4
Premessa
Prima di entrare nello specifico di questo lavoro è necessario
premettere alcune considerazioni di ordine storico per capire
all’interno di quale contesto va ad inserirsi la riforma della
legge fallimentare ed in particolare le esenzioni di cui al terzo
comma dell’art. 67 l.fall.
In ogni paese, la normativa in materia di crisi dell'impresa
contiene un insieme di regole, che possiamo sinteticamente
individuare come “sistema revocatorio” dirette a modificare la
posizione di alcuni soggetti che hanno avuto rapporti con
l'imprenditore in un determinato periodo di tempo anteriore
all'apertura della procedura concorsuale
1
. Tali regole,
disciplinano una serie di attività svolte dal curatore allo scopo
di recuperare beni o valori astrattamente assoggettabili alla
liquidazione fallimentare che, per ragioni varie, alla data di
dichiarazione di fallimento non rientrano nella disponibilità
1
A tale scopo negli artt. da 64 a 71 del R.D. 1942, n. 267 trovano disciplina una serie di
fattispecie, intervenendo le quali determinati atti posti in essere dal fallito o anche da
terzi ma con effetti sul patrimonio del fallito possono essere resi inefficaci nei confronti
della generalità dei creditori concorrenti nel fallimento, con la duplice conseguenza di
portare nel nulla l’attribuzione patrimoniale conseguita dal soggetto convenuto in
revocatoria e di produrre, per tale via, una serie di corrispondenti implementazioni del
patrimonio del fallito e per esso della percentuale di recuperabilità dei crediti ammessi
al passivo. Tali fattispecie non hanno identica natura, ne tantomeno uguale disciplina.
Che “si svolge nell’interesse di tutti i creditori esistenti al momento dell’instaurazione
della procedura ed investe tutto il patrimonio del fallito”: F. FERRARA - A.
BORGIOLI, Il Fallimento, Milano 1995. Tali articoli disciplinano l’attività
recuperatoria propria del fallimento, nel senso che le altre azioni: riscossioni di crediti,
esecuzioni dei contratti, azioni surrogatorie o altro, possono essere esperite anche al di
fuori del fallimento, mentre, le attività da queste regolate è propria esclusivamente della
sede fallimentare, al punto che, la chiusura del fallimento rende improseguibile il
giudizio per revocatoria eventualmente in essere, mentre determina la sola interruzione
degli altri giudizi che potranno essere riassunti dal fallito tornato in bonis.
5
materiale o giuridica del soggetto fallito
2
. E’ come se il
legislatore avesse voluto, con l’azione revocatoria
3
,
“riavvolgere la pellicola” dell’attività dell’impresa fallita, dalla
data del fallimento ad un momento antecedente,
corrispondente a tutto il c.d. periodo sospetto, coinvolgendo
nella perdita causata dall’insolvenza, a determinate condizioni
soggettive e oggettive, tutti coloro i quali abbiano avuto, in
quell’arco temporale, rapporti commerciali con l’imprenditore
fallito, e disponendo la restituzione del bene o dei valori
“sottratti alla garanzia” di tutti i creditori
4
. Ha, dunque, una
2
G. LIMITONE, La ricostruzione del patrimonio del fallito, Roma 2004, in
http://appinter.csm.it/incontri/relaz/9962.pdf: “Tutte le azioni poste a tutela dei
creditori, in funzione della reintegrazione del patrimonio del debitore, sono incentrate
nella figura del curatore quale rappresentante della massa, essendo con il fallimento i
creditori privati della legittimazione ad esercitare le azioni già spettanti al debitore,
anche in via surrogatoria del medesimo (CASS. 7 novembre 2003, n.16715, in
www.ilfallimento/ipsoa.it
3
Definibile come l’azione giudiziale instaurata dal curatore diretta a far dichiarare
inefficaci, rispetto alla massa dei creditori, taluni atti posti in essere dal fallito prima
della dichiarazione di fallimento allo scopo non solo di recuperare alla disponibilità
della massa quei beni ceduti dal fallito a condizioni di ingiusto favore per l’acquirente e
a danno dei creditori, ma, piø in generale, e qui sorgono i maggiori contrasti, di
redistribuire tra tutti coloro i quali sono entrati in rapporti commerciali con
l’imprenditore fallito, in un dato arco temporale anteriore alla dichiarazione di
fallimento, il c.d. periodo sospetto, le perdite determinate dall’insolvenza. Così AA.
VV., Riforma fallimentare. Lavori preparatori e obiettivi, a cura di M. Vietti, F.
Marotta e F. Di Marzio, Milano 2007
4
F. FERRARA – A. BORGIOLI, Il fallimento, Milano 1995: “Ma nel fallimento noi
troviamo poi un’applicazione originale della revocatoria, in cui l’eliminazione del
pregiudizio per i creditori si realizza non tanto rendendo inoperante un effetto dell’atto
quanto piuttosto attribuendo all’atto un effetto diverso, si che i piø dubitano che si tratti
di revocatoria. La revocatoria fallimentare riguarda gli atti compiuti dal debitore in
epoca prossima alla dichiarazione di fallimento, che si ricollegano al suo stato di
insolvenza in quanto questo o esisteva già al momento in cui fu compiuto l’atto o
comunque si prevedeva imminente. Per valutare la portata della disciplina occorre
partire dall’art. 2904 così concepito: “Sono salve le disposizioni dell’azione revocatoria
in materia fallimentare..”. La salvezza fatta salva dalla legge implica che l’azione
revocatoria fallimentare rientri nella figura generale della revocatoria, non avendo senso
che esso si trattasse di istituto affatto diverso: esso vuol essere un avvertimento
all’interprete che si hanno bensì delle modifiche, ma esse non incidono sul profilo
essenziale dell’istituto. M. PROVINCIALI, in Man. Dir. fall, Milano 1999: “Questo
6
duplice conseguenza: mettere nel nulla l’attribuzione
patrimoniale conseguita dal soggetto convenuto in revocatoria
e produrre, per questa via, una serie di corrispondenti
implementazioni del patrimonio del fallito e, per esso, della
percentuale di recuperabilità dei crediti ammessi al passivo.
Sono fattispecie che non hanno identica natura e tantomeno
identica disciplina e, per comprenderne funzione ed
importanza, occorre tenere presente come l’imprenditore,
consapevole della crisi dell’impresa o della possibilità che
sopraggiunga il fallimento, possa porre in essere nel periodo
immediatamente precedente alla instaurazione del
procedimento, o persino in costanza di esso, atti suscettibili di
arrecare un danno ai creditori o taluni di essi
5
. Potrebbe, ad
esempio, accadere che esso si spogli di tutti o parte dei suoi
beni, allo scopo di sottrarli alla liquidazione fallimentare,
occultando il danaro ricavato dalla vendita; che costituisca una
causa di prelazione in favore di alcuni creditori, a danno di
altri; che soddisfi, in tutto o in parte alcuni creditori, lasciando
invece del tutto inadempiute altre obbligazioni di pagamento.
significa che la revocatoria fallimentare vuole rappresentare una difesa dei creditori
contro gli atti compiuti dal debitore in frode alle loro ragioni e che il mezzo tecnico per
neutralizzarlo è la dichiarazione di inefficacia”.
5
AA. VV, La riforma delle procedure concorsuali: lavori preparatori e obiettivi, a cura
di M. Vietti - M. Marotta - F. Di Marzio, Milano 2008
7
Ove non fossero previste azioni di contrasto o di riparazione a
condotte di tal genere, esse finirebbero col vanificare del tutto
la stessa ragion d’essere della procedura fallimentare
6
.
La revocatoria fallimentare, tuttavia, non colpisce, solo atti
fraudolenti, diretti intenzionalmente a sottrarre alla massa
fallimentare beni del fallito o ad approfittare delle sue
difficoltà economiche, ma anche atti di per sØ regolari e
dovuti, come pagamenti effettuati per debiti propri e scaduti
verso terzi
7
che non verrebbero posti in discussione qualora
l’azione revocatoria venisse proposta al di fuori della
procedura concorsuale secondo le norma dettate dal codice
civile per la revocatoria ordinaria.
In questo senso, l’azione fallimentare ha l’ulteriore effetto di
accollare una parte del costo della crisi a soggetti che
altrimenti non lo avrebbero subito o lo avrebbero subito in
6
Che “si svolge nell’interesse di tutti i creditori esistenti al momento dell’instaurazione
della procedura ed investe tutto il patrimonio del fallito”: F. FERRARA - A.
BORGIOLI, Il Fallimento, Milano 1995. Tali articoli disciplinano l’attività
recuperatoria propria del fallimento, nel senso che le altre azioni: riscossioni di crediti,
esecuzioni dei contratti, azioni surrogatorie o altro, possono essere esperite anche al di
fuori del fallimento, mentre, le attività da queste regolate è propria esclusivamente della
sede fallimentare, al punto che, la chiusura del fallimento rende improseguibile il
giudizio per revocatoria eventualmente in essere, mentre determina la sola interruzione
degli altri giudizi che potranno essere riassunti dal fallito tornato in bonis.
7
La revocatoria fallimentare si pone in un rapporto di specialità rispetto all’azione
revocatoria ordinaria prevista dall’art. 2901 del codice civile, dalla quale si differenzia
principalmente sul piano processuale, per la maggiore facilità di prova e la maggiore
ampiezza delle conseguenze legali della pronuncia di revoca. Da un lato, infatti, nella
revocatoria fallimentare, il curatore può valersi di un sistema di presunzioni che non
operano in sede di revocatoria ordinaria e che semplificano notevolmente l’onere
probatorio ricadente sulla curatela; dall’altro, la revocatoria ordinaria produce effetto
solo in favore del creditore che l’ha esperita, e di quelli che siano eventualmente
intervenuti nel giudizio, nel senso che soltanto questi, potranno poi agire
esecutivamente sui beni revocati. G. RAGO, Manuale della revocatoria fallimentare,
Padova 2008
8
misura minore. Il sistema revocatorio finisce, in sostanza, per
coinvolgere nella crisi, per motivi del tutto differenti, anche
soggetti diversi da coloro che risultano creditori alla data di
apertura della procedura, sicchØ sotto la scure delle revocatorie
fallimentari ricadono tanto atti eticamente discutibili, quanto
atti del tutto normali
8
.
L’azione revocatoria, nell’ambito delle procedure concorsuali
riveste, poi, un ulteriore funzione. Essa rileva, infatti, non solo,
per l’importanza degli effetti economici
9
che possono
determinare la inefficacia degli atti di disposizione del fallito o
su beni rientranti nel suo patrimonio
10
ma anche
indirettamente, per come la sua considerazione è in grado di
condizionare i comportamenti dei soggetti con i quali
l’imprenditore allaccia quotidianamente rapporti inerenti
l’esercizio dell’impresa
11
. E’ noto che, una disciplina piø o
meno severa dell’azione revocatoria fallimentare condiziona
fortemente la propensione degli interlocutori dell’imprenditore
ad intraprendere o mantenere rapporti commerciali con lo
stesso, sostenerlo oppure prenderne le distanze, specie in
8
Che, quest’ultimi non sarebbero a rigore revocati, qualora l’azione venisse posta la di
fuori della procedura concorsuale.
9
E questo, da sottolineare, anche solamente per aver avuto, in un dato arco temporale
precedente alla dichiarazione di fallimento, rapporti commerciali con l’imprenditore
Cosa che fa emergere già un conflitto di interessi tra creditori del fallito e coloro i quali,
a determinate condizioni soggettive e oggettive, sono coinvolti nella perdita causata
dall’insolvenza.
10
S. BONFATTI - P. F. CENSONI, La riforma della disciplina dell’azione revocatoria
fallimentare, del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, Padova 2006
11
Molto spesso imprenditori anche questi ultimi, soggetti che, per definizione,
assumono in proprio il rischio dell’intrapresa, ma ad un livello tale da poter essere
valutato e quantificato a priori.
9
quelle iniziative volte al superamento o alla composizione
della crisi, nella quale l’imprenditore si trovi a versare. Tale
condizionamento può manifestarsi in una pluralità di situazioni
e determinare risultati pratici che possono ricevere valutazioni
positive o negative, in base all’importanza attribuita ai diversi
e divergenti interessi in gioco. Così, se prendiamo in esame
l’ipotesi in cui l’imprenditore in stato di insolvenza proponga
ai creditori un accordo di ristrutturazione dei debiti
12
, taluni
potranno essere indotti a preferire questa soluzione, seppur
deludente
13
, ma che esclude, comunque, il pericolo di subire
azioni revocatorie fallimentari
14
, piuttosto che rischiare la
12
Da evidenziare che anche il concordato preventivo presenta oggi notevoli vantaggi.
L’art. 160 l.f., come modificato dal D. Lgs. n.169 del 12 settembre 2003 recita
testualmente: “L'imprenditore che si trova in stato di crisi può proporre ai creditori un
concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere:a) la ristrutturazione dei
debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione
dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l'attribuzione ai creditori,
nonchØ a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche
convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito;b) l'attribuzione delle
attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore; possono
costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi partecipate o da costituire
nel corso della procedura, le azioni delle quali siano destinate ad essere attribuite ai
creditori per effetto del concordato;c) la suddivisione dei creditori in classi secondo
posizione giuridica e interessi economici omogenei;d) trattamenti differenziati tra
creditori appartenenti a classi diverse. La proposta può prevedere che i creditori muniti
di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purchØ il piano ne
preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile,in ragione della
collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore
di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato
nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'art. 67,
terzo comma, lettera d). Il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere
l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione. Ai fini di cui al primo
comma per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza.
13
Al riguardo è da sottolineare che ai fini del concordato è stata eliminata la previsione
precedente che sottoponeva l’ammissione a concordato alla restituzione ai creditori
chirografari di almeno il 40%dei crediti.
14
D. Lgs. 12 Settembre 2007, n. 169 che ha introdotto il nuovo art. 177, il quale recita
così: “Il concordato e' approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei
crediti ammessi al voto. Ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato e'
approvato se tale maggioranza si verifica inoltre nel maggior numero di classi.
10
dichiarazione di fallimento che apre la via alle azioni di
recupero (sorrette dall’esercizio dell’azione revocatoria), con il
rischio di dover restituire alla massa fallimentare i pagamenti
ricevuti e di perdere l’intero credito vantato, o di ottenerne il
recupero solo in piccola percentuale e al costo delle
lunghissime procedure dettate dalle regole del processo. Si
comprende, allora, come la propensione a sostenere la
soluzione concordata, sia tanto piø elevata, quanto piø ampia
sia la portata delle azioni revocatorie che risulterebbero
proponibili nell’ambito del fallimento e lo “spauracchio” delle
azioni revocatorie fallimentari possa essere agitato con eguale
efficacia anche al fine di “imporre” ai creditori delle soluzioni
concordatarie stragiudiziali, che per quanto poco brillanti,
hanno il pregio di evitare o ritardare il fallimento, in tal modo
escludendo o limitando i maggiori costi che gli potrebbero
derivare dalla dichiarazione di inefficacia di atti posti in essere
con l’imprenditore in crisi
15
.
I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, ancorchØ' la garanzia sia contestata, dei
quali la proposta di concordato prevede l'integrale pagamento, non hanno diritto al voto
se non rinunciano in tutto od in parte al diritto di prelazione. Qualora i creditori muniti
di privilegio, pegno o ipoteca rinuncino in tutto o in parte alla prelazione, per la parte
del credito non coperta dalla garanzia sono equiparati ai creditori chirografari; la
rinuncia ha effetto ai soli fini del concordato. I creditori muniti di diritto di prelazione di
cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell'articolo 160, la soddisfazione non
integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito.
Sono esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze il coniuge del debitore, i suoi
parenti e affini fino al quarto grado, i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno
di un anno prima della proposta di concordato.
15
S. BONFATTI – P. F. CENSONI, in La riforma della disciplina revocatoria
dell’azione revocatoria fallimentare del concordato preventivo e degli accordi di
ristrutturazione, Padova 2006: “Nello stesso modo, anche l’imprenditore che affermi di
versare in una situazione di difficoltà di adempiere “soltanto temporanea”, avrà buon
gioco a proporre una procedura che, per quanto illusoria possa essere, comunque non
11
Rilevante, però, come il condizionamento su accennato, possa
anche produrre effetti in direzione opposta. Quanto piø si
inaspriscono i trattamenti riservati al debitore ed ai terzi, tanto
piø si tende a rinviare il fallimento. A maggiore severità ed a
maggiore ambito di applicazione dell’azione revocatoria
fallimentare corrisponde un proporzionale maggior timore
della sopravvenienza del fallimento del proprio interlocutore
16
.
Si viene a creare quella “manomorta
17
” aziendale, cui i testi
fanno riferimento, costituita da imprese, che non vengono
liquidate, ma non hanno nemmeno le energie indispensabili
per affrontare con successo la concorrenza
18
” in quanto il ceto
dei finanziatori, per il timore di azioni revocatorie, è indotto a
consente (per intanto) l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare nei confronti degli
atti compiuti in precedenza: perchØ ciò che i singoli creditori possono rischiare di dover
restituire all’eventuale fallimento a seguito di azioni revocatorie fallimentari, può
largamente superare l’entità dei crediti attualmente vantati nei confronti
dell’imprenditore, la rinuncia ai quali può rivelarsi come il minore dei mali possibili”.
16
Un eccessivo rigore può innescare una spirale negativa, dovuta al fatto che il ceto dei
finanziatori, per il timore di azioni revocatorie, è indotto a procrastinare l’avvio delle
procedure, con la conseguenza di mantenere il debitore in un limbo, nel quale il credito
viene concesso nella misura necessaria ad evitare il fallimento, ma non sufficiente a
superare la crisi.
17
“Si comprende, allora, come nelle situazioni di crisi, anche apparentemente soltanto
contingenti, quindi reversibili, un deterrente formidabile a sostenere i progetti di ripresa
dell’impresa possa essere costituito, per i terzi interessati, dalla gravosità delle
conseguenze revocatorie di un eventuale fallimento sugli atti posti in essere
dall’imprenditore e con l’imprenditore nel perseguire il tentativo”. G. LO CASCIO, op.
cit.
18
Così S. BONFATTI – P. F. CENSONI, La riforma della disciplina revocatoria
dell’azione revocatoria fallimentare del concordato preventivo e degli accordi di
ristrutturazione, Padova 2006: “L’importanza dell’istituto spiega la grande quantità e
l’elevato livello degli studi ad esso dedicati nel corso del tempo; la vivacità del dibattito
che ancora oggi anima le sedi scientifiche nelle quali si discute di problemi attuali della
legge fallimentare; l’interesse con il quale sono stati seguiti i progetti di riforma, che si
sono succeduti l’uno all’altro, con specifico riguardo agli interventi sulle disposizioni
concernenti l’azione revocatoria fallimentare; e, infine, la circostanza che l’unica
significativa riforma del diritto fallimentare positivo (d.l. n. 35/2005 convertito nella
legge n.80/2005) riguardi per larga parte proprio il ridimensionamento, quantitativo e
qualitativo, della portata dell’azione revocatoria fallimentare”.
12
procrastinare l’avvio delle procedure, con la conseguenza di
mantenere il debitore in un limbo, nel quale il credito viene
concesso nella misura necessaria ad evitare il fallimento, ma
non sufficiente a superare la crisi o a rimettersi in corsa per
poter competere sul mercato.
Le norme alle quali si sta facendo riferimento sono quelle
contenute nella rubrica del titolo II, capo III, sez. III del Regio
Decreto 16 marzo 1942 n. 267, intitolato “Degli effetti del
fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori
19
”. Queste, con
riferimento agli atti compiuti dal debitore in epoca prossima
alla dichiarazione di fallimento, dispongono una serie di
presunzioni “stringenti”, ignote alla revocatoria ordinaria, in
ordine ai presupposti per la loro efficacia nei confronti dei
creditori. Tali presunzioni in alcuni casi portano addirittura al
risultato che non occorre alcun accertamento giudiziale,
conseguendo l’inefficacia degli atti di disposizione
automaticamente dalla sentenza dichiarativa di fallimento
20
; in
19
La legge speciale si pone in un rapporto di specialità rispetto all’azione revocatoria
ordinaria prevista dall’art. 2901 c. c.
Ed è utile qui far rilevare che tanti dei contrasti esistenti in dottrina sul fondamento della
revocatoria fallimentare, scaturiscono dal fatto che il riferimento al “pregiudizio”,
presupposto essenziale della revocatoria ordinaria non si rinviene piø all’interno delle
singole norme. La maggiore estensione della revocatoria fallimentare e cioè che essa
investe anche i pagamenti di debiti scaduti è addotta ad elemento di duplicità delle due
azioni.
20
Si può citare il caso delle revocatorie disciplinate agli artt. 64 e 65 della legge
fallimentare, ove non occorre dimostrare la mala fede del terzo convenuto, essendo il
suo interesse, ritenuto non meritevole di tutela, nel primo caso, dalla natura gratuita
dell’atto, nel secondo caso poichØ la natura dell’atto è di per se espressiva di una
anormalità che fa presupporre che l’atto sia stato posto in essere proprio in quanto il
terzo era a conoscenza dello stato di insolvenza, non essendoci motivo per cui un
debitore dovrebbe rimborsare in anticipo un debito perdendo un vantaggio che si trasla
sul finanziatore.
13
altri casi semplificano notevolmente l’esercizio dell’azione,
dispensando il curatore dal dare la prova dei suoi presupposti o
consentendogli di dare la prova di fatti diversi
21
.
Rileva che, in linea di massima, le norme in esame
22
non
prevedono alcunchØ riguardo l’atteggiamento psicologico del
debitore; mentre, per il terzo contraente, talvolta,
l’atteggiamento psicologico non rileva nemmeno nei suoi
confronti
23
, talaltra invece, è rilevante, e va riferito alla
conoscenza dello stato di insolvenza al momento della
conclusione dell’atto. L’onere della relativa prova, talvolta
grava sul curatore
24
altre volte, invece, spetta al terzo dover
provare l’inscientia decoctionis
25
. Non si parla mai, a
21
F. FERRARA - A. BORGIOLI, in Il Fallimento, Milano 2005: Gli autori si
soffermano sulla sostanziale identità tra le revocatorie ordinarie e fallimentari: Si parla
in tal caso di azione revocatoria fallimentare per contraddistinguerla dall’azione
revocatoria ordinaria nel fallimento. Con le quali denominazioni non si vuole alludere
ad una duplicità di azioni ma piuttosto ad un diverso atteggiamento della stessa azione
per il gioco di presunzioni. AA.VV. La riforma del diritto fallimentare: lavori
preparatori e obiettivi, Milano 2008: “mentre la revocatoria ordinaria produce effetto
solo in favore del creditore che l’ha esperita, e di quelli che siano eventualmente
intervenuti nel giudizio (nel senso che solo questi potranno poi agire esecutivamente sui
beni revocati) la revocatoria fallimentare comporta la restituzione del bene o del valore
sottratto alla garanzia di tutti i creditori”
22
F. FERRARA – A. BORGIOLI, Il fallimento e le altre procedure concorsuali,
Milano 1995: Con la denominazione di revocatoria fallimentare ci si riferisce, per lo
piø, non solo ai casi in cui è necessario un giudizio per far dichiarare l’inefficacia
dell’atto, ma altresì quelli in cui del giudizio non c’è bisogno, conseguendo la
inefficacia automaticamente dalla sentenza dichiarativa di fallimento. Per cui la
denominazione in parola ha carattere convenzionale, comprendendo le ipotesi in cui
l’inefficacia degli atti pregiudizievoli riceve un particolare regolamento in forza di
presunzioni poste dalla legge fallimentare, occorra o no una azione per farla accertare.
23
Come nel caso degli atti a titolo gratuito di cui all’art.64 o dei pagamenti di crediti
che scadono il giorno della dichiarazione di fallimento o posteriormente qualora eseguiti
dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento.
24
Come nell’ipotesi di cui all’art.67 secondo comma, cioè per quella serie di atti che
potrebbero definirsi normali, cioè asintomatici dell’insolvenza.
25
Come nelle ipotesi di cui al primo comma dello stesso articolo cioè per quegli atti che
per le loro caratteristiche possono definirsi anormali.
14
differenza di quanto avviene per la revocatoria ordinaria, del
“pregiudizio” che l’atto ha arrecato alle ragioni creditorie.
La revocatoria fallimentare, e da tale dato di fatto scaturiscono
i problemi maggiori, affonda le sue radici nel periodo
antecedente la Costituzione
26
e di quella temperie culturale e
politica rispecchia le scelte ideologiche e la filosofia di fondo
del sistema in cui trova sede. L’economia degli anni ‘40 era
ancora incentrata sulla netta prevalenza dei rapporti
proprietari, sia fuori che dentro l’azienda, ed il coetaneo
Codice Civile, sulla disciplina di istituti, quali la proprietà e il
possesso, piuttosto che l’impresa e la finanza. La crisi era
osservata nell’ottica di un rapporto tutto interno tra il debitore
e i suoi creditori, senza alcuna visione complessiva delle
ripercussioni che possa avere sul circuito economico e
produttivo esterno, trascurando il fatto, peculiare in economie
di tipo industriale, che i valori organizzativi hanno un valore
piø elevato proprio in quanto aggregato funzionante: come
tale, circondato da uno sconfinato numero di relazioni,
rapporti, sinergie, che esulano dalla proprietà e determinano al
tempo stesso la crescita e la sopravvivenza dell’impresa
27
.
26
Vale la pena ricordare come la Costituzione della Repubblica Italiana fu pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 298, edizione straordinaria, del 27
dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1º gennaio 1948 mentre la “Legge Fallimentare”,
ovvero Regio Decreto n. 267 recante “Disciplina del fallimento, del concordato
preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa”
fu pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 6 aprile 1942, n. 81 ed entrò in vigore il 16 marzo
1942
27
Fra tutti G. LO CASCIO, La nuova legge fallimentare: dal progetto di legge delega
alla miniriforma per decreto legge, in Il fallimento, 4, Milano 2005: “Occorreva un
sistema votato al recupero dei valori aziendali, del management, della stessa