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R apport o scient ifico sviluppat o nel 1972 dal M I T per cont o del Club di R oma e
pubblicat o nel
1972 da Donella M eadows, Dennis M eadows, Jørgen R anders e William W. B ehrens
I I I , riguardant e i possibili t rend fut uri su: popolazione, cibo, inquinament o, risorse
nat urali, produzione.
INTRODUZIONE
Nel corso degli ultimi due secoli, il progresso delle società umane ha provocato un
inarrestabile deterioramento della dimensione ecologica del pianeta. Le
conseguenze di questo continuo sviluppo sono risultate catastrofiche, minacciando
tanto il mondo animale quanto quello vegetale e portando alla devastazione di interi
ecosistemi. Tali ambienti costituiscono habitat vitali per milioni di specie viventi,
compreso l'uomo, che dipendono dall'unico pianeta attualmente conosciuto
nell'universo che offre le condizioni favorevoli alla vita. Per lungo tempo, questioni
come disastri ambientali, disuguaglianze sociali e problemi di salute legati
all’inquinamento,sonostatefortementesottovalutateelosonotutt’oranelpresente,
avendo come unico obiettivo quello di raggiungere un livello di “benessere” che,
interpretando la realtà dei fatti, corrisponde alla distruzione dell’ambiente
circostante e all’estinzione di milioni di esseri viventi. Al giorno d’oggi il concetto
di sviluppo poco attento alla sfera ambientale, sociale, economica e sanitaria,
dunque, può essere definito come insostenibile per la vita sul pianeta. A sostegno
di questa affermazione, secondo il rapporto realizzato dal MIT per conto del Club
di Roma nel 1972 denominato “I limiti dello sviluppo”
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, la Terra presenta risorse
finite ed esauribili che non sono in grado di supportare una crescita illimitata. La
relazione tra uomo e natura è quindi, oggi più che mai, al centro dell’attenzione di
migliaia di ricerche scientifiche in tutto il mondo, interessa e accomuna ambiti di
studio molto ampi che vanno dalla botanica alla psicologia, includono la sociologia,
l’urbanistica, la geografia, la medicina e molti altri; la collaborazione è quindi
importantissima e un approccio di tipo multidisciplinare è fondamentale per andare
a fondo nelle problematiche, con lo scopo di migliorare le condizioni di vita attuali.
L’obiettivo di questo studio è quello di esaltare l’importanza e il valore delle aree
verdi naturali in ambiente urbano, fulcro delle attività umane e dell’inquinamento
ecosistemico, mettendo in risalto la moltitudine di benefici derivanti dalla presenza
di biodiversità vegetale sulla salute umana (mentale e fisica), sulla qualità delle
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relazioni sociali, sugli impatti positivi dal punto di vista ambientale ed economico.
Si procederà analizzando la ricca letteratura scientifica internazionale, attraverso
l’analisi di articoli selezionati, mostrando le evidenze riguardanti il tema trattato,
inoltre, ulteriori informazioni verranno ricavate da diverse fonti bibliografiche
autorevoli e aggiornate sulla questione, interrogando organizzazioni internazionali
e studi universitari. Le città, protagoniste di questa analisi, sono luoghi fertili per le
interazioni umane, ambienti complessi, densi e sovrappopolati in molti casi, centri
dell’economia e dell’inquinamento globale, abitate dal 56% della popolazione
mondiale (2021) e con stime che prevedono, entro il 2050, un incremento fino al
68% (UN-HABITAT, 2022). Nonostante occupino solo il 2% della superficie
terrestre, gli agglomerati urbani producono più della metà dell’inquinamento
esistente, consumando quasi l’80% dell’energia mondiale (UN-HABITAT, 2018).
Un problema importante quindi, se ciò viene fatto senza tutele per l’ambiente
circostante e la popolazione che le abita. Queste aree hanno subito grandi
stravolgimenti nel corso dei secoli, tali da assumere delle conformazioni
completamente diverse rispetto a prima della rivoluzione industriale. In passato,
infatti, gli insediamenti urbani erano molto legati all’ambiente naturale, con
benefici per la vita sociale, per la salute e per la salvaguardia degli ecosistemi locali.
Con l’avvio dei primi processi di inurbamento iniziarono a nascere delle
problematiche rilevanti, difatti tra le criticità più concrete da affrontare troviamo:
il sovrappopolamento, il tasso di urbanizzazione in continua crescita, il consumo di
suolo incontrollato, l’abbattimento di ettari di boschi e foreste, la cementificazione
e l’impermeabilizzazione delle pavimentazioni, il peggioramento della qualità della
vita, l’aumento delle malattie dovute all’inquinamento atmosferico. Queste azioni,
sono gli esiti degli atti scellerati che negli ultimi due secoli hanno contribuito a
peggiorare la situazione ambientale, sociale e la salute umana, nonostante i
progressi tecnologici e della medicina. Secondo le più recenti proiezioni dell’ONU
il numero della popolazione mondiale è in aumento e raggiungerà per la fine del
secolo il picco di circa 10,4 miliardi di persone sul pianeta, con tutta una serie di
conseguenze negative per la qualità della vita nei grandi centri urbani. Uno dei
fenomeni più preoccupanti che ha accompagnato l’evoluzione di città e metropoli
in tutto il mondo, è il continuo allontanamento dalla dimensione naturale. Un
distaccamento che ha portato l’uomo a sentirsi diverso o addirittura superiore alla
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natura e a tutti gli altri esseri viventi, dando vita a degli ambienti cittadini privi di
aree verdi o parchi, con scarsa presenza di copertura arborea, di alberi, esseri biotici
fondamentali per la sopravvivenza umana e per la vita sul pianeta. Il progresso e
l’industrializzazione hanno portato allo sviluppo di città grigie, quasi totalmente
cementificate, prive di ogni tipo di area naturale e scarsa biodiversità, con l’unico
scopo di favorire un’economia basata sull’industria e la finanza, senza considerare
i bisogni fondamentali dei cittadini che le abitano, la loro salute, sia fisica che
mentale, gli aspetti sociali della vita quotidiana, e i benefici ambientali ed
economici che derivano dallo sviluppo di queste aree. Per cercare di affrontare
questi problemi e porre rimedio agli errori che sono stati fatti in passato, è
necessario agire attraverso una pianificazione verde e sostenibile degli ambienti
urbani, in modo da renderli più vivibili, meno congestionati dal traffico veicolare,
più sani da un punto di vista ambientale, creare centri di aggregazione sociale,
coinvolgendo la popolazione nei progetti di rigenerazione locale, in modo da
favorire una governance territoriale che non lasci indietro nessuno. Tutti questi
buoni propositi nascono dalla volontà di ristabilire un contatto con la natura,
un’interazione attiva tra le dinamiche urbane e l’ambiente biotico di cui anche
l’uomo stesso fa parte. Si parla dunque di un concetto molto complesso ma allo
stesso tempo relativamente intuitivo, elemento fondante della natura umana, la
“Biofilia”, termine ripreso a metà degli anni 80 del XX secolo dal biologo Edward
O. Wilson per mettere in risalto il profondo legame che tiene insieme l’uomo alla
natura. Lo stesso professore di Harvard diceva: «La biofilia è la tendenza innata a
concentrare la nostra attenzione sulle forme di vita e su tutto ciò che le ricorda e, in
alcune circostanze, ad affiliarvisi emotivamente» (Edward O. Wilson, 2002). Ciò
significa che la salute umana, il benessere quotidiano fisico e mentale, sono
strettamente legati alla presenza di elementi naturali che aiutano a migliorare la
qualità della vita e di conseguenza a rendere le città più vivibili, verdi e in grado di
tollerare le conseguenze del cambiamento climatico in atto. Tra le principali sfide
da affrontare c’è quindi quella di rigenerare gli spazi urbani in modo da migliorare
le condizioni attuali, in cui regna il degrado, l’abbandono e l’incuria assoluta, frutto
della scarsa rilevanza data a queste aree nel corso del tempo. Per fare ciò è
importante mettere in atto tutta una serie di interventi mirati da parte dei governi,
attuare politiche settoriali sia a scala locale che nazionale, con investimenti
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importanti, si pensi al PNRR, che supportino lo sviluppo e la gestione di questi
nuovi spazi. Iniziative importanti dunque, con grandi sforzi economici, che però
non sono, da sole, all’altezza delle sfide da affrontare, serve infatti anche un
cambiamento di mentalità che deve prendere avvio dal basso, nelle comunità, con
un approccio di tipo bottom-up, in modo che il comportamento e le azioni di ogni
individuo possano contribuire a dare vita a questa transizione sostenibile per le
città, facilitando le operazioni da parte delle istituzioni, come sta avvenendo in
molte aree del vecchio continente e non solo. Il modello di riferimento che deve
essere preso d’esempio è quello delle cosiddette “Green Cities”, letteralmente
“Città Verdi”, aree urbane innovative che pongono al centro dell’attenzione la
sostenibilità sotto una moltitudine di punti di vista diversi. Come riportato
dall’ENA (European Nurserystock Association) attraverso un’iniziativa europea
denominata “Green Cities Europe”, l’obiettivo principale da perseguire nella
pianificazione urbana è quello di incrementare gli investimenti e gli sforzi per
realizzare delle comunità resilienti agli shock derivanti dal cambiamento climatico,
con particolare attenzione a cinque temi fondamentali: clima, salute, coesione
sociale, economia e biodiversità. Al centro di questo progetto, al fine di perseguire
i miglioramenti nella qualità della vita, ci sono le aree verdi urbane, il semplice
contatto con le specie vegetali, l’interazione umana con ambienti ricchi di
biodiversità. Sono tutti elementi cruciali, non solo per il puro senso estetico, ma
soprattutto per raggiungere quel livello di benessere, salute, qualità dei rapporti
sociali e molto altro ancora che al giorno d’oggi non è possibile garantire ai cittadini
che vivono quotidianamente in questi ambienti.
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Copertura permanente della superficie del suolo attraverso materiali artificiali impermeabili,
con una perdita irreversibile di servizi ecosistemici (FAO, 2016).
1. CLIMA E VERDE IN CITTA’
Negli ultimi decenni, l'urbanizzazione crescente ha portato ad una trasformazione
significativa delle aree urbane, caratterizzate da una maggiore densità demografica
e da un continuo aumento della presenza di infrastrutture. Questa evoluzione ha
comportato conseguenze dirette sulle condizioni microclimatiche locali, con un
impatto evidente sul benessere delle comunità urbane. Il presente capitolo si
propone di esaminare attentamente l'interconnessione tra il clima e l'ambiente
urbano, concentrandosi in particolare sull'importante ruolo svolto dalla presenza di
spazi verdi nelle città. Attraverso un'analisi approfondita di alcuni studi scientifici
internazionali, si andranno ad indagare le dinamiche che legano il clima urbano e
lavegetazione,rivelandocometalielementipossanocontribuirenonsoloamitigare
gli effetti negativi delle attività umane, ma anche a promuovere un ambiente urbano
più sostenibile e salutare. Le città, ormai alquanto prive di elementi direttamente
riconducibili ad habitat naturali autoctoni, fungono da camera di risonanza per le
problematiche ambientali, rendendo i loro effetti nettamente più impattanti sulle
popolazioni locali. La condizione attuale delle aree urbane, specialmente nelle
grandi metropoli, testimonia un crescente livello di alterazioni microclimatiche
locali. Queste sfide sono strettamente correlate ad alcuni fenomeni come l'aumento
significativo dell'impermeabilizzazione del suolo, noto come " soil se aling"
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, che
deriva dalla continua implementazione di infrastrutture antropiche a discapito delle
superfici verdi naturali. Per limitare questa ed altre criticità, è infatti necessario
integrare il più possibile l’ambiente naturale con quello urbano, attraverso iniziative
per la realizzazione di infrastrutture ecologiche e verdi (parchi, foreste urbane,
giardini condivisi, orti urbani, tetti verdi…) sfruttando la miriade di benefici che le
piante possono donare alla vita quotidiana di tutti i cittadini. È mediante questa
sinergia tra natura e ambiente costruito che si potranno aprire nuove prospettive per
una coabitazione armoniosa tra le comunità urbane e l'ecosistema circostante.
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L’IPCC è un organismo istituito dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) e
dall’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) nel 1988 per l’elaborazione di studi
scientifici periodici sui cambiamenti climatici.
1.1 CONDIZIONI CLIMATICHE GLOBALI
L’ultimo rapporto scientifico redatto dall’Intergovernmental Panel on Climate
Change (IPCC)
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, il più importante organismo internazionale per il monitoraggio e
la valutazione dei cambiamenti climatici, mostra la gravità della situazione attuale
in ambito ambientale attraverso dati e informazioni specifici riguardanti l’aumento
della temperatura globale, i possibili scenari futuri, le ripercussioni concrete sulle
attività umane e molte altre variabili influenzate negativamente dagli effetti
dell’innalzamento della temperatura globale.
Figura 1: Gli scenari futuri sulle emissioni e le temperature.
Fonte: IPCC AR6 Synthesis Report 2023
Nel rapporto si sottolinea l’urgenza di intraprendere azioni importanti e ambiziose
volte a garantire un futuro alle prossime generazioni e alla vita sul pianeta,
riducendo immediatamente le emissioni di gas serra in atmosfera. Lo sforzo
richiesto dall’intera comunità scientifica globale è quindi quello di ridurre
drasticamente l’utilizzo di fonti fossili, abbassando di conseguenza le
concentrazioni di gas clima-alteranti presenti nell’aria, in modo da fermare, o
quantomeno rallentare, l’aumento delle temperature su scala planetaria. I recenti
dati elaborati nello studio mostrano un riscaldamento globale di 1,1
C rispetto ai
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L’UNEP (United Nations Environment Programme) è un organo delle Nazioni Unite che si occupa
a livello internazionale della tutela dell’ambiente, concentrando la sua attenzione
sull’inquinamento, il clima, la natura, lo sviluppo sostenibile e molto altro.
livelli registrati in epoca preindustriale (IPCC, 2023), con diversi scenari (5)
sviluppati sulla base delle emissioni attese, dal meno critico al più pericoloso. Tra
le priorità assolute c’è quella di mantenere l’incremento delle temperature sotto ai
2 C, possibilmente 1.5 C, in modo da minimizzare i pesanti danni che, altrimenti,
graverebberodirettamentesull’ecosistema,labiodiversità,l’economiaeingenerale
sui sistemi naturali e umani in maniera incondizionata e irreversibile. Uno dei più
recenti report dell’UNEP
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, mostra come, nelle condizioni attuali, il mondo si trovi
su un percorso di non ritorno, con stime ufficiali che parlano di un innalzamento
della temperatura media globale di 2.5-2.9 C entro la fine del secolo, rispetto
all’epoca preindustriale (UNEP Emission Gap Report, 2023). Le conseguenze
catastrofiche riguardano la riduzione della produzione agricola e della pesca,
l’incremento del rischio di mortalità dovuto ad ondate di calore e umidità, la
frequenza più elevata di eventi meteorologici estremi, circa 11.000 tra il 2000 e il
2019 (Germanwatch, Global Climate risk index, 2021), l’estinzione di milioni di
specie, ecc….Tutti effetti dovuti, principalmente, alla continua emissione di gas
serra come l’anidride carbonica (CO
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), il protossido di azoto (N
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O), il metano
(CH
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) e i cosiddetti gas fluorurati. Oltre a quelli appena citati, le attività umane
producono molti altri inquinanti che si disperdono nell’ambiente circostante,
soprattutto in ambito urbano a causa delle grandi concentrazioni di traffico
veicolare, industrie e impianti di riscaldamento obsoleti. Molte alterazioni fisico-
morfologiche e stati di malattia sono la diretta conseguenza dell’interazione tra
l’apparato respiratorio umano e questi inquinanti; tra i più dannosi per l’organismo
elasalutepubblicaabbiamoilparticolato(PM10,PM2.5),ilmonossidodicarbonio
(CO), il biossido di azoto (NO
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), il biossido di zolfo (SO
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) e l’ozono (O
3
). Le misure
adottate per contrastare i cambiamenti climatici, integrate nella strategia sviluppata
dall’UNEP, vertono principalmente su due tipologie di azione: intervenire sulle
cause (mitigazione) oppure agire sugli effetti (adattamento). Nel primo caso si
mettono in atto tutta una serie di politiche volte alla riduzione delle emissioni,
limitando direttamente le fonti di questi gas e particelle (trasporti, industrie,
impianti domestici, allevamenti intensivi…), investendo in maniera intelligente