V
solo a quei calciatori considerati strategicamente importanti per la squadra
e per la società (come Totti per la Roma, ad esempio).
E’ il notevole interesse riposto nell’analisi delle dinamiche economiche che
stanno alla base della crisi del settore, insieme alla grande passione per il
gioco del calcio, che ha spinto alla realizzazione di questa tesi.
Obiettivo del presente lavoro è quello di focalizzare l’attenzione sugli
aspetti economico-finanziari del mondo del calcio; così la ricerca è stata
rivolta prevalentemente a mettere in risalto le suddette caratteristiche, non
trascurando però gli aspetti storici, sociali e giuridici di questo sport.
Nel primo capitolo, fatto un accenno di carattere storico sul calcio, si passa
poi ad analizzare i provvedimenti normativi che hanno sancito la
trasformazione delle società calcistiche negli anni e l’affermarsi della
figura del calciatore come professionista; in ultima analisi si fa cenno
all’attuale assetto organizzativo del calcio italiano.
Il secondo capitolo, invece, pone l’attenzione sulla struttura dei bilanci
delle società di calcio e, in particolar modo, sulle conseguenze economico-
gestionali che sugli stessi ha avuto l’evoluzione della figura del calciatore,
soprattutto alla luce della sentenza Bosman.
Il terzo capitolo, infine, è incentrato sulle dinamiche che stanno alla base
della crisi del settore calcio; si provvede ad illustrare, quindi, i rimedi
contabili che i club avevano approntato per nascondere i loro problemi
economici e si esamina, poi, l’importanza dell’intervento del Governo col
decreto “salvacalcio”; successivamente, non prima di aver analizzato le
VI
possibili soluzioni alla crisi economico-finanziaria del settore, si sposta
l’attenzione sulla voce più importante dei bilanci delle società calcistiche: i
Diritti Pluriennali alle Prestazioni dei Calciatori. A tal proposito, una volta
illustrate le problematiche connesse con la valutazione del “parco
giocatori”, si procede alla presentazione di quella che, al momento, appare
la metodologia più adatta per stimare il valore corrente di mercato di un
calciatore: il metodo empirico delle transazioni comparabili.
Il presente lavoro, dunque, analizzati i principali fatti storici che hanno
caratterizzato e modificato nel corso degli anni il mondo del calcio, vuole
fare una “fotografia” dello stato attuale di quella che è una realtà
economica in continuo e costante sviluppo.
CAPITOLO I
IL CALCIO: CENNI STORICI E PROFILI GIURIDICI
1. La nascita e la diffusione del calcio
1.1. Le associazioni calcistiche
1.2. La nascita delle S.p.A. calcistiche
2. Lo sport professionistico: legge 23 marzo 1981, n.91
2.1. La definizione di sportivo professionista
2.2. La forma sociale delle società sportive
2.3. Il sistema dei controlli sulle società sportive
3. L’organizzazione del calcio in Italia
3.1. Il CONI
3.2. La FIGC
3.3. La CO.VI.SO.C.
3.4. La CO.N.SO.B.
2
CAPITOLO I
IL CALCIO: CENNI STORICI E PROFILI GIURIDICI
1. LA NASCITA E LA DIFFUSIONE DEL CALCIO
Il calcio moderno nasce nell’Inghilterra di metà Ottocento, tra gli studenti
delle public school e delle Università. Fin dall’età Classica si effettuano
giochi con la palla, ma è nel 1863 che gli inglesi codificano le regole del
calcio. In precedenza, nel 1855, si è costituita la prima società calcistica del
mondo, lo Sheffield Club. In poco tempo il football entra nelle abitudini e
nella cultura della gente comune, tant’è che nel 1882 si contano già un
migliaio di società britanniche. A partire dal 1870 il calcio esce dai confini
del Regno Unito grazie ai tanti inglesi sparsi per il mondo che diffondono
questo gioco in Europa, America latina e, più tardi, in Africa e in Asia.
In Italia nel 1898 nasce la Federazione Italiana del Football che organizza il
primo campionato nazionale di calcio disputatosi a Torino tra sole 4
squadre (il campionato viene vinto dal Genoa).
La diffusione del football viene favorita da una parte, dall’urbanizzazione,
e dall’altra, dalla diffusione dei mezzi di trasporto
1
; così nel 1927 viene
organizzato il primo campionato nazionale italiano (in precedenza c’erano
stati due gironi: Nord e Centro-Sud) e nel 1930-31 si assiste al primo
campionato italiano con girone unico.
1
A. Wahl, Il calcio. Una storia mondiale, Universale Electa/Gallimard, Parigi, 1990-1993.
3
Il segreto della popolarità del calcio risiede nella semplicità delle sue
regole, cosa che rende accessibile l’approccio a tale disciplina da parte di
un vasto ed indiscriminato pubblico; da un punto di vista più generale,
invece, questa grande diffusione si spiega con la sempre maggior presenza
di interessi economici che ruotano intorno al “mondo del pallone”.
Bisogna, infatti, aggiungere che la presidenza di un club calcistico,
costituisce un’ambita vetrina per gli imprenditori, in quanto essa comporta
prestigio sociale e pubblicità: anche la semplice presenza in tribuna, quindi,
diventa importante per i personaggi pubblici; lo stadio diventa così il luogo
d’incontro tra i mondi dello spettacolo, dell’economia e della politica e
garantisce un notevole ritorno d’immagine.
Altro fenomeno tipico del mondo del calcio è il forte campanilismo che
raggiunge punte estreme nella disputa dei derby, che vedono contrapposti
due club diversi della stessa città; in queste partite la rivalità è accentuata
non solo dalla diversa fede calcistica, ma anche da opposizioni sociali e
culturali.
Il calcio, dunque, prima che centro di interessi economici, è da considerare
come un grande fenomeno sociale.
4
1.1. LE ASSOCIAZIONI CALCISTICHE
Alle origini i sodalizi calcistici sono nati come club di praticanti un
determinato sport. Ogni membro di questi enti era vincolato alla squadra
per il fatto di essere un associato del club, il che comportava
automaticamente il tesseramento alla federazione sportiva cui faceva capo
l’associazione
2
. La fattispecie giuridica adottata dai club era quella
dell’associazione non riconosciuta
3
; essa non ha personalità giuridica e gli
associati, attraverso l’apporto di beni e contributi, costituiscono un “fondo
comune” (art. 37, c.c.) a garanzia dei creditori, di cui gli associati stessi non
possono richiedere la divisione né ottenerne la quota di recesso finché dura
l’associazione medesima. L’associazione non riconosciuta, pur non avendo
finalità lucrative, era lo strumento giuridico più appropriato per svolgere
un’attività sportiva poiché la sua regolamentazione permetteva grande
libertà contrattuale agli associati per la definizione delle modalità
dell’attività. La gestione e l’amministrazione degli enti calcistici erano però
insufficientemente regolamentate; queste associazioni, infatti, erano gestite
“per cassa”, così gli esborsi di gestione, al netto dei proventi risultanti dalla
cessione dei calciatori, costituivano il deficit, contabilizzato senza
considerare né il patrimonio sociale né quello costituito dal parco giocatori,
ai quali non veniva dato alcun valore contabile
4
.
2
G. Rusconi, Il bilancio d’esercizio nell’economia delle società di calcio, Cacucci, Bari, 1990, p. 65.
3
G. Basile–M. Brunelli–G. Cazzulo, Le società di calcio professionistiche. Aspetti civilistici, fiscali e
gestionali, Buffetti Editore, Roma, 1997, p. 8.
4
F. Torneo, Amministrazione e bilancio delle società calcistiche per azioni, Pirola, Milano, 1986, pp. 7-8.
5
Tutto ciò dava ai valori risultanti dalla contabilità un notevole grado di
incertezza
5
.
La problematica amministrazione e la mancanza di adeguate forme di
controllo dell’attività gestionale delle associazioni calcistiche iniziarono ad
essere palesi negli anni ’60, in coincidenza con una crescente importanza
economica e finanziaria dell’attività calcistica, che cominciava ad
evidenziare le sue enormi potenzialità
6
. In questo periodo, infatti, si assiste
ad un vero e proprio boom del calcio: il numero dei partecipanti era
aumentato rapidamente di anno in anno, il livello tecnico-agonistico delle
competizioni era salito notevolmente e il sempre maggior interesse del
pubblico verso questo sport aveva determinato una grande attenzione anche
da parte dei media. In questa fase, dunque, l’organizzazione e
l’amministrazione delle associazioni calcistiche, iniziano a palesare la loro
inadeguatezza. Se le esigenze economiche erano state fino ad allora molto
simili a quelle delle analoghe associazioni culturali o ricreative, adesso si
assiste ad un notevole cambiamento sotto questo profilo, e le prospettive di
guadagno connesse con l’evoluzione del mondo del calcio, rendono
parimenti inadeguati i bilanci e i metodi di gestione economica relativi alle
associazioni in questione. Gli effetti di questa notevole evoluzione, da un
punto di vista strettamente economico, erano sostanzialmente due: a) le
associazioni calcistiche erano impossibilitate a far fronte alle crescenti
5
P. L. Marzola, L’industria del calcio, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1990, p. 106.
6
A. Tanzi, Le società calcistiche. Implicazioni economiche di un gioco, Giappichelli, Torino, 1999, p. 23.
6
spese con il solo contributo degli associati e pertanto si rivolgevano al
mercato, assumendo in tal modo, connotati di tipo imprenditoriale; b) a
mano a mano che le associazioni calcistiche si evolvevano sul piano
economico, si registrava l’esigenza di modificare la struttura giuridica delle
associazioni medesime.
In seguito a questi cambiamenti viene a scomparire la figura del calciatore
come associato e a questa si sostituisce la figura dell’atleta professionista,
che presta la propria opera a favore dell’associazione in cambio di un
compenso proporzionale al livello qualitativo delle prestazioni rese
7
e, cosa
più rilevante sul piano economico, viene a modificarsi la struttura delle
associazioni.
La partecipazione ai campionati e, conseguentemente, la presentazione al
pubblico di spettacoli calcistici, comporta la trasformazione delle
preesistenti associazioni calcistiche in imprese analoghe a quelle che
organizzano spettacoli pubblici, caratterizzate da esigenze di gestione
completamente diverse da quelle tipiche delle associazioni non aventi
finalità lucrative
8
.
Tuttavia, la trasformazione da associazioni sportive in imprese era
ostacolata dall’art. 25 del CONI: “Le società e le associazioni sportive non
devono avere scopo di lucro”. Ciononostante, alcuni sodalizi calcistici
7
P. Verrucoli, Le società e le associazioni sportive alla luce della legge di riforma (Legge 23 marzo
1981, n. 91), in Rivista del Diritto Commerciale, 1982, pp. 134-136.
8
M. T. Cirenei, Le associazioni sportive per azioni, in Rivista del Diritto Commerciale, 1970, Parte
Prima, p. 471. “In sostanza dette associazioni si sono venute a porre sullo stesso piano delle imprese che
organizzano e promuovono per esempio spettacoli teatrali e come queste ingaggiano attori, così quelle
ingaggiano calciatori con gli stessi sistemi di organizzazione, con gli stessi rischi e possibilità di lucro”.
7
(Torino S.p.A. nel 1959 e Napoli S.p.A. nel 1964), vennero comunque a
costituirsi come società per azioni (senza scopo di lucro)
9
, in modo da poter
rispondere adeguatamente alle dimensioni e ai connotati imprenditoriali
che l’attività calcistica stava assumendo: era il segnale che il divieto della
finalità lucrativa per i club calcistici doveva essere rivisto e abolito.
1.2. LA NASCITA DELLE S.p.A. CALCISTICHE
Gli eventi sopraccitati e l’avvento del professionismo furono oggetto di una
delibera della FIGC del 16 settembre 1966 che sancì lo scioglimento delle
vecchie associazioni calcistiche e la loro rinascita come società per azioni,
dotate, quindi, di personalità giuridica: la delibera sancì anche che la
personalità giuridica era il requisito principale per ottenere l’iscrizione al
campionato 1966-67. Successivamente la FIGC impose, con la delibera del
16 dicembre 1966, uno statuto-tipo
10
, che, tra le altre cose, ancora impediva
alle neonate società calcistiche di perseguire il fine di lucro.
L’imposizione della forma societaria era funzionale al perseguimento di
alcuni obiettivi da parte della FIGC: a) definizione delle responsabilità dei
rappresentanti legali; b) imposizione del rispetto di direttive omogenee di
gestione; c) imposizione del rispetto delle disposizioni in materia societaria
e legale.
9
L’art. 3 dello statuto della S.p.A. Calcio Napoli, per esempio, recita: “La società non ha fine di lucro”.
10
G. Minervini, Il nuovo statuto-tipo delle società calcistiche, in Rivista delle Società, 1967, p. 677.
8
Tali disposizioni, soprattutto quelle inerenti ai principi di formazione e di
pubblicità dei bilanci, furono fondamentali per assicurare una più cauta
amministrazione e la possibilità di un controllo più efficiente da parte delle
autorità sportive competenti.
La struttura societaria che si era venuta a configurare era però anomala, in
quanto le società calcistiche non potevano perseguire uno scopo lucrativo;
più precisamente, era possibile conseguire un lucro soggettivo
(realizzazione di utili di bilancio), ma non era stata riconosciuta la
possibilità di poter dividere gli utili tra i soci (lucro oggettivo): gli eventuali
utili dovevano, infatti, essere reinvestiti per il potenziamento dell’attività
sportiva.
Il riconoscimento dello scopo di lucro per le società di calcio è stato
l’argomento su cui gli organi sportivi e politici hanno a lungo discusso in
quegli anni. La soluzione a tale querelle arrivò col decreto legge 20
settembre 1996, n. 485, successivamente convertito in legge n. 586 del 18
novembre 1996 (di cui si dirà meglio nel capitolo II). Con questo intervento
veniva a cadere l’obbligo di reinvestimento degli utili da parte delle società
calcistiche e si riconosceva a queste la possibilità di perseguire uno scopo
di lucro
11
. Questo passo ha finalmente fatto chiarezza sulla natura delle
società di calcio, che dal 1996, quindi, possono essere considerate società
di capitali a tutti gli effetti.
11
A. Balistri, I club di calcio vanno in gol con l’utile, in Il Sole 24 Ore, 21 settembre 1996, p. 27.