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PARTE PRIMA: VERSO LA FONDAZIONE
1 IL REGNO D’ITALIA DALL’ETÀ POST CAROLINGIA FINO AL DOMINIO
SASSONE
1.1 Dalla frantumazione ai tentativi di coordinamento.
La situazione politica che si è venuta a delineare entro i confini del Regno d’Italia in
seguito alla disgregazione dell’impero carolingio sul finire del IX secolo risulta
alquanto complessa e articolata. Il frequente passaggio della corona da un contendente
all’altro che caratterizzò tutto il periodo contribuì certamente a mantenere all’interno
della nostra penisola un costante clima d’incertezza e instabilità. Una debolezza spesso
accentuata dai continui ed influenti interventi dei pontefici, dall’alternanza ai vertici del
potere di grandi famiglie militari e non ultimo dalle costanti minacce di invasioni
Ungare e Saracene che segnarono duramente il territorio italico con particolare violenza
nella prima metà del X sec.
La fine della dinastia carolingia in Italia non significò però rottura radicale con la
tipologia di governo da essi applicata per decenni, infatti, i primi due contendenti alla
corona, re Berengario e re Guido, appartenevano a grandi famiglie franche che non
cessarono di vivere nella tradizione politica dei propri avi
1
.
L’ordinamento giuridico territoriale che si era venuto a formare in Italia durante l’età
carolingia non subì di fatto particolari variazioni in conseguenza alla mutata situazione
politica. Pavia rimaneva la sede dell’amministrazione centrale del Regno così come
l’istituzione comitale continuava a rappresentare il distretto territoriale fondamentale in
1
Per un’attenta analisi dell’evoluzione delle strutture giuridico istituzionali durante il regno d’Italia si
faccia riferimento a G. TABACCO, Egemonie sociali e strutture del potere nel medioevo italiano, Torino
1974, pp. 189-195.
4
cui esso era diviso
2
. Parimenti vennero mantenute quelle più vaste sovrastrutture che
sono le marche
3
, costituite da un numero variabile di comitati e frutto di un processo di
naturale regionalizzazione avvenuto in età carolingia.
4
Furono proprio i titolari di
queste estese entità, i vari marchesi del Friuli, di Spoleto, di Toscana e di Ivrea che a
partire dalla morte di Ludovico II (825 - 875) fino a giungere al definitivo insediamento
di Ottone avvenuto nel 952
5
si sfidarono per ottenere la supremazia politica, relegando
l’autorità comitale ad un ruolo di secondo piano nella lotta per il potere.
Il vero mutamento che avvenne durante i decenni di vita del Regno d’Italia riguarda lo
sviluppo in chiave autonomistica dei comitati e delle marche che, oltre a essere distretti
pubblici agli ordini del re, spesso grazie agli interventi compiuti a loro favore da questi
ultimi, tendono sempre più a divenire ambiti di potenza autonoma ufficialmente
riconosciuti
6
. Si venne così a creare una situazione di equilibrio sempre più precario in
cui l’esigenza del re di poter esercitare la propria autorità sul territorio e nei confronti
dei conti e dei marchesi si scontra con la necessità di dover loro concedere privilegi e
autonomie al fine di poterlo realizzare. A differenza dell’età carolingia si accettò con
consapevolezza e, nei casi in cui l’autorità comitale avesse evidenziato gravi lacune nel
2
Cfr. Ibidem, p. 202.
3
Il numero, l’origine, e la funzione delle “marche” è argomento a tutt’oggi ancora dibattuto; con ogni
probabilità le più antiche avevano soprattutto una funzione difensiva e per questa ragione si modellarono
principalmente al territorio, costituendosi così come una vera regione geografica molto salda e più
facilmente difendibile. Alcuni dei principali testi cui far riferimento per approfondire l’argomento sono G.
FASOLI, I re d’Italia, Firenze 1949; G. TABACCO, Sperimentazioni del potere nell’alto medioevo, Torino
1993; G. SERGI, I confini del potere. Marche e signorie fra due regni medievali, Torino 1995; L.
PROVERO, L’Italia dei poteri locali, Roma 1998; P. GUGLIELMOTTI, Marche, marchesi e vescovi
nell’Italia nord-occidentale: costruzione di fisionomie urbane dalla periferia verso il centro, Padova
2013.
4
Tale processo è ben descritto in P. CAMMAROSANO, Nobili e re. L’italia politica dell’alto medioevo,
Bari 1998, p. 206.
5
Anno in cui Ottone si appropria del titolo di Re d’Italia.
6
Fu questa l’inevitabile conseguenza del nuovo equilibrio formatosi tra l’autorità regia sempre meno in
grado di controllare in via diretta gli spazi su cui esercitava il proprio dominio e il potere sempre
maggiore che andava acquisendo la grande aristocrazia fondiaria in ambito locale; per un
approfondimento su questo tema si faccia riferimento a TABACCO, Sperimentazioni del potere, cit., pp.
95-105.
5
suo funzionamento, addirittura si arrivò a promuove, la formazione di nuclei di potere
autonomo. Se in un primo tempo le concessioni risultarono essere funzionali agli
interessi del re che in questo modo riusciva ad esercitare un maggior controllo sulle
realtà locali, nel lungo periodo furono destinate a condurre le nuove entità verso la
completa autonomia sfuggendo così a quel controllo inizialmente sperato
7
.
Formalmente tale sviluppo prese avvio a partire dall’898 con l’emanazione dell’ultimo
capitolare
8
ad opera di Lamberto da Spoleto con il quale cessò definitivamente l’attività
legislativa del regno e la cancelleria iniziò a produrre solamente diplomi, ovvero
concessioni e benefici che avevano come destinatari dei singoli sia laici che ecclesiastici
e che produrranno un progressivo ed inarrestabile smantellamento dell’ordinamento e
delle funzioni pubbliche oltre ad un impoverimento del fisco regio. A rafforzare questo
processo contribuirono certamente anche le numerose concessioni di beni, privilegi e
giurisdizioni temporali effettuate a favore di chiese e monasteri che videro così
accrescere la propria influenza sul territorio al punto da divenire vere organizzazioni
politiche ed istituzionali in grado di sostituirsi anche al potere laico
9
. I vescovi, in virtù
di ciò, vennero sempre più coinvolti nell’esercizio dell’autorità fino a divenirne, in
taluni casi, il centro assoluto, in grado anche di fare le veci del conte stesso. La chiesa
entra così in una fase di particolarismo e autonomia che la condurrà inesorabilmente
verso una progressiva decadenza materiale e soprattutto morale
10
. I vescovi erano
7
Come dimostrato da PROVERO, L’Italia dei poteri, cit., pp. 30-38, è cambiato il rapporto tra possesso e
potere e in questo periodo il primo determina sempre più il secondo e così il potere delegato dal regno,
tende a modellarsi sulle aree di egemonia patrimoniale divenendo sempre più indipendente.
8
L’ultimo capitolare emanato nel regno d’Italia è quello di Lamberto da Spoleto il cui testo è consultabile,
corredato di note e un breve commento, in C. AZZARA - P. MORO, I capitolari Italici. Storia e diritto della
dominazione carolingia in Italia. Roma 1998, n 53, p. 243. Dell’attività di legislatori di Guido e
Lamberto da Spoleto parla anche CAMMAROSANO, Nobili e re, cit., p. 210.
9
L’attiva partecipazione delle chiese e dei monasteri alla generale concorrenza nell’organizzazione
politica del territorio dimostra il loro profondo inserimento in una fitta rete di interessi temporali. A
queste strutture ecclesiastiche finiscono per affluire ricchezze fondiarie, clientele di vassalli, privilegi e
poteri; Cfr. TABACCO, Egemonie sociali, cit., pp. 206-216.
10
Quello che viene a mancare e che porta al crearsi di questa situazione è l’assenza di un potere centrale
forte capace di coordinare e imporre delle direttive. È per questa ragione che gli enti ecclesiastici più forti
si chiudono in se e fungono anzi da catalizzatori per altre realtà rurali più piccole che finiscono per
inquadrarvisi; cfr. G. VOLPE, Il medioevo, Firenze 1965, pp. 127-131.
6
spesso imposti dal re ed erano scelti trai i chierici a lui più fedeli, tra gli esponenti
dell’alto clero locale e persino tra uomini d’armi che poco o nulla avevano avuto a che
fare con il Vangelo. Nemmeno il papato fu in grado di intervenire in queste vicende e di
opporsi al declino che investì il mondo ecclesiastico; incapaci di esercitare un’autorità
che superasse i confini romani, l’interesse dei pontefici che si alternarono in questi anni
fu esclusivamente rivolto alla difesa dei propri territori sempre contesi dalle potenti
marche confinanti e alla gestione delle complesse lotte di potere ordite dai nobili locali.
Un’ultima tessera che è importante non dimenticare d’inserire nel mosaico dei
particolarismi è quella delle chiese private; ovvero fondazione di chiese e monasteri che
avvengono grazie all’intervento di facoltosi signori locali all’interno dei propri
patrimoni e che dietro alla facciata dell’assicurazione di eterne preghiere garantite al
fondatore celano una duratura fonte di reddito oltre ad un considerevole aumento di
prestigio sociale
11
. Questa situazione di grande frazionamento del potere che prese
forma nel Regno, unitamente alle ripetute incursioni di Ungari e Saraceni non consentì
più al potere pubblico di garantire un’adeguata protezione del territorio
12
. Gli eserciti
che avrebbero dovuto garantire tale difesa erano sempre meno organizzati, lenti e spesso
mal funzionanti a causa dei frequenti contrasti fra i Signori stessi. L’insicurezza e la
paura spinsero gli uomini a chiudersi in villaggi e città in grado di offrire loro una
valida difesa e così si fece necessario fortificare il territorio nella sua totalità
13
. I conti e
i marchesi erano sempre più impegnati a difendere ed armare i propri territori non
11
Potevano essere sia chiese monastiche che canonicali ed erano solitamente edifici nati su terreni
allodiali; la famiglia fondatrice li considerava spesso come una parte integrante del proprio patrimonio
controllandone sovente sia la gestione economica sia gli aspetti religiosi; vd. TABACCO, Egemonie sociali,
cit., p. 208 e G. TABACCO-G. MERLO, Medioevo V-XV secolo, Bologna 1981, p. 215. Due casi, che
analizzeremo in maniera analitica nella seconda parte di questo lavoro e che rientrano, almeno nella loro
fase iniziale, all’interno di questa categoria, sono i monasteri di San Genesio di Brescello e di San
Benedetto di Polirone.
12
Il concetto è ampiamente argomentato in più punti nel volume di A. SETTIA, Castelli e villaggi
nell’Italia padana: popolamento, potere e sicurezza fra 9. e 13. Secolo, Napoli 1984.
13
Come ha ben evidenziato V. FUMAGALLI, Il regno italico, Torino 1986, pp. 215-223, di fronte a questi
pericoli la gente innalza ovunque fortificazioni e anche i villaggi si cingono di mura isolandosi dallo
spazio delle colture; tutti convergono all’interno di spazi difesi abbandonando le case poste sui poderi.
Sorgono in questi anni fortezze di ogni tipo: non solo i villaggi si dotano di strutture difensive, ma anche
corti signorili e piccoli agglomerati urbani.
7
preoccupandosi di villaggi e città che dovevano così provvedere autonomamente
all’erezione di valide mura difensive. In questa situazione il re, incapace di intervenire
militarmente in difesa del proprio territorio, fu in pratica obbligato ad autorizzare e
promuovere l’incastellamento riconoscendo a tutti coloro che gliene facevano richiesta
il diritto di erigere e di possedere torri, fortezze e mura di città, prerogativa che fino a
questo momento era stata esclusivo appannaggio del rappresentante del potere pubblico.
L’autorità regia, pur rimanendo formalmente il vertice ufficiale dell’ordinamento
pubblico, non era in grado di esercitare la propria supremazia in modo continuativo ma
era sempre più una potenza capace di intervenire in modo massiccio solo
episodicamente e in singoli punti del regno
14
.
Un altro importante fenomeno che contribuì a definire la realtà sociale e la fisionomia
territoriale di questo periodo fu la drastica diminuzione delle piccole e medie proprietà
libere (gli allodi
15
) a favore della grossa proprietà fondiaria (le corti)
16
. Le ragioni di tale
processo sono ovviamente varie. In alcuni casi esso fu favorito dalle necessità dei
piccoli proprietari che, non avendo le forze sufficienti per affrontare autonomamente i
danni causati da fenomeni naturali, carestie o pestilenze, chiedevano aiuto e si
consegnavano nelle mani dei signori; sempre più spesso accade però, che i grandi
proprietari, a motivo dell’indebolimento dell’autorità centrale e dell’anarchia in cui
versava il regno, si sentivano legittimati ad esercitare pressioni e violenze costringendo
numerosi piccoli allodieri ad assoggettarsi. Questa situazione, di fatto favorita dalla
debolezza del potere centrale, contribuì a sua volta a renderlo ancora più precario
rafforzando territorialmente e arricchendo quei signori locali che in questo modo
14
Per queste ragioni dunque, come sostiene TABACCO, Egemonie sociali, cit., p. 197, il vocabolario del
diritto privato concernente il possesso e le successioni, viene utilizzato per esprimere il trasferimento di
potere. Mai prima d’ora era accaduto che un re donasse in piena proprietà, in libera disposizione, torri e
fortezze, porte e mura di città, strade pubbliche e potestà giudiziaria.
15
Per una definizione di allodio e per l’analisi del contesto territoriale in cui esso si inserisce vedi G.
SERGI, Villaggi e curtes come basi economico-territoriali per lo sviluppo del banno, in Curtis e signoria
rurale: interferenze fra due strutture medievali, Torino 1997, pp. 7-24.
16
Questa trasformazione sociale avvenuta nelle campagne tra IX e X secolo è ben descritta da
FUMAGALLI, Il regno italico, cit., pp. 132-133.
8
crearono clientele vassallatiche proprie indirizzandosi verso la costituzione di
un’autonomia signorile spesso ereditaria che verrà sovente riconosciuta dal re
medesimo
17
.
1.2 Le lotte per il potere da Berengario del Friuli a Ugo di Provenza.
Questo è il quadro politico-sociale all’interno del quale si sviluppano i conflitti per la
conquista della corona del regno d’Italia a partire dall’888. Una situazione alquanto
complessa in cui i sovrani in lotta per il titolo si dovranno confrontare con le spinte
autonomistiche di signori locali sempre più potenti, andando alla costante ricerca di un
equilibrio che consenta loro di far coesistere realtà in continuo divenire
18
. I primi a
sfidarsi in questa corsa al titolo regale furono Berengario del Friuli (850 - 924) e Guido
di Spoleto (855 - 894). In realtà i candidati che avrebbero potuto ambire al titolo erano
tre, ma Adalberto di Toscana si defilò subito dalla contesa. Guido di Spoleto, in un
primo momento, indirizzò le proprie aspirazioni alla corona di Francia, sua terra
d’origine nella quale contava numerosi sostenitori, lasciando così a Berengario la strada
spianata verso la sua prima elezione avvenuta il 6 gennaio dell’888 a Pavia. La pace
purtroppo non durò che pochi mesi, poiché Guido, resosi conto di non avere alcuna
possibilità di essere eletto al trono di Francia, rompendo il patto concluso con
Berengario, tornò immediatamente a rivolgere le proprie aspirazioni in direzione
dell’Italia dove giunse alla testa di un esercito composto da suoi vassalli, deciso ad
impadronirsi del titolo regale. L’impresa fu più ardua di quanto si aspettasse e soltanto
17
In merito al complesso discorso che riguarda la definizione di vassallaggio e per l’analisi della sua
articolata struttura oltre a TABACCO, Egemonie sociali, cit., di particolare interesse è il contributo di H.
KELLER, Signori e vassalli nell’Italia delle città (secoli IX-XII), Torino 1995, pp. 13-30.
18
Per un primo inquadramento della situazione italiana nel periodo IX-XI secolo si veda TABACCO-
MERLO, Il medioevo, cit., mentre per approfondire le tematiche relative al Regno d’Italia sono testi
fondamentali quelli di G. FASOLI, I re d’Italia (888-962), Firenze 1949; V. FUMAGALLI, Il regno italico,
in La storia d’Italia, diretta da G. Galasso, vol.II, Torino 1978; C.G. MOR, Storia politica d’Italia dalle
origini ai giorni nostri, voll. I-II (L’età feudale), Milano 1952; CAMMAROSANO, Nobili e re, cit., Per una
più dettagliata analisi dell’evoluzione delle strutture politiche e sociali del medesimo periodo oltre ai già
citati TABACCO, Egemonie sociali, cit., e KELLER, Signori e vassalli, cit., si vedano i contributi di G.
SERGI, I confini del potere. Marche e Signorie fra due regioni medievali, Torino 1995 e di J-P POLY – E.
BOURNAZEL, Il mutamento feudale. Secoli X-XII, Milano 1990.
9
dopo sanguinosi scontri Guido riuscì a prevalere e ad essere eletto nell’889. Ciò a cui
aspirava in realtà Guido, era la dignità Imperiale, da sempre unita alla corona d’Italia;
essa gli avrebbe consentito di rafforzare la propria posizione nei confronti di tutti i
potenziali contendenti: in primis di Berengario ma nel contempo anche del suo
sostenitore re tedesco Arnolfo. Tale ipotesi non era affatto gradita a papa Stefano V
(morto 891) che, nel rafforzamento del marchese di Spoleto intravedeva una minaccia
per i territori della chiesa romana. Non avendo però ottenuto alcuna risposta alla
domanda d’intervento inviata ad Arnolfo, si vide costretto a procedere e il 21 febbraio
dell’891 Guido di Spoleto fu incoronato imperatore mentre il figlio dodicenne Lamberto,
pochi mesi dopo, ottenne il titolo di re.
L’esercizio del potere da parte di Guido si mantenne nel solco della tradizione
carolingia: richiese a vescovi e conti di collaborare al mantenimento dell’ordine
pubblico e a tutti gli arimanni
19
di rispondere quando necessario alla chiamata alle armi;
rinnovò con i bizantini il patto che già aveva stretto con loro Carlo Magno nell’812
20
e
istituì due nuove marche a scopo difensivo, quella di Ivrea sul confine occidentale e una
seconda nella zona orientale, probabilmente confinante con quella del Friuli.
Contravvenendo poi ai patti stabiliti al momento della sua elezione con papa Stefano V,
iniziò anche ad esercitare la sua autorità sui vicini territori pontifici, portando
inevitabilmente ad un rapido deterioramento i già precari rapporti con la Santa Sede.
Papa Formoso (816 - 896), come già aveva tentato di fare senza successo Stefano V e
come avevano fatto in passato i suoi predecessori con Pipino e Carlo Magno, si rivolse
ad Arnolfo auspicando un suo intervento per liberare l’Italia e la Santa Sede dalla
19
Per un inquadramento e una definizione della figura degli arimanni e dell’evoluzione che essa subì
nell’arco del tempo e nei diversi territori, si faccia riferimento a G. TABACCO, I liberi del re nell’Italia
carolingia e post carolingia, Spoleto 1966; A. CASTAGNETTI, Arimanni in Langobardia e in Romania
dall’età carolingia all’età comunale, Verona 1966; S. GASPARRI, Italia Longobarda. Il Regno, I Franchi
il papato, Bari 2012.
20
Il riferimenti è alla Pax Nicephori firmata nell’812 e della quale si possono trovare maggiori
informazioni in G. OSTROGORSKY, Storia dell’impero Bizantino, Milano 1968 e in G. RAVEGNANI, I
Bizantini in Italia, Bologna 2004.