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Introduzione
«Si può scoprire di più su una persona
in un’ora di gioco, che in un anno di conversazione»
Platone
Nella quindicesima delle sue Lettere sull’educazione estetica dell’uomo,
Friedrich Schiller descrive il gioco come «un’attività ineliminabile nella natura umana
[…] dove convivono sensibilità e razionalità». Per come è costruito il gioco, in esso
l’uomo riesce a esprimere se stesso in tutte le sue sfaccettature: ne emerge
un’immagine di un uomo autentico che vuole giocare. Si sottolinei l’uso del verbo
modale ‘volere’. È proprio attorno alla ‘scelta’ che ruota tutto il valore del gioco perché
è l’uomo che sceglie volontariamente di giocare. Così l’uomo è libero. Da qui, se la
libertà è prerogativa propria dell’essere umano perché «tutti gli uomini sono nati
liberi»
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, allora ha ben ragione il filosofo tedesco di giungere alla conclusione che
«l’uomo è veramente uomo solo quando gioca».
Non è un caso quindi che il gioco abbia rivestito un ruolo centrale nella storia
dell’umanità come nell’episodio esemplare, tra realtà e mito, dell’antica comunità dei
Lidi, raccontato da Erodoto nel primo libro delle Storie:
«Al tempo di Atis, figlio di Mane, una tremenda carestia si sarebbe abbattuta su
tutta la Lidia: per un certo tempo i Lidi avevano resistito a condurre la solita vita;
ma poi, siccome la crisi non accennava a finire, s’erano dati a cercare dei rimedi e
chi aveva escogitata una cosa, chi un’altra. Così sarebbero stati allora scoperti i
dadi, gli astragali, la palla e tutte le altre specie di giochi, tranne gli scacchi, dei
quali i Lidi non rivendicavano a sé l’invenzione.
Ed ecco come si valevano di quello che avevano inventato contro gli stimoli della
fame: per un’intera giornata, si davano al gioco, per non essere indotti a cercare il
cibo; il giorno dopo, interrompevano i giochi e mangiavano. In tal modo sarebbero
vissuti per diciott’anni».
Erodoto attribuisce ai Lidi la creazione di molti giochi che poi si sarebbero
tramandati di generazione in generazione fino ai nostri giorni. L’elemento più
interessante del racconto di Erodoto è che ai giochi è data, all’atto della loro nascita,
una veste di utilità, ben lontana dalla semplice idea di passatempo che si è imposta
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Articolo 1 - Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1948).
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nell’immaginario collettivo riguardo ai giochi, considerati come «banali riempitivi degli
interstizi della nostra vita» (Suits, 159). Oggi gli eredi dei giochi dei Lidi si chiamano
videogame e «nascono da un semplice desiderio: poter manipolare le immagini che
compaiono sullo schermo televisivo» (Alinovi, 2011). È diverso il supporto ma la
caratteristica di base rimane comunque la stessa di quella di 3.000 anni fa: voler
ricreare e immergersi in una ‘realtà virtuale’ in cui l’uomo finge sì di essere altro e
altrove ma che proprio perché protetto da una maschera si sente più libero di
esprimere se stesso nel profondo. Il gioco, anche nella sua versione digitale di
videogame, fa leva sui bisogni umani primari di autonomia ed espressione di sé.
Consapevole di tali peculiarità insite nel concetto di gioco, il nuovo paradigma
di marketing può guardare alla ‘filosofia del gioco’ per prendere spunto e tracciare così
le linee guida che permettano di superare definitivamente la fase del marketing
comunemente inteso come modello basato sulla manipolazione del consumatore finale
per affermare una nuova idea di marketing, intesa come: «l’insieme dei processi volti
all’identificazione e alla soddisfazione dei bisogni sociali e umani» (Kotler, Keller,
2007:5). In questo senso, se nel gioco si riconosce la possibilità di venir incontro a
determinati bisogni umani, allora ecco che il marketing ‘del nuovo millennio’, il
cosiddetto marketing 3.0 (Kotler, Kartajaya, Setiawan, 2010), può rivolgersi al mondo
del gioco per trarre principi e insegnamenti utili con lo scopo di attuare moderne
pratiche di marketing in cui il consumatore è riconosciuto come reale protagonista e
‘regista’ delle dinamiche del mercato. È un approccio al marketing fortemente
customer-oriented dove il cliente è posto al centro del processo di co-creazione di
valore con il brand e dove le imprese non solo orientano il loro focus sulla
comprensione e soddisfazione dei bisogni del consumatore ma anche si pongono con
esso in un atteggiamento di condivisione di un preciso sistema di valori.
Le aziende cercano il dialogo con i consumatori per poterne capirne le esigenze
e creare un’offerta di prodotti e servizi che sia in grado di soddisfarle: solo in questo
modo le aziende hanno la possibilità di ottenere la fedeltà dei clienti. Ciò è tanto più
vero perché il consumatore postmoderno (Fabris, 2003) è diventato esigente,
selettivo, autonomo e soprattutto disincantato nei confronti dei brand. Per questo le
aziende devono prima di tutto agire per ‘portare i consumatori dalla loro parte’
attraverso un’offerta volta alla soddisfazione dei bisogni dei consumatori stessi. In
questo stesso contesto si inserisce anche la realtà di ‘overload comunicativo’
soprattutto nel pressoché infinito universo del web dove ogni brand deve riuscire a
ritagliarsi un suo ‘posto al sole’ per sperare di poter coinvolgere e di conseguenza
instaurare un rapporto a due vie con i consumatori con l’obiettivo ultimo di ottenere la
loro fedeltà (customer loyalty).
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Il primo passo verso la lealtà dei consumatori nei confronti dei brand è
rappresentato dal loro coinvolgimento attivo (customer engagement) nel mondo del
brand. Questo coinvolgimento nella Rete può essere rappresentato dal sito, dalle
pagine social e da una serie di servizi online che l’azienda può offrire ai consumatori.
Online quindi le aziende possono ricercare lo user engagement cioè il coinvolgimento
degli utenti che da clienti potenziali, proprio perché coinvolti, possono trasformarsi in
clienti reali. Come già accennato, nella websfera si pone il problema di emergere tra la
massa infinita di messaggi in cui gli utenti si trovano immersi durante l’esperienza di
fruizione della Rete. Dunque, la domanda che i brand si pongono è: come coinvolgere
gli utenti? La risposta: trovando un modo per venire loro incontro attraverso la
soddisfazione dei loro bisogni umani. È in quest’ottica che il gioco diventa strumento di
marketing attraverso lo specifico uso di elementi di game design in siti, applicazioni e
piattaforme online. In una parola: gamification. La pratica di gamification negli ultimi
tre anni ha guadagnato l’attenzione di professionisti del marketing (Hamari,
Lehdonvirta, 2010; Hamari, Järvinen, 2011) e di esperti di game design (Schell,
2010a; Deterding et al., 2011; Kim, 2011; McGonigal, 2011a; Zichermann,
Cunningham, 2011) a partire soprattutto dell’esperienza dei social game in Facebook e
delle applicazioni di videogiochi per dispositivi mobile come smartphone e tablet. Il
presupposto alla base della pratica di gamification è: siccome i videogiochi sono
coinvolgenti, ogni sevizio che faccia uso degli stessi meccanismi sarà altrettanto
coinvolgente (Hamari, 2013). Dal lato brand, rendere gamificato un sito, una
piattaforma online o un’applicazione significa migliorare la user experience in un’ottica
‘giocosa’ andando così a contribuire al processo di co-creazione di valore con gli
utenti/consumatori (ibid.). Il concetto di gamification esprime la possibilità di
estrapolare l’essenza dei videogiochi – estetica, coinvolgimento, interattività – per
applicarla al mondo reale. Ciò significa progettare e sviluppare soluzioni ad hoc che
vadano a combinare gli obiettivi di marketing con la creatività e la ‘cassetta degli
attrezzi’ del game design (Palmer, Lunceford, Patton, 2012).
Considerato quanto quello di gamification sia un concetto ancora in fase di
definizione, la sua messa in pratica oscilla tra l’essere un trend che si imporrà in modo
determinante nel mondo della comunicazione e un ‘termine passpartout’ attorno cui si
raccolgono alcuni facili entusiasmi di alcuni esperti di marketing. Gli studi e le analisi
sul tema della gamification sono tuttora nella fase primaria. Per evitare facili
generalizzazioni e soprattutto inesattezze terminologiche si pone la necessità di un
approccio più formale di analisi del fenomeno per coglierne appieno gli aspetti di
opportunità e criticità. Il presente lavoro di tesi si pone l’obiettivo di offrire una
panoramica generale sull’attuale ‘stato dell’arte’ della gamification con il preciso scopo
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di rilevarne punti di forza, di debolezza e, nel caso, eventuali margini di
miglioramento.
Nel primo capitolo si definirà la gamification prima di tutto da una ‘prospettiva
dall’alto’ da cui si vedrà come essa faccia parte del più generale contesto di
«ludicizzazione della cultura» che ha visto negli anni il formarsi di altre tre pratiche
principali basate sulla commistione tra gioco e realtà quotidiana: serious games,
Alternate Reality Games e playful design. La gamification è figlia di ciascuna di queste
tre pratiche in quanto presenta degli aspetti e dei meccanismi di ognuna di esse.
Quindi si definirà la gamification come l’uso di elementi gioco e di tecniche e principi di
game design per coinvolgere utenti e consumatori in contesti non-game. Questa
definizione rappresenta una linea guida grazie a cui è possibile distinguere cosa possa
essere identificato come esempio di gamification e cosa no. Nel primo capitolo si
offrirà un quadro generale sulla gamification non solo dal punto di vista terminologico
ma anche per ciò che riguarda la portata del fenomeno della gamification: si vedrà
come la gamification rappresenti uno dei trend con le prospettive di maggior crescita
del momento. I tre capitoli successivi al primo saranno dedicati ciascuno a tre macro-
temi che emergono dalla scomposizione della definizione di gamification: il gioco
(secondo capitolo), il game design (terzo capitolo) e i contesti non-game (quarto
capitolo).
Più nello specifico, nel secondo capitolo si cercherà di rispondere alla domanda:
che cos’è un gioco? In questo modo sarà possibile isolare tutti quegli elementi che
rendono un gioco riconoscibile come tale e che per questo motivo saranno riproposti,
però solo in parte, all’interno della gamification. Dopo aver definito il gioco in senso
lato, il focus di analisi si sposterà più nello specifico sui videogiochi visto che la pratica
di gamification fa riferimento più direttamente al mondo dei videogame. I videogiochi
saranno trattati prima di tutto attraverso un breve excursus nella loro storia per
individuarne le tappe salienti della loro evoluzione: da semplici esperimenti di
informatica a veri e propri artefatti narrativi. È anche attraverso la loro storia che sarà
possibile capire il ruolo dei videogame nella società contemporanea e soprattutto le
ragioni del loro successo: comprendere gli aspetti che hanno reso l’industria dei
videogiochi una delle più prolifiche al mondo significa poter far propri questi stessi
aspetti per riproporli in una pratica di gamification di valore. Inoltre, attraverso la
storia dei videogiochi si comprenderà come la ‘grammatica dei videogame’ sia entrata
nel corso del tempo nell’orizzonte cognitivo di una sempre maggiore varietà di persone
e che pertanto una logica game-oriented come quella espressa dalla gamification
faccia parte del bagaglio culturale delle persone. Alla fine del capitolo si sottolineerà il
valore dei videogame come media narrativi e come strumenti di persuasione.
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Dopo aver affrontato il tema dell’evoluzione nel tempo dei videogiochi, nel terzo
capitolo si analizzeranno da un punto di vista più tecnico e strutturale. Nella prima
parte del capitolo si riassumeranno le ragioni per cui gli individui considerano i
(video)giochi delle fonti di divertimento. Comprendere quali sono gli elementi che
rendono i videogame così divertenti, ovvero coinvolgenti, significa poter applicare
questi stessi elementi nella gamification per poter renderla, per l’appunto,
coinvolgente agli occhi degli utenti. La seconda parte del capitolo, invece, sarà
dedicata più nello specifico ai principi e alle tecniche di game design. In particolare si
capirà la struttura interna di un videogioco e quali sono le sue componenti principali.
Nella progettazione e sviluppo di una pratica di gamification sarà fondamentale far
propri alcuni concetti ed elementi di game design perché costituiscono la base del
successo dei videogiochi in termini di coinvolgimento degli utenti.
Il quarto capitolo sarà dedicato alla terza parte della definizione di gamification,
cioè ai «contesti non-game». Per ciascuno dei dodici casi studio analizzati nel capitolo
– Foursquare, Ribbon Hero, Chore Wars, Mint, HabitRPG, Recyclebank, Health Month,
Nike+, Fitocracy, Samsung Nation, Vogue Eyewear Style Miles, Pointstic – si
individuerà il contesto non di gioco in cui sono stati applicati concetti di game design.
Dopo una breve presentazione generale, ogni caso sarà descritto attraverso gli
elementi di gioco in esso riconoscibili e se ne sottolineeranno eventuali punti di forza e
di debolezza.
Grazie ai casi presentati nel quarto capitolo sarà possibile isolare le condizioni
affinché una pratica di gamification possa essere realmente efficace in vista dello user
engagement. Nel quinto capitolo si approfondirà il tema del valore dell’engagement di
utenti/consumatori per il raggiungimento degli obiettivi di business. Si evidenzieranno
ancora una volta le ragioni per cui i videogiochi sono altamente coinvolgenti. Di
conseguenza, sulla base degli insegnamenti tratti da teorie e principi emersi nel corso
dei capitoli, si proporrà la ‘cassetta degli attrezzi’, composta da quattro elementi
principali, per lo sviluppo di una pratica di gamification efficace per il raggiungimento
dello user engagement. A conclusione del capitolo, si offrirà una panoramica sui
parametri da tenere in considerazione per misurare l’efficacia di una pratica di
gamification.
Infine, a conclusione del presente lavoro di tesi, si analizzeranno più
compiutamente quegli elementi di criticità del fenomeno di gamification che è
necessario superare affinché la pratica di gamification possa raggiungere uno stadio di
piena maturità e risultare quindi realmente efficace in termini di user engagement.