PARTE PRIMA
ANNULLAMENTO DEGLI ATTI DI GARA E INVALIDITA’ DEL CONTRATTO
D’APPALTO.
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CAPITOLO I
INTRODUZIONE.
1. L’attività contrattuale della pubblica amministrazione.
Lo strumento contrattuale è diffusamente impiegato dalla pubblica amministrazione, vuoi
per il conseguimento dei fini istituzionali ad essa propri, vuoi per far fronte ad esigenze
meramente patrimoniali ed organizzative.
Il fenomeno è complesso e tale che i diversi moduli convenzionali utilizzati non possono
ricondursi ad un unico modello ben definito. Ciò ha determinato, tra l’altro, la
proposizione di diverse distinzioni e suddivisioni da parte della dottrina
amministrativistica, prima tra tutte quella tra attività amministrativa di diritto pubblico,
attività amministrativa di diritto privato e attività privata della p.a.(1), per indicare,
rispettivamente, l’attività formalmente e sostanzialmente amministrativa, in quanto
regolata da norme pubblicistiche; l’attività formalmente privata e sostanzialmente
amministrativa, in quanto la p.a. per il raggiungimento dei suoi fini istituzionali pone in
essere negozi giuridici alla stessa stregua dei privati; infine, l’attività formalmente e
sostanzialmente privata, strumentale rispetto al raggiungimento dei fini istituzionali propri
dell’amministrazione, e relativamente alla quale i negozi giuridici posti in essere sono in
tutto e per tutto regolati dal diritto privato.
Tale distinzione consente di mettere in luce un dato, che da molti è ritenuto ormai
acquisito: la possibilità che la p.a. persegua obiettivi di pubblico interesse non solo per
mezzo di atti amministrativi, ma anche con gli strumenti propri dei soggetti privati.
(1) La distinzione è di Amorth, “Osservazioni sui limiti dell’attività amministrativa retta dal diritto privato”,
in “Arch. dir. pubbl.”, 1938, 455 ss.
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Il diffondersi della gestione di attività di tipo economico da parte delle amministrazioni
pubbliche ha arricchito ulteriormente il quadro: basti pensare agli enti pubblici economici,
che utilizzano soltanto atti giuridici di diritto privato.
Si discute, oltretutto, se il diffondersi degli istituti disciplinati dal diritto civile,
nell’ambito dell’attività istituzionale della p.a., sia una tendenza da incoraggiare o meno.
Certamente lo strumento negoziale, rispetto al provvedimento, garantisce maggiore
snellezza ed efficacia all’azione amministrativa, e svolge, oltretutto, una funzione di
prevenzione dei conflitti, basato com’è sulla ricerca del consenso con i soggetti privati di
volta in volta interessati. Tuttavia il contratto sembra di per sé inidoneo ad una verifica
circa la sua conformità al pubblico interesse. Infatti, mentre l’atto amministrativo può
essere investito del sindacato di legittimità da parte del giudice amministrativo, onde
verificare che non sia stato adottato in violazione di legge, o da un organo incompetente,
o per fini diversi rispetto a quelli previsti dalla norma attributiva del potere, questo
controllo (almeno per quanto concerne il profilo da ultimo menzionato, vale a dire
l’eccesso di potere), non sembra poter essere esteso anche all’atto negoziale di diritto
privato. Il contratto, infatti, è sicuramente valido ove persegua una causa lecita, non
rilevando la sua idoneità al perseguimento del pubblico interesse conforme al potere di cui
è investita la p.a. a norma di legge(2).
(2) Di contrario avviso è M. Dugato, “Atipicità e funzionalizzazione nell’attività amministrativa per
contratti”, Milano, 1996, 65, il quale sostiene che l’invalidità dell’atto negoziale concluso da un ente
pubblico in violazione delle finalità previste dalla legge discenderebbe, aldilà di un’esplicita previsione di
nullità, dall’art. 1418 cod.civ., inteso quale norma generale che consente di affermare la vincolatività del
principio di funzionalità nell’ambito dell’attività privatistica dell’amministrazione.
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La necessità di risolvere una contraddizione di tal fatta, e di evitare che attraverso
l’impiego di strumenti privatistici la p.a. possa sostanzialmente eludere i meccanismi di
controllo funzionale sull’atto amministrativo e il rispetto del principio di legalità, ha
indotto la dottrina a diverse ricostruzioni dogmatiche, entro cui inquadrare l’attività
contrattuale degli enti pubblici, quali il modello dell’evidenza pubblica e il contratto di
diritto pubblico. Quest’ultimo si identifica in una fattispecie contrattuale che, pur
presentando rilevanti similitudini con il contratto di diritto privato, se ne differenzia per
altri aspetti, quali l’oggetto contrattuale, che è un bene nella sola disponibilità della parte
pubblica; la presenza di clausole contrattuali che sanciscono una posizione predominante
della p.a. (si pensi alla previsione, ricorrente, di uno jus poenitendi a tutto vantaggio
dell’amministrazione); la natura pubblicistica di una delle parti contrattuali.
Molteplici perplessità sono state avanzate in sede dottrinale in ordine all’ammissibilità di
una tale figura contrattuale, perplessità che ben possono riassumersi nella discussa
compatibilità logica tra potestà discrezionale amministrativa, vincolata al perseguimento
dell’interesse pubblico, e autonomia contrattuale, e che esprimono, in ultima analisi, la
convinzione aprioristica che il pubblico interesse, cui è funzionalizzata l’attività
amministrativa, possa essere perseguito solo attraverso decisioni unilaterali e autoritative
della parte pubblica, e mai attraverso lo strumento contrattuale(3).
Sembra, tuttavia, che un tal modo di procedere muova da presupposti del tutto
concettualistici e mal si concilia con il ruolo del giurista in un ordinamento positivo.
(3) Per l’analisi della quérelle circa la configurabilità di un contratto di diritto pubblico: G. Falcon, “ Le
convenzioni pubblicistiche. Ammissibilità e caratteri “, Milano, 1984, 71-203; F. Ledda, “Il problema del
contratto nel diritto amministrativo”, Torino, 1965, 25 ss.; Bruti Liberati, “ Consenso e funzione nei
contratti di diritto pubblico tra amministrazioni e privati”, Milano, 1996, 80 ss.
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Piuttosto che affrontare il problema da un punto di vista dogmatico, in termini di astratta
ammissibilità della categoria giuridica del contratto di diritto pubblico, infatti,
occorrerebbe esaminare la normativa vigente e stabilire, caso per caso, se vi siano singole
fattispecie, previste dal legislatore, ascrivibili alla figura generale del contratto di diritto
pubblico(4).
Che il pubblico interesse, del resto, possa essere perseguito esclusivamente attraverso il
modulo provvedimentale, è un assunto già messo in crisi dalla previsione dell’art. 11 della
legge n. 241/1990, che devolve espressamente a specifici accordi tra p.a. e privati la
funzione di determinare il contenuto “discrezionale” del provvedimento amministrativo o,
nei casi previsti dalla legge, di sostituirsi ad esso.
Il problema della qualificazione di un contratto di diritto pubblico potrebbe trovare una
plausibile soluzione, tuttavia, solo ove si riscontrasse una normativa distinta da quella che
regola e attribuisce rilevanza al contratto tra privati, “o quanto meno un complesso di
regole diverse ordinabili in sistema (e non solo una serie di norme integrative o
modificative del regime ordinario, come quelle che si hanno, in misura cospicua, per i
contratti di diritto privato dell’amministrazione)”(5).
(4) In questo senso G. Pericu, “L’attività consensuale della pubblica amministrazione”, in “Diritto
amministrativo”, AA. VV., II, Bologna, 2001, 1612 ss.
(5) Così, testualmente, F. Ledda, “Il problema del contratto nel diritto amministrativo”, Torino, 1965, 25.
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Venendo ora all’analisi, che in questa sede particolarmente interessa, della categoria del
contratto ad evidenza pubblica(6), si tratta di un modello al quale possono ricondursi gran
parte dei contratti stipulati dallo Stato e dagli enti pubblici territoriali, tra cui il contratto
d’appalto di opere pubbliche. Tale modello prevede una fase procedimentale a rilevanza
pubblicistica, costituita da atti autoritativi della p.a., e un successivo contratto che si
ritiene, generalmente, disciplinato dalle norme civilistiche. La fase procedimentale
pubblicistica si atteggia, dunque, in questa prospettiva, ad una sorta di presupposto
costitutivo del contratto.
Le questioni problematiche sollevate dalla categoria dell’evidenza pubblica, attengono,
essenzialmente, alla qualificazione del tipo di connessione tra la fase procedimentale
pubblicistica (costituita da una deliberazione di contrattare, dalla pubblicazione di un
bando di gara, dall’aggiudicazione del contratto e infine dalla sua eventuale
approvazione) e il successivo contratto. Particolari perplessità si pongono nell’individuare
le conseguenze che l’annullamento, giurisdizionale o in via di autotutela
dell’amministrazione, di uno degli atti che concretano la cosiddetta fase dell’evidenza
pubblica, produce sul contratto già stipulato.
(6) La teoria dell’evidenza pubblica risale a M. S. Giannini, “Diritto amministrativo”, Milano, 1970, I, 677
ss., il quale distingue tra contratti di diritto comune o ordinari (disciplinati dal diritto comune dei privati
anche se una delle parti è un ente pubblico); contratti speciali, disciplinati da norme di diritto privato
singolare, e contratti di diritto pubblico, che possono essere conclusi soltanto da pubbliche amministrazioni.
L’autore individua, poi, la categoria particolare dei contratti ad evidenza pubblica, la quale configura una
sorta di schema al quale è possibile ricondurre sia i contratti ordinari che quelli speciali e di diritto pubblico.
L’evidenza pubblica si caratterizza per la previsione di un procedimento amministrativo, predeterminato
dalla legge, attraverso il quale l’ente perviene alla formazione della propria volontà contrattuale e alla scelta
del privato contraente.
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Sono state sostenute, in proposito, varie tesi, che spaziano dall’annullabilità alla nullità, o
all’inefficacia del contratto, le quali risentono, in una certa misura, della valenza
sostanziale che si attribuisce alla fase amministrativa prodromica rispetto alla stipulazione
del contratto(7).
Ognuna di queste tesi si espone, peraltro, a diverse obiezioni; ritenendo, ad esempio, il
contratto, illegittimamente concluso dalla pubblica amministrazione, come meramente
annullabile, ad iniziativa, oltretutto, dello stesso ente pubblico stipulante, si privano di
effettiva tutela i soggetti vittoriosi in sede di giudizio amministrativo, i quali, pur avendo
ottenuto l’annullamento giurisdizionale dell’atto amministrativo illegittimo, non
potrebbero, comunque, provocare la caducazione del contratto già concluso dalla p.a. con
altro soggetto, e quindi dovrebbero accontentarsi di una mera tutela risarcitoria per
equivalente.
La tesi della nullità, viceversa, pur offrendo ai soggetti vittoriosi innanzi al giudice
amministrativo la possibilità di ottenere l’automatica caducazione del contratto, e quindi
di porsi potenziali aggiudicatori del nuovo contratto che la p.a. sarà costretta a stipulare,
andrebbe a ledere la certezza dei rapporti giuridici, esponendo il vincolo contrattuale
all’azione civilistica di nullità, che è imprescrittibile.
(7) Per l’analisi della categoria del contratto ad evidenza pubblica si vedano, tra gli altri, Bardusco, “La
struttura dei contratti delle pubbliche amministrazioni”, Milano, 1974, 5 ss.; A.e S. Buscema, “I contratti
della pubblica amministrazione”, in “Trattato di dir. amministr.”, VII, Padova, 1987, 63; L. V. Moscarini
“Profili civilistici del contratto di diritto pubblico”, Milano, 1988, 69 ss., G. Pericu, op. cit., 1623;
Zanobini, “Corso di diritto amministrativo”, Milano, 1958, 486.
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All’analisi delle diverse teorie, suffragate da pronunce giurisdizionali provenienti sia dalla
suprema Corte di Cassazione, sia dal giudice amministrativo (che ora, tra l’altro, alla luce
delle innovazioni introdotte dall’art. 6 della legge n. 205/2000, è investito di giurisdizione
esclusiva in ordine alle controversie relative a procedure per l’affidamento di lavori,
servizi e forniture) sarà dedicato il prossimo capitolo della presente trattazione.
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2. Le fonti normative del contratto d’appalto di opere pubbliche.
La normativa basilare in materia di contratti dello Stato e degli enti pubblici territoriali è
quella sulla contabilità di Stato, e precisamente il r.d. 18 novembre 1923,n.2440 e il
relativo regolamento di esecuzione, approvato con r.d. 23 maggio 1924, n.827. Ad essa si
affianca la normativa generale sui lavori pubblici (vale a dire la L. 20 marzo 1865, n.
2248, all. F, e i r.d. 25 maggio 1895, n. 350 e 8 febbraio 1923, n. 422) e la legge-quadro in
materia di lavori pubblici (L. 11 febbraio 1994, n. 109, cosiddetta legge “Merloni”), nel
testo modificato prima dalla legge 2 giugno 1995, n. 216, e , successivamente, dalla L. 18
novembre 1998, n. 415 (cosiddetta “Merloni ter”), e dal relativo regolamento, d.p.r. 21
dicembre 1999, n.554.
Trova applicazione, in materia, anche il d.lgs. n.406/1991, di recepimento della normativa
comunitaria.
Da ultimo e’ intervenuta la L. 1 agosto 2002, n.166 che ha apportato modifiche al testo
della Merloni, tanto da poter essere battezzata come “Merloni quater”.
Disposizioni, in materia di realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti
produttivi, strategici e di interesse nazionale, sono, infine, state introdotte dal d.lgs. 20
agosto 2002, n.190 che ha esercitato la delega di cui alla L. 21 dicembre 2001, n.443
(cosiddetta legge obiettivo).
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CAPITOLO II
LA TESI DELL’ANNULLABILITA’.
1. L’annullabilità del contratto nella prospettiva giurisprudenziale.
L’annullabilità del contratto, a seguito dell’annullamento di uno degli atti della fase
amministrativa di evidenza pubblica, è la tesi tradizionalmente sostenuta dalla Corte di
Cassazione, che trova conferma in diverse sentenze, statuenti su controversie relative a
fattispecie contrattuali anche diverse dall’appalto di opere pubbliche, e tutte volte a
sostenere l’annullabilità ex art.1441 cod.civ.
L’evidenza pubblica, del resto, è uno schema(1) entro cui sussumere la maggior parte dei
contratti dello Stato e degli enti pubblici territoriali e, in particolare, i contratti d’appalto
per l’esecuzione di opere pubbliche(2). Le argomentazioni svolte dalla Suprema Corte,
pertanto, pur riferendosi a tipi contrattuali molte volte diversi dall’appalto, e riguardanti,
per esempio, i cosiddetti contratti “attivi”, da cui la p.a. ricava un utile in denaro, sono
comunque estensibili all’appalto di lavori pubblici, essendo identica, pur nelle diverse
fattispecie contrattuali, la procedura amministrativa attraverso la quale vengono acquisiti
gli interessi pubblici rilevanti nel caso concreto (deliberazione di contrattare, svolgimento
di una pubblica gara per la selezione del contraente privato della pubblica
amministrazione, aggiudicazione del contratto al privato prescelto, eventuale successiva
stipulazione del contratto, e approvazione del medesimo) e che “doppia” il momento
prettamente contrattuale.
(1) In questo senso M. S. Giannini, “Diritto amministrativo”, I, Milano, 1970, 658 ss.
(2) Qualifica l’appalto di opere pubbliche come contratto di diritto pubblico, sulla base del peculiare rilievo
che nella specie assume la funzione pubblica, L. V. Moscarini, “Profili civilistici del contratto di diritto
pubblico”, Milano, 1988, 69.
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Passando all’esame della giurisprudenza favorevole alla teoria dell’annullabilità del
contratto, si consideri la sentenza della Corte di Cassazione 28/3/1996, n.2842,
riguardante la stipulazione di un contratto da parte del sindaco (nella specie si trattava di
una scrittura privata di cessione volontaria del fondo espropriando) non preceduta dalla
delibera del consiglio comunale. La Suprema Corte sostiene l’annullabilità del contratto
medesimo, rilevabile esclusivamente da parte della p.a.(art.1441 cod.civ.), nonché la
possibilità di convalida dello stesso ai sensi dell’art. 1444 cod.civ.(3).
Nella pronuncia del 7/4/1989 n.1682 si enuncia il principio per cui “nei contratti di diritto
privato degli enti pubblici, l’eccesso di potere dell’organo dell’ente con rilevanza esterna,
ove concluda un contratto in tutto o in parte diverso da quello deliberato dal competente
organo, si traduce in un vizio del consenso dell’ente pubblico, importando l’annullabilità
del contratto, che può essere fatta valere esclusivamente dall’ente medesimo, in via
d’azione, ex art.1441 comma 1 cod.civ., ovvero d’eccezione, ai sensi dell’art.1442 ult.
comma cod.civ.”(4).
Nell’ulteriore sentenza del 8/5/1996, n. 4269, riguardante la compravendita di un
appartamento stipulata tra un privato e il Pio Istituto Agricolo Vogherese C. Gallini, cui
era subentrata successivamente la Regione Lombardia, si precisa che il vizio che inficia il
contratto, a seguito dell’annullamento della delibera di ratifica dell’atto di aggiudicazione
da parte del Consiglio di Stato, e’ da qualificarsi come vizio di annullabilità.
(3) Cass., 28/3/1996, n. 2842 in “Foro it.”, 1996, I, 2054 ss.
(4) Cass., 7/4/1989, n. 1682 in “Consiglio di Stato”, 1989, II, 1224.
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Infatti “in tema di vizi concernenti l’attività negoziale degli enti pubblici, sia che questi si
riferiscano al processo di formazione della volontà dell’ente, sia che si riferiscano alla
fase preparatoria ad essa precedente, il negozio comunque stipulato (salvo particolari
ipotesi di straripamento di potere che qui non ricorrono) è annullabile ad iniziativa
esclusiva di detto ente”(5).
La stessa pronuncia richiama l’orientamento ricavabile da una serie di precedenti
conformi,dal quale, sostiene, non v’è ragione di discostarsi, trovando esso il suo
fondamento nel fatto che “gli atti amministrativi, i quali devono precedere la stipulazione
dei contratti jure privatorum della p.a., non sono altro che mezzi di integrazione della
capacità e della volontà dell’ente pubblico, sicché i vizi attinenti a tale capacità e a tale
volontà, non possono che comportare l’annullabilità del contratto, deducibile, in via
d’azione o d’eccezione,soltanto da detto ente”.
Pertanto la pronuncia in esame rigetta il ricorso e, precisamente, ritiene infondata la
domanda di nullità proposta in primo grado dagli stessi ricorrenti, sulla base dell’assunto
che l’annullamento dell’atto amministrativo presupposto determina l’annullabilità del
contratto per vizio del consenso o della capacità dell’ente (anziché la sua automatica
nullità, come sembra avessero argomentato in primo grado di giudizio gli stessi
ricorrenti), deducibile solo da quest’ultimo. Dichiara, poi, inammissibile, confermando sul
punto la pronuncia d’appello, la domanda di nullità del contratto ex art. 1418 cod. civ., in
quanto trattasi di domanda tardivamente proposta, essendo stata introdotta dai ricorrenti
soltanto con la comparsa conclusionale in appello.
(5) Cass., 8/5/1996, n. 4269 in Nuova giurisprudenza civile 1997, I, 518.
In senso conforme, ove manchi o sia viziato l’atto collegiale deliberativo che deve precedere il contratto:
Cass., 21/2/1995, n. 1885, in “Mass. Foro it.”, 1995; Cass., 13/10/1986, n. 5983, in “Giust. Civ.”, 1987, I,
86 ss.; Cass., 20/11/1985, n. 5712, in “Rivista trimestrale degli appalti”, 1987, 85.
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Evitando, per ovvie ragioni, di entrare nel merito dei profili prettamente processualistici
della vicenda, non resta che prendere atto che la sentenza in esame si astiene dall’analisi
del disposto dell’art. 1418 c.c., (invocato dai ricorrenti), “sul quale pur si fonda
l’orientamento che esclude che la disciplina dell’annullabilità possa avere applicazione al
di fuori delle ipotesi espressamente previste dal legislatore”(6).
Il principio che si ricava, dunque, dall’esame della giurisprudenza civile, è quello per cui
gli atti amministrativi, che precedono la stipulazione del contratto, sono volti alla corretta
formazione della volontà contrattuale dell’ente pubblico, con la conseguenza che i vizi
attinenti a tali atti, ove ne determinano l’annullamento, in via giurisdizionale o
amministrativa, si ripercuotono sul contratto già stipulato solo in termini di annullabilità.
Conseguentemente é rimessa alla esclusiva iniziativa dell’ente pubblico la proposizione
dell’azione di annullamento innanzi al giudice ordinario, al fine di ottenere una pronuncia
costitutiva che annulli l’atto negoziale. Soltanto la p.a., infatti, essendo essa la parte nel
cui interesse l’annullamento é previsto dalla legge, sarebbe legittimata ad agire innanzi al
g.o. (che ha giurisdizione sugli atti negoziali in quanto fonti di diritti soggettivi) ai sensi
dell’art. 1441, comma 1, cod. civ.. Coerentemente a quest’impostazione, la citata sentenza
n. 2842/’96 riconosce alla p.a. il potere di convalidare il contratto viziato ex art. 1444
cod. civ..
Diversamente si atteggia la fattispecie nel caso in cui manchi l’approvazione del contratto
ad opera del competente organo amministrativo di controllo.
(6) Ugo Salanitro, commento a Cass., 8/5/1996, n. 4269 in “Nuova giurisprudenza della corte di
Cassazione”, I,1997, 521.