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INTRODUZIONE
Di fronte all’attuale e forse definitivo stallo del processo costituzionale europeo,
molti interrogativi sorgono sui possibili sviluppi di un cammino che, tra tante
difficoltà e per successivi stadi di integrazione, ha condotto l’Unione Europea a
dotarsi di competenze e strutture istituzionali di complessità non paragonabile
a quelle di altre organizzazioni internazionali, fino all’adozione della Carta dei
diritti fondamentali, testo la cui necessità, almeno formale, era sempre più
sentita, data l’importanza assunta dall’Unione quale attore istituzionale,
concretamente incidente sulle posizioni giuridiche dei cittadini degli Stati
membri.
È ben noto come tali sviluppi abbiano richiamato l’attenzione della dottrina
costituzionalistica, dapprima molto titubante ad applicare al processo di
integrazione comunitaria i concetti della sua scienza giuridica, ma in seguito
quasi costretta ad adeguarsi ad una realtà innegabile e non più relegabile sotto
le definizioni della scienza giuridica classica, con la quale necessariamente
confrontarsi, non sovrapponendo semplicemente la dimensione nazionale a
quella comunitaria
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, ma cercando di costruire nuove declinazioni dei termini
del costituzionalismo classico, così da creare le condizioni per la definizione di
uno spazio politico europeo.
Partendo da questi presupposti, l’attenzione della dottrina è stata
inevitabilmente richiamata dal processo di scrittura e costruzione di un testo
lato sensu costituzionale per l’Europa, dalla giustapposizione dei principi che ad
esso dovevano presiedere per la proposizione di una “forma di governo” in
grado di contemperare tanto le esigenze di efficienza reclamate da
un’organizzazione ampia e complessa, quanto le istanze democratiche e
partecipative, tendenti ad avvicinare realmente, e non solo sulla carta, le
1
La sostanziale inadeguatezza di tale operazione è stata posta in rilievo dagli studiosi più aperti
e meno legati agli schemi formali della classica scienza del diritto pubblico. Cfr. F. PETRANGELI,
La questione democratica nel processo di riforma dell’Unione Europea, in AA. VV., Europa,
Costituzione, movimenti sociali, Bologna 2003, p.144
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istituzioni europee a modelli di governo costituzionale almeno prossimi a quelli
dei suoi Paesi membri.
Dopo il sostanziale fallimento del testo costituzionale prodotto dalla
Convenzione (in seguito agli esiti negativi dei referendum francese ed olandese)
e nonostante la recente approvazione del Trattato di Lisbona, le prospettive
dell’integrazione sono al momento incerte e ciò, se ha per ora bloccato il
discorso costituzionale europeo, ha prodotto non solo analisi approfondite delle
disfunzioni del testo del Trattato costituzionale ma anche più generali
riconsiderazioni di quelle che possono essere state intese come le cause della
scarsa percezione democratica a livello di opinione pubblica. Tra queste,
possono senza dubbio collocarsi la sensazione di “distanza” del cittadino nei
confronti dei processi decisionali e la scarsa accountability delle istituzioni
europee, argomenti sui quali peraltro non ha inciso in maniera significativa il
testo del Trattato costituzionale né sembra poter incidere quello del nuovo
Trattato.
Non a caso, è un discorso ormai risalente ad alcuni decenni addietro quello
relativo al deficit democratico dell’Unione Europea, concetto che sembra aver
accompagnato la storia della costruzione europea fin dalle sue origini, anche se
con accezioni diverse a seconda del momento storico e del tipo di approccio
praticato sul tema. Inizialmente, il dibattito sulle carenze democratiche della
costruzione europea si era incentrato soprattutto sulla marginalità del ruolo del
Parlamento europeo nel processo decisionale e sulla sua natura ibrida di organo
rappresentativo ma sostanzialmente privo di effettivi poteri di indirizzo politico
e dotato, al più, di una mera compartecipazione all’adozione degli atti
normativi europei. Questa prospettiva, pur con evidenza legata alle esperienze
nazionali europee e originata da un tentativo di confrontare sistemi ed
esperienze incommensurabili, lasciava man mano il passo ad una visione
funzionalista del deficit, trasposta sul piano dell’efficienza decisionale ed
istituzionale, anche in ragione della crescente importanza dei meccanismi e
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delle procedure di voto, e della sempre più complessa intersezione, in
quest’ambito, tra istanze rappresentative e tecnocratiche
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.
Ma i procedimenti decisionali dell’Unione si articolano da ormai alcuni decenni
in meandri istituzionali angusti, complessi e di non agevole accessibilità,
ricadenti in ambiti tecnici piuttosto che politici, tanto che la loro stessa esistenza
è stata finora quasi del tutto trascurata dagli studiosi degli equilibri istituzionali
europei nell’ottica del diritto costituzionale, mentre è stata presa in
considerazione in prevalenza dalla dottrina amministrativista, anche a causa
dell’incerta collocazione di alcuni degli organi istituzionali in questione tra
funzione esecutiva e tecnico-amministrativa. Si tratta dell’enorme mole di
Comitati tecnici, consultivi ed esecutivi che prendono parte alle diverse fasi
decisionali ed attuative degli atti normativi comunitari: un apparato vasto e
complesso, spesso operante all’ombra delle altre istituzioni, rilevante non solo a
livello procedurale ma anche e soprattutto perché è principalmente su questo
piano che si giocano i delicati equilibri istituzionali dell’Unione, la ripartizione
dei poteri al suo interno, nonché molte delle possibilità di una più compiuta
esplicazione del principio democratico a livello sovranazionale. La loro attività
è sorta dalla situazione per cui – benché in quasi tutti i campi coperti dalla
procedura di cooperazione, l’attività legislativa sia attribuita al Consiglio in
collaborazione con il Parlamento europeo – la competenza formale nella
preparazione delle proposte normative incombe alla Commissione, cui spetta
altresì il compito di sorvegliare sull’applicazione delle normative comunitarie
da parte dei Paesi membri. Questi due nodi cruciali dell’azione comunitaria
sono stati, nel corso degli anni, demandati all’azione di un amplissimo numero
di Comitati di esperti, la cui originaria funzione si collocava a supporto di tale
attività della Commissione.
La centralità del ruolo dei Comitati è particolarmente evidente nella definizione
delle misure di esecuzione – approvate dai Comitati della comitologia per oltre
2
G. ZAGREBELSKY, Introduzione a AA. VV. Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, Roma-Bari,
2003, p. VI
5
il 99 per cento del totale – ma ancor più significativa se si ha riguardo al
contenuto degli atti normativi dell’Unione, sui quali l’accordo si trova quasi
sempre in seno ai Comitati del Consiglio, così coinvolgendo in maniera decisiva
i rappresentanti delle amministrazioni nazionali nella determinazione delle
decisioni della Commissione. A ciò va aggiunto che tanto le iniziative
legislative che quelle di normazione secondaria adottate dalla Commissione
sono in realtà il risultato di analisi, valutazioni ed accordi in precedenza
compiuti da Comitati di esperti, elemento che rende oltremodo incerta
l’attribuzione sostanziale della paternità delle iniziative legislative alla
Commissione o piuttosto a tali organi tecnici, espressione diretta dei governi
nazionali.
L’importanza di queste articolazioni dell’amministrazione comunitaria è
tuttavia inversamente proporzionale alla loro accessibilità, non solo a livello di
opinione pubblica europea ma anche da parte delle stesse istituzioni
comunitarie. Questa sfera grigia dà luogo, inevitabilmente, ad una notevole
incertezza nella ripartizione ed attribuzione di poteri nell’Unione Europea,
spesso descritta in termini immaginifici da coloro che hanno tentato di
analizzarla e che si sono imbattuti in questa sorta di “mondo sommerso”
3
,
“potere nascosto”
4
, “mostro kafkiano”
5
, autentico “incubo burocratico”
6
sempre
presente, quasi come monito nei confronti dei tentativi di razionalizzazione del
sistema di governo europeo.
L’articolazione dei processi di produzione ed esecuzione normativa attraverso
collegi formati da “esperti” non è peraltro fenomeno radicalmente nuovo ed
esclusivo dell’Unione Europea, ma è tratto in qualche modo comune di molte
3
In tal senso, cfr. M.P.C.M. VAN SCHENDELEN, EC Committees: Influence counts more than legal
power, in R.H. PEDLER, G.F. SCHÄFER, Shaping european law and policy: the role of Committees and
comitology in the political process, Maastricht 1994.
4
D. GUÉGUEN, C. ROSBERG, Comitolgy and other EU committees and export groups. The hidden power
of the EU: finally a clear explanation, Bruxelles, 2004.
5
C. JOERGES, E. VOS, Structures of transnational governance and their legitimacy, in J.A.E. VERVAELE,
Compliance and enforcement of European Community Law, The Hague 1999, p. 92.
6
C. JOERGES, Bureaucratic nightmare, technocratic regime and the dream of good transnational
governance, in C. JOERGES, E. VOS, EU Committees: social regulation, law and politics, Oxford 1999, p.
3 ss.
6
organizzazioni internazionali che, comprendendo più ordinamenti statali, si
caratterizzano come ordinamenti compositi, ed anche di alcuni stati federali.
Essa rappresenta in qualche modo una naturale conseguenza della scissione tra
competenze tecniche e ruolo decisionale, oltre ad essere caratteristica comune di
qualsiasi sistema giuridico sviluppato: tuttavia, tale esperienza della
delegazione di poteri decisionali dà luogo ad una serie di problemi teorici e
pratici, poiché il fatto che atti aventi contenuto normativo siano predisposti da
organi separati da quelli legislativi implica innanzitutto l’insorgenza di
questioni di legittimazione concernenti le norme stesse, gli organi delegatari di
tali ampi poteri decisionali, nonché le condizioni in base alle quali tale
delegazione può aver luogo.
Rapportato all’organizzazione istituzionale dell’Unione Europea, l’argomento
presenta peculiari problemi originati dalla stessa natura del procedimento
legislativo primario e quindi dalle difficoltà di costituire un sistema funzionale
per gli atti secondari e di esecuzione. La risposta a questi problemi, almeno a
livello organizzativo, è stata appunto raggiunta attraverso l’intricata rete di
Comitati che, fin dalle origini delle Comunità europee, si è gradualmente
sviluppata, creando una sorta di spazio interstiziale tra le istituzioni
comunitarie, con il risultato evidente di una concentrazione di poteri nell’orbita
della Commissione e del Consiglio e della sostanziale esclusione del Parlamento
dalla partecipazione a fasi decisive tanto nel momento di elaborazione che in
quello di esecuzione della legislazione primaria. E ciò non deve di certo
sorprendere alla luce del sistema di governo dell’Unione, nel quale la finalità
dell’equilibrio istituzionale riveste il ruolo di principio guida, in luogo di
quello, di derivazione costituzionale, della separazione dei poteri. Proprio in
ragione di tali considerazioni, il sistema decisionale e la sua articolazione
rappresentano uno dei nodi centrali del processo di costituzionalizzazione
dell’Unione, poiché la perdurante presenza di meccanismi complessi ed oscuri
contribuisce senza dubbio ad allontanare il governo europeo da una prospettiva
istituzionale democratica e ad assimilarlo alle sembianze di uno Stato
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costituzionale piuttosto che a quelle di un’organizzazione internazionale. Se poi
si riflette sul proliferare di istanze partecipative democratiche a livello
continentale, espresse anche nel sostanziale successo del metodo-Convenzione
(a prescindere dai concreti risultati da esso raggiunti), risulta stridente il
contrasto tra le aperture al pubblico dibattito da esso prodotte ed incentivate e
l’attitudine all’ombra, strettamente connaturata alle decisioni dei Comitati di
esperti.
Ma v’è di più: il sistema del governo per Comitati, oltre ad essere uno dei nodi
problematici decisivi per l’integrazione costituzionale, rappresenta altresì uno
degli argomenti del diritto europeo che più si presta a diverse interpretazioni
ed approcci teorici e metodologici, la cui impostazione rileva ai fini dell’analisi
della realtà e delle prospettive del sistema istituzionale dell’Unione, ancora
sospeso – al pari di buona parte delle definizioni dottrinarie – nel dilemma tra
government e governance, tra disagevole adeguamento di concetti classici alla
nuova realtà e loro rideclinazione in una prospettiva non commensurabile a
quella dello Stato nazionale.
Vengono in considerazione, in tal senso, i due approcci prevalenti al tema in
oggetto, a seconda che l’accento venga posto sulla partecipazione degli
esecutivi dei Paesi membri ai processi decisionali comunitari oppure sulla
esigenze strutturali dell’Unione di dotarsi di una propria organizzazione
tecnico-amministrativa. Ridotta al semplice binomio tra infranazionalismo e
sovranazionalismo deliberativo, la questione della collocazione istituzionale del
sistema dei Comitati risulta tuttavia priva dell’elemento democratico
7
,
essenziale per impostare in termini costituzionali un discorso relativo a tali
organi. A tal fine, verranno presi in considerazione anche gli sviluppi della rete
dei Comitati e la loro possibile apertura ad istanze diverse da quelle meramente
governative che oggi li influenzano, e quindi le possibilità, come emerse ad
esempio da alcune proposte avanzate in Convenzione, di una loro riconduzione
nell’orbita del circuito democratico e rappresentativo.
7
J.H.H. WEILER, in ID., La Costituzione dell’Europa, Bologna 2003, p. 597 ss.
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Prima di affrontare i molteplici nodi problematici posti dal sistema dei
Comitati, sarà opportuno cercare di ricostruire la sua genesi istituzionale ed i
suoi sviluppi, al fine di individuare le concrete esigenze alle quali, per suo
tramite, si è inteso di volta in volta far fronte. Senza troppo indugiare in una
mera esposizione descrittiva, saranno tuttavia analizzati, nel primo capitolo, i
singoli passaggi attraverso i quali l’organizzazione per Comitati ha raggiunto
proporzioni tali da richiamare l’interesse degli studiosi ed anche la
preoccupazione delle istituzioni europee (esplicitate, per esempio, in maniera
netta nel Libro Bianco sulla governance del 2001). Nel medesimo contesto, si
provvederà a sistematizzare in maniera quanto più possibile razionale le
diverse funzioni svolte dai Comitati nell’ambito dell’elaborazione ed esecuzione
del diritto comunitario, valutando altresì l’incidenza della loro attività sulle
scelte delle istituzioni dell’Unione.
Saranno poi presi in considerazione i problemi posti dall’azione dei Comitati
nel processo decisionale, con particolare riferimento alle più volte denunciate
questioni relative all’accessibilità ed alla trasparenza, nonché alla possibilità di
controllo della loro attività da parte tanto delle istituzioni nazionali che
europee, ivi compresa la Corte di Giustizia. Una volta enucleate le delicate
questioni poste dall’attività dei Comitati, si passerà quindi, nel terzo capitolo,
ad una loro riconsiderazione dal punto di vista più strettamente costituzionale:
ciò nella duplice prospettiva del processo di costituzionalizzazione in atto
nell’Unione – e quindi della collocazione dei Comitati nel quadro istituzionale
europeo – e dei diversi modi di intendere l’attività di collegi “tecnici”, anche
con riferimento ai tradizionali ordinamenti costituzionali.
Poiché la loro specializzazione tecnica, talora peculiare, costituisce uno dei più
forti argomenti addotti a sostegno della loro partecipazione ai procedimenti
decisionali, sarà poi il caso di valutare, a mo’ di excursus, quanto i pareri
presuntivamente tecnici da essi espressi rispondano a rigorosi criteri sostanziali
e siano scevri da condizionamenti da parte non solo di soggetti istituzionali
nazionali, ma anche di gruppi di pressione e d’interesse estranei al circuito
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democratico. Per quanto possa infatti apparire avulso dalla presente analisi,
l’argomento del lobbying a livello comunitario è strettamente correlato con il
funzionamento dei Comitati, in quanto è sovente per loro tramite che non solo
avvengono i sotterranei contatti tra gruppi d’interesse e istituzioni europee, ma
si esplicano pure i più pervasivi canali di condizionamento delle decisioni,
anche di portata normativa, dell’Unione.
Infine, oltre al tentativo di delineare un quadro più chiaro dell’incerta
articolazione istituzionale dei Comitati, si provvederà ad analizzare l’attuale
processo di costituzionalizzazione e riforma dell’Unione in relazione ai profili
istituzionali così sottolineati, vagliando le proposte concernenti la rete dei
Comitati e gli sviluppi più recenti di tali organi. In questa analisi, non verranno
tralasciati gli interventi giurisprudenziali sul tema da parte della Corte di
Giustizia, peraltro non numerosi, né l’analisi delle trattazioni che in dottrina si
sono finora occupate dell’argomento, nelle diverse prospettive secondo le quali
esso è stato finora affrontato.