Introduzione 
Tengo a precisare che, considerata la vastità delle fattispecie contrattuali tipiche unita a 
quella delle fattispecie atipiche in uso nella pratica professionale delle imprese, si è reso 
impossibile condurre un’analisi completa della disciplina speciale. Così, la mia scelta si è limitata 
ad una mezza dozzina di contratti, curata avendo riguardo alle tipologie contrattuali più innovative 
e di più frequente utilizzo nella pratica professionale delle imprese e dei loro operatori. 
 Per ogni contratto vengono esaminati anche i profili contabili e la conseguente disciplina 
fiscale, proprio in riferimento ad un approccio verso la realtà dell’impresa intesa come sistema 
aperto, rivolto al mercato per perseguire uno scopo, ma anche inserito in esso come attore di un 
sistema più vasto, produttivo di ricchezza e di una conseguente capacità contributiva riconducibile 
allo sviluppo economico, storico e sociale della collettività. 
 Completano la rassegna l’esame della natura, della funzione, e delle finalità del contratto 
preliminare, e la disciplina del recesso e della risoluzione del contratto. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Pasquale Rodà 
 V
Capitolo Primo.  I contratti dell’impresa 
Capitolo Primo 
 
I CONTRATTI DELL’IMPRESA. 
 
 
 
Sommario 
 
1 La categoria dei contratti d’impresa  
2 ll diritto speciale dei contratti d’impresa: le fonti nel codice civile 
3 Contenuto del contratto, regime degli effetti e della opponibilità ai terzi 
4 Le trattative e la fase precontrattuale 
5 Formazione del contratto e forme solenni 
6 Interpretazione del contratto 
7 Scioglimento e altre vicende del rapporto contrattuale 
8 Inattuazione dei contratti d’impresa: inadempimento e responsabilità  
9 Tutela della parte debole: i contratti del consumatore  
10 I  contratti fra imprese: abuso di dipendenza economica e subfornitura  
11 Clausole Incoterms  
12 Caratteri e principi comuni alla contrattazione e ai contratti d’impresa  
13 Distinzioni e classificazioni all’interno dei contratti d’impresa. 
 
 
 
 
 
 
 
 
1 La categoria dei “contratti d’impresa” 
Può definirsi “contratto d’impresa” quello, in cui almeno una delle parti 
istituzionalmente coinvolte sia un’impresa, vale a dire un soggetto che eserciti 
un’attività fra quelle indicate dall’articolo 2195 del codice civile
1
. 
                                                 
1
 Questo articolo è rubricato Imprenditori soggetti a registrazione, e disciplina, appunto, l’obbligo 
d’iscrizione nel registro delle imprese, fissato dall’art. 2188 e seguenti c.c. Tuttavia, l’art. 2195 contiene 
un’elenco di 5 attività che consentono di attribuire la qualifica di imprenditore a quei soggetti che 
esercitano almeno una delle cinque, definite “attività commerciali”. L’elenco del codice civile è il 
seguente: 
1) un’attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi 
2) un’attività intermediaria nella circolazione dei beni 
3) un’attività di trasporto per terra, per acqua o per aria 
4) un’attività bancaria o assicurativa 
5) altre attività ausiliarie alle precedenti 
Parte della dottrina osserva che queste attività consistono tutte nella produzione di beni e/o prestazione di 
servizi, e pertanto dovrebbero già ritenersi comprese nella categoria 1). La menzione separata della 
categoria 5) significa essenzialmente che quelle attività, anche se esercitate in connessione ed appoggio a 
un’impresa principale, danno vita ad imprese autonome, così che chi le esercita professionalmente può 
definirsi egli stesso imprenditore. 
 1
Capitolo Primo.  I contratti dell’impresa 
A partire dagli anni Venti, la migliore dottrina italiana
2
, fra cui sono 
annoverati, per esempio, A. Dal Martello, G. Ferri, V. Buonocore, G. De Nova, F. 
Galgano, G. Alpa, V. Roppo, ha dedicato un’ampia riflessione al diritto civile e 
commerciale su un tema, una vexata quæstio
3
, all’interno della quale si inserisce 
l’analisi di questa categoria di contratti accomunati dall’essere in qualche misura al 
servizio dell’attività d’impresa. È il tema, molto ampio e generale, dell’autonomia del 
diritto commerciale, e dei suoi caratteri distintivi nell’ambito del diritto privato. 
Partendo dalla riflessione sui rapporti commerciali di attuazione
4
, una parte 
della dottrina si sofferma sui cosiddetti contratti commerciali
5
, strumento emblematico 
e peculiare dell’autonomia del diritto commerciale. Ma di fatto, i contratti d’impresa 
non sembrano essersi affermati come categoria, o almeno, come nozione meritevole di 
una valutazione distinta, se si considera la scarsa, o addirittura spesso assente 
                                                                                                                                               
 
2
 La cosiddetta “categoria dei contratti d’impresa” costituisce un settore di studio, al quale soltanto pochi 
autori hanno dedicato ricerche e pubblicazioni. I contributi fondamentali allo sviluppo dei contratti di un 
impresa provengono in massima parte dalla prassi degli affari, dagli usi, dalla pratica commerciale e 
professionale, che nel tempo esercita una “selezione naturale” tale per cui nuovi contratti, non tipizzati dal 
legislatore, vengono in essere, contratti atipici ricevono una disciplina autonoma e vengono tipizzati, e 
l’uso di altri contratti viene meno, rendendoli desueti. Pertanto, l’approccio di studio a questo ramo del 
diritto deriva principalmente dalla pratica. E’ molto semplice rintracciare manuali pratici, memento, 
formulari, raccolte di normative relative alla disciplina generale dei contratti, che costituiscono lo 
strumento cui maggiormente fanno ricorso gli operatori del settore. Il materiale didattico di origine 
accademica o dottrinale è, invece, frammentario e quantitativamente limitato a pochi testi, (seppure 
autorevole) . Quella che in questo lavoro definisco come “autorevole dottrina” comprende pochi autori, le 
cui pubblicazioni costituiscono un punto di riferimento fondamentale per un approfondimento 
accademico del tema in questione. Così, le mie ricerche hanno visto la loro fonte nei testi di A. Dal 
Martello, “I Contratti delle imprese commerciali”, Padova, 1962; Galgano F, “Diritto civile e 
commerciale”, Padova, 2005; V. Roppo, di cui va citato “Il contratto”, Milano, 2001; V. Buonocore, 
“Contratti d’impresa”, Milano, 1993, e “Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrattuali”, 
Milano, 2000; M. Casanova, “Le imprese commerciali”, Torino, 1995; Sacco-De Nova “Il contratto” in 
“Trattato di diritto civile”, Torino, 1993; G. Oppo, “La contrattazione d’impresa”, 1995; G. Alpa, “Nuove 
frontiere del diritto contrattuale”, in Contratti e Impresa, 1997; G. De Nova, “I contratti” in “Rivista di 
diritto civile”, 1990. Per una più completa consultazione dei testi consultati, si rimanda alla nota 
bibliografica. 
 
3
 V. Buonocore, “Contratti d’Impresa, 1993 
 
4
  La locuzione designa i rapporti che sorgono dai singoli atti in cui l’attività intermediaria si concreta, e 
che si distinguono dai rapporti attinenti, invece, all’organizzazione ed all’esercizio professionale 
dell’attività intermediaria. 
 
5
 Questa è la locuzione più antica, direttamente discendente dalla terminologia adoperata nel codice di 
commercio del 1882. La locuzione è stata abbandonata nel tempo, soprattutto in merito al venir meno 
della distinzione dottrinale fra contratti civili e contratti commerciali, realizzata con l’unificazione del 
codice civile e del codice di commercio. Ma un altro fattore che ha contribuito a superare la distinzione è, 
certamente, anche l’esigenza di non escludere a priori, nella denominazione della categoria, quei contratti 
posti in essere per l’esercizio di attività imprenditoriali non commerciali. 
 
 2
Capitolo Primo.  I contratti dell’impresa 
considerazione che incontrano nei manuali, o nelle opere generali sui contratti, sulle 
obbligazioni, o su altre singole fattispecie che ad essi possono essere ricondotte. E vi 
sono autori, anzi, che ancora affermano l’irrilevanza della qualità imprenditoriale della 
parte, ai fini di una valutazione della disciplina del contratto. 
Nell’impostazione codicistica del 1882, la previsione di un sistema dei 
contratti commerciali, separato ed autonomo, emergeva dalla necessità di dettare una 
disciplina conforme allo sviluppo che le attività produttive avevano ottenuto, così da 
regolamentare i rapporti contrattuali più direttamente connessi a tali attività. 
Con l’affermarsi della produzione, della distribuzione e dei consumi di 
massa, tale sviluppo ha investito l’intero sistema economico, e di conseguenza la 
disciplina contrattuale si è adeguata alle esigenze dell’impresa, essendo quest’ultima 
divenuta la forma generale, e più significativa, delle attività economiche. 
Tuttavia, la codificazione del 1942, con il conseguente fenomeno della cd. 
“commercializzazione del diritto civile”, (intendendo con questa definizione qualificare 
la “forza espansiva delle norme regolanti il diritto degli affari rispetto alle norme 
proprie del diritto civile”
6
), ha comportato il superamento della distinzione fra contratti 
d’impresa e contratti in generale. 
Il primo autore a contestare la posizione dell’allora preminente dottrina 
civilistica in materia, tesa a dimostrare il superamento della distinzione di cui sopra, fu 
Arturo Dal Martello, che verso la fine degli anni Cinquanta s’interessò al tema fino a 
pubblicare la prima significativa monografia su I contratti dell’impresa commerciale, 
del 1962. Dal Martello ha notato che non si può dubitare, né ignorare, il fatto che esiste 
nell’attuale sistema giuridico un insieme di contratti «qualificati dal fatto di realizzare (o 
di concorrere a realizzare) la esplicazione di quella attività umana che è l’attività 
d’impresa»
7
, e in particolar modo l’impresa commerciale. Dopo di lui, e fino a una 
decina d’anni fa, quella dei contratti d’impresa è stata una discussione oggetto di scarsi, 
ma importanti contributi, come prima accennavo: Vincenzo Buonocore ha fornito una 
significativa raccolta di “Casi e materiali”
8
; Giancarlo Rivolta ha affrontato il più ampio 
                                                 
6
 “I contratti d’impresa”,  Giuseppe Fiengo, in Rvisita Giuridica On Line, indirizzo web 
http://www.rivistagiuridica.it/. 
 
7
 Voce “Contratti d’impresa”, A. Dal Martello, Padova, 1962.  
 
8
 “Trattato di diritto commerciale”, diretto da V.  Buonocore, Torino, 1995. 
 3
Capitolo Primo.  I contratti dell’impresa 
tema degli “atti d’impresa” in genere; in ultimo, anche Giorgio Oppo
9
 si può annoverare 
fra i pochi autorevoli nomi che si sono dedicati alla tematica. 
Perciò, inizialmente, in un contesto storico che possiamo individuare fra 
l’entrata in vigore del codice civile del 1942, e la metà degli anni Sessanta, solo pochi 
giuristi hanno preso in considerazione questo tema, cioè il Dal Martello, e il G. Oppo; 
tuttavia, nel tempo si è sviluppata una certa varietà di approccio all’argomento, basti 
considerare, per esempio, le differenze di terminologie che incontriamo oggi nella 
letteratura dedicata all’argomento: oltre che di “contratti d’impresa”, si parla di 
“contratti d’impresa commerciale”, “contratti dell’imprenditore”, “contratti aziendali”, 
“contrattazione d’impresa”, sottolineando pertanto come l’argomento possa essere preso 
in considerazione sotto molteplici sfaccettature. Non va dimenticata, infine, la categoria 
dei contratti del consumatore che, coinvolgendo l’impresa in posizione di asimmetria di 
potere contrattuale, hanno ricevuto un’importante disciplina, tanto interna quanto 
internazionale; ma tale categoria sarà oggetto di un’autonoma, seppur breve analisi, 
all’interno di questo capitolo, vista e considerata l’importanza che riveste tanto in 
riferimento alla disciplina generale dei contratti dell’impresa, quanto alle singole ipotesi 
di contratti, con i quali l’impresa misura la sua presenza sul mercato commerciale nei 
suoi rapporti con i “consumatori”, vale a dire gli utenti destinatari dei servizi e beni, 
oggetto dell’attività d’impresa. 
Tornando all’analisi generale dell’argomento, l’impostazione strutturale data 
al problema dai ogni singolo autore è diversa, ma il risultato è comunque uguale: 
sarebbe possibile individuare un’autonoma categoria di contratti d’impresa, con 
conseguenze importantissime, non tanto a livello dogmatico, quanto in relazione 
all’intera disciplina di taluni rapporti riguardanti l’impresa. È pacifico che i contratti 
d’impresa rappresentino uno strumento economico e giuridico peculiare per ogni attività 
professionale, perché si propongono come esplicazione diretta e necessaria
10
 delle 
attività definite “d’impresa”. Non vi è perciò ragione di limitare in partenza la categoria, 
o nozione, ai contratti delle imprese commerciali, o per attribuire a tutti i contratti la 
qualifica “commerciale”; mentre la dizione “contratti aziendali” non appare 
                                                 
9
 “Profili dell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico”, Bologna, 1943. 
 
10
 F. Messineo, “Il contratto in genere”, tomo I, Milano, 1973 
 
 4
Capitolo Primo.  I contratti dell’impresa 
sufficientemente espressiva delle fattispecie alle quali la si è voluta riferire, (secondo il 
Galgano, tale terminologia sembra più consona a identificare una categoria avente ad 
oggetto beni aziendali non di proprietà dell’imprenditore).  
I contratti governano l’organizzazione ed il funzionamento dell’impresa, che 
appare, in sostanza, come una fittissima rete di rapporti contrattuali; essi operano quali 
“trait d’union”, ed allo stesso tempo, come punto dirimente fra l’attività oggettiva ed il 
soggetto esercente, perché finiscono con l’essere strumentali alla prima, pur rimanendo 
imputabili al secondo. 
L’ultima formula adottata dalla dottrina, quella di «contrattazione 
d’impresa»
11
, appare la più adatta a definire l’oggetto dell’argomento in esame, affinché 
il percorso logico non si esaurisca nel punto di arrivo del contratto concluso, ma includa 
l’attività e il procedimento che ad esso conduce. 
In ogni caso, in dottrina è pacifico che i vari atti che l’imprenditore compie 
nell’esercizio dell’impresa provocano conseguenze rilevanti per il diritto. Ad esempio, il 
Ferri sostiene che l’attività economica  delle imprese «esplica la sua influenza, 
determinando particolari atteggiamenti e particolari problemi» i quali sono comunque 
presi in considerazione dalla dottrina giuridica; infatti, sempre il Ferri sostiene che 
«anche quando non costituisca un presupposto dell’atto singolo, il collegamento 
economico esplica la sua influenza, determinando particolari atteggiamenti e problemi 
dei quali naturalmente il diritto tiene conto». Non si può, infatti, perdere di vista il 
contesto di origine della riflessione sul tema dei contratti d’impresa: l’impatto 
dell’impresa sul mercato, che ha dato vita a riflessioni di carattere generale sul diritto 
commerciale. 
All’inizio del “nuovo secolo”, in campo tecnico, commerciale, economico, 
politico e giuridico, lo sviluppo dell’economia imprenditoriale ha interessato tutti i 
settori dell’ordinamento, essendo l’impresa valutata come strumento di utilità sociale, 
costituzionalmente garantita. L’azione dell’impresa, l’esigenza di disciplinare il nuovo 
mercato, la valutazione di interessi che necessitano una disciplina dedicata, nel rispetto 
dei valori di cui all’art. 41 della Costituzione, hanno offerto alla dottrina l’ampio spunto 
di riflessione sulla libertà, sull’autonomia del diritto commerciale, tematica più ampia e 
generale dalla quale la categoria dei contratti d’impresa non si può scindere. 
                                                 
11
 G. Oppo “Scritti giuridici”, vol. 1 “Diritto dell’impresa”, Padova, 1992-2005. 
 5
Capitolo Primo.  I contratti dell’impresa 
Parlare di attività d’impresa come esplicazione dell’autonomia del diritto 
commerciale implica necessariamente richiamare il concetto di “iniziativa economica”, 
e in particolare quello di “libertà” dell’iniziativa economica, costituzionalmente 
garantita. Infatti, non si può ignorare il legame, (anche lessicale), fra “iniziativa” e 
“intrapresa” economica, concetto che sta alla base dell’odierno significato di “impresa”.  
L’articolo 41 della Costituzione
12
 afferma che «l’iniziativa economica 
privata è libera», esprimendosi così in termini di “iniziativa economica”, anziché di 
“impresa”, “imprese” o “categorie di imprese”. Il discorso costituzionale, infatti, è teso 
a sottolineare il valore creativo e propulsivo dell’attività d’impresa, valore che era 
presente nell’originario significato di intrapresa, e che l’odierno concetto di impresa ha 
invece perduto. Il concetto di impresa, e quello di attività economica, (nel quale 
l’impresa si identifica attualmente), nella sua più lata accezione, si può ricondurre 
all’attività di chi utilizza la ricchezza esistente per produrre ricchezza nuova. La libertà 
sancita dal primo comma dell’art. 41 Cost., perciò, riconosce ai privati la facoltà di 
disporre delle risorse, materiali o umane, ma anche, in secondo luogo, la possibilità di 
organizzare l’attività produttiva tanto sotto il profilo quantitativo, che sotto quello 
qualitativo.  
Questa libertà presuppone il riconoscimento di un complesso di diritti dei 
privati, alcuni dei quali sono già costituzionalmente garantiti, come la proprietà privata, 
(art. 42. Cost., comma 2°), o l’iniziativa economica  sopra menzionata. Ma, accanto a 
questi due concetti, (un tempo prevalenti nel meccanismo dell’impresa, dove la figura 
dell’imprenditore coincideva soprattutto con quella del proprietario), hanno assunto 
rilevanza altri strumenti economici, ma anche giuridici, che hanno composto un 
complesso di valori e libertà, nonché di prassi e usi imprenditoriali, di cui il diritto sta 
lentamente prendendo atto. 
La forte valorizzazione del ruolo dell’impresa, derivante dall’evoluzione e 
dalla trasformazione del sistema economico, ha determinato una variazione piuttosto 
significativa dei fenomeni giuridici e degli istituti che ad esso afferiscono, primo fra 
                                                 
12
 Costituzione della Repubblica Italiana, Parte Prima, Titolo III, Rapporti economici, articolo 41: 
«L’iniziativa economica  privata è libera. 
 Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla 
libertà, alla dignità umana. 
 La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e 
privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.» 
 
 6
Capitolo Primo.  I contratti dell’impresa 
tutti il sistema contrattuale. Basti pensare, per esempio, alle nuove forme di produzione 
di massa, al commercio elettronico, od anche alle strutture di logistica ed ai sistemi di 
trasporto: categorie in cui il rapporto negoziale e l’atto contrattuale assumono un valore 
indispensabile. 
 Il concetto moderno di attività economica consente di attribuire 
all’imprenditore la qualifica di “organizzatore” del processo produttivo, finalizzato alla 
creazione di nuova ricchezza ed alla circolazione della stessa, e, pertanto, anche di 
“attivatore” del sistema economico, altrimenti inerte. Pertanto, l’odierno concetto 
d’impresa possiede un quid pluris
13
, costituito proprio dall’esercizio congiunto, e 
consolidatosi nel tempo, di una somma di diritti e libertà fra le quali si trova, appunto, la 
libertà contrattuale, accolta e disciplinata nel codice civile, all’art. 1322. In sintesi, è 
questo il contesto in cui s’inserisce la categoria dei contratti d’impresa. 
Per quanto riguarda, invece, i giuristi che negano l’esistenza di una categoria 
autonoma dei contratti d’impresa, la loro tesi si fonda sul fatto che le norme regolatrici 
dei contratti in generale, salvo pochissime, non fanno discendere conseguenze 
particolari qualora uno dei contraenti sia imprenditore, o quando la prestazione dedotta 
in contratto è inerente all’esercizio di un’impresa. Ad esempio, il riferimento 
all’esercizio dell’impresa, nelle norme che hanno riguardo ai contratti di cui è parte un 
imprenditore, si può rintracciare negli articoli 1330, e 1721, n.4, del codice civile, e non, 
invece, nell’articolo 1368, comma 2°. 
A prescindere dalle prese di posizione soggettive dei singoli autori, tuttavia è 
possibile offrire una risposta affermativa al quesito se i contratti d’impresa possano 
costituire un’autonoma categoria. Tale possibilità emerge se si verifica l’esistenza di 
quella disciplina esclusiva e particolare di cui sopra si è parlato, definibile «diritto 
speciale dei contratti d’impresa», e sostenuto dalla presenza, nell’ordinamento, di una 
legislazione dedicata. L’esame della normazione vigente consente di riscoprire una serie 
di caratteri generali comuni ai contratti d’impresa, caratteri che costituiscono il riflesso 
delle esigenze e dei connotati di natura economica che contrassegnano l’attività 
imprenditoriale. Ma la possibilità, allo stato dell’attuale legislazione italiana ed 
                                                 
13
 F. Galgano, “Diritto commerciale: impresa, contratti di impresa, titoli di credito, fallimento”, Bologna, 
2004. 
 
 7
Capitolo Primo.  I contratti dell’impresa 
internazionale, di individuare un’autonoma categoria di contratti d’impresa richiede ora 
l’analisi delle sue fonti normative. 
 
2 Il diritto speciale dei contratti d’impresa: le fonti nel codice civile 
La configurabilità dei contratti d’impresa come categoria è stata affermata da alcuni 
autori in base all’individuazione di una serie di indici normativi (sia all’interno che fuori 
dal codice civile) ed extranormativi che sembrano conferire unitarietà e omogeneità alle 
figure negoziali inserite nell’attività d’impresa, e attraverso la rilevazione di un gruppo 
di disposizioni di carattere generale che, facendo riferimento ai contratti 
dell’imprenditore, sembrano delineare più fattispecie collegate da una disciplina 
comune, o da caratteri comuni, estensibili oltre le testuali previsioni normative. A 
partire dagli anni 80, lo scenario normativo ha cominciato a subire una metamorfosi per 
il concorso di una pluralità di fattori che hanno modificato la distinta considerazione dei 
contratti d’impresa. Fonti di diritto interno (codice civile, leggi speciali, usi mercantili, 
prassi commerciali, codici associativi di comportamento, condizioni generali di 
contratto individuali e collettive, provvedimenti amministrativi, direttive di autorità 
statali, ecc.) e fonti di diritto internazionale (direttive e regolamenti comunitari, 
convenzioni internazionali, lex mercatoria o regole oggettive del commercio 
internazionale) consentono, allo stato attuale del diritto, di delineare i contorni e i 
contenuti di un diritto speciale dei contratti d’impresa, che comincia a contrapporsi in 
modo significativo al diritto comune dei contratti. Un diritto speciale costituito da 
regole che riservano uno specifico trattamento (in relazione non solo ai contenuti 
negoziali, ma anche alla formazione, ai regimi di validità e di efficacia, alla vita ed allo 
scioglimento del rapporto) ai contratti di cui sia parte un imprenditore. Un diritto 
speciale che sta assumendo un’articolazione talmente ricca da imporre distinzioni 
all’interno dei contratti dell’impresa e che ha già generato regimi diversificati  in 
ragione delle qualità soggettive dei contraenti. Questo processo, secondo un’autorevole 
dottrina, non ha ancora raggiunto la sua fase matura, ma di esso si possono menzionare 
numerosi punti di emersione: a) la tendenza alla creazione di regole distinte a seconda 
che l’altra parte contrattuale sia o non sia un consumatore, (basti ricordare la disciplina 
dei contratti del consumatore); b) la propensione del legislatore a costruire discipline 
relative a singoli tipi contrattuali in base alla specifica qualità imprenditoriale di uno dei 
 8
Capitolo Primo.  I contratti dell’impresa 
contraenti (si pensi alle norme dedicate ai contratti delle banche, degli intermediari 
finanziari, delle società di assicurazione, dei mediatori, degli agenti di commercio, delle 
imprese di factoring, degli operatori professionali esercenti il credito al consumo, per le 
prestazioni in regime di subfornitura, ecc.); c) il movimento verso la formazione di un 
diritto europeo dei contratti commerciali, in particolare ad opera dell’Unidroit; d) la 
creazione di un disciplina internazionale riservata ai negozi stipulati da tutti e due i 
contraenti nell’esercizio di un’attività professionale (di cui un esempio è la 
Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale, non applicabile alle 
vendite di beni mobili acquisitati per uso personale, familiare o domestico).  
Lo scenario normativo che si presenta attualmente, perciò, registra una linea di 
sviluppo in controtendenza rispetto a quella che aveva condotto all’assorbimento del 
codice di commercio all’interno del codice civile. Mentre l’unificazione dei codici 
muoveva dal desiderio di privare di rilevanza, ai fini della disciplina applicabile al 
contratto, la qualità delle parti e di privilegiare soluzioni più favorevoli al ceto 
mercantile, ora la tendenza è quella di dare rilievo agli status dei contraenti, e inoltre di 
assicurare una particolare protezione al consumatore (come individuo e come 
partecipante alle associazioni di categoria) – considerato dalla legge, in modo tipico ed 
astratto, “contraente debole” – nei rapporti negoziali intercorrenti fra lo stesso ed un 
operatore professionale. 
Il diritto speciale dei contratti d’impresa altro non è se non l’insieme delle 
disposizioni che impongono o consentono uno specifico trattamento per i contratti cui 
partecipi un imprenditore, e si propone con una ragguardevole ricchezza di contenuti, ed 
una significativa varietà di fonti.  
Prendiamo ora in esame le disposizioni di fonte interna. Ai sensi della disciplina del 
codice civile, vi sono contratti per i quali l’inserzione nell’impresa (o dell’impresa) 
assurge a presupposto dell’atto stesso, e sono cinque tipi di contratto: 
1) il deposito in albergo e nei magazzini generali; 
2) il contratto di assicurazione; 
3) i contratti bancari; 
4) il contratto di appalto. 
 9
Capitolo Primo.  I contratti dell’impresa 
La presenza dell’impresa in questi contratti assume rilevanza soprattutto in 
punto di disciplina, e questa circostanza è uno dei criteri qualificanti per giustificare una 
categoria autonoma di atti d’impresa non puramente concettuale.  
L’analisi dei singoli contratti verrà effettuata più avanti; per ora, basti dire a 
titolo di esempio, che il contratto di lavoro subordinato e il contratto di appalto sono due 
classici esempi di contratti d’impresa, considerato che è innegabile che in tutte le 
disposizioni più significative non solo si fa riferimento all’imprenditore, ma si dettano 
regole peculiari o in aggiunta a quelle dettate per tutti i contratti, o comunque 
integrative della disciplina generale. Pertanto, è necessario ora passare in esame quelle 
norme di carattere generale contenute nel codice civile che dettano per la generalità dei 
contratti una disciplina particolare quando “parte” di essi sia un imprenditore e servano 
all’esplicazione dell’attività d’impresa; in particolare quelle norme che fanno esplicito 
riferimento all’imprenditore, a differenza di quelle disposizioni che disciplinano 
strumenti negoziali diffusi prevalentemente o addirittura quasi esclusivamente nei 
rapporti fra imprenditori ovvero fra imprenditori e terzi, (che verranno analizzati in 
prosieguo). Prendiamo quindi in considerazione quegli istituti che le norme “riservano” 
agli imprenditori e che a questo titolo possono entrare nello statuto dell’impresa.  
Eccone l’elencazione: 
1) il quinto comma dell’art. 320 codice civile, rubricato “Rappresentanza e 
amministrazione” e inserito nel Titolo IX “Delle potestà dei genitori”, a tenore 
del quale “l’esercizio di un’impresa commerciale non può essere continuato se 
non con l’autorizzazione del tribunale su parere del giudice tutelare”; 
2) il primo e il terzo comma dell’art. 397 c.c., che rispettivamente consentono che 
il minore emancipato possa esercitare un’impresa commerciale senza 
l’assistenza del curatore, se autorizzato dal tribunale, e che lo stesso minore di 
conseguenza possa compiere da solo gli atti che eccedono l’ordinaria 
amministrazione; 
3) l’art. 371 c.c. – dettato in tema di esercizio della tutela –, che al n. 3 del primo 
comma include, fra le materie sulle quali il giudice tutelare deve deliberare dopo 
il compimento dell’inventario, “la convenienza di continuare ovvero alienare o 
liquidare le aziende commerciali, che si trovano nel patrimonio del minore e 
sulle relative modalità e cautele”; 
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Capitolo Primo.  I contratti dell’impresa 
4) l’art. 425 c.c., per il quale l’inabilitato può continuare l’esercizio dell’impresa 
commerciale se autorizzato dal tribunale su parere del giudice tutelare; 
5) il notissimo art. 1330, a tenore del quale “la proposta e l’accettazione, quando è 
fatta dall’imprenditore nell’esercizio della sua impresa non perde efficacia se 
l’imprenditore nuore o diviene incapace prima della conclusione del contratto, 
salvo che si tratti di piccoli imprenditori o che diversamente risulti dalla natura 
dell’affare”; 
6) il secondo comma dell’art. 1368, il quale dispone che “nei contratti in cui una 
delle parti è imprenditore, le clausole ambigue s’interpretano secondo ciò che si 
pratica generalmente nel luogo in cui è la sede dell’impresa”. E tale 
disposizione va certamente al di là della materia per cui è specificamente dettata 
– l’interpretazione del contratto, appunto –, per assumere un valore generale in 
pro della perpetuazione di una peculiare funzione, anche dopo l’unificazione dei 
codici, di quegli “usi commerciali” che, nel vigore dell’abrogato codice di 
commercio, costituivano una fonte esclusiva della materia commerciale;  
7) l’art 1400, che sottrae in parte alla disciplina generale della rappresentanza “le 
speciali forme di rappresentanza nelle imprese agricole e commerciali”; e, 
conseguentemente, il complesso delle norme che vanno dall’art. 2203 all’art 
2213, le quali contengono regole significative rispetto alla disciplina generale 
della rappresentanza: basterebbe segnalare per tutte, in punto di intensità e di 
importanza, quella contenuta nell’art. 2208 “sulla capitale questione della 
“contemplatio domini” per sottolineare la notorietà della quale basterà ricordare 
la tematica dell’imprenditore occulto; 
8) l’art. 1722, n. 4, il quale stabilisce che il mandato non si estingue per la morte, 
l’interdizione o l’inabilitazione del mandante se “ha per oggetto il compimento 
di atti relativi all’esercizio di un’impresa, se l’esercizio è continuato, salvo il 
diritto di recesso della parti o degli eredi”; 
9) l’art. 1824, dettato in tema di contratto di conto corrente, il cui secondo comma 
stabilisce che “qualora il contratto intervenga fra imprenditori, s’intendono 
esclusi dal conto i crediti estranei alle rispettive imprese”; 
10) gli artt. da 2709 a 2711 c.c., i quali, inseriti in una sezione autonoma – la terza 
(“delle scritture contabili delle imprese soggette a registrazione”) – del capo II 
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Capitolo Primo.  I contratti dell’impresa 
(“della prova documentale”) del Libro VI, dettano regole peculiari sui modi di 
produzione giudiziaria e sull’efficacia probatoria delle scritture contabili 
dell’imprenditore; 
11) l’art. 2751-bis, n. 5, secondo il quale hanno privilegio generale sui mobili i 
crediti riguardanti “i crediti dell’impresa artigiana e delle società ed enti 
cooperativi per i corrispettivi dei servizi prestati e della vendita dei manufatti”; 
12) il complesso delle norme dettate in tema di trasferimento di azienda: tutte, in 
misura maggiore o minore, contenenti deroghe alla disciplina generale delle 
obbligazioni, ed in particolare gli art. 2558, il quale comporta la successione 
automatica del cessionario dell’azienda in tutti i contratti stipulati per l’esercizio 
dell’azienda stessa, e 2122 c.c. – nel testo modificato dall’art 47, l. 29 dicembre 
1990, n. 428 –, il quale prevede il subingresso del cessionario stesso nel 
rapporto di lavoro e nei debiti da questo derivanti. 
Alla fine di questo rapido inventario, vi è da osservare che nel codice stesso 
esiste un principio generale degli “atti relativi all’esercizio dell’impresa”, inteso come 
causa giustificativa di deroghe normative alla disciplina generale dettata per i contratti. 
Naturalmente, non tutti i dodici blocchi di norme sopra illustrati, seppure di 
carattere generale, assumono a questo fine la medesima valenza: volendo operare una 
graduatoria di quelle più significative, il primato spetta certamente a quelle contenute 
nel terzo comma dell’art. 397 e negli articoli. 425, 1330, 1368, 1400, 1722 n.4, e 
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  Intorno a questo nucleo di norme, la dottrina si esprime lungamente richiamandosi alla vexata quaestio 
dell’unificazione fra codice civile e codice commerciale. A tal proposito, G. Oppo (in Codice civile e 
diritto commerciale, in riv. Civ., 1993) auspica una “ricommercializzazione” del diritto commerciale, o 
meglio, del diritto dell’impresa, partendo dal presupposto che “nel momenti in cui fu fatta l’unificazione 
non ha certo sacrificato il diritto commerciale: secondo taluni anzi avrebbe sacrificato il diritto civile, non 
solo subordinando gli istituti più rappresentativi del secondo a quelli del primo, ma generalizzando regole 
commerciali e quindi imponendole ai ceti non commerciali. La critica non sembra da accogliere, ma la 
constatazione, sì”. Punto su cui è concorde la dottrina, in poche parole, è che l’unificazione fra regole 
commerciali e civili è avvenuta sotto il comune denominatore del “codice civile”, ma solo in funzione 
delle materie disciplinate nel I, nel II e parzialmente nel III libro del codice stesso, e di conseguenza, si 
può dare ragione a chi sosteneva che, considerata l’evidente commercializzazione del “diritto delle 
obbligazioni”, sarebbe stato più opportuno adottare la soluzione svizzera di un codice autonomo delle 
obbligazioni.  
 
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