incaricata di svolgere “dall’esterno” verifiche sulle risultanze contabili di soggetti
imprenditori
2
.
Questa tendenza coincise con la diffusione, sempre in Gran Bretagna, delle
prime società nelle quali i soci potevano godere della limitazione della
responsabilità patrimoniale in ragione del capitale conferito
3
. E’ facile supporre
che questa contestualità di eventi non sia imputabile al caso. In una società a
responsabilità limitata, in cui ogni socio gode del privilegio di dover rispondere
delle perdite aziendali nei limiti delle risorse conferite, poteva accadere che la
gestione fosse svolta in maniera meno “oculata” rispetto alle società del vecchio
tipo (nelle quali ogni socio rispondeva delle obbligazioni aziendali
illimitatamente con il proprio patrimonio personale), in quanto la suddetta
limitazione di responsabilità poteva fornire ai soci quello che i moderni analisti
finanziari definiscono stop loss, ossia un livello massimo di perdita possibile
oltre al quale non si può andare. Comportamenti di questo tipo rappresentavano
un forte pericolo per la stabilità e l’efficienza dell’intero sistema economico, in
quanto l’incremento dei rischi di insolvenza avrebbe portato ad un’impennata dei
costi di transazione nel sistema stesso, con conseguenti ripercussioni sul livello
delle attività produttive e – cosa non meno grave – sulla certezza dei rapporti
giuridici.
Tutto questo rendeva più stringente la necessità di giungere ad una
codificazione normativa di queste nuove realtà giuridiche. Ciò avvenne nel
1862 con l’emanazione del Companies Act, il primo documento volto a stabilire
2
Per ANDREA NASINI, in La revisione contabile – Analisi e procedure, Giappichelli, Torino, 2001,
pag. 3: «Le origini della revisione dei conti risalgono al 1400 quando, nel Regno Unito, appaiono per la
prima volta dei soggetti con la funzione di dissuadere i membri delle corporazioni dal compiere
irregolarità nelle gestione. Nasce sempre in Gran Bretagna, attorno al 1850, la figura del revisore dei
conti, come attualmente considerata, a causa del verificarsi di numerose operazioni di tipo speculativo, ed
a ragione dello sviluppo di associazioni di grande respiro commerciale come risposta all’esigenza
pubblica, sempre più avvertita, di una revisione indipendente delle risultanze contabili, allo scopo di
verificarne l’esattezza e l’attendibilità a beneficio dei soci e dei terzi».
3
Per SERGIO LAMONICA, in Revisione contabile e certificazione di bilancio: la prassi internazionale e
la realtà italiana, in Rivista dei dottori commercialisti, Giuffrè Editore, Milano, 1980, pag.222: «La
professione dei revisori dei conti data l’inizio del secolo scorso, in Inghilterra, ed è nata praticamente
contemporaneamente allo sviluppo delle società con limitazioni nella responsabilità dei soci».
10
in maniera organica i principi della revisione contabile e delle procedure di
certificazione dei bilanci di esercizio
4
.
1.2. Il contributo delle associazioni professionali
Il Companies Act fu soltanto il primo di una serie di provvedimenti che furono
adottati nei vari paesi occidentali per regolare la materia della revisione contabile
esterna; come spesso accade in questi ambiti, la Gran Bretagna fu il primo Paese
a dotarsi di una normativa ad hoc che recepisse le nuove istanze provenienti dalla
sfera economica, favorendo successivamente la diffusione di questo nuovo
modello negli Stati Uniti prima (fine XIX secolo) e nell’Europa continentale poi
(prima metà del XX secolo).
La fissazione di norme da parte dei vari ordinamenti fu sicuramente una spinta
importante nella direzione di una maggiore penetrazione della pratica della
revisione contabile all’interno del sistema economico; ma la vera spinta in tal
senso venne sicuramente dal lavoro svolto dalle prime associazioni di
professionisti della revisione comparse sulla scena economica.
Come abbiamo visto in precedenza, il Companies Act emanato in Gran
Bretagna nel 1862 non faceva altro che dare definizione normativa e legittimità
giuridica all’operare di soggetti già presenti ed attivi sul palcoscenico economico.
A quell’epoca la revisione esterna dei bilanci di esercizio era già una realtà
diffusa ed affermata nel mondo imprenditoriale britannico ed i principi alla base
del suo esercizio erano quelli elaborati dalle prime associazioni degli stessi
revisori.
4
Per SERGIO LAMONICA, in opera citata, pag. 222: «Il primo documento che codifica i principi della
revisione contabile indipendente e della certificazione si ritrova nel Companies Act del 1862 ed ancora
oggi l’Inghilterra, insieme ai paesi che facevano o che fanno parte del Commonwealth, è all’avanguardia
per quanto riguarda la diffusione della certificazione, costituendo l’unico paese in cui tale istituto si
estende a tutte le società con limiti nella responsabilità, qualunque sia la loro forma legale e dimensione».
11
I primi istituti di revisione contabile di una certa importanza comparvero negli
ultimi anni del XIX secolo e furono quindi diretta emanazione della volontà di
gruppi di esperti indipendenti in materia: tra questi ricordiamo l’istituto
americano A.I.C.P.A. (American Institute of Certified Public Accountants) e
quello britannico dei Chartered Accountants; compito di questi istituti era (ed è
tuttora) quello di formulare, sulla base di esperienze concrete maturate in ambiti
professionali, dei principi contabili e dei principi di revisione che fossero
universalmente riconosciuti dai vari operatori come pilastri sui quali basare il
proprio lavoro
5
.
L’operare di questi istituti non si limitava ovviamente alla semplice
enunciazione di un complesso di principi di tecnica computistica; affinché la
revisione contabile potesse rafforzare e mantenere il proprio ruolo nell’ambito
delle relazioni economiche era necessario fornire una garanzia della legittimità e
dell’indipendenza dei giudizi rilasciati dai revisori contabili: tutto questo si
poteva ottenere solamente fissando dei chiari principi di etica deontologica a cui
gli stessi revisori si sarebbero dovuti attenere scrupolosamente. E’ chiaro infatti
che, laddove tra gli operatori del mercato fosse presente la convinzione che
l’attività di revisione contabile non sia esercitata in maniera autonoma ed
indipendente, questa non avrebbe ragione e modo di esistere in quanto
risulterebbe uno strumento che accresce, piuttosto che ridurre, le asimmetrie
informative tra i soggetti che il bilancio lo redigono e quelli che nel bilancio
5
Per ANDREA NASINI, in opera citata, pagg. 4-6: «Verso la fine del 1800 la revisione contabile
approda negli Stati Uniti ed è l’American Institute of Certified Public Accountants (A.I.C.P.A.),
organizzazione professionale dei revisori indipendenti, a ricoprire un ruolo fondamentale nella
formazione e nella statuizione dei principi contabili e di revisione. I due istituti incaricati della
formulazione dei principi contabili e di revisione sono: l’Accounting Principles Board, successivamente
sostituito con il Financial Accounting Standard Board (F.A.S.B.), incaricato di formulare i principi
contabili ed il Committee on Auditing Procedures, incaricato di formulare i principi di revisione»; ed
ancora: «In Gran Bretagna è l’Istituto dei Chartered Accountants, nato nel 1880 per volontà di esperti in
materia contabile, ad occuparsi della statuizione e del successivo aggiornamento dei principi contabili
attraverso la pubblicazione degli Standard Accounting Principles; attualmente, pur non esistendo norme
che stabiliscano quali siano i principi da seguire, vi è al contrario l’opinione diffusa che per avere una
rappresentazione veritiera e corretta dei fatti sociali si debbano applicare i principi contabili emanati
dall’Istituto stesso».
12
trovano l’unico strumento di informazione sull’andamento dell’attività svolta
dalla stessa società revisionata.
Un ulteriore fattore che ha portato gli istituti di revisione ad affermarsi come
punti di riferimento nel campo della statuizione dei principi contabili e di
revisione è la capacità di questi istituti di potersi adeguare, “in tempo reale”, ai
nuovi indirizzi ed alle nuove necessità resi evidenti dalla pratica quotidiana della
professione di revisore. Se, ad esempio, il compito di formulare i principi
contabili e di revisione fosse totalmente demandato alle autorità politiche
attraverso la normativa primaria, questo risentirebbe dei forti ritardi che una
normale attività parlamentare inevitabilmente comporta; ritardi sicuramente non
conciliabili con le dinamiche dei moderni mercati finanziari. Al contrario,
consentendo ad un’autorità amministrativa il potere di regolamentare certe
materie mediante l’emanazione di una normativa secondaria formulata in base
alle indicazioni provenienti dalle associazioni professionali, si garantisce il
tempestivo adeguamento del complesso legislativo alle nuove necessità derivanti
dal mercato.
1.3. Il ruolo della revisione contabile dopo il 1929
I fatti che accaddero al New York Stock Exchange martedì 29 ottobre 1929 e
nelle settimane successive segnarono un deciso punto di svolta nella storia
dell’economia degli Stati Uniti e di quella Mondiale. La bolla speculativa
alimentata da anni di investimenti compiuti nella convinzione di guadagni ingenti
ed immediati scoppiò definitivamente tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre,
polverizzando in poche sedute i corsi di tutti i principali titoli azionari (si pensi
che il 13 novembre l'indice dei titoli industriali elaborato dal New York Times
perse, rispetto al 3 settembre, il 50% del suo valore). Tutto questo diede inizio a
quella che passò alla storia come la “Grande Depressione” degli anni ’30, un
13
lungo periodo di recessione che investì l’intera economia mondiale causando una
serie interminabile di disagi e tensioni sociali da cui presero corpo alcune delle
vicende più drammatiche della nostra storia recente.
Secondo molti studiosi, tra cui l’economista John Kenneth Galbraith,
professore di economia all’Università di Harvard, una delle principali cause della
debolezza dell’economia americana, che portò al tremendo crack del 1929, fu la
pessima gestione, regolamentazione e controllo delle società quotate in Borsa
6
.
Negli anni immediatamente precedenti il 1929 si verificò una lunga serie di
fallimenti di società apparentemente “in salute” che travolse, ovviamente, chi in
queste società aveva investito i propri risparmi e chi aveva con esse rapporti
commerciali.
L’esperienza di quanto accaduto nel 1929 fece capire al Governo ed alla Borsa
statunitensi che per evitare il ripetersi di situazioni di quel tipo e di quella portata
era necessario imporre un adeguato sistema di controlli sulla gestione delle
società con titoli negoziati su larga scala; un controllo che fosse svolto in maniera
professionale e soprattutto in condizioni di indipendenza. Nel 1932 quindi il
New York Stock Exchange impose l’obbligo della revisione contabile esterna alle
società quotate nei propri listini; questo provvedimento favorì, come è ovvio,
un’ulteriore diffusione delle società di revisione contabile in America in quanto
assegnava a queste un nuovo ruolo: esse, infatti, diventavano una sorta di
soggetti “garanti” del corretto funzionamento dei mercati, in quanto con i loro
6
Secondo JOHN KENNETH GALBRAITH, furono almeno cinque i fattori all’origine della debolezza
dell’economia americana e del conseguente crollo della Borsa:
1) Un’ineguale distribuzione del reddito tra i cittadini americani. Le classi più agiate non avevano
mai goduto, come allora, di una tale ricchezza.
2) Una pessima gestione, regolamentazione e controllo delle società quotate. Negli anni che
precedettero il crack, i fallimenti si susseguivano ad un ritmo sostenuto.
3) Un’inadeguata organizzazione bancaria. Ciò comportava che il fallimento di una società metteva a
repentaglio la sopravvivenza di altre società collegate.
4) Una penalizzante disciplina del commercio. La legislazione non favoriva le transazioni tra gli Stati
Uniti ed il resto del mondo.
5) Pessime politiche economiche da parte del governo di allora. Secondo Galbraith non fecero altro
che peggiorare le cose.
(Notizie tratte da: JOHN KENNETH GALBRAITH, The great crash – 1929, 1997, Houghton Mifflin
Co.).
14
giudizi sui bilanci di esercizio e sulle gestioni aziendali determinavano quali
società potevano accedere alle quotazioni e quali, al contrario, non fornivano
adeguate garanzie al riguardo.
Questo nuovo compito “istituzionale” di primi garanti del rispetto delle regole
poste a tutela dei mercati rese necessario, da parte delle società di revisione
stesse, un ulteriore sforzo verso la definizione di standard contabili e di revisione
“aggiornati” su cui basare il nuovo tipo di controlli richiesti dal mercato.
L’anno successivo, nel 1933, venne istituita la S.E.C. (Security and Exchange
Commission), organismo a cui fu demandato l’esercizio dell’attività di vigilanza
sui mercati borsistici statunitensi. La S.E.C. , seppur dotata di importanti poteri,
non ha mai emanato norme o regolamenti per fissare i principi contabili e di
revisione ed ha sempre spinto per una rapida e fedele applicazione ai mercati
degli orientamenti delle più importanti associazioni di revisori contabili.
La forte diffusione della revisione che si ebbe negli Stati Uniti raggiunse il
Vecchio Continente solamente nel secondo dopoguerra e, nel corso dei decenni
successivi, toccò tutti i principali paesi, compresa l’Italia.
1.4. La revisione contabile in Italia
L’introduzione della pratica della revisione contabile nel nostro Paese fu un
processo lento e graduale. Le prime, sporadiche, società di revisione comparvero
in Italia nei primi due decenni del XX secolo; si trattava di società di piccole
dimensioni e con un campo d’azione molto limitato, in ragione della scarsa
diffusione che il concetto di revisione contabile aveva all’epoca negli ambienti
imprenditoriali italiani. Un passo importante nel cammino verso la diffusione
della revisione in Italia fu la nascita del primo Istituto di Revisione Aziendale,
fondato a Milano nel 1924; questo istituto rappresentò, tra le altre cose, il sostrato
culturale da cui presero vita i primi lavori accademici dedicati al tema della
15
revisione aziendale: la prima opera in tal senso fu La tecnica della revisione, ad
opera di Remo Malinverni, pubblicata nel 1929
7
.
Dal punto di vista legislativo, l’adozione dei primi provvedimenti in tema di
revisione contabile fu sicuramente incoraggiata ed accelerata da quanto era
avvenuto negli Stati Uniti nel 1929 e da quella che era stata la risposta delle
autorità americane per arginare il fenomeno. Nel 1936, il regio decreto N° 1548
del 24 luglio (convertito poi nella legge 3 aprile 1937, n. 517) istituisce il Ruolo
dei revisori dei conti:
"E’ istituito presso il Ministero di grazia e giustizia un ruolo aperto dei
revisori ufficiali dei conti” (art. 1)
Il decreto fissa, inoltre, norme precise in merito alla procedura per conseguire
la nomina a revisore contabile:
“La nomina a revisore è disposta con decreto del Ministro Guardasigilli, su
proposta di una commissione centrale composta: a) da un presidente, nominato
dal Ministro di grazia e giustizia; b) dal direttore generale degli affari civili
presso il Ministero di grazia e giustizia o da un suo delegato; c) da un
funzionario del Ministero del tesoro; d) da un funzionario del Ministero del
lavoro e della previdenza sociale; e) da un funzionario del Ministero
dell'industria, del commercio e dell'artigianato; f) da un funzionario della Banca
d'Italia; g) da un rappresentante dell'Associazione fra le società italiane per
azioni; h) da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei Ministri; i) da
7
Per LUCIANO D’AMICO, in opera citata, pagg. 168-169: «Sin dai primi anni del secolo si cercò di
introdurre la revisione in Italia seguendo il modello tedesco delle società fiduciarie; nel 1923 si costituiva
a Roma l’Istituto Fiduciario Italiano, avente tra i propri scopi anche quello di svolgere revisioni, mentre
nel 1924 nasceva a Milano il Primo Istituto di Revisione Aziendale; […]. Si avvertì, così, la necessità di
provvedere ad un inquadramento teorico organico della materia e nel 1929 venne edita la prima opera
nazionale sull’argomento: “La Tecnica della Revisione”, di Remo Malinverni, che delineava un quadro
completo su come veniva inteso all’epoca l’istituto revisionale».
16
un componente designato dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale in
rappresentanza dell'organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa
delle professioni economico-amministrative.” (art. 3)
Dal dettato della norma è facile intuire quale fosse già l’atteggiamento del
legislatore nei confronti della revisione contabile: il coinvolgimento, nella
commissione incaricata di procedere alle nomine dei nuovi revisori, di soggetti in
rappresentanza di tutti i più importanti settori della scena economica e sociale del
Paese (i Ministeri della giustizia, tesoro, lavoro e previdenza sociale, industria
commercio e artigianato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Banca
d’Italia, l’Associazione fra le società per azioni e le organizzazioni sindacali)
indica chiaramente che la figura del revisore era già avvertita come quella di un
soggetto garante, indipendente, sulle cui capacità e credenziali era necessario
ottenere il più ampio consenso da parte dei soggetti operanti in ambito
economico.
Per una definizione normativa delle società di revisione è necessario aspettare
altri tre anni; la legge 1966 del 23 novembre 1939 definisce infatti le società di
revisione e quelle fiduciarie nel seguente modo:
“Sono società fiduciarie e di revisione e sono soggette alla presente legge
quelle che, comunque denominate, si propongono, sotto forma di impresa, di
assumere l’amministrazione di beni per conto di terzi, l’organizzazione e la
revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e
obbligazioni” (art. 1, c. 1)
Nell’articolo successivo vengono poi fissate disposizioni relative all’esercizio
della vigilanza sull’attività dei suddetti soggetti e sull’autorizzazione necessaria
allo svolgimento dell’attività stessa:
17
“Le società di cui all’articolo precedente sono soggette alla vigilanza del
Ministero dell’Industria, e non potranno iniziare le operazioni senza essere
autorizzate con decreto del Ministro dell’Industria.
L’autorizzazione sarà revocabile per gravi motivi, previa contestazione alla
società dei fatti ad essa addebitati” (art. 2)
Dopo la lunga parentesi del secondo conflitto mondiale, il diffondersi delle
società di revisione in Italia avvenne grazie all’insediamento di soggetti
provenienti dall’estero piuttosto che per la spinta di nuove società costituite in
Italia. Lo stesso torpore caratterizzò anche l’attività legislativa italiana in
materia: dalla fine degli anni ’30 fino alla metà degli anni ’70 non si registrarono
provvedimenti che regolassero la revisione contabile.
All’inizio degli anni ’70 il mercato italiano aveva ormai raggiunto l’apice di
quel periodo di forte sviluppo che si era protratto per tutta la decade precedente;
buona parte delle imprese italiane vedevano oramai il mercato internazionale
come sbocco obbligato per espandere la propria attività; era quindi necessario
che queste imprese si adeguassero a quelli che erano gli standard informativi e di
trasparenza adottati dalle imprese concorrenti all’estero. Il legislatore italiano
seppe dare una risposta a questa esigenza.
1.4.1. Legge 7 giugno 1974, n. 216 e d.p.r. 31 marzo 1975, n.136
La vera svolta, in ambito legislativo, per le società di revisione si ebbe verso la
metà degli anni ’70; la legge n. 216 del 24 giugno 1974
8
istituisce la
Commissione nazionale per le società e la Borsa (CONSOB):
8
Per RENATO SQUILLANTE, in Il controllo contabile e la certificazione dei bilanci delle società
quotate in Borsa, Giuffrè Editore, Milano, 1981, pag. 2: «Si giunge così al 1972, quando fu predisposto il
progetto Marchetti, sostanzialmente raccolto nella riforma della S.p.A., poi approvata con legge 216.
18
“E’ istituita con sede in Roma la Commissione nazionale per le società e la
borsa. La Commissione ha in Milano la sede secondaria operativa” (art. 1/1, c.
1)
Il testo della legge continua definendo la composizione della Commissione, le
condizioni per garantire l’indipendenza dei membri della Commissione e del
personale di servizio presso la stessa e, al terzo punto dell’articolo 1, i poteri
riconducibili alla Commissione: prescrivere la redazione di bilanci consolidati,
richiedere dati, notizie e comunicazioni periodiche, fissare le regole per
l’ammissione alle quotazioni e per il funzionamento delle borse ed il calendario
delle contrattazioni.
Di notevole interesse è quanto stabilito al secondo comma dell’articolo 1/18:
“L’ultimo bilancio del soggetto emittente i valori mobiliari oggetto di offerta
pubblica di vendita, sottoscrizione e scambio deve essere certificato da parte di
una società di revisione iscritta all’albo di cui al d.p.r. 31 marzo 1975, n.136”
(art. 1/18, c. 2)
Con quarantadue anni di ritardo rispetto agli Stati Uniti, anche in Italia veniva
approvata una norma che, seppur parzialmente (come vedremo tra poco),
introduceva una forma di certificazione obbligatoria del bilancio d’esercizio per
le società che intendevano usufruire dei mercati borsistici per vendere, far
sottoscrivere o scambiare i propri titoli.
Nell’elaborato Marchetti, modellato sul progetto della quinta Direttiva Comunitaria, era prevista la figura
della società di revisione; si confermava l’istituto del collegio sindacale; all’organo pubblico di controllo
– nel frattempo identificato nella Commissione Nazionale per le Società e la Borsa – si attribuiva la
funzione di garante del nuovo sistema di vigilanza delle società quotate – e non solo di queste –
essenzialmente basato, per quel che riguarda il loro stato economico-patrimoniale, sulla revisione e
certificazione dei bilanci».
19
Il disegno del legislatore venne portato a termine l’anno successivo con il
d.p.r. del 31 marzo 1975, n. 136, emanato in attuazione della delega contenuta
nell’articolo 2 , lettera a), della stessa legge 216/1974. Il decreto fissa
innanzitutto i compiti delle società di revisione contabile; l’articolo 1
9
, rubricato
Controllo della contabilità e della valutazione del patrimonio sociale, definisce
le funzioni di controllo e di certificazione che le società di revisione contabile
devono esercitare presso le società con titoli quotati in borsa
10
:
“Nelle società con azioni quotate in borsa le funzioni di controllo della
regolare tenuta della contabilità sociale, della corrispondenza del bilancio e del
conto dei profitti e delle perdite alle risultanze delle scritture contabili e
dell'osservanza delle norme stabilite dall'art. 2425 del codice civile per la
valutazione del patrimonio sociale sono attribuite a una società di revisione
iscritta nell'albo speciale di cui al successivo art. 8. La società di revisione
provvede, altresì, alla certificazione del bilancio e del conto dei profitti e delle
perdite ai sensi del successivo art. 4.” (art. 1, c. 1)
I compiti delle società di revisione non si limitano a ciò che viene stabilito
dall’articolo 1 comma 1, in quanto l’articolo 7 prevede che le medesime società
siano chiamate ad esprimere il proprio parere sulle proposte di aumento del
capitale sociale, nelle società quotate in borsa, in caso di esclusione o limitazione
del diritto di opzione.
9
Nel presente capitolo, per evidenti ragioni di coerenza espositiva, viene riportato il testo originario del
d.p.r. 31 marzo 1975, n. 136, privo cioè delle modifiche e delle integrazioni subite a seguito dei successivi
provvedimenti normativi in materia.
10
Per RENATO SQUILLANTE, in opera citata, pag. 4: «Peraltro, con la previsione di un controllo
esterno, serio e qualificato sulla gestione delle società quotate, il legislatore ha sostanzialmente inteso
garantire che i principali strumenti di informazione sull’andamento economico-patrimoniale dei soggetti
sottoposti a controllo, effettivamente soddisfacessero le esigenza di tutela degli interessi della collettività,
prim’ancora che di quelli particolari. Cioè, e non solo, garantire che i bilanci, i conti, le relazioni di
gestione ed esercizio siano rispondenti al vero, ma anche – ed è ovvio – contenere l’azione spregiudicata
della maggioranza, quasi sempre, come l’esperienza ha insegnato, informata alla cura dell’interesse
privato o di gruppo, piuttosto che di quello, perciò mortificato, della minoranza, del creditore,
dell’investitore, in definitiva del risparmio pubblico».
20
La necessità di garantire la piena indipendenza di giudizio dei revisori
contabili, in modo da evitare l’insorgere di potenziali conflitti di interessi, è
assicurata invece dall’articolo 3 che definisce i motivi per i quali sussiste
incompatibilità tra una società di revisione e la società che le conferisce
l’incarico; vengono previsti quattro casi, in riferimento alla posizione degli
esponenti aziendali e dei soci della società di revisione, all’avveramento dei quali
scatta l’ipotesi di incompatibilità; in particolare, vi è incompatibilità quando i
soci, gli amministratori, i sindaci o i direttori generali della società di revisione:
1) siano parenti o affini entro il quarto grado degli esponenti aziendali della
società conferente l’incarico o del soggetto che la controlla.
2) siano legati (o lo siano stati nel triennio precedente) da rapporti di lavoro
autonomo o subordinato alla società che conferisce l’incarico o al soggetto
che la controlla.
3) ricoprano (o abbiano ricoperto nel triennio precedente) il ruolo di
amministratori o sindaci presso i medesimi soggetti.
4) si trovino in una qualsiasi altra situazione che compromette l’indipendenza
nei confronti della società.
Il secondo comma dell’articolo 3 stabilisce inoltre che non vi debbano essere
legami simili tra i soci, gli amministratori, i sindaci ed i dipendenti della società
di revisione e la società conferente l’incarico, nemmeno nei tre anni successivi al
termine dell’incarico stesso o alla cessazione della propria carica da parte dei
soggetti menzionati.
Un’altra importante novità introdotta dal decreto è l’istituzione di un Albo
speciale delle società di revisione, alla cui tenuta provvede la CONSOB (art. 8, c.
1); per l’iscrizione all’Albo sono ovviamente previsti dei requisiti che consistono
essenzialmente nell’autorizzazione ai sensi della legge 1966/1939 e del r.d. 22
aprile 1940, n. 531 (art. 8, c. 2), nella limitazione dell’oggetto sociale all’attività
21
di revisione e organizzazione contabile di aziende (art. 8, c. 2, n. 1) e nella
preponderanza, all’interno della compagine sociale, di soggetti iscritti nei
rispettivi albi professionali o nel Ruolo dei revisori ufficiali dei conti e di persone
dotate di determinate attestazioni accademiche ed esperienze professionali (art.8,
c. 2, n. 2).
La CONSOB, oltre a disporre l’iscrizione delle società di revisione nell’Albo
speciale previo accertamento dell’esistenza dei requisiti prescritti dal presente
decreto (art. 9, c.1), deve vigilare sull’attività di queste per controllarne
l’indipendenza, l’idoneità tecnica e il modo con cui esercitano il controllo
contabile (art. 10, c. 1); in particolare, nell’esercizio dell’attività di vigilanza la
CONSOB può:
a) richiedere la comunicazione di dati e notizie e la trasmissione di atti e
documenti.
b) eseguire ispezioni e assumere notizie dagli esponenti aziendali
c) raccomandare l’adozione di principi e criteri per il controllo contabile delle
società e per la certificazione dei bilanci, richiedendo preventivamente il
parere del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e dei ragionieri.
Qualora la CONSOB accerti il venir meno di almeno uno dei requisiti sopra
elencati, assegna alla società di revisione un termine massimo di sei mesi per
sanare la situazione; nel caso in cui la società di revisione non adempia entro il
termine concessole, la CONSOB ne dispone la cancellazione dall’Albo speciale
(art. 11, c. 1, lett. b); la cancellazione è prevista anche nel caso di revoca
dell’autorizzazione di cui all’art. 2 della legge 1966/1939 (art. 11, c. 1, lett. a) e
nel caso in cui la CONSOB rilevi delle irregolarità particolarmente gravi nello
svolgimento dell’attività di controllo contabile e certificazione (art. 11, c. 2).
Il d.p.r. 31 marzo 1975, n. 136 si conclude con la definizione della
responsabilità civile dei soggetti che hanno preso parte alla certificazione del
22