6
difficoltà di queste aziende in fatto di commercializzazione con l'estero sono
legate a particolari e contingenti situazioni di settore, ma trovano origine
soprattutto in peculiari caratteristiche aziendali.
A questo punto, il capitolo sesto si propone di analizzare il ruolo che hanno
avuto storicamente le esportazioni e il commercio estero, in generale, nello
sviluppo del settore, cercando di centrare la riflessione in particolare modo sulle
tendenze attuali.
Infine, viene focalizzata l'attenzione sul tema dei canali di entrata utilizzati
nel caso specifico. Allo scopo vengono, in un primo tempo, analizzati e
commentati i dati a disposizione e in un secondo tempo, descritti i risultati
dell'indagine condotta su un piccolo campione di imprese (capitolo settimo).
Concludendo vengono fornite alcune indicazioni concrete per le imprese del
settore; in particolare viene proposta una soluzione al problema dell'inadeguatezza
delle strutture commerciali con l'estero delle aziende in esame, anche se di
soluzioni non ve n'è una sola, essendo diverse, anche notevolmente, le circostanze
d'impresa.
Quello che si può dire in generale è che la strada degli accordi interaziendali
può costituire, per le imprese del settore e non solo, una valida alternativa
all'apertura di filiali sui mercati esteri. In questo senso, le imprese del settore si
stanno muovendo, sebbene ciò rappresenti solo un passo lungo un difficile
sentiero.
7
CAPITOLO PRIMO
LA GESTIONE DI MARKETING INTERNAZIONALE NELL'IMPRESA
PRODUTTRICE DI BENI INDUSTRIALI
1. CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE SUL CONCETTO E SULLA TIPOLOGIA DI
BENE INDUSTRIALE
Consultando la letteratura dedicata al marketing industriale si trovano diversi
tentativi di definizione e di classificazione del concetto di bene industriale, molti
dei quali rispondono più ad esigenze di indagine sorte caso per caso che a fini
dottrinali.
Per quanto riguarda il primo aspetto, si intendono comunemente beni industriali
quei beni e servizi non destinati al consumatore finale, ma ad altre aziende ed
organizzazioni che, a loro volta, li utilizzano per l'ottenimento di altri beni e
servizi
(1)
.
Prima di passare ad esaminare il secondo aspetto, cioè il problema di
classificazione dei beni industriali, occorre premettere che i prodotti destinati alla
produzione si compongono di due parti: il «bene» nel senso fisico del termine ed
il «servizio» ad esso corrispondente. In realtà ciò accade anche per i beni di
consumo, ma in questo caso il servizio costituisce un'aggiunta al bene
(2)
; per i
(1)
LAGIONI definisce i beni industriali: «quei beni (e/o servizi) utilizzati da imprese od organizzazioni per
l'ottenimento di altri beni (e/o servizi)» (Cfr. I. LAGIONI, Marketing industriale, in L. GUATRI - W. SCOTT (a cura
di), Manuale di Marketing, Isedi, Milano 1976, pp. 24/3); HAAS adotta un concetto «allargato» di beni industriali
includendo in questa categoria ogni bene e servizio non destinato al consumatore finale o alla famiglia (Cfr. R. HAAS,
Industrial marketing management, New York 1976, pp. 2); infine WEBSTER considera beni industriali quelli destinati
ad industrie ed istituzioni, intendendo con questo ultimo termine: «imprese manifatturiere, governi, organismi di
pubblica utilità, istituzioni educative, ospedali, grossisti, dettaglianti ed altre organizzazioni formali» (Cfr. F.E.Jr.
WEBSTER, Industrial marketing strategy, John Wiley and Sons, New York 1979, pp. 4).
(2)
KOTLER in questo caso chiama il bene di consumo: «augmented product» (Cfr. P. KOTLER, Marketing
management, Prentice Hall, New York 1976, pp. 424).
8
beni industriali, invece, esso contribuisce a definire il bene andando a formare un
tutt'unico, un «prodotto-sistema».
Questa premessa risulta necessaria dal momento che la classificazione che
s'intende adottare riguarda non il concetto di prodotto industriale
complessivamente inteso, ma semplicemente una sua componente, vale a dire il
«bene».
Preso atto di ciò, i beni destinati alla produzione si possono classificare in
base al loro grado di standardizzazione in:
- beni custom o beni specifici;
- beni modular o beni modulari;
- beni standard
(3)
.
Si considerano beni custom o beni specifici quei prodotti realizzati su ordine e
secondo specifiche del cliente (impianti chimici e raffinerie, aeronautica,
industria agro-alimentare).
Sono beni modulari quei prodotti composti da sottoinsiemi standardizzati e
assemblati secondo le specifiche richieste del cliente (alcuni tipi di macchine
utensili
(4)
e materiale da cantiere destinato ad applicazioni specifiche). Il
produttore in questo caso può fabbricare il sottoinsieme in serie, ma deve
aspettare l'ordine del cliente per realizzare l'assemblaggio finale.
Infine, i beni industriali standard sono quei beni venduti alla clientela industriale
predefiniti in tutti i loro elementi e quindi sufficientemente standardizzati da
poter essere fabbricati in grande serie e venduti in stock (articoli di minuteria
industriale: giunti, viti, bulloni, cinghie e la maggior parte delle materie prime:
metalli, prodotti chimici, lubrificanti).
E' evidente che, in assenza di un prodotto standardizzato, il complesso dei
servizi che lo accompagnano sono spesso più importanti del bene stesso e
(3)
A. BURRESI, Marketing dei macchinari e degli impianti ad alta tecnologia, Firenze 1983, pp. 32 e ss..
(4)
Occorre premettere che nel settore delle macchine utensili, oggetto di analisi nella seconda parte di questo studio, si
possono individuare sia prodotti standard che modulari che specifici. Infatti, le aziende europee e italiane realizzano e
immettono sul mercato macchine più personalizzate di alto costo, mentre le imprese giapponesi vendono macchine di
tipo standard a basso costo, con il fine di soddisfare le esigenze medie del mercato; si veda S. ROLFO, L'industria
europea delle macchine utensili: una struttura in evoluzione, Quaderni CERIS, n. 2/90.
9
diventano la parte essenziale dello scambio. In questo caso le tecniche e le
modalità di esportazione del prodotto saranno diverse rispetto a quelle utilizzate
nel caso di un bene standard. Infatti per quest'ultimo bene, se il numero di
acquirenti è alto si porranno gli stessi problemi di commercializzazione che
caratterizzano i beni di consumo.
1.1. La componente servizio nel «prodotto-sistema»
Analizzata la componente «bene» occorre passare ad esaminare i servizi ad esso
connessi.
Per quanto riguarda la commercializzazione dei beni industriali alcune ricerche
mettono in evidenza la centralità dei servizi all'interno del processo competitivo e
sottolineano come le imprese di successo costruiscono le proprie strategie attorno
ad alcune competenze di servizio molto sviluppate piuttosto che attorno a
determinati prodotti
(5)
.
Oggetto dello scambio non è più un prodotto, una tecnologia in quanto tali, ma
il «saper fare», il «saper risolvere» dell'azienda-fornitore, la quale mette a
disposizione del cliente le proprie competenze e conoscenze al fine di proporre
soluzioni ai problemi che si possono presentare.
I servizi connessi ad un bene industriale sono stati classificati in due gruppi:
- i servizi di trasferimento della tecnologia, cioè i servizi di consulenza
tecnica fornita normalmente prima della vendita, di assistenza tecnica post-vendita
e di assistenza e consulenza organizzativa;
- i servizi connessi al trasferimento dei beni, che comprendono i servizi
commerciali e finanziari in grado di conferire prontezza e affidabilità alla
consegna, garanzie per la sostituzione del bene in caso di carente funzionamento,
ecc
(6)
.
(5)
J.B. QUINN - T.L. DOORLEY - P.C. PAQUETTE, Beyond products: services-based strategy, in
«Harvard Business Review», marzo/aprile 1990.
(6)
A. BURRESI, op. cit., pp. 34.
10
1.2. Vincoli alla distribuzione di un bene industriale
Il mercato dei beni industriali presenta delle peculiarità che costituiscono, a
loro volta, dei vincoli alla distribuzione degli stessi prodotti.
Il carattere derivato e la specificità sono sempre stati considerati tra gli aspetti
salienti della domanda dei beni industriali
(7)
.
Le aziende produttrici di beni industriali sono necessariamente collegate con il
mercato dei beni di consumo in quanto i loro prodotti e le loro attrezzature sono
destinati alla produzione dei secondi. Il fatto che la domanda di beni destinati alla
produzione sia derivata rappresenta un grave vincolo per l'elaborazione della
politica commerciale in quanto il produttore non può elaborare in anticipo
programmi di fabbricazione. Per quanto riguarda l'aspetto della specificità, vale a
dire la maggiore complessità del bene industriale rispetto al bene di consumo, essa
deriva a sua volta dall'importanza assunta dalla componente servizio.
Altre peculiarità dei mercati industriali possono essere sintetizzate nelle
seguenti caratteristiche:
- concentrazione della domanda sia in senso geografico che per clienti;
- maggiore complessità del processo e del comportamento di acquisto in
quanto la decisione di acquisto viene presa da un centro decisionale o centro
d'acquisto non da un singolo individuo e gli acquirenti hanno una conoscenza
precisa dei prodotti e dei fornitori
(8)
;
- interrelazione nei rapporti tra fornitore e cliente, ossia la dipendenza
dell'acquirente nei confronti del venditore tipica dei beni di consumo lascia il
(7)
Si vedano in tal senso A. BURRESI, op. cit., pp. 3 e 5; R. FIOCCA, Il marketing dei beni industriali, Giuffré, Varese
1981, pp. 19; F.E. Jr. WEBSTER, Quando l'ingegnere diventa venditore, in «Marketing Espansione», n.0, maggio
1980.
(8)
La nozione di centro d'acquisto è tra le più caratteristiche nella letteratura di marketing industriale; con tale termine si
intende il complesso di quanti partecipano in una qualche veste al processo decisionale di acquisto. Modelli generali di
acquisto di beni industriali sono stati messi a punto in particolare da WEBSTEER. e WIND; si veda F.E. Jr. WEBSTER
- Y. WIND, A General Model for Understanding Organizational Buying Behavior, in «Journal of Marketing», April
1972.
11
posto ad una interdipendenza tra le due parti, all'instaurazione di un maggiore
equilibrio tra le stesse.
2. LA STRATEGIA DI MARKETING INTERNAZIONALE: IL PROCESSO SEGUITO
DALL'IMPRESA PER LO SVILUPPO DELLE ATTIVITÀ ALL'ESTERO
L'impresa produttrice di beni industriali come quella di beni di consumo che
vuole sviluppare la propria attività all'estero, elabora una strategia di marketing
internazionale. Attraverso questa strategia, intesa come insieme di scelte per il
raggiungimento di determinati obiettivi, l'impresa mette a punto un sistema
coerente per potersi confrontare con la concorrenza internazionale.
A questo fine si può utilizzato, in un contesto internazionale, il modello della
formula imprenditoriale elaborato da Coda
(9)
.
L'imprenditore che vuole intraprendere la via dell'internazionalizzazione deve
rispondere ai seguenti quesiti: in quali paesi operare e a chi rivolgersi, che cosa
offrire, come rivolgersi agli interlocutori esteri. Si tratta, cioè, di procedere alla
definizione dei tre punti cardini attorno ai quali ruota il modello di Coda,
rispettivamente:
a) la definizione del raggio di azione dell'impresa;
b) la definizione del sistema di prodotto ossia dell'offerta;
c) la definizione della struttura dell'offerta.
La sequenza di decisioni appena evidenziata rispecchia le diverse fasi che
un'impresa percorre nell'elaborazione della propria strategia di marketing
internazionale. Così, definire il raggio di azione dell'impresa corrisponde al
momento della selezione del mercato estero cui rivolgersi e alla sua successiva
(9)
CODA ha elaborato tale modello ai fini di poter rappresentare la strategia dell'impresa a livello di business e a livello
di azienda; l'impresa secondo l'autore deve effettuare tre tipi di scelte: circa i mercati cui rivolgere la propria offerta,
circa il sistema di prodotto da collocare su quei mercati e circa la struttura che permette all'impresa di mettere a punto
una tale offerta sui mercati individuati (Cfr. V. CODA, La valutazione della formula imprenditoriale, in «Sviluppo e
organizzazione», gennaio/febbraio 1984). La DEPPERU ha utilizzato tale formula per rappresentare il percorso seguito
dall'impresa (piccola o grande) nello sviluppo delle proprie attività all'estero (Cfr. D. DEPPERU,
L'internazionalizzazione delle piccole e medie imprese, Egea, Milano 1990, pp. 151- 224).
12
segmentazione, il secondo punto corrisponde alla scelta sul posizionamento del
prodotto e infine la scelta della struttura da attribuire all'offerta corrisponde al
momento dell'individuazione degli elementi del marketing mix (prodotto, prezzo,
distribuzione, pubblicità e promozione).
E' nell'ultima fase e precisamente nella definizione della politica di
distribuzione da attuare sul mercato estero, che si pone il problema della scelta
dei canali di entrata.
Prima di esaminare analiticamente tale argomento, con particolare riferimento
al settore dei beni industriali e quindi delle macchine utensili, è opportuno
soffermarsi brevemente sulla fase di selezione dei mercati esteri per i beni
industriali.
2.1. La scelta del mercato estero per l'impresa produttrice di beni
industriali: il criterio dello stadio di sviluppo economico
Ai fini della selezione dei mercati esteri nei quali l'impresa vuole penetrare
l'approccio tradizionalmente seguito è quello di definire, in primo luogo, le
similarità esistenti tra i vari paesi sulla base di indicatori economici oggettivi.
In questo senso, sebbene la domanda di beni destinati alla produzione sia
influenzata da numerosi fattori, molti esperti di marketing internazionale hanno
utilizzato il livello di sviluppo economico come indicatore della potenzialità di un
mercato. Intuitivamente, infatti, l'acquisto di beni industriali dipende dal livello
di investimenti realizzato in un certo paese, che a sua volta è influenzato
dall'andamento economico del paese stesso.
Una ben nota classificazione è quella operata da Rostow che definisce cinque
livelli di sviluppo economico, sostanzialmente in base all'entità del prodotto
nazionale lordo pro-capite (PNL): (1) società di tipo tradizionale, (2) presenza dei
13
requisiti per il decollo economico, (3) decollo economico, (4) società avviate
verso lo stadio di società mature, (5) stadio dei consumi di massa
(10)
.
Un'altra classificazione che risulta particolarmente utile nello studio dei
mercati dei beni industriali è quella proposta da Cateora che suddivide i vari paesi
a seconda del livello di industrializzazione e individua le seguenti fasi: (1) stadio
pre-industriale in cui l'economia è basata sullo sfruttamento delle materie prime e
delle risorse agricole; (2) sviluppo della produzione primaria, con la
trasformazione parziale delle materie prime; (3) incremento nella produzione dei
beni di consumo non-durevoli e semi-durevoli; (4) economia industrializzata,
caratterizzata dalla produzione sia di attrezzature e impianti sia di beni di
consumo durevoli; (5) industrializzazione completa, che comporta vasto
assortimento di prodotti
(11)
.
A questi due modelli se ne possono aggiungere altri, ma nessuno di essi è stato
ancora unanimamente accettato per due ragioni fondamentali
(12)
.
La prima consiste nel fatto che non esiste un metodo per misurare in maniera
conclusiva il livello dello sviluppo economico che continua ad essere dedotto da
una serie di indicatori quale il tradizionale prodotto nazionale lordo pro-capite. La
seconda sta nel fatto che il livello di sviluppo economico può presentare delle
disparità all'interno di uno stesso paese, basti pensare alle differenze tra le aree
urbane e le aree rurali delle nazioni meno sviluppate.
Nonostante i problemi sino a qui evidenziati, il raggruppamento delle nazioni
in base alle affinità registrate rispetto ad un certo numero di criteri economici
oggettivi può fornire indicazioni utili allo studio dei mercati destinati alla
produzione, indipendentemente dalla loro appartenenza ad un particolare stadio di
sviluppo economico. Così per ciascun tipo di prodotto è possibile individuare il
relativo mercato di sbocco, nonché la generazione della tecnologia richiesta da
ciascuna linea di prodotto.
(10)
W. ROSTOW, The stages of economic growth, Cambridge University Press, New York 1960.
(11)
P.R. CATEORA, Marketing industrial products and business services, in P.R. CATEORA (a cura di), International
marketing, Irwin, Boston 1993, pp. 404.
(12)
E. DAY - S. FOX - S.M. HUSZAGH, Segmentation the global market for industrial goods: issues and implications,
in «International Marketing Review», automn 1988.
14
2.2. La crucialità della scelta dei canali di entrata sui mercati esteri
nel marketing internazionale; sequenzialità del processo di entrata sul
mercato internazionale
Il canale o modalità di entrata sui mercati esteri rappresenta la scelta della
forma specifica che rende possibile il trasferimento all'estero dei prodotti, della
tecnologia, delle capacità e risorse dell'impresa
(13)
.
E' bene precisare fin da ora che questo tipo di decisione non coinvolge quella
del canale distributivo da utilizzare sul mercato estero; questa, infatti, è
conseguente all'individuazione della modalità o canale di entrata e riguarda il
modo in cui il prodotto è trasferito all'utilizzatore finale. I due temi sono
evidentemente collegati, ma non coincidenti: la scelta dei canali di entrata sui
mercati esteri rappresenta una decisione strategica, e va quindi distinta dalla
definizione della condotta più efficace per porre il prodotto in contatto con il
consumatore finale
(14)
.
Ritornando al problema dei canali di entrata sui mercati esteri, occorre rilevare
che tale scelta costituisce una decisione fondamentale e critica di marketing
internazionale, dal momento che la tecnica di entrata scelta influenzerà il resto del
programma di marketing dell'impresa. Per esempio, se l'azienda opta per un
accordo di licenza la sua capacità di influenzare lo sviluppo del prodotto, la
promozione ed il prezzo dello stesso sarà seriamente ridotta. Mentre se l'impresa
decide di realizzare un insediamento produttivo nel paese estero, essa potrà
esercitare un alto grado di controllo in termini di decisioni di marketing e di
produzione, ma a ciò corrisponderanno alti costi e grandi rischi.
Come si può notare da questi due semplici esempi le decisioni sui canali di
entrata sui mercati esteri comportano un trade-off tra controllo, costi e rischi o
più sinteticamente tra grado di coinvolgimento internazionale e grado di controllo.
(13)
E. VALDANI, Marketing globale-La gestione strategica dei mercati internazionali, Egea, Milano 1991, pp. 293.
(14)
M. CAROLI, Marketing e processo di pianificazione nell'impresa internazionalizzata-Schemi di analisi, problemi
operativi e riflessi organizzativi, Giappichelli, Torino 1994, pp. 171.
15
Con riferimento a questi due parametri, i principali contributi teorici in tema di
internazionalizzazione delle imprese industriali hanno posto particolare enfasi sul
concetto di gradualità del processo di sviluppo delle attività aziendali all'estero
(15)
.
L'impresa tenderebbe ad evolvere progressivamente verso forme di presenza
sui mercati esteri che implicano un maggior grado di coinvolgimento
internazionale della stessa ed una sua più grande capacità di controllo sulle
attività estere. Da questo punto di vista sono state identificate quattro fasi.
La prima fase coincide con l'esportazione indiretta, ossia l'impresa evita
qualsiasi forma di coinvolgimento diretto sui mercati esteri in quanto il paese di
origine continua ad essere il punto di riferimento per quanto attiene la produzione
e la scelta dei prodotti, mentre la vendita all'estero viene attuata appoggiandosi ad
intermediari e compratori esteri.
La seconda fase è quella dell'esportazione diretta, ossia l'impresa assume un
atteggiamento più attivo nel processo di internazionalizzazione in quanto il paese
di origine continua ad essere il più importante per la produzione, ma l'impresa
cerca di avvicinarsi maggiormente al consumatore attraverso rapporti diretti con
intermediari e compratori locali o costituendo nel paese scelto come mercato
proprie filiali o sussidiarie commerciali.
Con la terza, che coincide con gli investimenti diretti all'estero, l'impresa
cerca di integrarsi maggiormente con il mercato estero: il paese di origine come
punto di riferimento delle sue politiche di espansione viene meno e vengono
adottate modalità di ingresso sul mercato internazionale più complesse e rischiose
con le quali si delocalizza la produzione o la distribuzione dei prodotti, che
possono implicare insediamenti produttivi di tipo sole o joint venture.
Infine la quarta fase è quella della configurazione e/o del coordinamento delle
attività a livello globale, ossia l'impresa considera i diversi paesi nei quali opera
come un unico mercato e in questa prospettiva elabora una strategia che supera i
(15)
Sul tema tra gli altri titoli si veda: E. VALDANI, op. cit., pp. 297-300; P.W. TURNBULL, La teoria degli stadi di
internazionalizzazione: rilievi critici e verifiche empiriche, in R. VARALDO - P.J. ROSSON (a cura di), Profili
gestionali delle imprese esportatrici, Giappichelli, Torino 1992, pp. 81-102.
16
confini nazionali dei singoli stati. E' il caso della multinazionale di produzione e
distribuzione oppure di un impresa che si occupa della sola commercializzazione,
acquistando e vendendo i prodotti in un paese o in un altro (trading company).
Questo approccio al processo di internazionalizzazione, che implica
l'individuazione delle fasi che sono state appena evidenziate, trova la sua ragion
d'essere nell'esigenza per l'impresa di sviluppare in modo graduale, da un lato
professionalità e metodologie adeguate a gestire una realtà di impresa
multinazionale, dall'altro uno specifico bagaglio di conoscenze e di esperienze nel
particolare contesto estero in cui l'impresa mira ad espandere la propria attività.
In anni recenti, l'evoluzione dello scenario competitivo ha contribuito a
modificare la logica dei processi di internazionalizzazione. La sequenzialità del
processo di internazionalizzazione è stata messa in discussione.
Marcati, per esempio, riconosce la natura sostanzialmente incrementale del
processo di entrata, ma non la sua logica uni-direzionale in ciascun paese, dal
momento che ci può essere "co-presenza" in ciascuna fase di una pluralità di
forme diverse nello stesso mercato. Tutt'al più, afferma l'autore, ci può essere
sequenzialità delle forme di entrata sui mercati esteri, ma con riferimento
all'insieme dei paesi in cui l'impresa opera
(16)
.
L'impresa, quindi, opera attraverso un "portafoglio" diversificato di modalità
di entrata sui mercati esteri.
Di conseguenza, non necessariamente, l'impresa accresce la propria presenza
internazionale attraverso un passaggio sequenziale e unidirezionale dalle forme di
entrata più semplici a quelle che richiedono maggior coinvolgimento strategico ed
economico. Anche se lo sviluppo nei mercati esteri ha natura incrementale,
riguardo ai canali di entrata si verificano delle discontinuità, perché alcune fasi
sono abbandonate o perché si registra una coesistenza di modalità diverse.
(16)
A. MARCATI, Relazioni tra imprese e marketing industriale, Giappichelli, Torino 1992, pp. 114-117.