5
Nella sua originaria formulazione questa teoria concepiva i tre poteri dello
Stato, secondo la definizione fornitaci da Kant, come potestà coordinate,
vere “persone morali”, capaci di autodeterminarsi
2
e di garantire la
sicurezza e la libertà dei cittadini.
Tuttavia la tendenza alla creazione nello Stato di una serie di istituzioni
depositarie di funzioni sovrane venne osteggiata ripetutamente non solo da
chi voleva un ritorno a forme autocratiche di organizzazione del potere, ma
anche dal principio democratico, astrattamente inteso, che respingeva la
formazione di centri autonomi che detenessero le funzioni fondamentali
dello Stato, accettando solamente una ripartizione di competenze
all’interno di un potere rigidamente unitario
3
. Esemplificativo
l’atteggiamento di Rousseau contro la teoria della separazione dei poteri
4
e
la sua avversione alla creazione di qualsiasi corps intermédiaire nella
società democratica che, sempre secondo Rousseau, deve essere retta dalla
monolitica volontà generale del popolo
5
.
Dalla separazione dei poteri trova origine l’istituto dei conflitti di
attribuzione, che entrò nel nostro ordinamento con la legge sarda del 20
novembre 1859 n. 3780 (legge Rattazzi). L’istituto fu concepito
essenzialmente per impedire che l’autorità giudiziaria potesse ledere le
prerogative dell’amministrazione invadendo le sfere ad essa riservate e per
fare ciò veniva affidato al Re, previo parere del Consiglio di Stato a sezioni
unite (che era organo esclusivamente amministrativo), il compito di
decidere sui conflitti.
2
Così Kant, La dottrina del diritto, § 48, in Scritti politici e di filosofia della storia del diritto,
Torino 1956, 502-503
3
Cfr. Mazziotti, I conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato, vol. I, Milano 1972, 126-127-
128
4
Cfr. Du contrat social, II, cap. 2°, pag. 251, ed. Garnier, Parigi 1962, Que la souveraineté est
indivisible
5
Cfr. Contrat social, II, 3
6
La riforma del 1865 non modificò nella sostanza l’istituto, attribuendo però
il potere di risolvere i conflitti al Consiglio di Stato invece che al Re.
La decisione portò ad un ampio dibattito, in quanto un organo
amministrativo si trovava in posizione sovraordinata rispetto all’apparato
giudiziario.
Si arrivò allora alla legge 31 marzo 1877 n. 3761
6
, sui conflitti di
attribuzione, dove si sostituiva al Consiglio di Stato la Corte di cassazione,
senza però modificare nella sostanza il fatto che lo strumento del conflitto
rimaneva un istituto diretto a paralizzare il corso della giustizia civile per
opera dell’amministrazione.
Questa legge, nonostante la dizione conflitti di attribuzione, ha qui ben
pochi elementi in comune con i conflitti tra poteri di cui noi ci occupiamo;
infatti la l. 1877, come ritenuto da buona parte della dottrina, “disciplinava
non tanto i conflitti di attribuzione, ma appunto i conflitti di giurisdizione
e questo a seguito della creazione di un giudice per gli interessi legittimi
che non poteva essere considerato pubblica amministrazione”
7
.
A questo punto è utile precisare che si ha “conflitto di giurisdizione”
quando due o più giudici, appartenenti a diverse giurisdizioni,
contemporaneamente affermano o negano (conflitti positivi o negativi) di
avere il potere di decidere una determinata controversia
8
(es. di conflitto di
giurisdizione può essere quello fra TAR e tribunale ordinario).
E’ pur vero che nella l. 1877 si ritrova l’idea della garanzia della non
ingerenza tra funzioni diverse, ma l’origine prima dei conflitti tra poteri
pare però derivare da quell’idea teorica di completare lo stato di diritto con
6
La l. 1877 è stata poi trasfusa nell’attuale codice di procedura civile nell’art. 41 e 386, tanto da
considerarsi abrogato da queste norme
7
Così Pisaneschi, I conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, Milano 1992, 18
8
V. art. 37 c.p.c. (Difetto di giurisdizione), art. 41 c.p.c. (Regolamento di giurisdizione), art. 362
c.p.c. comma II (Altri casi di ricorso)
7
la possibilità di controllo anche sul comportamento dei soggetti
costituzionali
9
.
In tal senso va quindi interpretato l’art. 37 della legge 11 marzo 1953 n. 87,
che in attuazione dell’art. 134 della Costituzione dispone che “il conflitto
tra i poteri dello Stato è risoluto dalla Corte costituzionale se insorge tra
organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui
appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni
determinata per i vari poteri da norme costituzionali”.
Appare evidente che il termine potere è qui impiegato nel significato di
figura organizzatoria composta da uno o più organi fra loro funzionalmente
collegati ed alla quale va riferita una sfera di attribuzioni
costituzionalmente garantita
10
.
Ma è qui da avvertire, come sarà meglio precisato
11
, che la Corte
costituzionale ha riconosciuto la qualità di potere dello Stato anche a figure
soggettive esterne allo Stato apparato.
9
Cfr. Pisaneschi, op. ult. cit. 19
10
Così Martines, op. ult. cit., Milano 1994, 204
11
Vedi oltre parte I, cap. 1.3
8
1.2 La nozione di potere dello Stato nella dottrina
Il modello della tripartizione delle funzioni fornitaci da
Montesquieu
appariva sicuramente inadeguato al disegno istituzionale tracciato dalla
nuova Costituzione, dove legislativo, esecutivo e giudiziario non
esauriscono le funzioni attribuite agli organi e, a loro volta, appaiono come
“locuzioni ellittiche che individuano in via puramente tendenziale il
contenuto dei poteri concretamente attribuiti”
8
.
Per Zagrebelsky l’organizzazione dello Stato appare articolata secondo
esigenze assai più complesse di quelle individuate dai padri del
costituzionalismo, e la nozione di potere si allarga per abbracciare tutti
gli organi ai quali sia riconosciuta e garantita una quota di attribuzioni
costituzionalmente definita.
Questa interpretazione corrisponde alla ratio che sorregge l’istituto dei
conflitti tra i poteri: la “giurisdizionalizzazione” delle controversie che
possono insorgere tra le strutture organizzative che, secondo la
Costituzione, identificano la forma di governo; questa interpretazione
corrisponde anche alla seconda parte del comma 1, art. 37 della l. n. 87 del
1953 che, riferendosi alla sfera di attribuzioni determinata per i vari
poteri da norme costituzionali, indica, come carattere determinante dei
poteri confliggenti, la titolarità di attribuzioni costituzionalmente
assegnate. Secondo Zagrebelsky con tale definizione si indicano
sicuramente i tre tradizionali poteri, ma anche “gli ulteriori fattori
8
Così Grassi, Conflitti costituzionali, in Dig./Pubbl., III, Torino 1989, 379
9
costitutivi della complessa organizzazione costituzionale, siano essi
organi permanenti che temporanei”
2
.
Il quesito che allora appare rilevante a Zagrebelsky, per determinare caso
per caso se un organo è idoneo ad essere soggetto del conflitto
costituzionale, è se ad esso la Costituzione conferisce una quota di potere
riservato.
Per Bin definire i poteri dello Stato significa muoversi tra piani assai
diversi: quello dell’interpretazione della Costituzione, quello storico e
teorico generale, quello più strettamente processuale, legato in gran parte
all’interpretazione della legge n. 87 del 1953
3
.
Un importante contributo all’individuazione dei poteri dello Stato ci
perviene da Mazziotti, il cui lavoro è finalizzato all’individuazione dei
poteri dello Stato ai sensi dell’art. 134 della Costituzione.
Egli cerca di individuare nozioni “realistiche” di organo e di potere
costituzionali, tali da rimuovere tutte le vecchie incrostazioni dommatiche
e le nuove applicazioni di esse alla Costituzione
4
.
In questo ambito la legge n. 87 del 1953 è presa in considerazione solo
marginalmente, sia perché l’interpretazione dogmatica riferibile ad una
norma costituzionale è ritenuta prevalente rispetto a ciò che è contenuto in
una legge ordinaria, sia perché Mazziotti presuppone che lo scopo del
legislatore della l. n. 87 sia quello di lasciare libera la Corte di individuare i
poteri, essendo quindi di poco aiuto una norma che aveva la funzione di
non vincolare la Corte ad una precisa interpretazione
5
.
Mazziotti parte dal problema se i poteri dello Stato possano essere
riassunti nei tre tradizionali di Montesquieu, ma l’ostacolo è qui aggirato
utilizzando come strumento di analisi il testo costituzionale dove si ricava
2
Così Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Bologna 1988, 369
3
Bin, L’ultima fortezza, Milano 1996, 9
4
Cfr. Bin, op. ult. cit., 11
5
Cfr. Pisaneschi, I conflitti di attribuzione tra i poteri dello stato, Milano 1992, 51
10
abbastanza agevolmente l’impossibilità dell’utilizzo dei soli tre poteri
tradizionali.
L’Autore muove sia da valutazioni di ordine generale sulla validità del
principio di separazione, sia da una valutazione dell’art. 104 Cost., dove
viene affermato che “la magistratura costituisce un ordine autonomo e
indipendente da ogni altro potere”, ammettendo quindi la Costituzione
l’esistenza di una pluralità di poteri
6
.
Le obbiezioni più note alla tesi tradizionale vertono soprattutto
sull’inadeguatezza del criterio della omogeneità della funzione ai fini
dell’individuazione del potere, inadeguatezza che diventa palese in quegli
organi le cui funzioni non sono affatto omogenee, ma che è pure
riscontrabile nel caso in cui più organi adempiano ad una stessa funzione.
In questo ultimo caso l’unità della funzione non indica un “nesso
strutturale di dipendenza tra gli organi”, poiché la competenza
istituzionale di un organo può benissimo non essere quello che qualifica
politicamente la funzione principale dell’organo in questione
7
.
Mazziotti ha il merito di aver legato il problema della definizione teorica
dei poteri allo specifico istituto dei conflitti di attribuzione, giungendo ad
una definizione di potere che non presuppone il totale superamento del
principio della separazione dei poteri stessi, proponendo viceversa una
versione aggiornata di tale principio che tenga conto delle esigenze
politiche sostanziali sottese alla teoria della separazione
8
.
Da questa considerazione derivano conseguenze certamente innovative.
La prima è che ora la definizione di potere risulta completamente sganciata
dal problema della corrispondenza con la funzione, presupponendo anzi
l’esistenza di interconnessioni funzionali
9
.
6
Cfr. Mazziotti, I conflitti fra i poteri dello stato, Milano 1972, 118
7
Cfr. Mazziotti, op. ult. cit., 135
8
Cfr. Pisaneschi, op. ult. cit., 52-53
9
Cfr. Carbonaro, Nozione e limiti della interferenza funzionale, Firenze 1950, 4 ss.
11
La seconda conseguenza è che perché ciascun complesso di organi possa
essere considerato potere, deve essere dotato dalla Costituzione stessa di
funzioni tali da consentirgli di influire in maniera determinante sulla
volontà dello Stato, “arrestando o limitando l’azione degli altri poteri in
caso di dissenso o contribuendo al completo svolgimento di esso in caso di
accordo”
10
.
La terza conseguenza implica che oltre a riferirsi al potere come insieme di
organi, nulla esclude che vi siano organi che, in quanto poteri di quel
sistema di checks and balances previsto dalla Costituzione, possano essere
considerati a loro volta poteri e così pure lo possano essere elementi o
settori di tali organi, laddove siano dotati di funzioni tali da incidere in
maniera determinante sulla volontà dello Stato.
Per Mazziotti in definitiva potere è quell’ufficio (ma potremmo dire
organo) caratterizzato dalla competenza ad esercitare in grado supremo un
complesso di funzioni pubbliche.
Per Pisaneschi conseguenze dirette della tesi di Mazziotti, consistono
nell’aprire la possibile qualifica di potere alle entità più diverse dello Stato
solo che queste possano essere considerate parte del sistema di checks and
balances previste dalla Costituzione
11
.
A differenza di Mazziotti, che riteneva inutile un’indagine sul dato
normativo per ricavare la nozione di potere e conduceva la sua analisi su di
un piano esclusivamente teorico, Sorrentino considera di poter dedurre
dall’art. 134 Cost., integrato dall’art. 37 della l. n. 87, un’indicazione in
positivo sui soggetti legittimati al conflitto.
10
Così Mazziotti, op. ult. cit., 150
11
Così Pisaneschi, op. ult. cit., 58
12
Anche Sorrentino, come Mazziotti, non rinnega il rapporto tra i conflitti di
attribuzione fra poteri e il principio di separazione dei poteri; infatti la sua
analisi è indirizzata a verificare se sul piano organizzativo il principio possa
costituire un criterio per l’interpretazione dell’art. 134 Cost
12
.
Per Sorrentino, come ancora per Mazziotti, il principio della separazione
dei poteri, pur rimanendo come momento organizzativo di base, tuttavia si
trasforma in un meccanismo più complesso, fondato su una pluralità di
centri di potere statuali e extrastatuali, i quali collaborano e si
contrappongono l’uno all’altro, non in quanto ad ognuno di essi sia
assegnata una specifica funzione fondamentale, ma perché, anche
nell’ambito delle stesse funzioni, essi si trovano in rapporto di concorrenza
o di complementarietà di competenze, cosicché le determinazioni
fondamentali della pubblica autorità scaturiscano dalla cooperazione di
due o più volontà
13
.
In conclusione si rileva che il principio di separazione sarebbe stato accolto
in questo caso in maniera temperata.
Ulteriori conseguenze sarebbero che il principio di separazione dei poteri
dovrebbe esistere solamente in parte nell’ordinamento e potrebbe essere
considerato come principio pregiuridico per l’interpretazione dell’art. 134
Cost., II comma
14
, dove è affermato che la Corte costituzionale giudica “sui
conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le
Regioni, e tra le Regioni”.
12
Cfr. Sorrentino, I conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, in Riv. trim. dir. pubbl.,
1967, 675 ss.
13
Così Pisaneschi, op. ult. cit., 60
14
Cfr. Sorrentino, op. ult. cit., 697
13
Stante queste premesse la funzione del conflitto sarebbe, per Sorrentino,
quella di garantire il rispetto di quanto del principio di separazione sia
stato tradotto nell’ordinamento.
Lo sviluppo del legame tra potere e attribuzione costituzionale, che
avrebbe potuto essere un notevole passo in avanti rispetto alla costruzione
di Mazziotti, rimane invece in gran parte nell’ombra.
Di grande interesse l’analisi dell’art. 37 della l. n. 87. Da questo Sorrentino
deduce che per aversi potere occorre far riferimento alle attribuzioni
conferite da leggi formalmente costituzionali e che affidino a determinati
soggetti funzioni di natura tale da consentirgli di influire in modo
determinante nella formazione della volontà dello Stato; inoltre, rispetto a
Mazziotti, viene posto l’accento sulla necessità di identificare anche gli
organi che in base alla norma dell’art. 37 “sono competenti a dichiarare
definitivamente la volontà del potere”
15
.
Giunti a questo punto possiamo fissare alcuni punti fermi derivanti
dall’interpretazione dell’art. 134 Cost. e dell’art. 37 della l. n. 87 del 1953.
La dottrina è stata sostanzialmente unanime nel ritenere che i poteri ex art.
134 Cost. non sono riconducibili alle classificazioni derivanti dal principio
della separazione dei poteri, che comunque costituirebbe, una volta
attualizzato nella struttura dei checks and balances, il punto di partenza
per ricostruire la nozione di potere
16
.
Secondo altre teorie il principio di separazione non sarebbe invece
suscettibile di attualizzazione, cosicché da questo bisognerebbe in ogni
caso prescindere
17
.
15
Cfr. Pisaneschi, op .ult. cit., 62
16
Così sia Mazziotti, I conflitti di attribuzione tra i poteri dello stato, Milano 1972, 50 ss., e
Sorrentino, op. ult. cit., 760
17
Cfr. Volpe, Organi e conflitti nel sistema costituzionale (lineamenti di una metodologia per
una ricerca), 615 ss.