tipica"
e i bisogni del sistema industriale al punto che i lavori atipici possono
rappresentare la risposta a tali nuovi bisogni, ma, mentre da una parte
si sostiene che i rapporti di lavori dovrebbero evolversi per riflettere
i cambiamenti dei bisogni sociali ed economici, dall'altra i
cambiamenti che si possono osservare appaiono diversi, frammentari,
a volte contraddittori.
15
3. Tipologia dei lavori atipici; cenni sulla diffusione in Europa
e nel mondo
3.1 Il lavoro temporaneo
Secondo la più diffusa definizione il lavoro temporaneo include tutte
le forme di guadagni salariali e tutte le attività lavorative
indipendenti che non hanno natura permanente.
Il lavoro temporaneo può avere due manifestazioni principali:
• Contratto temporaneo di lavoro: il datore di lavoro e il lavoratore si
accordano sulla fine del periodo di occupazione: tale fine può essere
di varia natura, quale il termine dell'attività lavorativa, il
completamento di un obiettivo, o il raggiungimento di una certa
formazione (in Italia ne sono un esempio i Contratti di Formazione
Professionale).
In questa tipologia ricade anche il cosiddetto lavoro casuale
costituito da rapporti di lavoro che nascono in maniera occasionale in
base a variazioni stagionali di domanda o secondo particolari momenti
dell'anno: sono interessati generalmente il settore del turismo e
dell'agricoltura.
• Contratti di agenzia: si instaura una relazione trilaterale tra una
agenzia di lavoro temporaneo, un lavoratore temporaneo e un datore
di lavoro. In tale rapporto il lavoratore intrattiene il rapporto di
dipendenza verso l'agenzia la quale provvede a cedere la prestazione
16
di lavoro ad una terza impresa: in Italia tale contratto è legalmente
vietato in quanto avviene la scissione tra prestazione lavorativa e
rapporto di dipendenza.
3.1.1 Il numero dei lavoratori temporanei
Per definizione il lavoro temporaneo è qualcosa di ancora incerto; al
di fuori della classificazione alquanto generica che è stata fatta è,
infatti, difficile raccogliere tutte le occasioni di lavoro temporaneo in
una classificazione più ricca e sintetica.
Per questo motivo nascono due grosse limitazioni per la misurazione
del fenomeno del lavoro temporaneo: la prima è che non vi sono dati
relativi al lavoro temporaneo in cui si distinguano i lavoratori assunti
mediante contratto a tempo determinato e i lavoratori assunti
mediante agenzia; la seconda limitazione riguarda il fatto che tutte le
indagini sono condotte su base annuale con il risultato che gran parte
dei contratti che nascono e si esauriscono durante un anno solare (e
sono un gran numero) non vengono rilevati.
Tuttavia i dati presentati in questo paragrafo forniscono un quadro
abbastanza completo della diffusione del lavoro temporaneo in
Europa.
17
Tabella 1: il lavoro temporaneo in Europa
Fonte: Eurostat, sulla base della Labour Force Surveys, Statistics Finland, U.S. Department of
Labour, Japan Annual Report on the Labour Force Survey
Il numero di lavoratori temporanei occupati nel 1991 nel gruppo di
paesi indicato nella tabella 1 è all'incirca di dieci milioni di
lavoratori: tale numero comprende sia i lavoratori assunti mediante
agenzia sia quelli assunti direttamente dalle imprese con contratti a
tempo determinato.
Come si può osservare i dati variano dai 5 lavoratori temporanei su
100 permanenti dell'Italia e del Regno Unito ai 32 della Spagna; nel
periodo tra il 1987 e il 1991 le fluttuazioni sono state minime per la
maggior parte dei paesi, ma in alcuni esse sono state molto
accentuate: Francia e Spagna sembrano essere i paesi con una
dinamica in forte crescita, mentre la Grecia presenta una diminuzione
di tale valore.
Il lavoro temporaneo in Europa
Belgio Danimarca Francia Germania Grecia Italia Portogallo Spagna Regno Unito
1987 5,1 11,1 7,1 11,6 16,6 5,4 16,9 15,6 6,3
1988 5,0 11,5 7,8 11,4 17,6 5,8 18,5 22,4 6,0
1989 5,1 10,0 8,5 11,0 17,2 6,3 18,7 26,6 5,4
1990 5,3 10,8 10,5 10,5 16,6 5,2 18,6 29,8 5,2
1991 5,1 11,9 10,2 9,5 14,7 5,4 16,5 32,5 5,3
I dati sono espressi in percentuale sul totale della forza lavoro
18
Sebbene le percentuali di lavoratori temporanei rivelino dei
cambiamenti nella struttura del mercato del lavoro, non possiamo
affermare se questi cambiamenti siano positivi o negativi per
l'occupazione totale: in Francia, per esempio, l'occupazione totale è
scesa solo marginalmente nel periodo di riferimento, mentre
l'occupazione temporanea è cresciuta di 3 punti percentuali; anche in
Spagna l'occupazione permanente è scesa di circa 1 punto
percentuale, mentre quella temporanea si è accresciuta di ben il 17 %.
Tale tendenza contrastante costituisce un ostacolo verso la creazione,
in questi due paesi, di posti di lavoro temporanei.
Il quadro non è comunque omogeneo, in quanto negli altri paesi, per
esempio, ad incrementi marginali dell'occupazione temporanea sono
corrisposti anche incrementi marginali dell'occupazione permanente.
A questo punto risulta utile analizzare il fenomeno dal punto di vista
della struttura industriale: uno spaccato dei dati in questo senso ci
rivela (tabella 2) che la gran parte dei lavoratori temporanei sono
impiegati in industrie stagionali, tra le quali spiccano l'agricoltura e
l'industria delle costruzioni. Anche settori quali quelli del commercio
al minuto e all'ingrosso hanno delle percentuali abbastanza alte.
19
Tabella 2: il lavoro temporaneo nell'economia.
Fonte: Eurostat
In generale possiamo osservare che nei paesi, in cui la dinamica
generale dei contratti a tempo determinato è stata molto accentuata, lo
è stata in modo abbastanza diffuso in tutti i settori dell'economia.
E' doveroso notare anche che questo tipo di forma di lavoro si è
diffuso meno nei settori dell'industria tradizionale a causa
probabilmente della forte protezione sindacalista: i sindacati hanno
Lavoratori temporanei in percentuale di tutti i lavoratori per ogni industria (1983-1991)
Agricoltura Energi Chimic Manifatt. CostruzioneCommercio TrasportiBanca e Serviz P.A. Totale
Belgio 1983 7. 1.92. 2.82.66.92.74.19.38.25.4
1989 6.4 1.8 2.2 2.7 3 4.9 2.3 3.8 8.5 8.6 5.1
1991 235 5 12.7 8 9 5 3 5.1
Danimarc 1983 21.7 5.6 4.6 9.5 16.3 15.3 7.8 6.7 14. 14.6 12.5
1989 13.9 3.1 3.6 6.8 14 13. 5.1 6.2 11. 11. 9.9
1991 14.9 1.6 4.7 8.5 18.2 15 7.1 6.4 14.7 12 11.
Franci 1983 5.1 2.4 2.1 3.7 5.2 6 1. 3.8 2.4 0.7 3.3
1989 11. 2.6 7 8.9 9.9 10.9 3.9 7.5 9.5 5.9 8.5
1991 13.9 4.2 5.5 8.5 10. 10.2 6.1 7.5 14.8 10 10.2
Germani 1983 22.9 3.6 5.7 8.1 10. 12.6 5.2 8.5 14.4 10.7 10
1989 17.4 6.6 5.8 8.2 9.1 13.6 6.4 10. 15.4 15.9 1
1991 16.5 5.5 6.1 7.1 7.9 10.7 5.8 8.7 13.4 13.5 9.5
Grecia 1983 51. 5.3 9.5 12.2 47.8 19.2 10.2 10.2 10.8 3 16.3
1989 57.2 5.1 7.9 14 63.2 19.3 12.6 9.9 12.3 3 17.2
1991 40.2 5.4 7.9 12.9 50 17.2 9.6 9.4 12. 2.7 14.7
Italia 1983 35.9 2.3 0.9 2.2 11. 7 1.9 1.9 6.5 2.3 6.6
1989 28.1 1.5 2 3.7 9.3 8.1 4.3 4.3 7 2.3 6.3
1991 4 1.8297563 6.5 5.4
Portogallo 1983 31.5 7 11. 15 25.5 16.6 4.8 6.3 12.3 7.3 14.7
1989 31.6 10.3 15. 18.5 29 23.3 8.9 11. 17.3 9.8 18.7
1991 29.1 6.8 12.9 16.5 23.5 21.5 10.8 15. 14.8 8.5 16.5
Spagna 1983 39.4 4.3 8.2 12.3 29.5 18.3 7.8 8.5 13.3 7.7 15.6
1989 49.6 8.2 16.6 24 49.4 31.7 15.9 19.3 22.8 10.3 26.6
1991 54.4 9.9 22.9 28.5 55.7 38.9 19.3 26.3 27.8 15. 32.2
gno Unito 1983 11. 2 2.3 2.7 6.9 9 2.2 3.7 7.9 4 5.5
1989 7 3.1 4 7.6 7418 3.25.4
1991 6.8 61.92.73.6 82.6 .3 .1 4 5.3
20
infatti sempre osteggiato, in passato, tale forma di lavoro in quanto
pericolo per la stabilità del posto di lavoro.
Infine notiamo che la percentuale più bassa in assoluto nel settore
della Pubblica Amministrazione si trova in Italia: la causa di questo
fenomeno è stata la particolare impostazione dell'organizzazione del
lavoro in tale settore che prevedeva la promozione automatica nel
tempo e la stabilità del posto.
3.1.2 Flussi della forza di lavoro da e verso l'occupazione temporanea
E' interessante notare in che modo si differenziano i flussi di
lavoratori che vengono dal lavoro temporaneo o che si indirizzano
verso questa forma di lavoro.
Un modo per condurre una tale analisi è quello di considerare la
situazione attuale di ogni singolo lavoratore e di raffrontarla alla
condizione di un anno prima. In tal modo si possono distinguere in
base alla situazione attuale i lavoratori permanenti da quelli
temporanei ed osservare quale sia stata la dinamica della forza lavoro
durante l'anno precedente.
21
Tabella 3: lo stato della forza lavoro.
Fonte: Eurostat, sulla base della Labour Force Sample Survey di ogni singolo paese
Dalla tabella 3 appare chiaro che gran parte dei lavoratori temporanei
vengono dalla disoccupazione o non erano ancora forza di lavoro
l'anno precedente l'analisi. Vari possono essere i motivi di questo
fatto: un lavoratore temporaneo poteva essere disoccupato l'anno
precedente, in quanto stava cercando un’occupazione permanente, ma
non ha trovato niente di meglio di un'occupazione temporanea.
Stato della forza di lavoro un anno prima tra i lavoratori permanenti e
quelli temporanei
Occupazione Permanente
Anno Totale Occupati Disoccupati Non forza lav.
Belgio 1991 100 96.1 0.9 3.1
Danimarca 1991 100 94.8 1.8 3.4
Francia 1990 100 94.7 2.2 3.1
Germania 1991 100 96.5 0.8 2.8
Grecia 1991 100 95.8 1.1 3.2
Italia 1983 100 94.4 2.1 3.5
Portogallo 1991 100 96.8 1 2.1
Spagna 1991 100 95.5 2.1 2.4
Regno Unito 1991 100 93.3 1.6 5.1
Occupazione Temporanea
Anno Totale Occupati Disoccupati Non forza lav
Belgio 1991 100 71.9 8.4 19.7
Danimarca 1991 100 67.9 11.8 20.3
Francia 1990 100 57.6 16.9 25.5
Germania 1991 100 80.9 2.5 16.6
Grecia 1991 100 80.9 6 13
Italia 1983 100 71.8 15.5 12.8
Portogallo 1991 100 75.1 10.6 14.3
Spagna 1991 100 64.1 22.3 13.6
Regno Unito 1991 100 64.4 5.1 30.5
22
Allo stesso modo un lavoratore temporaneo poteva non appartenere
alla forza di lavoro in quanto ancora studente: ciò conferma che una
buona percentuale dei lavoratori temporanei appartiene ad una fascia
di età molto bassa.
Questi dati hanno però lo svantaggio che non ci mostrano se un
lavoratore temporaneo proviene da un'occupazione permanente o
viceversa.
Un'indagine presentata in Alba-Ramirez [1991] e condotta in Spagna
(paese in cui abbiamo visto che lavoro il temporaneo appare essere un
fenomeno molto rilevante) nel periodo che va dal secondo trimestre
del 1987 al primo trimestre del 1991, ha messo in luce che circa il
38% dei lavoratori temporanei proviene da posizioni contrattuali di
tipo permanente mentre una percentuale crescente proviene dalla
disoccupazione (il 33% nel 1987 al 39% nel 1991). Mentre il secondo
dato è in linea con quanto emerge dalla tabella 3, il fatto che molti
individui si muovano da posizioni di occupazione permanenti a
posizioni temporanee è abbastanza sorprendente: una scelta di tal
genere può rappresentare spostamenti volontari da un tipo di lavoro
all'altro dovuto a fattori e motivazioni personali. Nonostante il
risultato di questa indagine, il caso della Spagna è abbastanza
anomalo e non deve essere preso come regola generale.