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dove poter trasmettere conoscenze, pensieri, azioni, sentimenti
1
. Per far ciò,
dunque, non basta comunicare ma è necessario che dall’altra parte ad ascoltare, a
cogliere i nostri input, ci sia qualcun altro. Qualcuno in grado di comprenderci
attraverso l’uso degli stessi canali e di rispondere relazionandosi a noi stessi. Un
gioco di scambi e di sintonie che ha origini assai antiche.
La voglia di farsi sentire, di coinvolgere gli altri e di esprimere sé stessi nasce
con l’uomo. Sin dai primi mesi di vita il bambino impara a comunicare i propri
bisogni attraverso il pianto, impara a cogliere i più semplici gesti dei genitori e,
con il tempo, li emula, fino a farli propri.
Inizia a muovere i primi passi verso quel processo di “messa in comune” di
significati condivisi attraverso un codice simbolico che può essere parlato, scritto
o semplicemente gestuale.
La comunicazione rappresenta il fulcro della vita sociale, della vita stessa
dell’uomo. Immaginare un’esistenza priva di contatti umani significherebbe
svuotare il senso stesso della vita. Sin dai primordi l’uomo ha sentito il bisogno
di socializzare, di rapportarsi ai propri simili e lo ha fatto con i mezzi a lui
disponibili.
Nel XVI secolo, tribù indigene come gli Alladian utilizzavano il rito come forma
di comunicazione. Ad esempio, uno dei villaggi costieri di un importante
villaggio mercantile aveva il monopolio del culto dedicato alle divinità del mare.
In occasione di alcune feste tutti i villaggi e i lignaggi alladiani si facevano
rappresentare, e questa riunione, il cui oggetto immediato era il propiziarsi le
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Giovene, Vacca, La relazione sociale come mezzo e come fine, Cuen, Napoli, 2003, p. 96
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potenze marine per favorire la pesca e il commercio, forniva in modo evidente
l’occasione per rinforzare le alleanze matrimoniali, armonizzare la politica
commerciale, scambiarsi notizie; in breve, per affermare ad intervalli regolari
l’esigenza di una certa identità
2
.
In questo senso il rito è mediatore, creatore di mediazioni simboliche che
permettono agli attori sociali di identificarsi ad altri e di distinguersene,
insomma, di stabilire legami di senso.
Aver sostituito i media alle mediazioni è il risultato di un naturale processo
evolutivo. Lo sviluppo dei media e i cambiamenti che interessano la
comunicazione e l’immagine sono cambiamenti quasi sempre presentati come
culturali. Una cultura che si riproduce sempre allo stesso modo è un malessere
per la società, proprio come una lingua che non si parla più, che non mutua più
elementi da altre lingue, che non inventa più, è una lingua morta.
Per gran parte della loro storia gli uomini hanno stabilito esclusivamente rapporti
faccia a faccia, interagendo all’interno di un luogo fisico condiviso e avvalendosi
di tradizioni essenzialmente orali.
Il nostro secolo ha subito un’accelerazione della storia (legata alla
globalizzazione dell’economia e allo sviluppo dei media e dell’informazione), un
restringimento delle distanze (legato all’accelerazione dei mezzi di trasporto e
alla diffusione delle immagini) che investe simultaneamente le nostre
rappresentazioni dello spazio, il nostro rapporto con la realtà, la nostra relazione
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Notizie tratte dal libro di Marc Augè, La guerra dei sogni. Esercizi di etno-fiction, Elèuthera, 1997.
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con gli altri
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. L’imporsi dei nuovi mezzi di comunicazione ha creato nuovi tipi di
azione e nuove forme di interazioni sociali. Per parafrasare Anders, abbiamo
esteso tecnologicamente i nostri sensi per osservare oggetti troppo piccoli o
distanti per vederli direttamente. La lista di questi strumenti è lunga, dalla radio e
la televisione alle tecnologie digitali. Siamo sempre più dipendenti da queste per
sostenere la nostra realtà sociale e culturale. Sono parte del nostro essere umani
nel nostro tempo.
Ma quanto dello spazio conquistato è realmente nostro?
Fino a che punto siamo padroni della realtà e decisori della nostra cultura del
mondo?
Gli sviluppi tecnologici e le innovazioni mediatiche, se da un lato ci hanno
permesso di immergere i nostri sensi in realtà lontane e fino a poco tempo fa
sconosciute, dall’altro, paradossalmente, ci hanno privato del ruolo di registi ed
attori, lasciandoci una poltrona nell’immensa platea degli spettatori. Osservando
con occhio critico l’attuale situazione mediale, ci rendiamo forse conto che è il
mondo ad aver invaso i nostri spazi, ad essere entrato nelle nostre case e non il
contrario. Siamo inevitabilmente soggetti a ciò che il mondo vuole mostrarci di
sé o, meglio, a ciò di cui i media vogliono renderci partecipi attraverso l’ormai
nota prassi di “agenda setting”, ovvero la capacità degli strumenti mediali di
stabilire, a priori, su cosa concentrare l’attenzione del pubblico. Qui, il concetto
di comunicazione, inteso come interazione, compartecipazione, tende a
scomparire, lasciando dietro di sé una scia di amara insoddisfazione.
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Marc Augè, Finzioni di fine secolo, B.Boringhieri, Torino, 2001, p. 108
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La natura umana si accompagna alla voglia di dialogo, di confronto e non può
restare inerme innanzi all’impossibilità di comunicare. E’ stata, verosimilmente,
questa la molla che ha fatto scattare quel meccanismo inarrestabile di nuove
scoperte che ci ha portati fino all’invenzione del Web e all’universo di Internet.
Quel pubblico passivo dei vecchi media è maturato, si è evoluto fino ad appagare
i propri bisogni comunicazionali attraverso il cyberspazio
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. Un modo nuovo per
interagire in tempo pressoché reale, un “luogo altro” all’interno del quale
confrontarsi con l’immensa realtà che ci circonda. Uno spazio in cui siamo noi
ad entrare nel mondo, lasciandoci consapevolmente travolgere da esso, e con
esso reinventiamo un modo altro di comunicare, di trasmettere informazioni. Da
una relazione di dominanza e di potere, ad una di interrelazione e di interesse per
l’altro, di comunicazione vera.
Il cyberspazio diventa un terzo regno fra, intorno e dentro lo spazio fisico e
mentale
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. Una trama di idee, informazioni, espressioni, vita, che si estende ai
popoli e si dirama dove l’uomo da solo non può arrivare, dando voce ad ogni
singolo.
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Il termine si deve ad un romanzo di William Gibson, Neuromancer, 1984, che raccontava di un territorio
di scambio immateriale.
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D. de Kerckhove, L’architettura dell’intelligenza, Testo e immagine, Roma, 2001, p.17.
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1.2 ESIGENZE COMUNICAZIONALI DELLE IMPRESE
Il moltiplicarsi di opportunità comunicazionali, introdotto dagli strumenti
mediali, ha reso il “contatto” e l’interazione il cuore della nostra realtà sociale.
Innanzi ad uno scenario di tale portata, le imprese di oggi non possono
permettersi di rimanere indifferenti e di fingere che nulla stia accadendo.
Il modo di comunicare ha cambiato forma inserendosi in una rete di possibilità
informative vastissima ma, soprattutto, bidirezionale. L’impresa si è vista
catapultare nel bel mezzo delle piazze, circondata da tutti quei clienti che, fino a
qualche tempo fa, le sembravano tanto distanti. Ha visto aprire le porte dei propri
edifici ed abbattere le mura dei propri uffici, trovandosi di fronte il proprio
mercato. Non più una massa di clienti senza volto ma singoli individui che, con
la propria personalità, il proprio io e la propria cultura, le hanno iniziato a porre
interrogativi, avidi di risposte adeguate alle loro esigenze.
Superata la fase iniziale di ebbrezza, i manager più attenti si sono rimboccati le
maniche, intuendo l’enorme cambiamento che di lì a poco avrebbe invaso
l’intero settore aziendale. A molti di loro è diventato ovvio poter beneficiare
enormemente dei progressi mediali e delle intercomunicazioni virtuali.
Quando è stato possibile dialogare con tale semplicità con i propri clienti?
Quando un’impresa ha potuto ottenere, in modo tanto rapido, le informazioni a
lei necessarie?
Quando ha potuto “vendere” la propria immagine in maniera tanto penetrante?
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Sono questi gli obiettivi che l’impresa ha sempre tentato di raggiungere, con
risultati spesso poco soddisfacenti e troppo onerosi. Oggi, con Internet, questo
meccanismo è molto più potente per diverse ragioni.
Innanzitutto la portata, che lo estende a milioni di persone a costi bassissimi. Poi,
l’evidenza che la rete è modellata sui software, e questo permette ai progettisti,
che lavorano per le imprese, di esercitare un controllo preciso e di monitorare
tutte le informazioni
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. Attraverso la realizzazione di un sito web l’azienda può,
non solo, mettere a disposizione del pubblico le idee, le innovazioni e le
informazioni che ritiene debbano arrivare all’esterno ma, in tempi reali, può
cogliere le reazioni del proprio mercato, studiare e bilanciare le opinioni del
cliente e, infine, agire di conseguenza. Una conquista, in termini di immagine e
sviluppo, che non ha precedenti. Poter cogliere i bisogni e i desideri del mondo
esterno per realizzare il modo di soddisfarli è ciò che ogni dirigente ha sempre
desiderato e, per cui, ha spesso trascorso notti insonni.
Ma le innovazioni mediali possono fare di più. Se ben sfruttate sono in grado di
azzerare gli spazi e i tempi, non solo tra l’impresa e i suoi clienti, ma tra le
componenti dell’impresa stessa.
L’edificio fisico di una società potrebbe essere disperso da una parte all’altra del
mondo ma, al tempo stesso, l’interconnessione virtuale tra le varie sedi
formerebbe un unico ufficio digitale. L’intero complesso sarebbe presente in
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G. Granieri, Blog generation, Laterza, Bari, 2005, p. 51.