10
La seconda parte della tesi di laurea descrive e confronta i
risultati della ricerca sul campo. Per una definizione più
accurata della stessa, delle ipotesi di lavoro e della metodologia
utilizzata si rimanda al capitolo IV, che introduce la seconda
parte dell’elaborato.
Attraverso l'analisi delle risposte date, sono risalita alle
caratteristiche dei clienti e, quindi, ai fattori che indirizzano
l'acquirente verso un negozio e che lo portano a preferire un
determinato prodotto piuttosto che un altro.
Nel corso della trattazione vengono descritte le
caratteristiche comuni e le diversità dei profili e nei
comportamenti dei consumatori.
Il campione, dal punto di vista socio-demografico, non possiede
caratteristiche particolari in un negozio rispetto all’altro, al
contrario dei comportamenti di consumo riscontrati, infatti, sono
estremamente diversificati alla Pam e notevolmente più omogenei da
Exaequo. Parimenti si osserva che nel primo negozio i fattori che
guidano le scelte di acquisto si diversificano per diversi gradi
di importanza secondo le caratteristiche degli intervistati. Da
Exaequo, invece, i fattori di scelta presentano caratteristiche
più uniformi e sembra che i clienti li tengano tutti in
considerazione, cosicché tutti i diversi elementi risultano
importanti. Nell'esposizione dei dati si andrà a verificare
l’esistenza di legami tra le caratteristiche sociodemografiche, le
tipologie di negozi frequentati, le abitudini di spesa (budget,
tempo di spesa e frequenza) e le scelte di acquisto (fattori di
scelta).
I frequentatori della bottega mostrano in genere la stessa
tendenza di comportamento per quanto riguarda il tempo dedicato
alla spesa ed il budget, al contrario di quanto avviene nella
grande distribuzione.
Dall'indagine emerge che le abitudini di spesa, nei loro valori
medi, sono tra loro strettamente connesse e che la frequenza di
spesa è collegata alla variabilità nella scelta del negozio (chi
frequenta più tipi di negozi tende ad andare spesso a fare la
11
spesa e viceversa). Inoltre, gli intervistati si suddividono in
due gruppi: coloro che vanno spesso a fare la spesa, spendendo
poco, e coloro che ci vanno raramente, spendendo un po’ di più e
impiegando più tempo.
I clienti di Exaequo diversificano acquisti e luoghi di consumo
mentre alla Pam solo alcuni agiscono in questo modo e solo in
determinate circostanze.
I dati empirici raccolti testimoniano che per i consumatori
scegliere il prodotto più adatto significa riuscire a ponderare le
caratteristiche qualitative al prezzo. Il fattore “marca” in
questo contesto assume un discreto interesse, ma ad esso viene
associato un valore velatamente negativo. Un altro dato
significativo inerente ai comportamenti d'acquisto è che nel
supermercato si prova una novità se ha un prezzo conveniente,
mentre da Exaequo se già se ne possiede una conoscenza indiretta.
Complessivamente emerge che i clienti della bottega, al momento
dell'acquisto, tengono in considerazione una serie più ampia di
fattori, guardando con occhio “globale” alla merce che si trovano
di fronte, di conseguenza le loro scelte appaiono più consapevoli.
Le differenze tra le risposte degli intervistati dimostrano che
le clientele dei due negozi in genere agiscono con motivazioni
d’acquisto diverse.
12
Parte I
Il consumo alimentare
è uno stile culturale
13
CAPITOLO I
Il consumo nella letteratura sociologica: un breve
excursus
1. Le teorie sul consumo
Il consumo è un fenomeno largamente dibattuto in sociologia e
sfaccettato perché consente una pluralità di approcci possibili.
Gli studiosi che se ne sono occupati hanno di volta in volta
evidenziato le molteplici caratteristiche, che si collegano a
discipline sia scientifiche che sociali: l’economia, la
sociologia, la psicologia, l’antropologia, la semiotica e,
addirittura, la letteratura e la geografia. V. Codeluppi
1
ha
evidenziato alcune possibili prospettive di studio. A teorie
classiche, che interpretano la società in modo sistemico e danno
al consumo un ruolo più o meno centrale nella riproduzione della
realtà, si possono affiancare ambiti di indagine inerenti le
influenze sociali sul consumo (gruppi, stili di vita, cultura),
oppure si possono studiare i processi all'origine al fenomeno.
La nascita del consumo, o meglio della società dei consumi, è
strettamente collegata all’avvento della produzione e della
distribuzione di massa dei beni. Lo sviluppo dell'economia a sua
volta è correlato allo stile di vita della società, che, peraltro,
dipende dai comportamenti individuali. L’industrializzazione non
ha semplicemente portato a cambiamenti culturali, ma è stata resa
possibile dagli stessi, che sovente l’hanno addirittura
preceduta.
Mukerji
2
e Capuzzo
3
hanno analizzato storicamente, ma con
prospettive diverse, la nascita della società dei consumi moderna
1
V. Codeluppi, La sociologia dei consumi, teorie classiche e prospettive
contemporanee, Carrocci, Roma, 2002
2
in V. Codeluppi, ibidem
3
P. Capuzzo, (in Culture del consumo, Il Mulino, Bologna, 2006) sostiene che la
borghesia e la classe operaia dalla rivoluzione industriale del ‘900 sono stati
14
ed entrambi sostengono che la rivoluzione commerciale europea del
XV e XVI secolo ha sviluppato una cultura sociale di stampo
materialista, che ha stimolato la mobilità personale e che nel
tempo ha formato, quella che Weber chiamerà "etica protestante".
Mi sembra particolarmente interessante e significativo lo
studio di R. Paltrinieri
4
che, nella ricerca di una teoria
sistemica, interpreta il fenomeno del consumo come un mediatore
simbolico, anzi un vero e proprio linguaggio, un codice
“riproduttore delle logiche del capitale di produzione”. Questa
corrente di pensiero si sviluppa negli anni ’70, ma trova le
proprie radici già in autori classici, come C. Marx, G. Simmel, M.
Weber e T. Veblen. Nei paragrafi successivi , tenendo presente la
tesi di Paltrinieri, mi propongo di ripercorrere le tappe
fondamentali che hanno portato alle attuali teorie interpretative
del fenomeno del consumo, prendendo in considerazione, oltre agli
autori sopra riportati, anche i contributi di J. Baudrillard e P.
Bourdieu, gli antropologi M. Douglas, B. Isherwood, G. Mc Cracken,
per giungere, infine, ai lavori di E. Di Nallo, R. Paltrinieri e
della già citata P. Parmigiani.
i protagonisti delle metamorfosi dei sistemi economici, politici e sociali. Il
focus della sua riflessione è la costruzione della dimensione globale del
consumo, che secondo l’autore, è la caratteristica che differenzia questa
società dalla precedente. Il processo è iniziato secoli prima della nascita
della società industriale, già nel XV – XVI secolo, quando le classi agiate
europee iniziarono a importare beni di lusso (bevande, vestiario, oppio)
dall’Asia e dall’America. La possibilità di reperire risorse materiali fuori
dall’Europa ha rappresentato un momento di cambiamento delle culture del consumo
e la mobilitazione dell’economia. I nuovi beni importati dalle colonie,
affermarono nel corso del ‘700 nuovi consumi. Essi modificarono le forme di
socializzazione (ricordiamo il ruolo svolto dai salotti mondani), smontarono la
dottrina cattolica dell’austerità e promossero la mobilità sociale. Le variegate
forme di acquisto dei consumatori dimostrano la portata del processo di
produzione di senso nella realtà quotidiana. Notiamo però che accanto ai beni
“di socialità” si diffusero anche altri fenomeni: gli armamenti, la depredazione
delle risorse, la deportazione della manodopera. È chiaro che il rinnovamento
dei consumi europei si innesta a una modifica dei rapporti globali di potere.
Nell’800 la famiglia borghese diviene il centro dei processi di consumo. E tra
l’800 e il ‘900, quando la classe operaia acquista potere, inizia l’era della
“democratizzazione dei consumi”, .nasce l’industria della cultura di massa, cioè
la commercializzazione massificata dei prodotti, la loro spettacolarizzazione,
la sollecitazione della dimensione immaginativa del consumatore.
4
R. Paltrinieri, Il consumo come linguaggio, Franco Angeli, Milano, 1998.
15
2. Il consumo: dalla teoria economica ai padri della sociologia
Il fenomeno del consumo ha una matrice economica (vedi
Paltrinieri nota 4), in quanto consumare è la soddisfazione di un
bisogno tramite l’uso di un bene, conformemente al proprio
reddito. Secondo i principi dell’economia classica il consumo,
come ogni altro agire umano, segue i dettami dell’utilità.
L’utilitarismo
5
sostiene che il comportamento dell’uomo, in quanto
"Homo Oeconomicus", è determinato da una serie di calcoli atti a
ottenere il massimo piacere e evitare il dolore. Per questa teoria
l’utilità, o meglio l’interesse, è visto come l’unico motore della
società, che pertanto risulta costituita da individui razionali,
calcolatori e profondamente egoisti. A. Marshall
6
rivoluziona, in
parte, questa visione postulando che la scelta del consumatore
riesce ad orientare la produzione mediante l'acquisto di un
paniere di beni piuttosto che di un altro. Questo principio di
matrice prettamente economica, che sancisce la "sovranità del
consumatore", seppur inconfutabile, è però riduttivo rispetto alla
complessità del fenomeno. Saranno necessari parecchi anni prima
che la sociologia riesca a delimitare il proprio campo d’azione,
rendendosi autonoma dall’economia.
A partire da Hegel, o meglio dalla sua critica al denaro, si
è iniziato a considerare lo scambio economico indipendente dal
lavoro dei produttori e dai bisogni che i beni devono soddisfare.
5
Le premesse dell’utilitarismo si trovano già nell’illuminismo di D. Hume,
secondo il quale l’origine dei comportamenti morali si rintraccia nel
collegamento tra le esperienze di piacere e di dolore e i comportamenti che le
provocano. Con J. Bentahm, J. S. Mill, A. Smith l’utilitarismo diventa il nodo
centrale della disciplina economica. L’utilitarismo è, in sintesi, il processo
di razionalizzazione del mondo, e questo avviene secondo due modalità: da un
lato tramite il progressivo dominio teorico della realtà mediante concetti
astratti, e dall’altro tramite il comportamento umano, capace di analizzare e
calcolare i mezzi più adatti per raggiungere i fini preposti.
6
Come scrive Paltrinieri (ibidem, Cfr Dasgupta, La teoria economica da Smith a
Keynes, Il Mulino, Bologna, 1987)“La rivoluzione marginalista nasce come sfida
all’economia classica, essa può essere compresa tra il 1871 e il 1936, cioè tra
le pubblicazioni di di Jevons (Teoria dell’economia politica) e di Menger
(Teoria generale)”.
16
Il denaro viene identificato, e quindi può essere scambiato, con
tutte le merci senza alcuna specificità. La merce acquista così
significato in quanto valore intrinseco della relazione di
scambio.
C. Marx segue la tradizione hegeliana: per lui tutti gli
oggetti, in quanto merci, hanno un significato relazionale, con un
preciso “valore di scambio”. Per Marx nelle società capitaliste il
“valore d’uso” perde importanza a causa della capacità del denaro
a produrre equivalenze tra oggetti. La significatività degli
scambi che stanno alla base della società civile viene ridotta a
mera forza - lavoro umana, con la conseguenza di alienare i
rapporti sociali, togliere umanità ai rapporti interpersonali e
ridurre tutto a uno scambio economico. All'interno di queste
considerazioni si configura la “teoria del feticismo”, in cui gli
oggetti assumono un potere ed una coscienza personali, tanto da
essere sacralizzati. La sovrastruttura ideologica della società
(valori, istituzioni, norme) viene così ad essere condizionata
dagli interessi economici, che la rispecchiano e che finiscono per
dominare tutta la vita sociale, avvilendo i rapporti
intersoggettivi (alienazione). Le relazioni economiche che si
instaurano fra gli individui dividono la società in gruppi
contrapposti fra loro in conflitto, le classi sociali.
L’analisi di Marx fornisce ancora oggi una valida spiegazione
di come funziona lo scambio economico delle merci, ma la sua
analisi risulta poco articolata per quanto riguarda la spiegazione
del rapporto che il consumatore instaura con la merce stessa una
volta acquistata. Egli infatti prende in considerazione unicamente
due aspetti del rapporto uomo - merce, o meglio, delle relazioni
mediate dagli oggetti, l’alienazione e il feticismo.
Anche G. Simmel considera i rapporti che si instaurano tra
oggetti e persone e riconosce che l’individuo prende coscienza di
sé attraverso ciò che crea e che consuma. Al posto del feticismo
di Marx si trova il concetto di "oggettività reificata", nel senso
che i rapporti fra individui non avvengono più in modo diretto, ma
sono mediati dalle cose, e che l’evoluzione sociale è conseguenza
17
del rapporto con gli oggetti. La variabilità e i cambiamenti di
gusto nei consumi (egli studia in particolare la moda) sono dovuti
alla spinta insita in ogni individuo a differenziarsi, a esprimere
la propria unicità, originalità e creatività, che si collettivizza
per la necessità del gruppo di condividere obbiettivi ideologici e
manifestazioni esteriori. Per Simmel l’identità di ognuno è
infatti il risultato di un’ambivalenza, il prodotto di due
sentimenti, facce della stessa medaglia: la tendenza
all’imitazione e la ricerca di differenziazione. Uguaglianza e
mutamento. L’individuo dimostra di appartenere ad una collettività
comportandosi in modo omologo ai suoi simili, ma al contempo si
gratifica sperimentando aspetti originali. E’ da notare che le
tendenze sociali di omologazione avvengono, per Simmel, solo per
quanto concerne gli aspetti esteriori, che sono quindi una forma
di schema con cui dimostrare la propria appartenenza sociale, il
proprio status. La dimensione interiore dell’individuo invece è
considerata assolutamente libera da ogni forma di costrizione o
condizionamento. In questo contesto la moda è vista essenzialmente
come il risultato della divisione della società in classi
organizzate gerarchicamente e omogenee al proprio interno.
Considero questa visione della società un po’ troppo rigida,
anche perché Simmel prevede un modello emulativo unicamente
dall’alto verso il basso.
Analogo al concetto simmeliano di “diffusione verticale delle
mode” è la definizione di T. Veblen di "consumo vistoso". Egli
sostiene che il motore dei processi di consumo (e quindi di
produzione), dall’era industriale in poi, non è più rintracciabile
nel mero soddisfacimento dei bisogni biologici. Il consumo altro
non è che la volontà delle classi agiate di ostentare il proprio
status sociale, pavoneggiando oggetti materiali futili, oziando e
sprecando tempo (la cosiddetta "agiatezza vistosa"). Contrappone
l’ozio delle classi agiate al lavoro delle classi povere. Per
questo autore chi ha ricchezza dimostra il suo potere attraverso
lo spreco di risorse, che diventa indice di prestigio e onore e di
fatto esclude la “base della piramide” da una possibile emulazione
18
della “cima”. Veblen muove una critica feroce alle classi agiate
che, nella sua visione, non sanno far progredire la logica della
produzione e dell’innovazione tecnica, ma si trastullano in
inutili dimostrazioni del loro prestigio sociale. Seppur estrema,
questa teoria non è priva di fascino.
Anche M. Weber considera il consumo quale indicatore del ceto
sociale dell’individuo, ma non condivide l'impostazione
deterministica del rapporto, usando termini marxiani, tra
struttura economica e sovrastruttura. La struttura immateriale non
è solo una conseguenza dei beni posseduti e del lavoro svolto: gli
ideali, la cultura, la sfera sentimentale contribuiscono
attivamente a formare l’identità dell’individuo e quindi anche i
suoi consumi. Tale assunto, sostiene l'autore, trova conferma
nell’influenza che l’ethos calvinista ha avuto rispetto alla
nascita della società capitalista, perché senza la moralità
protestante, la sua dedizione al lavoro e all’impegno nella
attività economica sarebbe stata improbabile una tale evoluzione
economica. E’ quindi impensabile interpretare in un banale
rapporto di causa – effetto i legami tra idee e comportamento, tra
consumo e produzione, tra società e individuo, tra economia,
società e politica. Essi sono tutti fattori legati da rapporti
circolari che si influenzano reciprocamente in un moto continuo.
Al di là delle diverse prospettive d’analisi e delle
interpretazioni originali di ognuno, questi autori hanno
costituito un corpus metodologico di innegabile importanza. Hanno
contestualizzato la fenomenologia del consumo nelle società
industriali, chiarendo che il consumo ha valenza sociale e che
esso riflette, e allo stesso tempo contribuisce a determinare, le
dinamiche socioculturali in cui è inserito. Non è il semplice
risultato di incroci di reddito e preferenze economiche. Gli
autori hanno evidenziato la molteplicità e la complessità della
differenziazione sociale, i cambiamenti degli equilibri, le
differenze tra classi e ceti. Marx, nel concetto di alienazione,
considera la vita umana subordinata alla produzione e inserisce il
consumo nel rapporto di forza tra le classi sociali. Veblen vede
19
il consumo come manifestazione delle ineguaglianze socioculturali.
Per la prima volta viene assegnata valenza simbolica agli oggetti
e si riconosce che il dominio delle classi forti non è solo
economico, ma che è anche frutto dei loro status symbol. Con
Simmel la mobilità sociale si lega ai fenomeni di appartenenza e
differenziazione e la moda viene vista come rincorsa all’ascesa
sociale. Con Weber, infine, viene introdotto il rapporto di
reciprocità fra fenomeni sociali ed economici.
Queste prime teorie sociologiche considerano il consumo un
fenomeno essenzialmente negativo. Secondo E. Di Nallo (in
Paltrinieri, op. cit.) ciò è dovuto al fatto che le sopra citate
teorie affidano ad una razionalità di tipo strumentale la
scientificità dei propri modelli, senza però riuscire a scinderla
dallo stesso modello produttivo – economico che criticano. Il
fenomeno del consumo viene riconosciuto multidimensionale, ma
finisce per essere valutato come se fosse unicamente economico. La
Di Nallo sostiene che è la razionalità economica utilitaristica a
connotare negativamente i processi sociali, che appaiono pertanto
dissonanti. Per l’autrice è quindi necessario trovare nuovi
modelli interpretativi, ma questo aspetto sarà oggetto di una
successiva analisi.
Ritengo che tutte queste teorie possano anche aiutare ad
analizzare i problemi derivanti dallo sviluppo dell'economia
capitalista su scala mondiale. Le profonde disparità nella
distribuzione delle risorse sono causa della ingiusta allocazione
delle ricchezze fisiche, strutturali e di conoscenza, di una
situazione ecologica sempre più precaria, di condizioni di vita
sempre più instabili, di guerre sempre più feroci e frequenti.
Tutti i tentativi fatti sino ad ora per una migliore distribuzione
delle risorse (teorie di sviluppo, piani di aiuto, sovvenzioni..)
sono inesorabilmente falliti. Il motivo di ciò, secondo i teorici
del movimento antiglobalizzazione, è che non è cambiata
l’impostazione di fondo del sistema politico e economico, che
resta fondamentalmente bipolare (forte – debole, ricco – povero,
20
padrone – servo, sfruttatore - sfruttato
7
) e che viene propagandato
come l’unico, o almeno il migliore possibile, cioè “il male
minore”. È facile però che la stessa natura chiusa e autarchica
del sistema diventi la sua condanna a morte. Il sistema mondiale
deve, quindi, evolversi aprendosi verso tutti “gli angoli del
globo” e moltiplicando le sue funzioni. Più un sistema è aperto e
partecipato, infatti, più è ricco di risorse. Sarebbe auspicabile
una revisione dal basso del dominio up-down globale, mediante la
nascita di reti sociali locali interconnesse, così da evitare la
settorializzazione di ogni micro-sistema. Tarozzi
8
, infatti,
parla
di “localismo cosmopolita reticolare” e di società civile
transnazionale come “soluzione” all’impasse che la società civile
si trova a fronteggiare.
3. Dall’approccio differenzialista ai socio-antropologi
Continuando a seguire la direzione tracciata da Paltrinieri,
passo ad esaminare alcuni studiosi che possono essere definiti
"differenzialisti", i quali hanno considerato gli oggetti come
simboli (segni) della comunicazione tra attori sociali (classi).
Il principale merito dell’approccio differenzialista è la
definizione che dà di consumo: un codice strutturato, quasi una
sorta di sintassi, tra attori che condividono significati,
classificazioni, strategie sociali e comportamentali. Il consumo
si contestualizza in processi di differenziazione, ma al contempo
si apre a nuove discipline quali la semiotica e l’antropologia e
viene problematizzato il concetto vebleniano di consumo come atto
di volontà.
7
Questo in un’accezione a tutto campo, i paesi ricchi sfruttano le risorse dei
“paesi in via di sviluppo” impedendo di fatto la possibilità di uno sviluppo
autonomo, e all’interno di uno stesso paese si sta assistendo all’impoverimento
di chi è già debole e all’arricchimento di chi è già ricco.
8
A. Tarozzi, Ambiente, migrazioni, fiducia : ingerenze e autoreferenza, reti e
progetti, L'harmattan Italia, Torino, 1998.
21
L’opera di J. Baudrillard s’ispira alla corrente
strutturalista
9
, in particolare a C. Lévi-Strauss. Quest’ultimo
fu, infatti, il primo ad applicare all’etnologia la prospettiva
strutturale, allo scopo di evidenziare le caratteristiche e le
prescrizioni (anche non scritte) che particolarizzano e
distinguono le società. Per Lévi-Strauss gli oggetti sono veicoli
dei rapporti interpersonali. Scambiandoli si crea reciprocità e si
comunicano valori simbolici (è evidente il richiamo alla tematica
del “dono” di M. Mauss). Sulla scia di queste innovazioni
Baudrillard disegna il rapporto tra struttura sociale e struttura
economica e concepisce il consumo come riproduttore delle logiche
di potere. Gli individui consumano non solo per esteriorizzare il
loro status (come già scriveva Veblen), ma anche perché hanno
interiorizzato una serie di regole comportamentali e le merci sono
riconosciute come segni che si scambiano, come fossero parole. In
pratica Baudrillard respinge la prospettiva d’analisi ereditata
dall’economia, secondo cui i beni servono al soddisfacimento dei
bisogni
10
e abbraccia l’idea di consumo come concetto ideologico,
creato per “mascherare la realtà delle cose”
11.
Mascherare la realtà
dei fatti va a vantaggio delle classi dominanti, le quali creando
continuamente nuovi desideri nelle masse, impediscono la
democratizzazione della società. Il consumo diventa strumento di
controllo sociale. Le classi superiori confidano sul fatto che
9
Lo strutturalismo è un movimento pluridisciplinare nato negli anni ’60. E’ una
rivoluzione metodologica che si è estesa dalla linguistica alle scienze sociali.
Secondo R. Boudon e F. Bourricaud (Dizionario critico di sociologia,Armando
Editore, Roma, 1991) il movimento nasce con F. de Saussure, secondo il quale
sono le regole grammaticali (struttura profonda) a dare vita a un linguaggio,
che preesiste alle parole e che dona significato alle stesse in base alla
strutturazione di differenze tra concetti interrelati. Successivamente
Jackobson, cercando la “struttura profonda” delle lingua, rintraccia una serie
di “tratti distintivi” che si combinano secondo regole precise. Con questo
movimento si parla di “rivoluzione” in quanto la prospettiva di analisi passa
da diacronica (studiare l’evoluzione) a sincronica (studiare i collegamenti
causali tra gli elementi).
10
Anche perché non si spiegherebbe perché i bisogni umani sono sempre più
complessi e articolati, l’origine dei bisogni, innati e non, risiederebbe non
nell’individuo ma nelle attività di marketing e pubblicità delle aziende
(Codeluppi, op. cit).
11
Di Nallo (Razionalità, simulazione, consumo, in “Sociologia della
comunicazione”, n. 6, 1984) analizza il rapporto tra razionalità strumentale e
funzione simulatoria, che specificherò successivamente.
22
l’interiorizzazione del codice di consumo porta gli individui a
percepire i rapporti sociali in termini di differenze e non di
contrapposizioni, così la mobilità sociale è di fatto impedita e
le disparità sociali si moltiplicano. La logica nascosta è la
produzione e la riproduzione delle distinzioni di sociali, ossia
un processo di conservazione del potere. La manipolazione dei
desideri diventa un aspetto precipuo della funzione ideologica del
consumo. Per meglio chiarire il concetto, Baudrillard ritiene che
i comportamenti di consumo non siano più regolati da in sistema
“naturale” di bisogni, ma vengano artificialmente costruiti, o
meglio condizionati dalla cultura. Dogana
12
descrive questo
fenomeno definendolo la “perversione del consumismo”. Per questo
autore vi è una “deformazione motivazionale” che manipola i
bisogni moltiplicandoli esponenzialmente, in quanto i beni sono
investiti da proiezioni emotive: ad esempio si comprano beni
connotati di prestigio sociale per compensare frustrazioni
psicologiche. Un altro autore, Fabris
13
, analizza un aspetto della
nevrosi del sistema dei bisogni. Egli osserva gli effetti dei
messaggi pubblicitari, che invadono gli spazi individuali,
sollecitando i desideri fino a trasformarli in esigenze e descrive
lo “shopping” come un’attività di acquisto rivolta non ad un
singolo bene, ma verso l’acquisto in generale. Non esiste quindi
il bisogno concreto di quel bene particolare, ma il soggetto si
muove secondo comportamenti “extra-razionali”.
Personalmente ritengo che non sia proficuo estremizzare questa
posizione, nonostante sia facile notare come l’uomo venga sovra-
stimolato dalla pubblicità. Infatti non tutti i bisogni sono
indotti, dal momento che esistono necessità concrete di acquisto
ed i consumatori, inoltre, non comprano tutto ciò che “sono spinti
a desiderare”. La manipolazione dei desideri è comunque da
considerare come un aspetto importante della funzione ideologica
del consumo. E’ da notare che per Baudrillard la funzione
12
Dogana F., Psicopatologia dei consumi quotidiani, Franco Angeli Editore,
Milano, 1993, p. 217.
13
Fabris P., Socologia dei consumi, Hoepli, Milano, 1997 (cfr. Dogana, ibidem)
23
ideologica non si manifesta nell’alienazione e nella
mistificazione dei contenuti, come sostenevano invece i critici
della società di massa – la Scuola di Francoforte
14
- ma
nell’immobilismo del codice di scambio che, ripeto, maschera i
rapporti di forza.
La logica della differenziazione del consumo non è quindi
assimilabile a quella dello scambio simbolico (logica
dell’ambivalenza). Nello scambio simbolico lo scambio di oggetti è
transitivo, perché l’oggetto (simbolo) rinvia alla relazione tra
due individui e trasmette al ricevente un preciso messaggio. Lo
scambio economico è invece intransitivo: la merce - segno, che
viene scambiata, perde il legame con la relazione interpersonale
ed acquisisce senso solo dal rapporto di differenziazione con le
altre merci - segni. In altri termini si parla di consumo quando
gli oggetti godono di autonomia in quanto segni differenziali e
sistematizzati. Lo scambio economico è significativo solo entro un
14
La S.F. si forma dal 1922, attorno all'Istituto per la ricerca sociale,
fondato da F. Weil e diretto da K. Grünberg. Horkkheimer, Adorno e Marcuse sono
gli esponenti più famosi del movimento. Tutte le elaborazioni teoriche della
scuola devono essere messe in rapporto ai tre fenomeni principali dell'epoca: 1)
il nazifascismo in Europa occidentale (che stimola la problematica
dell'autorità) 2) lo stalinismo nella Russia sovietica (visto come l'altra
faccia del capitalismo odierno), 3) la moderna società tecnologica e opulenta
americana (di qui gli studi sull'industria culturale e sul pragmatismo
americano: il concetto di verità sostituito con quelli di probabilità e
utilità.). La scuola sviluppa una teoria critica sia al capitalismo e sia al
comunismo sovietico. Mira a smascherare le contraddizioni dei due suddetti
sistemi e auspica un modello, purtroppo utopico, alternativo a entrambi.
Horkheimer, ma soprattutto Adorno, constatano che uno degli aspetti
caratteristici dell'odierna società tecnologica è la creazione dei un gigantesco
apparato mass-mediatico. Essi lo ritengono il più subdolo strumento di
manipolazione usato dal sistema socio - politico per conservare se stesso,
tenendo sottomessi gli individui. E' subdolo perché illude il consumatore
convincendolo di essere il soggetto di tale industria, mentre in realtà ne è
semplice oggetto. L'industria, in realtà, è al servizio delle minoranze
facoltose, che mirano a determinare i consumi e suscitare nuovi bisogni nelle
masse, imponendo determinati valori e modelli. Gli individui sono ridotti a una
massa informe (una “spugna”). Attraverso i media passa l'ideologia vitale del
neocapitalismo: l'idea della "bontà" del sistema e della "felicità" degli
individui che lo costituiscono. Per Marcuse il sistema fa apparire razionale ciò
che è irrazionale: il concetto di pluralismo (politico, culturale...) illude che
il soggetto sia libero, mentre in realtà le decisioni sono sempre nelle mani di
pochi. La critica dell'industria culturale verrà portata avanti da J. Habermas,
il quale affermerà che “l'opinione pubblica”, che in origine la borghesia aveva
usato per far valere i propri diritti contro le politiche assolutistiche, ha
ormai perso ogni funzione critica, ed essa, da quando è stata istituzionalizzata
negli organi dello Stato, è diventata strumento di manipolazione.
(www.it.wikpedia.org)