3
Quindi, in linea di principio, la presenza dell'asimmetria
informativa giustifica l'esistenza degli intermediari finanziari e delle
banche in particolare. Ma se ci si fermasse a tale tipo di analisi, la
presenza delle banche parrebbe sufficiente dal punto di vista del
processo di intermediazione, salvo che per situazioni molto
particolari (emblematico il caso delle assicurazioni). Per�, partendo
da questa ipotesi, si tratta di andare a vedere se vi siano le
condizioni economiche perch� vi sia convenienza da parte di un
intermediario finanziario generale, cio� non specializzato su
particolari nicchie di clientela, a porsi nelle condizioni di andare a
superare le condizioni di asimmetria informativa. Cio� bisogna
chiedersi se una banca abbia interesse a fare un'assunzione di
costi per generare dei ricavi, qualora i ricavi sperati possano
presentarsi inferiori ai costi che comunque sarebbero sostenuti. In
altri termini, nei casi in cui le operazioni riguardino imprese molto
contenute, � possibile che le banche non abbiano convenienza a
svolgere quella che � la loro tipica funzione di assunzione delle
informazioni e valutazione del merito creditizio. In tal caso le
banche possono ragionare sostanzialmente in tre modi:
1. non dare credito, perch� non � economicamente
conveniente fare la valutazione;
2. concedere credito senza effettuare la valutazione del
merito creditizio, per� ci� comporta problemi d'altro
tipo;
3. concedere credito solo attraverso l'assunzione di entit�
sostitutive della valutazione del merito creditizio; cio�
si richiedono garanzie: in pratica alle imprese di
dimensioni contenute che sono capaci di fornire
informazioni limitate non vengono pi� richieste tali
informazioni, evitando in tal modo i costi inerenti la
4
valutazione e la raccolta delle stesse, bens� si
richiedono garanzie.
E' evidente che questo tipo di approccio � una soluzione di
ripiego che ha lo scopo di permettere di effettuare delle operazioni
che altrimenti non sarebbero attuabili.
Se si segue questa linea di ragionamento, allora all'interno
del processo di intermediazione finanziaria si apre uno spazio
aggredibile dai confidi: si tratta di verificare se ci sono le condizioni
per coprire questa particolare nicchia di clientela, cio� di andare ad
assumere informazioni, trattandole in un modo un po' diverso da
come fa generalmente la banca e interfacciarsi poi all'ente creditizio
trasferendogli queste informazioni.
La banca attraverso l'interfaccia confidi pu� dare una
valutazione del merito creditizio senza necessariamente operare al
buio, perch� pu� traslare la valutazione dal cliente al confidi
stesso.
Questo ovviamente si pu� fare in due modi: o attraverso una
limitata capacit� di credito riservata al confidi (ipotesi difficile da
pensare in teoria, ma forse pi� spesso effettivamente realizzata a
livello operativo); oppure ci� pu� avvenire perch� i confidi sono
tecnicamente preparati, e quindi, a fronte di dotazioni patrimoniali
limitate, hanno una capacit� di interagire con i loro soci e di
riuscire a fare una preselezione delle proposte di affidamento,
portando alle banche solo soci che siano, dal punto di vista
dell'accesso al credito, meritevoli.
La verifica suddetta deve essere ovviamente calata nel
contesto giuridico in cui i confidi operano. Si sa, infatti, che essi in
base al Testo Unico Bancario sono collocati fra gli intermediari
finanziari. Per� lo stesso articolo che li definisce intermediari
finanziari e che prevede la loro iscrizione presso una sezione
5
speciale dell'elenco generale degli intermediari finanziari, stabilisce
anche che i confidi siano esclusi da tutti gli adempimenti derivanti
dall'iscrizione in tale elenco.
Da questo punto di vista diviene interessante fare delle
considerazioni sulle proposte di legge che dal 1996 sono
all'attenzione del Parlamento e che vorrebbero disciplinare anche in
Italia la garanzia collettiva dei fidi. Sembra di capire che la
normativa prenda atto di una certa discrepanza esistente in questo
campo tra l'Italia e gli altri Paesi UE: noi abbiamo un numero di
consorzi estremamente elevato rispetto agli altri Paesi, e di
dimensioni relativamente ridotte, in quanto in altri Stati vi � gi�
stato un processo di consolidamento. Ed abbiamo, anche e
soprattutto, un'anomalia dal punto di vista funzionale, perch� in
quasi tutti gli Stati UE i confidi hanno un inquadramento giuridico
pi� formalizzato e sono diventati a tutti gli effetti intermediari
finanziari (con i relativi obblighi di trasparenza e informativa nei
confronti degli organi di vigilanza), avendo in tal modo maturato un
percorso di crescita pi� culturale che patrimoniale: hanno
conosciuto una metamorfosi che li ha portati a dotarsi di strutture
in grado di affrontare il processo di selezione - valutazione -
trasformazione del rischio, attivit� tipica degli intermediari
finanziari.
Le proposte di legge succitate lasciano intravedere che in
futuro potrebbero esserci due tipi di confidi in Italia: l'eventuale
legge delinea proprio due parti specifiche con norme diverse e,
accanto al tradizionale confidi che manterr� la fisionomia attuale
(compresa l'esenzione dagli adempimenti tipici degli intermediari
finanziari), nasce una nuova figura (societ� di mutua garanzia,
confidi di intermediazione creditizia). Questo secondo modello
esegue le stesse operazioni del primo, � soggetto ad una serie di
6
obblighi di trasparenza ed informativi maggiori ed � completamente
assoggettato alla disciplina degli intermediari finanziari. Quindi il
secondo tipo di consorzio, apparentemente, avrebbe pi� oneri che
onori, salvo per� un dettaglio, su cui accesi sono i dibattiti a livello
di commissione parlamentare: cio� la proposta di legge dispone che
le garanzie concesse dall'intermediario del secondo tipo siano
equiparate, ai fini della ponderazione di vigilanza, a quelle
bancarie. Cio� potrebbe effettuare delle operazioni non
essenzialmente reali, bens� potrebbe rilasciare delle fideiussioni,
che dal punto di vista del merito creditizio, e soprattutto dal punto
di vista dei vincoli di vigilanza, verrebbero trattate allo stesso modo
della fideiussioni bancarie.
Se dovesse passare la legge indicata si aprir� il problema del
confronto fra consorzi di "serie A" e consorzi di "serie B": a quel
punto probabilmente le banche cominceranno a discriminare i
consorzi in modo analogo a quello in cui giudicano i clienti.
Sar� quindi una scelta dei confidi se andare oltre alla
struttura attuale ed assumere la connotazione di impresa che
produce trasformazione del rischio, oppure fare un passo indietro e
stabilizzarsi sulle posizioni attuali, rinunciando a certi spazi che ci
sono sul mercato del credito ed evitando di appesantirsi in termini
di struttura.
Nei capitoli che seguono verranno sviluppati analiticamente i
punti solo accennati in questa premessa, cercando di fornire delle
risposte e dei giudizi ai quesiti ed alle ipotesi man mano posti.
7
CAPITOLO 1
TEORIA DELL�INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA
1.1. Ostacoli alla costruzione di una teoria
dell�intermediazione
All�interno di un ipotetico sistema economico di tipo neoclas-
sico, cio� in un mondo caratterizzato da mercati tendenzialmente
perfetti
1
, in cui l�informazione � non costosa e disponibile a tutti gli
operatori, gli intermediari finanziari non avrebbero ragione di
esistere. Questo in quanto in un mondo che presenta ca-
ratteristiche di perfezione pressoch� assolute, quali quelle teo-
rizzate appunto dai modelli neoclassici, non � necessaria la pre-
senza di operatori specializzati che mettano in contatto le unit� in
surplus con le unit� in deficit: in tale schema � sufficiente un si-
1
L�obiettivo conoscitivo principale dell�approccio neoclassico � rappresentato
dall�individuazione delle condizioni di equilibrio di mercato. La formulazione
teorica che realizza questo obiettivo � il mercato di concorrenza perfetta, un
mercato ideale in cui sussistono condizioni che annullano i differenziali
competitivi tra imprese creando al tempo stesso un equilibrio che garantisce
l�allocazione pi� efficiente delle risorse. Le ipotesi alla base del modello
concorrenziale sono numerose e articolate, ma le principali tra queste possono
essere sintetizzate come segue:
a) Razionalit� dei decisori: ciascun individuo agisce in modo da
massimizzare l�utilit� personale.
b) Omogeneit� del prodotto: in un mercato i prodotti sono percepiti come
perfetti sostituti reciproci da parte dei consumatori.
c) Atomismo dell�offerta e della domanda: offerenti e consumatori sono
molto numerosi e l�incidenza delle quantit� individualmente trattate �
ridotta al punto che il comportamento di un singolo, in quanto a
variazione della quantit� offerta o acquistata, non ha alcuna incidenza
sul prezzo, che � invece regolato dal meccanismo di mercato.
d) Assenza di barriere all�entrata e, pi� in generale, di differenziali di costi
legati al mutamento e all�adattamento: l�ingresso in un mercato come
produttore non comporta oneri addizionali rispetto a quelli che
normalmente sostengono gli operatori gi� presenti.
e) Perfetta trasparenza dei mercati: ciascun operatore � a conoscenza di
tutte le informazioni per ottimizzare le proprie decisioni.
f) Perfetta omogeneit� e diffusione delle tecnologie produttive.
8
stema finanziario �naturale�, basato su mercati ad asta
2
, rispetto ai
quali gli intermediari possono sorgere solo a causa di deviazioni
temporanee dall�equilibrio generale, e perci� essi sono visti come
elementi di disturbo del sistema economico.
Queste ipotesi di perfezione dei mercati spiegano le ragioni
per le quali la teoria dell�intermediazione non ha trovato precisa
collocazione nell�ambito della teoria economica fino agli anni
settanta, ed � stata considerata un �alveo� della teoria monetaria:
infatti gli intermediari finanziari sono stati esaminati quasi
esclusivamente nella loro funzione di meccanismi di trasmissione
della politica monetaria, pi� che altro per mettere in rilievo i
possibili disturbi che essi potevano causare all�azione della banca
centrale.
Gli intermediari rappresentano dunque un segnale di
imperfezione del mercato: ecco la ragione per cui a partire dagli
anni �70 si trasla l�analisi economica dalle azioni svolte dagli inter-
mediari ai motivi che ne giustificano l�esistenza, nonch� alle
condizioni che ne definiscono l�articolazione e lo sviluppo.
Per capire le ragioni dell�intermediazione � necessario ri-
chiamare le funzioni svolte dai suoi operatori. E� noto che gli
intermediari rendono compatibili le scelte di portafoglio delle unit�
in surplus con le scelte di indebitamento delle unit� in deficit:
diventa quindi fondamentale l�abilit� dell�intermediario di emettere
passivit� con le caratteristiche di rischio
3
e liquidit�
4
gradite dalle
2
Con tale sistema si riesce infatti simultaneamente a confrontare una proposta
d�affari con tutte le controparti. Di conseguenza si individuano
automaticamente, senza bisogno di intermediari e dei relativi costi, sia la
controparte contrattuale sia il miglior prezzo possibile.
3
Non esiste una definizione di rischio universalmente accettata. Un modo di
pensare al rischio a cui soggiacciono le attivit� finanziarie � in termini di
dispersione della distribuzione di frequenza dei rendimenti. La dispersione o
variabilit� di una distribuzione � una misura di quanto un particolare
rendimento pu� differire dal rendimento.
9
unit� in surplus (principalmente a breve termine e a basso rischio)
e nell�acquistare attivit� nei confronti di imprese e settore pubblico
(tipiche unit� in deficit interessate ad emettere passivit� con
scadenza pi� lunga e soggette ad un rischio maggiore rispetto alle
preferenze delle famiglie, che rappresentano le tipiche unit� in
surplus). Gli intermediari finanziari effettuano quindi una
trasformazione delle scadenze e dei rischi; le differenze fra i tassi
dei due tipi di attivit� rappresenta il profitto dell�attivit� di
intermediazione e, allo stesso tempo, il costo sopportato dalla
collettivit� per mettere in contatto le unit� in surplus con le unit�
in deficit.
Si nota subito il contrasto esistente fra questa semplice de-
scrizione della realt� e ci� che dovrebbe verificarsi in presenza di
mercati perfettamente concorrenziali: in questo secondo caso gli
intermediari non fanno altro che costruire dei portafogli che cia-
scun creditore finale potrebbe formare e quindi raffigurano una
soluzione meno efficiente rispetto ai rapporti diretti fra unit� in
avanzo e unit� in disavanzo, cio� a quella che viene definita
�finanza fatta in casa�.
Per dar ragione di questa discrepanza si � sostenuto che gli
intermediari consentono una migliore diversificazione del rischio in
quanto hanno maggiori possibilit� di distribuire i propri impieghi
fra attivit� non perfettamente correlate
5
fra di loro: questa af-
fermazione pu� servire al pi� per spiegare come mai una piccola
impresa trovi difficolt� a finanziarsi direttamente presso i ri-
sparmiatori e perch� la preferenza per la liquidit� di questi ultimi li
Altri definiscono il rischio come la possibilit� di ottenere un rendimento inferiore
alla media.
4
Per liquidit� si intende la facilit� con la quale un�attivit� pu� essere
monetizzata.
5
Due attivit� possono presentare delle dipendenze reciproche nei loro
rendimenti; il grado di tale interdipendenza � misurato da due indicatori
statistici: covarianza e correlazione.
10
spinga a contrattare solo con controparti di una certa dimensione,
ma non � senz�altro sufficiente a spiegare perch� le grandi imprese
trovino difficolt� a finanziarsi esclusivamente attraverso rapporti
diretti con le unit� in avanzo.
E a questo punto non � pi� nemmeno sufficiente
l�affermazione che gli intermediari esistono per conciliare le
preferenze delle unit� in surplus con quelle delle unit� in deficit:
non si capisce perch� entrambe dovrebbero sostenere un costo di
intermediazione che potrebbe essere evitato.
Per sostenere l�esistenza degli intermediari � necessario di-
mostrare che le passivit� da essi emesse presentano, in un certo
senso, caratteristiche migliori di quelle che potrebbero essere
emesse direttamente dalle unit� in disavanzo. A tal scopo sono
state formulati diversi filoni interpretativi dell�esistenza degli
intermediari finanziari per lo pi� basati su tre elementi: l�esistenza
di costi di transazione nei mercati finanziari, l�incertezza che
caratterizza le scelte finanziarie e l�esistenza di asimmetrie
informative.
11
1.2. L�approccio dei costi di transazione
La teoria dei costi di transazione
6
dice che lo specialista �
necessario per abbattere gli oneri che il datore e il prenditore di
fondi dovrebbero sopportare in assenza del suo intervento.
Nell�ambito di un sistema finanziario si possono identificare i
seguenti tipi di costi di transazione:
1. costi di ricerca della controparte;
2. costi di �produzione� del contratto, cio� di ogni
specifica attivit� finanziaria;
3. costi di valutazione dell�attivit� all�inizio del contratto
(screening);
4. costi di monitoring durante la vita del contratto, per
verificare che non vari il rischio rispetto alla valuta-
zione iniziale.
E� del tutto evidente che un sistema finanziario caratterizzato
dalla presenza di soli scambi diretti tra unit� in avanzo e unit� in
disavanzo ha come presupposti la perfetta divisibilit�
7
delle attivit�
finanziarie e l�assenza di economie di scala nella produzione delle
medesime
8
: data la presenza dei costi di transazione elencati in
precedenza le ipotesi suddette vengono a cadere e con esse la
perfezione dei mercati finanziari
9
.
6
Il ricorso al mercato comporta una serie di costi (definiti appunto costi di
transazione). Contrariamente a quanto affermato dalla scuola neoclassica,
l�accesso alle informazioni di mercato e la possibilit� di negoziare con altre unit�
operative non � un�attivit� priva di costi ma, al contrario, comporta oneri che
vanno tenuti in debita considerazione se si vuole ricorrere al mercato per
regolare determinate transazioni (Ronald Coase).
7
Divisibilit�: possibilit� di assumere le dimensioni pi� idonee alle esigenze del
singolo investitore e dunque costi di transazione pi� contenuti.
8
Cfr. Hellvig (1991), Banking, financial integration and corporate finance, in
�European financial integration�.
9
Cfr. Klein (1991), The economics of security divisibility and financial
intermediation, in �The Journal of Finance�, pp. 923-931.
12
E� partendo da queste considerazioni che Benston e Smith
giungono a spiegare la presenza degli intermediari finanziari con la
necessit� di minimizzare i costi di transazione (con particolare
attenzione alla loro prima componente). Gli autori vedono negli
intermediari in generale, e nelle banche in particolare, non
produttori di depositi o di prestiti, bens� produttori di servizi
finanziari finalizzati alla riduzione dei costi di transazione
10
.
L�acquisto di tali servizi da parte del pubblico permette un
trasferimento intertemporale del consumo e, grazie alle economie di
scala ottenibili dagli intermediari nella produzione specialistica dei
servizi stessi, il raggiungimento di livelli di utilit� pi� elevati: � in
questo senso che l�intermediazione pu� contribuire a limitare le
imperfezioni del mercato finanziario causate dai costi di
transazione.
Questo approccio alla teoria dell�intermediazione si basa
fondamentalmente sul fatto che gli intermediari siano capaci di
avvantaggiarsi delle economie di scala, cio� sul fatto che essi
trattando grandi moli di operazioni siano in grado di fornire servizi
che presentano o costi minori o rischi minori rispetto a quelli che i
singoli soggetti sopporterebbero agendo individualmente sul
mercato
11
.
I costi di transazione sono sufficienti a spiegare
l�intermediazione solo se si ipotizza che essi siano tali da superare i
costi di produzione e i margini di profitto degli intermediari
12
.
10
�Essentially, we view the role of the financial intermediary as creating
specialized financial commodities��. (Benston-Smith, 1976, A transaction cost of
approach to the theory of financial intermediation, in �The Journal of Finance�,
pp. 215-231).
11
Per Benston e Smith gli intermediari sono in grado di ridurre il costo di
produzione del contratto in tutti i casi in cui i debitori e creditori finali non
trovano conveniente ricorrere ad un unico tipo di contratto altamente
standardizzato.
12
Cfr. Campbell (1987), The valuation cost approach to the theory of financial
intermediation, in �Federal Bank of Chicago�.
13
La principale critica che viene mossa a questa interpreta-
zione � dovuta al fatto che il pi� delle volte i costi di transazione
non vengono ben specificati. Va sottolineato infatti che in questo
approccio l�efficienza operativa degli intermediari rimane
relativamente in ombra e ci� � dovuto, per l�appunto, al fatto che in
molti lavori non si fa distinzione fra costi di produzione veri e
propri e costi di valutazione, non rendendo cos� esplicito se
l�intermediario sia effettivamente dotato di una capacit� di sele-
zione degli investimenti superiore rispetto alle singole unit�
operative.
Comunque l�approccio in parola permette di chiarire due im-
portanti questioni:
a) il collegamento diretto fra unit� in surplus e unit� in
deficit avverr� quando le unit� interessate sono in
grado di internalizzare i costi informativi ed operativi.
E� ovvio che l�internalizzazione dei costi sar� efficiente
a condizione di poter essere applicata ad un volume di
operazioni adeguato; dunque sar� conveniente solo per
operazioni che superino una certa soglia;
b) la diversit� delle forme di intermediazione � spiegata
essenzialmente in base al principio che le diverse ca-
tegorie di costi di transazione possono essere inter-
nalizzate da operatori diversi, in relazione alla spe-
cifica convenienza delle parti in causa (bisogna sot-
tolineare il fatto che all�intero complesso dei costi di
transazione corrisponde l�intermediario in senso
proprio e la banca in particolare).
14
1.3. Il contributo di Pyle: l�approccio dell�incertezza
La teoria dell�incertezza, che non � priva di punti di contatto
con quella dei costi di transazione, dice che gli intermediari sono
utili per rendere sopportabile il rischio implicito nella generalit� dei
rapporti finanziari. L�amore per la liquidit�, per la negoziabilit� e
per i rendimenti elevati in un quadro di certezze da parte dei
risparmiatori-investitori si contrappone alla tendenza a lavorare su
orizzonti lunghi, a costruire progetti dagli esiti incerti e a disporre
di capitale il pi� stabilmente possibile alle migliori condizioni
possibili da parte di chi cerca finanziamenti.
Questo secondo filone teorico fa perno, quindi, sui rischi
insiti nell�attivit� di intermediazione finanziaria, ed in particolare
evidenzia come l�incertezza rivoluzioni i rapporti finanziari, in-
troducendo in tal modo nuovi elementi che pongono i soggetti spe-
cializzati in una posizione migliore rispetto agli altri.
L�incertezza si ricollega fondamentalmente a tre tipi di rischi
che caratterizzano l�attivit� di intermediazione:
1) rischio di credito, dovuto alla possibile insolvenza
della controparte contrattuale;
2) rischio di liquidit�, causato dalla possibile richiesta di
conversione delle passivit� bancarie;
3) rischio di rendimento, dovuto alla stocasticit� dei
rendimenti delle attivit� detenute in portafoglio.
Particolare attenzione ha ricevuto il terzo elemento. In tale
contesto riscuote fondamentale importanza il contributo di Pyle
13
,
il quale per primo ha applicato alle problematiche
13
Cfr. Pyle (1971), On the theory of financial intermediation, in �The Journal of
Finance�, pp. 737-747. L�autore tratta l�intermediario come un semplice insieme
di attivit� e passivit� finanziarie con scadenze diversificate, il cui rendimento �
determinato esogenamente in modo stocastico.
15
dell�intermediazione finanziaria la teoria di portafoglio. Egli per
procedere nei suoi studi ha dovuto sottostare ad ipotesi alquanto
stringenti, senza le quali per� sarebbe stato impossibile applicare
la teoria del portafoglio
14
. In particolare Pyle nello sviluppo del suo
modello ipotizza una funzione di profitto per la banca che deriva
unicamente dai rendimenti delle attivit� e passivit� finanziarie;
inoltre tali rendimenti vengono considerati esogeni, cio� le banche
si comportano sempre come price-taker non capaci di assumere
poteri e godere di vantaggi di carattere oligopolistico. Il mondo
descritto da Pyle � caratterizzato dalla presenza di mercati
perfettamente concorrenziali e da un unico rischio: l�incertezza dei
rendimenti. La banca pu� operare su tre tipi di attivit�: X
0
che �
un�attivit� priva di rischio e che pu� essere indifferentemente
emessa o acquistata; X
1
e X
2
attivit� rischiose che possiamo
considerare prestiti e depositi rispettivamente. Tali attivit� hanno
rispettivamente rendimenti pari a: R
0,
E[R
1
], E[R
2
]. Il rischio deriva
dal fatto che la durata delle attivit�, delle passivit� e del periodo di
decisione della banca generalmente diverge. Inoltre se la durata dei
depositi risulta inferiore a quella dei prestiti si incorre nel rischio di
doversi rifinanziare ad un costo sconosciuto.
Pyle nella conclusione del suo lavoro dimostra che, nel caso
in cui i rendimenti delle tre attivit� siano incorrelati, la condizione
sufficiente per cui si abbia intermediazione, cio� vendita di depositi
per acquistare prestiti, � che il premio per il rischio sia positivo per
i prestiti, cio� E[R
1
]>R
0
, e viceversa negativo per i depositi,
E[R
2
]<R
0
. Se ci� non avvenisse converrebbe investire ed indebitarsi
nell�attivit� priva di rischio.
14
Il trattato classico � H. Markowitz, Portfolio selection, NEW YORK, John Wiley &
sons, 1959. Nel 1990 Markowitz ha vinto il premio Nobel per l�economia per il
suo lavoro sulla moderna teoria di portafoglio.
16
Se invece i rendimenti sono correlati sar� sufficiente che
E[R
1
]> E[R
2
]. In questo caso la ripartizione dell�attivo fra attivit�
rischiosa e attivit� priva di rischio dipende anche dai parametri dei
rendimenti di X
2
: in particolare la quota di prestiti detenuti dalla
banca sar� tanto maggiore quanto pi� piccolo sar� il premio per il
rischio per i depositi e quanto pi� la correlazione fra i rendimenti
sar� elevata.
Il contributo di Pyle, oltre ad evidenziare l�importanza di una
gestione integrata dell�attivo e del passivo, tende quindi a
sottolineare l�importanza dello spread come elemento che innesca
l�intermediazione; ed in tale spunto risiede al contempo il punto
debole della teoria, in quanto la stessa non � in grado di spiegare al
suo interno le determinanti dello spread.
I temi dell�incertezza e dei costi di transazione si intersecano,
perch� solo chi costruisce professionalmente e sistematicamente
contratti finanziari � in grado di promuovere tutte le possibili
economie di scala in materia e di offrire le tutele necessarie
affinch� vengano superati i timori che ostacolerebbero un�ampia
mobilizzazione delle risorse finanziarie. Gli intermediari esistono
per fronteggiare livelli di incertezza che i risparmiatori-investitori
non sarebbero capaci di sostenere individualmente ed esistono in
varie versioni perch� sono nate e si sono accentuate nel corso del
tempo diverse specializzazioni a fronte di differenti propensioni al
rischio
15
.
15
�Risulta profondamente chiara da quanto detto la natura profondamente
diversa dell�intermediario rispetto al mediatore. �Esso ottiene una
trasformazione di rischio, offrendo alle unit� in avanzo la solvibilit� propria in
cambio di quella delle unit� in disavanzo. Infine esso trasforma le diverse altre
condizioni che possono caratterizzare il contratto di trasferimento, offrendo ai
risparmiatori termini diversi rispetto a quelli richiesti dai prestatori�, Dematt�
(1990, pag. 46).