1. FATTORE DI SVILUPPO PER L’ALUNNO IN SITUAZIONE DI
HANDICAP
Prima di prendere in considerazione i diversi vantaggi correlati al processo di
integrazione, chiarendo la motivazione per la quale l‟integrazione è definibile “un
fattore di sviluppo”, è opportuno distinguere quest‟ultimo termine dall‟inserimento del
disabile nella scuola normale.
Per inserimento si fa riferimento al processo, iniziato a partire dagli anni ‟70,
consistente nel trasferimento degli alunni certificati dalle scuole e classi
speciali alla scuola dei bambini normodotati. In altri termini, esso è un
adempimento legislativo avvenuto a seguito sia della circolare redatta dalla senatrice
Franca Falcucci, la quale riteneva che la scuola fosse il luogo educativo più idoneo
per far superare “le condizioni di emarginazione in cui sarebbero condannati gli
alunni handicappati”1, sia della Legge 517 del 1977 che ha previsto «l‟abolizione
delle classi differenziali per alunni disadattati.»2 Ad ogni modo, la semplice ottica
dell‟inserimento è riduttiva, poiché non tiene in considerazione la creazione di un
progetto educativo comune con i compagni di classe, realizzabile nel momento in cui
l‟insegnante di sostegno, in collaborazione con le colleghe curricolari, fissa obiettivi di
sviluppo significativi per il progetto di vita dell‟alunno certificato, da conseguire
parallelamente alla classe all‟interno di un percorso formativo inclusivo.
Per integrazione si intende, invece, un processo di accoglienza che richiede
l‟attenzione e l‟intervento contemporaneo di ogni membro del contesto scolastico. In
altri termini, l‟insegnante di sostegno non può e non deve essere l‟unica figura ad
interessarsi dell‟attività educativa e didattica dell‟alunno certificato, determinando
autonomamente “quella serie di cambiamenti qualitativi necessari per favorire
un‟esperienza realmente attiva all‟handicappato”3. Infatti, è necessario che anche le
colleghe curricolari ed i compagni di classe intervengano all’eliminazione di
1. Interventi a favore degli alunni handicappati (Circolare Ministeriale 8 Agosto 1975, n. 227)
2. Norme sulla valutazione degli alunni e sull‟abolizione degli esami di riparazione nonché altre forme di modifica
dell‟ordinamento scolastico (Art. 10 Legge 4 Agosto 1977, n. 517)
3. L. COTTINI, Ritardo mentale, apprendimento e integrazione scolastica, in F. NANETTI - L. COTTINI - M. BUSACCHI (1983),
Psicopedagogia del movimento umano. Teoria e pratica dell‟educazione motoria per soggetti normodotati e portatori di
handicap, Armando, Roma p. 118
15
quelle “barriere psicologiche e sociali che comprimono la qualità di vita
dell’alunno diversamente abile»4, in modo tale da raggiungere il massimo livello
possibile di efficacia, efficienza e funzionalità necessaria per poter soddisfare suoi
bisogni educativi speciali. Con quest‟ultima espressione si vuole intendere le
“difficoltà evolutive appartenenti all‟ambito educativo e apprenditivo che risultino
problematiche anche per il soggetto, in termini di danno, ostacolo”5 all‟adempimento
delle attività quotidiane intellettive o sociali e «stigma sociale»6, prodotto nel
momento in cui il tipo di menomazione, fisica o comportamentale, assume un tratto
distintivo negativo da parte della popolazione dei normodotati, provocando a sua
volta la formazione di un‟identità labile ed influendo negativamente sull‟integrità
psicologica del soggetto. In altri termini, per bisogni educativi speciali si fa riferimento
allo “sviluppo di competenze e di comportamenti adattivi, agli apprendimenti
scolastici e di vita quotidiana, alle attività personali e di partecipazione ai vari ruoli
sociali”7 che necessitano l‟attuazione da parte del team insegnante di educazione
speciale individualizzata.
Il processo di l‟integrazione richiede, da parte dei compagni di classe, la
manifestazione di un atteggiamento positivo e costruttivo nei confronti del loro
compagno certificato, consistente nell‟abbandonare sia eventuali timori e
diffidenze nei suoi riguardi, sia gli atteggiamenti discriminatori e di esclusione, quali
pregiudizi e stereotipi legati all’incontro con la disabilità. I primi due stati emotivi
nascono generalmente, in primo luogo, poiché la conoscenza della persona diversa
che si distacca dal modello di norma può provocare ansia e turbamento e, in
secondo luogo, giacché l‟accoglimento e l‟apertura mentale nei suoi confronti
comporta una perdita, seppur parziale, della propria identità (accogliere l‟altro
significa “fare spazio nella propria mente per percepire la presenza dell‟altro”8) e una
messa in discussione dei propri schemi mentali e convinzioni.
Il pregiudizio e lo stereotipo, invece, si formano, generalmente, come conseguenza
4. L. COTTINI (1989), Personalità, handicap, educazione, Montefeltro, Urbino, p. 242
5. D. IANES (2006), La speciale normalità. Strategie di integrazione ed inclusione per le disabilità e i Bisogni Educativi speciali,
Erickson, Trento p. 27
6. 7. Ibidem
8. M. POLITO (2000), Attivare le risorse del gruppo classe. Nuove strategie per l‟apprendimento reciproco e la crescita
personale, Erickson, Trento p. 96
16
della categorizzazione, processo cognitivo messo in atto nel momento in cui, la
mente dei bambini, sovrastata da numerosi stimoli ambientali, tende a semplificarli
ed analizzarli attraverso modalità superficiali.9 Di conseguenza, è possibile che
questi, nel caso del pregiudizio, compiano delle generalizzazioni, rifiutando il
compagno disabile soltanto perché appartiene alla categoria dei diversi non
soffermandosi, però, sulle sue qualità specifiche, mentre, per quanto riguarda lo
stereotipo, rischierebbero di formulare giudizi negativi sulle persone diversamente
abili, soltanto perché mostrano caratteristiche differenti (fisiche, cognitive) rispetto
alle «qualità pensate comunemente nella norma»10.
Quindi, il processo di integrazione implica un‟accoglienza e un‟accettazione globale
dell‟alunno certificato da parte dei compagni di classe e ciò significa che questi non
devono soffermarsi soltanto sui limiti provocati dalla natura della menomazione
provando, nei suoi confronti, soltanto sentimenti di pietà dimostrabili tramite il codice
verbale e la gestualità, ma cogliere anche «le sue potenzialità, le sue capacità, il suo
grado di essere e di pensare»11. Inoltre, i bambini devono saper cogliere, attraverso
un processo empatico, i suoi bisogni (fisici, intellettivi o sociali) ed essere disponibili,
spontaneamente, a realizzare interventi di aiuto e collaborazione, in modo tale da
favorire un suo benessere sociale ed un‟autorealizzazione nel campo
dell‟apprendimento, raggiungibile nel momento in cui ha la possibilità di dimostrare il
suo valore ed esercitare le sue abilità.
Gli insegnanti curricolari devono stimolare gli alunni, attraverso l‟attuazione di
un‟azione mediatrice, a manifestare, nei confronti del compagno diversamente abile,
un atteggiamento non soltanto di “tolleranza, intesa come «indulgenza nei
confronti del diverso»12, ma anche di «accettazione e ricerca attiva, di consenso
e desiderio»13 di averlo fisicamente in classe e di poter instaurare una relazione
comunicativa e affettiva con lo stesso. Inoltre, devono aiutarli ad eliminare proprio
quei pregiudizi e stereotipi che possono essere presenti durante un approccio iniziale
9. Come approfondimento, consultare S. SALMERI (2003), I percorsi della differenza: ermeneutica e pedagogia, Bonanno,
Acireale, p. 18 – 19
10 Ivi, p. 20
11. P. VAYER, Il contesto della classe, in P. VAYER - C. RONCIN (1991), L‟integrazione dei bambini handicappati nella classe,
Armando, Roma, p. 101
12. Ivi, p. 105
13. Ibidem
17
con l‟handicap, quindi a riconoscere il disabile non soltanto come “ego alter, un altro
individuo soggetto, ma anche come alter ego, vale a dire un altro me stesso con cui
comunico, simpatizzo, sono in comunione”14.
In altri termini, gli insegnanti devono invitare i bambini a riconoscere che anche il loro
compagno, a prescindere dalla sua diversità/disabilità, può provare le stesse loro
emozioni, stati affettivi, desideri, meritevoli di essere conosciuti attraverso il dialogo,
strumento efficace per dimostrare la disponibilità all‟apertura verso l‟altro. Ciò
significa che devono stimolarli a non considerare la persona normale come
persona ideale, a non soffermarsi su impressioni superficiali avute durante
l‟approccio iniziale con il compagno diverso ma, al contrario, ad avanzare, nei suoi
confronti, un interesse e una conoscenza profonda e a non attribuirgli un giudizio
di valore negativo soltanto perché la sua condotta, compromessa dalla natura della
menomazione, si discosta dal prototipo di norma concepito dalla cultura dominante.
Infine, gli insegnanti devono mostrare un interesse costante verso le sue qualità non
soltanto socio-affettive, ma anche intellettive, sui punti di debolezza e sui progressi
raggiunti durante il percorso didattico, poiché è imprescindibile tenerli in
considerazione per poter progettare, in compresenza con la collega di sostegno,
percorsi didattici inclusivi. La realizzazione di questi ultimi permette all‟alunno
certificato di rafforzare la sua “percezione di appartenenza al gruppo classe, ossia
percepirsi come parte di un tutto e sentirsi riconosciuto”15 come tale dai compagni. Di
questi i percorsi didattici inclusivi gli consentono di non sentire interiormente, quella
sensazione di inferiorità, tipica di quelle circostanze in cui il percorso formativo del
disabile non si intreccia mai con quello degli altri bambini. Quindi, durante le attività
condivise con la classe, le insegnanti curricolari devono mostrare nei confronti
dell‟alunno certificato, contemporaneamente alla collega di sostegno, una
disponibilità costante a porsi dal suo punto di vista, in modo tale da cogliere le
difficoltà riscontrabili nel percorso didattico, nonché un atteggiamento costante di
incoraggiamento e di rassicurazione affettiva, attraverso i quali egli possa ampliare
la fiducia nelle sue potenzialità e accettare i propri limiti causati dalla patologia,
senza conseguenze negative per la propria autostima.
14. M. PAVONE (2004), Personalizzare l‟integrazione. Un progetto educativo per l‟handicap tra professionalità docente e
dimensione comunitaria, La Scuola, Brescia, p. 28
15. A. CANEVARO, Riduzione dell‟handicap in A. CANEVARO - M. MANDATO (2004), L‟integrazione e la prospettiva
“inclusiva”, Monolite Editrice, Roma, p. 70
18
Si continua la trattazione ponendo attenzione sui benefici ricevibili dall‟alunno
certificato nel momento ha l‟opportunità di condurre il percorso scolastico in un
contesto classe dominato dal valore dell‟integrazione.
1.1 SOCIALIZZAZIONE
Un primo beneficio sottostante al processo di integrazione è la possibilità, da parte
dell‟alunno certificato, di ampliare la propria rete di relazioni interpersonali con
figure diversificate rispetto ai membri del suo gruppo familiare, strutturando,
pertanto, ad un livello progressivamente più profondo, rapporti reciproci e di
collaborazione. E‟ rilevante offrire all‟alunno certificato la possibilità di socializzare
con i suoi compagni in un contesto integrato, inteso come “processo attraverso il
quale ad ogni membro del gruppo vengono trasmessi valori e comportamenti dagli
altri stessi componenti”16, per due motivazioni:
- la socializzazione permette al disabile di soddisfare il suo bisogno di
partecipazione sociale, evitandogli, quindi, di vivere una potenziale
esperienza di insicurezza e di negativa immagine di sé, legata alla condizione
di emarginazione in classe, e, pertanto, di incrementare il suo livello
caratteriale di sicurezza e fiducia in se stesso;
- è possibile che la famiglia, a seguito della nascita del figlio disabile, sperimenti
una situazione di isolamento sociale e, di conseguenza, le occasioni per
stabilire rapporti di amicizia al di fuori del contesto scolastico
potrebbero essere esigue e superficiali.
Per quanto riguarda la prima motivazione, la classe si pone nella condizione di
soddisfare il desiderio comunicativo del proprio compagno diversamente abile,
definito come un «bisogno fondamentale dell’essere»17, realizzabile, per
l‟appunto, manifestando un accoglimento mentale nei suoi confronti. Infatti, il
comportamento individuale è indirizzato non soltanto alla soddisfazione di necessità
16. P. DI BLASIO, Lo sviluppo sociale, in L. CAMAIONI – P. DI BLASIO (2002), Psicologia dello sviluppo, Il Mulino, Bologna, p.
152
17. RONCIN, Gli atteggiamenti e i comportamenti dei bambini, in P. VAYER - C. RONCIN (1991), L‟integrazione dei bambini
handicappati nella classe, op. cit., p. 86
18. M. L. FALORNI (1968), Aspetti psicologici della personalità nell‟età evolutiva, Giunti, Firenze p. 23
19
primarie e fisiologiche (es. ricerca di cibo e protezione fisica), ma anche di “bisogni
psicosociali, intesi come desiderio di espansione e apertura verso altro da sé”18 e
soddisfabili nel momento in cui si ha l‟opportunità di stabilire intensi rapporti sociali e
amicali dominati dall‟affettività, dal rispetto e dall‟empatia reciproca.
In altri termini, i bambini normodotati devono offrire all‟alunno certificato la possibilità
di essere inserito all‟interno di una relazione gratificante, caratterizzata da una
condizione di fiducia e di confidenza reciproca dimostrata da ogni membro per ogni
membro. Inoltre, la relazione amicale, essendo basata su “principii come
l‟uguaglianza reciproca e la non unilateralità nella trasmissione del sapere, le quali
presuppongono la non distinzione tra migliori/peggiori dal punto di vista scolastico”19,
gli permette di non percepirsi in una posizione di inferiorità ed emarginazione rispetto
ai suoi compagni.
Per ciò che concerne la seconda motivazione, invece, la condizione di isolamento
sociale nella quale si trovano i genitori di un figlio disabile è causata, principalmente,
sia dalla riduzione del tempo libero dedicabile ad intraprendere relazioni sociali con
un gruppo amicale, sia dalla creazione di una certa lontananza emotiva tra
quest‟ultimo e loro.
Infatti, nel primo caso, questi si rendono consapevoli che la nascita di un figlio
certificato può “modificare la loro identità personale (sé soggettivo) e familiare
(la progettualità condivisa, le abitudini e i ritmi di vita”20). Il mutamento
dell‟identità personale avviene, ad esempio, nel momento in cui la madre,
percependo interiormente un senso di inadeguatezza e di sconfitta per non aver
“dato alla luce” il figlio desiderato e, avendo creato, nella propria mente, un immagine
di figlio ideale discrepante da quello reale, potrebbe identificarsi soltanto con il ruolo
di mamma di un bambino con problemi, esibendo nei suoi confronti un‟assistenza e
una dedizione totale. La modifica dell‟identità familiare è causata, invece,
dall‟acquisizione di coscienza che la nascita di un figlio certificato comporta
l‟ampliamento dell‟arco temporale che deve essere dedicato alla routine delle sue
19. P. DI BLASIO – E. CAMISASCA (1995), “Situazioni e contesto nel comportamento prosociale”, in P. DI BLASIO (a cura di),
Contesti relazionali e processi di sviluppo, op. cit., p. 194
20. E. TESIO, «Non è una situazione che domani smette». Intorno alla disabilità, in E. TESIO (a cura di) (2000), L‟uovo fuori dal
cesto: dinamiche affettive con i disabili e le loro famiglie, UTET libreria, Torino p. 24
20
cure quotidiane e, quindi, una riduzione degli «spazi soggettivi non allagati dalla
disabilità»21.
La creazione di una barriera di incomunicabilità e di lontananza emotiva tra i familiari
del disabile e quelli dei normodotati si può verificare nelle circostanze in cui i primi
vivono, interiormente, uno stato di disagio ad interagire con i secondi poiché si
rendono consapevoli che questi ultimi provano soltanto compassione nei loro riguardi
o, in casi estremi, esprimono giudizi negativi sulla loro capacità di svolgere il ruolo di
genitori, senza però riuscire a cogliere le problematiche (emotive, organizzative)
connesse alla situazione di disabilità. Ad ogni modo, “la mancanza di disponibilità di
una rete informale di rapporti sociali con figure esterne al nucleo familiare si
ripercuote negativamente sia sui genitori”22, sia sui bambini certificati stessi.
Infatti, l’opportunità di ricevere un sostegno psicologico - emotivo da un
eventuale gruppo amicale porrebbe i genitori nella condizione favorevole “di
potenziare e di utilizzare le loro forze interiori per adattarsi costruttivamente e
affrontare positivamente l’evento della nascita del figlio disabile”23. In altri
termini, questi riuscirebbero, in maggior misura, a superare la fase dello shock
emotivo, caratterizzato dalla “sensazione di essere travolti e schiacciati dall‟evento
traumatizzante, e dalla tendenza a chiudersi in se stessi e a percepire, interiormente,
una sensazione di fallimento”24 per la discrepanza notevole creatasi tra l‟immagine
del figlio ideale e quello reale.
In modo particolare, il supporto sociale inciderebbe positivamente sull‟attenuazione
dello stress intrafamiliare, sul livello di accettazione dell‟evento critico e sulla
disposizione personale e familiare ad affrontarlo, controllarlo e gestirlo. Di
conseguenza, ciò influirebbe sul «livello di resilienza»25, definita come la competenza
attraverso la quale la famiglia è in grado di recuperare un livello di funzionamento
paragonabile a quello antecedente all‟evento critico, ricercando soluzioni efficaci per
affrontarlo in modo opportuno (ad esempio, ampliare le proprie conoscenze sul
21. Ibidem
22. D. IANES, Lo stress in M. PAVONE – M. TORTELLO (a cura di) (1999), Pedagogia dei genitori, Handicap e famiglia.
Educare alle autonomie, Paravia Scriptorium, Torino, p. 167
23. Ivi, p. 159
24. 172
25. M. MANETTI - L. MERIONE, I percorsi adattivi delle famiglie: problemi e risorse familiari, il punto di vista della comunità, in
M. ZANOBINI - M. MANETTI (2002) – M. C. USAI, La famiglia di fronte alla disabilità. Stress, risorse, sostegni. Erickson, Trento
p. 55.
21
deficit oppure rafforzare la coesione intrafamiliare), senza quindi mettere in atto
«meccanismi di fuga ed evitamento»26.
In ultimo, poter ricevere un supporto affettivo da parte di un gruppo amicale
stimolerebbe i genitori ad acquisire maggiore coscienza su quali possano essere gli
effettivi positivi prodotti, nella dimensione emotiva e sociale della loro personalità,
dalla presenza di un figlio certificato nel nucleo familiare: “poter incrementare il valore
della pazienza, dell‟umiltà, della tolleranza e della sensibilità nei riguardi dei bisogni
altrui”27.
Per il bambino disabile, invece, la mancanza di rapporti sociali con il gruppo dei pari
ha ripercussioni negative sulla percezione delle sue caratteristiche caratteriali e
relazionali, in quanto l‟assenza di opportunità di dedicare un arco di tempo ad attività
non legate strettamente e solamente all‟evento disabilità, lo pone nella condizione
sfavorevole di svalutare la sua immagine reale, fino a considerarla, in casi estremi,
solamente come un‟identità malata.
1.2 SVILUPPO DELLLA PERSONALITA’
Al fine di poter comprendere il ruolo e l‟influenza svolta dall‟ambiente in generale (in
questo caso, scolastico) nella costruzione della personalità, è necessario
sottolineare che quest‟ultima, definita come un insieme di caratteristiche psichiche e
modalità di comportamento evidenziabili nella molteplicità e diversità delle situazioni
ambientali in cui l‟individuo si esprime o ad operare, è una struttura composta. Infatti,
essa non è costituita soltanto dal “temperamento (impulsi, stati affettivi,
disposizioni), quindi da componenti più o meno ereditabili in base al corredo
genetico”28 e mantenuti stabili, generalmente, durante il percorso evolutivo, ma
anche dal carattere (atteggiamenti, credenze, valori), vale a dire da un insieme di
fattori acquisibili attraverso l’apprendimento sociale e influenzati dal complesso
esperienziale del soggetto, dalle attese culturali relative ai vari ruoli e alle circostanze
sociali.
26. Ivi, p. 56
27. D. IANES, Lo stress in M. PAVONE – M. TORTELLO (a cura di) (1999), Pedagogia dei genitori, Handicap e famiglia.
Educare alle autonomie, op. cit., p. 162
28. M. L. FALORNI, Aspetti psicologici della personalità nell‟età evolutiva, op. cit., p. 86
22
Lo sviluppo e la modificazione della personalità avviene secondo una logica
interattiva, ossia attraverso una contemporanea azione delle componenti biologiche
(cause interne) e ambientali (cause esterne) e non solamente dalla singola azione
delle prime o delle seconde, ottica presupposta, rispettivamente, dal modello di
sviluppo costituzionale o ambientale. Infatti, secondo il primo modello, la personalità
è solamente influenzata dalla costituzione fisica -il tipo robusto correlato ad un
temperamento socievole, il tipo atletico collegato ad un‟indole coraggiosa e il tipo
fragile associato alle persone riservate e chiuse in se stesse-29 e dall‟insieme dei
caratteri ereditari trasmessi attraverso il patrimonio genetico e derivanti dalla
combinazione dei geni materni e paterni. Per il secondo modello, al contrario, essa è
determinata sia “dall‟ambiente fisico, per il quale si fa riferimento alla posizione
geografica e alle condizioni climatiche correlate”30, ma anche da quello psicologico,
che può comprendere i seguenti contesti:
- familiare, in cui si fa riferimento al livello di coesione tra i propri membri ed
evidenziabile in base al grado di soddisfacimento dei bisogni personali quali
amore, sostegno e sicurezza;
- scolastico/lavorativo, quindi all‟atteggiamento degli insegnanti, compagni di
classe/colleghi, abitudine a svolgere compiti/mansioni in modo isolato o
possibilità di realizzare attività collaborative;
- sociale, correlato all‟instaurazione di relazioni interpersonali e alla sua
intensità e frequenza;
- culturale, ossia dipendente dai valori e dalla presenza di pregiudizi che
caratterizzano l‟ambiente in cui l‟individuo vive.
Secondo il modello interattivo, lo sviluppo della personalità non è un progetto
preordinato nel quale l‟individuo adotta una funzione prettamente passiva, basata
solamente sull‟influenza del temperamento e dell‟ambiente, ma, all‟opposto, implica
una sua partecipazione attiva nella costruzione della medesima, in modo tale da
favorire un‟autorganizzazione (costruzione e ricostruzione della coerenza interna)
secondo livelli di complessità progressivamente più elevati. In altri termini, questo
29. Come approfondimento, consultare S. GLUCKSBERY, La personalità in J. DARLEY – S. GLUCKSBERY – R. A KINCLA
(1990), Sviluppo, personalità e psicologia clinica, psicologia sociale, Il Mulino, Bologna, pp. 121-125
30. M. L. FALORNI (1968), Aspetti psicologici della personalità nell‟età evolutiva, op. cit., p. 90
23
processo richiede uno scambio interattivo tra individuo e l‟ambiente nel corso del
quale il primo ha la possibilità di ricevere uno spettro di informazioni dal contesto
culturale, ma anche l‟opportunità di selezionarle e attribuirgli un significato personale
in base ai propri stati emotivi interni. 31
Pertanto, il modello interattivo tra individuo e ambiente non concepisce la personalità
come un insieme di tratti stabili, permanenti e strutturati (primari, che caratterizzano
la personalità individuale in modo marcato e pervasivo, centrali e secondari, che, a
loro volta, si mostrano in minor misura e non sono necessari per comprenderne le
dinamiche interne), a partire da un‟origine biologica riconducibile per lo più al
temperamento. Al contrario, essa può essere paragonata ad un sistema, i cui
elementi fondanti contribuiscono, contemporaneamente, sia alla sua stabilità e al suo
equilibrio interno, sia a modulare le caratteristiche della personalità in base alle
circostanze ambientali e di realizzare un processo di ricerca attiva delle condizioni
che possano soddisfare i bisogni emotivi dell‟individuo. 32
Si conclude il paragrafo ponendo attenzione sulla modalità con cui si sviluppa la
personalità dei bambini certificati con ritardo cognitivo.
Il deficit intellettivo influisce sullo sviluppo della personalità e sulle sue componenti
più specifiche, in quanto “l‟oggettiva limitazione biologica provoca una
compromissione permanente o transitoria delle condizioni psicofisiche”33:
- livello di estroversione, poiché il bambino con ritardo cognitivo presenta una
maggior diffidenza verso l‟estraneo, ma anche maggior fiducia nei confronti
delle persone conosciute;
- motivazione, dato che mostra una minore attrazione per i rinforzi intrinseci,
con conseguente riduzione dell‟impegno e dell‟interesse dimostrabile in modo
generalizzato e non soltanto selettivo a singole attività;
- riduzione della stabilità emotiva, soprattutto quando questo disturbo è
associato ad un quadro clinico di disturbi d‟ansia o d‟umore;
- minor apertura mentale, a causa della scarsa autostima e quindi di
un‟immagine mentale di sé compromessa.
31. Come approfondimento, consultare C. MAFFEI, Personalità e sviluppo, in C. MAFFEI - M. BATTAGLIA - A. FOSSATI
(2002), Personalità, sviluppo e psicopatologia, Laterza, Bari, pp. 121-125
32. Come approfondimento, consultare le pp. 48-59 del volume sopracitato
33. L. COTTINI (1989) Personalità, handicap, educazione, Montefeltro, Urbino. p. 17
24
- livello di altruismo e di disponibilità alla cooperazione varia, a secondo dello
specifico disturbo cognitivo (ad esempio, è minore nei casi clinici di disturbi
pervasivi dello sviluppo che presuppongono una compromissione o uno
sviluppo anomalo nell‟interazione sociale).
- maggior dipendenza dall‟adulto e minor uso spontaneo delle capacità e degli
schemi di azione propri. 34
Le caratteristiche della personalità non sono solo la semplice conseguenza
delle dotazioni native e quindi della natura del deficit cognitivo, ma anche il
riflesso delle situazioni ambientali, in quanto essa è di «natura dinamica e quindi
suscettibile di sviluppo continuo»35. Pertanto, un contesto scolastico tendente a
mostrare un atteggiamento di emarginazione e rifiuto nei confronti dell‟alunno
certificato può causare una compromissione dei tratti di personalità sopraelencati.
Al contrario, l‟inserimento dell‟alunno certificato in una realtà scolastica nel quale i
compagni di classe hanno interiorizzato il «senso del noi»36, inteso come
propensione spontanea ad aiutarsi reciprocamente al fine di raggiungere il maggior
livello possibile di benessere e di autorealizzazione personale, è una strategia
efficace per favorire la modificazione positiva della sua personalità; soprattutto, come
si affronterà nei seguenti paragrafi, nell‟ambito del livello di autostima e motivazione
personale.
1.2.1 AUTOSTIMA
All‟interno di un contesto integrativo, e‟ possibile incrementare il livello di autostima
dell‟alunno certificato, ossia la sua «valutazione soggettiva dei tratti che
caratterizzano il proprio sé»37, poiché questo costrutto psicologico non è
influenzato unicamente dalle reali abilità personali possedute, ma anche dal
tipo di feedback ricevuto da figure significative quali, in questo caso, i compagni di
classe e il team di insegnanti. Pertanto, al fine di valutare le sue caratteristiche
34. Come approfondimento, consultare sito web: www.ritardomentale.it
35. L. COTTINI (1989), Personalità, handicap, educazione, op. cit., p. 16
36. M. POLITO (2000), Attivare le risorse del gruppo classe. Nuove strategie per l‟apprendimento reciproco e la crescita
personale, op. cit., p. 62
37. A. POPE, Il concetto di autostima, in A. POPE - S. Mc HALE - E. CRAIGHEAD (1992), Migliorare l‟autostima. Un approccio
psicopedagogico per bambini e adolescenti, Erickson,Trento p. 14
25
personali (fisiche, intellettive e relazionali), l‟alunno certificato può tenere in
considerazione non soltanto l‟esito ottenuto attraverso il confronto di queste ultime
con una serie di criteri ideali oppure reali (i compagni di classe e gli insegnanti), ma
anche la qualità delle esperienze vissute con le persone rilevanti per la sua crescita
cognitiva e sociale e il tipo di «messaggi che gli inviano riguardo al suo valore come
persona»38. In altri termini, il giudizio attribuito alla sua immagine reale è
influenzata notevolmente dalla funzione specchiante svolta dagli insegnanti e dai
compagni di classe, vale a dire dalla sensazione di essere (o non essere) da loro
accolto, valorizzato e stimato nella sua diversità.
Si continua la trattazione specificando in che modo gli insegnanti e i compagni di
classe possono contribuire all‟incremento delle seguenti dimensioni dell‟autostima
dell‟alunno certificato:
- la dimensione sociale
- la dimensione scolastica
- la dimensione fisica
- la dimensione globale
Per dimensione sociale si riferimento all’immagine di sé, come figura sociale e
amicale nei confronti del gruppo dei pari e ciò varia in base sia al livello di
abilità sociali possedute e necessarie per stabilire quei contatti sociali desiderati,
sia in base alla qualità dei rapporti interpersonali, connotati dal punto di vista
emotivo-affettivo, intrapresi con i compagni di classe, quindi alla loro disponibilità
spontanea ad estenderli anche in orario extrascolastico.
Pertanto, i bambini devono accogliere e valorizzare il compagno certificato, in modo
tale da offrigli l‟opportunità di provare soddisfazione sulla quantità e qualità del
rapporto amicale instaurato con loro; mentre, nel caso in cui questi gli
manifestassero rifiuto, l‟alunno tenderebbe a mostrare una maggiore chiusura in se
stesso e timore nei confronti dei pari, con una conseguente ripercussione negativa
sul livello di autostima globale.
Per dimensione scolastica si vuole intendere la percezione di sé come studente e
38. D. PLUMMER (2002), La mia autostima. Attività di sviluppo personale per una buona immagine di sé, Erickson, Trento p. 13
26
ciò è influenzata dalla capacità dell’insegnante di sostegno di applicare il
principio dell’individualizzazione, vale a dire di “progettare interventi di
educazione, formazione e istruzione adattati alle sue caratteristiche specifiche -
bisogni, interessi, attitudini e competenze-, al fine di promuoverne le sue
potenzialità”39, ossia i suoi «originali talenti»40.
Infatti, adattando efficacemente il curricolo didattico di classe al livello di sviluppo
dell‟alunno certificato, si porrebbe quest’ultimo nella condizione di riuscire a
cogliere il valore di sé e delle sue prestazioni, valorizzare le sue aree di forza e
accettare le sue debolezze e quindi incrementare il livello di autostima nel versante
sopracitato.
Nel caso in cui le attività proposte fossero fissate ad un livello eccessivamente
superiore rispetto alle reali capacità, l‟alunno percepirebbe stati emotivi quali
frustrazione e delusione a seguito dell‟insuccesso e, inoltre, mostrerebbe una
riduzione di motivazione come conseguenza della condizione di arrendevolezza
creatasi interiormente. All‟inverso, proporre percorsi didattici cristallizzati dal punto di
vista della complessità, oltre a provocare una riduzione di interesse nel disabile,
rischierebbe di trascurare la sua crescita cognitiva, ossia di cogliere la necessità di
favorire il massimo sviluppo possibile delle sue potenzialità, in modo tale da offrigli
l‟opportunità di agire nel modo più completo possibile, nonostante i suoi limiti
derivanti dalla menomazione. Quindi, si incorrerebbe nell‟errore di considerare gli
alunni certificati come bambini ai quali è “amputato il divenire, in quanto il futuro
sarebbe caratterizzato dal segno dell‟impossibilità”41.
I compagni di classe, invece, possono contribuire all’incremento della
dimensione scolastica, mostrando quei comportamenti, sottesi alla cultura
dell‟integrazione, di aiuto e collaborazione. Mediante l‟adozione di questo tipo di
condotta, infatti, pongono il compagno in difficoltà nella condizione favorevole per
sviluppare le sue potenzialità nella misura massima possibile, soddisfare il suo
«bisogno di autocompimento»42 e, quindi, «incrementare il suo spazio di vita e il
39. Regolamento recante norme in materia di autonomia scolastica (articolo 1, comma 2 Decreto del Presidente della
Repubblica 8 Marzo 1999, n. 275);
40. M. PAVONE, Piano dell‟offerta formativa e didattica della diversità, in G. BERTAGNA - S. GOVI - M. PAVONE (2001), POF.
Autonomie delle scuole e offerta formativa, La Scuola, Brescia, p. 237
41. L. COTTINI (1989) Personalità, handicap, educazione op. cit., p. 222
42. H. MASLOW (1973), Motivazione e personalità, Armando, Roma p. 99
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livello di dominio»43 che sarebbe in grado di esercitare nelle diverse discipline
scolastiche.
Per dimensione fisica si vuole fare riferimento al grado di soddisfazione che
l’alunno certificato attribuisce alla sua immagine corporea, ossia al «quadro
mentale inerente a come il suo corpo appare a se stesso»44. Ad esempio, gli
alunni normodotati possono favorire il potenziamento di questa dimensione, in un
compagno certificato con un deficit fisico, fornendogli una serie di «strategie di
rifocalizzazione»45, con le quali riesce ad ottenere “un‟autopercezione soddisfacente
di se stesso e a cogliere il senso generale del suo valore”46. In particolare, devono
invitarlo a soffermare la sua attenzione non solo sulle caratteristiche del corpo
oggetto di disabilità, ma anche su altre capacità fisiche esibite ad un livello del
tutto soddisfacente (es. “anche se hai difficoltà a giocare a pallavolo, riesci a
correre più velocemente di noi…”), sia su altri ambiti scolastici nei quali dimostra
particolari punti di forza (es. i calcoli matematici per quanto riguarda gli alunni
autistici, in quanto la logica astratta alla base della disciplina si adatta
particolarmente alla mente rigida di questi soggetti).
Per immagine globale si fa riferimento al grado di apprezzamento del proprio sé, il
quale varia dalla discrepanza tra il suo Sé attuale e Sé ideale, ovvero tra la
“rappresentazione che ha di se stesso, delle qualità che pensa di possedere
effettivamente, di come egli spererebbe di essere e delle caratteristiche personali
che vorrebbe acquisire”47. Gli insegnanti e i compagni di classe, intervenendo in
questa direzione, permetterebbero all‟alunno certificato sia di ridurre la difformità
creatosi tra le due immagini sopracitate, sia di evitare di percepire disposizioni
emotive quali la frustrazione e l‟insoddisfazione per non essere in grado di
corrispondere all‟immagine di sé ideale che si era creato nella sua mente.
I compagni di classe, ponendosi nei suoi confronti come figure disponibili ad
43. L. COTTINI (1989), Personalità, handicap, educazione op. cit. p. 243
44. P. SCHILDER (1973), Immagine di sé e schema corporeo, Franco Angeli, Milano, p. 18
45. E. CRAIGHEAD, L‟immagine corporea in A. POPE- S. Mc HALE- E. CRAIGHEAD (1992), Migliorare l‟autostima. Un
approccio psicopedagogico per bambini e adolescenti, op. cit., p. 159
46. Ibidem
47. R. DE BENI, Obiettivi di apprendimento come contenuti o strutture, in R. DE BENI - A. MOE‟ (2000), Motivazione e
apprendimento, Il Mulino, Bologna p. 102
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instaurare un rapporto amicale con lui, gli offrirebbero l’opportunità di migliorare
la reazione emotiva nei confronti della sua disabilità, riducendo quegli stati
emotivi di disagio e malessere prodotti dall‟incapacità, a causa della relativa
menomazione, di svolgere un‟attività dal punto di vista fisico e intellettivo secondo i
canoni di normalità, previsti dall‟immaginario comune.
Un primo beneficio correlato all‟innalzamento del livello di autostima è l‟acquisizione
di una visione sana di sé (e non di inferiorità), consistente nello stabilire,
interiormente, una condizione di benessere psicologico nonostante la
compromissione del funzionamento cognitivo, sensoriale o motorio causata dalla
relativa menomazione. In altri termini, questo costrutto psicologico permette al
bambino certificato di potenziare il grado di apprezzamento delle sue potenzialità e di
acquisire un maggior grado di fiducia di poter migliorare i suoi punti di debolezza.
Inoltre, gli consente di potenziare il livello di iniziativa personale e di autonomia
indispensabili per mettersi in gioco ad affrontare nuove esperienze, in modo tale da
soddisfare il suo bisogno di “esplorazione e di curiosità, intesa come desiderio di
scoprire il mondo e dare un senso a quello che scopre”48.
In ultimo, l‟aumento del livello di autostima pone l‟alunno nella condizione favorevole
di attribuire alle sue difficoltà, riscontrate nel percorso scolastico e di vita,
caratteristiche di specificità e instabilità, ossia considerarle, nel primo caso, come
fattori rilevabili soltanto in singole attività didattiche e non generalizzate all‟intero
curriculum scolastico, mentre, nel secondo, valutarle come eventi isolati, non
verificatisi in precedenza e che probabilmente potrebbero non aver luogo in futuro.
Per di più, questo tipo di stile di attribuzione degli eventi permette all‟alunno
certificato di acquisire coscienza che, attraverso l‟impegno e la tenacia esercitatile, è
possibile superare le singole difficoltà, poiché potrebbe considerarle come fattori
controllabili e non permanenti, atteggiamento che lo condurrà, come si sottolineerà
nel successivo paragrafo, a potenziare il livello di motivazione durante il percorso
scolastico.
48. D. FONTANA (1984), Personalità e educazione, Il Mulino, Bologna, p. 45
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