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Parte 1 : L’occhio e la visione
L’occhio è quella struttura, evolutasi indipendentemente in molti phylum animali,
predisposta alla fotorecezione dei fotoni di luce per trasdurli in segnali elettrici che
possono essere interpretati dal sistema nervoso centrale. I meccanismi che operano la
trasduzione visiva si basano su un insieme di molecole proteiche altamente conservate le
quali permettono di assorbire la luce sulla superficie dei fotorecettori e di catturare così
l’energia dei fotoni contenuta al loro interno.
1.1 Evoluzione dell’occhio
La natura fisica della luce ha condizionato fortemente l’evoluzione
dell’organizzazione strutturale dell’occhio, la cui funzione è quella di produrre immagini.
Nel corso dell’evoluzione sono stati messi a punto molti possibili disegni strutturali che
hanno portato ad organizzazioni dell’occhio simili in specie animali non affini, ad esempio
per quanto riguarda l’occhio dei calamari e dei pesci, che pur essendo due animali
filogeneticamente distanti condividono lo stesso habitat.
Questo dato però non è assoluto perché anche l’occhio dell’uomo è molto simile a
quello del pesce per convergenza, pur non vivendo nello stesso ambiente.
L’evoluzione dell’occhio può essere distinta in due tappe fondamentali. Inizialmente
in tutti i principali gruppi animali si sono sviluppate delle strutture semplici definite
macchie oculari, costituite da una fossetta aperta rivestita da pochi recettori e contenente
cellule pigmentate schermanti. Queste macchie oculari forniscono informazioni sulla
direzione delle sorgenti di luce e sulle variazioni della sua intensità, ma non immagini ben
dettagliate.
Però per riconoscere le figure e controllare l’attività motoria, gli animali hanno
bisogno di occhi con un sistema ottico capace di limitare la parte del campo visivo rilevata
da un singolo fotorecettore e di formare immagini. Questa tappa dell’evoluzione è
avvenuta solo in 6 phyla dei 33 presenti nei metazoi; ma gli animali che fanno parte di
questi 6 phyla rappresentano il 96% di tutte le specie viventi, quindi si può arrivare a dire
che il possedere occhi conferisca un notevole vantaggio in termini di evoluzione.
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In particolare l’occhio di vertebrato possiede un’apertura relativamente piccola e una
lente; queste due caratteristiche permettono la formazione di in’immagine di ottima
qualità, che viene messa a fuoco nella parte posteriore dell’occhio sullo strato dei
fotorecettori della retina [Randal, Fisiologia animale]
1.2 L’occhio dei vertebrati superiori
Nell’occhio dei vertebrati, la luce incidente è messa a fuoco in due fasi: nella fase
iniziale i raggi di luce incidente sono prima rifratti dalla superficie chiara ed esterna
dell’occhio chiamata cornea, successivamente attraversano una seconda struttura,
chiamata cristallino, una sorta di lente biconvessa di tessuto connettivale immerso in una
matrice fortemente proteica trasparente, la cui funzione è quella di ricreare un’immagine
invertita sulla superficie interna posteriore dell’occhio, la retina.
Figura 1.1 : Morfologia dell’occhio e orientamento delle cellule della retina inversa di
vertebrato.
Nei vertebrati superiori né il cristallino né la retina possono essere spostati, come
invece avviene nei pesci ossei, ma l’immagine viene messa a fuoco variando la curvatura
e lo spessore del cristallino; in questo modo, infatti, cambia la distanza a cui l’immagine,
che passa attraverso di esso, viene messa a fuoco, chiamata distanza focale della lente.
Figura 1.2 : Modificazione del cristallino in base all’angolo di incidenza della luce
La forma del cristallino si modifica in seguito alle variazioni della tensione esercitata
sul suo perimetro. Il cristallino è mantenuto sospeso nell’occhio dalle fibre della zonula,
orientate radialmente. Queste fibre esercitano sul loro perimetro una tensione diretta
verso l’esterno e le fibre dei muscoli ciliari, orientate radicalmente, regolano la quantità di
tale tensione. Quando i muscoli ciliari sono rilasciati, il cristallino è
per la tensione elastica esercitata dalle fibre della zonula che ne tira il perimetro verso
l’esterno, e gli oggetti lontani dall’occhio sono messi a fuoco sulla retina; quelli vicini,
viceversa, sono sfocati. Gli oggetti vicini s
muscoli ciliari si contraggono riducendo la tensione esercitata sul cristallino che diventa
più rotondo. Questo processo è chiamato accomodazione ed è utilizzato per la
fuoco di oggetti vicini.
La quantità di luce che entra nell’occhio è discriminata dalla presenza dell’
sottile muscolo liscio, ricco di pigmento che determina anche la colorazione dell’occhio.
L’iride presenta una forma circolare con un orifizio al suo interno, chiamato
diametro è regolato da contrazioni variabili dei muscoli dell’iride, il minor o maggior
diametro della pupilla determina una minore o maggiore quantità di luce che raggiunge la
retina.
La porzione posteriore dell’occhio, quella su cui viene
una struttura pluristratificata composta di tre tessuti specializzati
Sclera : la tunica esterna del bulbo oculare formata principalmente da fasci
di fibre connettivali sovrapposti in molti strati e costituisce la porzione bianca
dell’occhio nell’uomo ; riveste un ruolo strutturale oltre a partecipare alla formazione
della cornea nella porzione anteriore dell’occhio ;
Coroide : la tunica mediana ricca di vasi sanguinei che irrorano la retina è
ricca di pigmenti e nella porzione anteriore forma il corpo cigliare e l’iride ;
Modificazione del cristallino in base all’angolo di incidenza della luce
La forma del cristallino si modifica in seguito alle variazioni della tensione esercitata
sul suo perimetro. Il cristallino è mantenuto sospeso nell’occhio dalle fibre della zonula,
orientate radialmente. Queste fibre esercitano sul loro perimetro una tensione diretta
verso l’esterno e le fibre dei muscoli ciliari, orientate radicalmente, regolano la quantità di
tale tensione. Quando i muscoli ciliari sono rilasciati, il cristallino è relativamente appiattito
per la tensione elastica esercitata dalle fibre della zonula che ne tira il perimetro verso
l’esterno, e gli oggetti lontani dall’occhio sono messi a fuoco sulla retina; quelli vicini,
viceversa, sono sfocati. Gli oggetti vicini sono, infatti, messi a fuoco sulla retina quando i
muscoli ciliari si contraggono riducendo la tensione esercitata sul cristallino che diventa
più rotondo. Questo processo è chiamato accomodazione ed è utilizzato per la
uantità di luce che entra nell’occhio è discriminata dalla presenza dell’
sottile muscolo liscio, ricco di pigmento che determina anche la colorazione dell’occhio.
L’iride presenta una forma circolare con un orifizio al suo interno, chiamato
diametro è regolato da contrazioni variabili dei muscoli dell’iride, il minor o maggior
diametro della pupilla determina una minore o maggiore quantità di luce che raggiunge la
La porzione posteriore dell’occhio, quella su cui viene proiettato il raggio luminoso, è
una struttura pluristratificata composta di tre tessuti specializzati :
: la tunica esterna del bulbo oculare formata principalmente da fasci
di fibre connettivali sovrapposti in molti strati e costituisce la porzione bianca
; riveste un ruolo strutturale oltre a partecipare alla formazione
nella porzione anteriore dell’occhio ;
: la tunica mediana ricca di vasi sanguinei che irrorano la retina è
ricca di pigmenti e nella porzione anteriore forma il corpo cigliare e l’iride ;
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Modificazione del cristallino in base all’angolo di incidenza della luce
La forma del cristallino si modifica in seguito alle variazioni della tensione esercitata
sul suo perimetro. Il cristallino è mantenuto sospeso nell’occhio dalle fibre della zonula,
orientate radialmente. Queste fibre esercitano sul loro perimetro una tensione diretta
verso l’esterno e le fibre dei muscoli ciliari, orientate radicalmente, regolano la quantità di
relativamente appiattito
per la tensione elastica esercitata dalle fibre della zonula che ne tira il perimetro verso
l’esterno, e gli oggetti lontani dall’occhio sono messi a fuoco sulla retina; quelli vicini,
ono, infatti, messi a fuoco sulla retina quando i
muscoli ciliari si contraggono riducendo la tensione esercitata sul cristallino che diventa
più rotondo. Questo processo è chiamato accomodazione ed è utilizzato per la messa a
uantità di luce che entra nell’occhio è discriminata dalla presenza dell’iride, un
sottile muscolo liscio, ricco di pigmento che determina anche la colorazione dell’occhio.
L’iride presenta una forma circolare con un orifizio al suo interno, chiamato pupilla, il cui
diametro è regolato da contrazioni variabili dei muscoli dell’iride, il minor o maggior
diametro della pupilla determina una minore o maggiore quantità di luce che raggiunge la
proiettato il raggio luminoso, è
: la tunica esterna del bulbo oculare formata principalmente da fasci
di fibre connettivali sovrapposti in molti strati e costituisce la porzione bianca
; riveste un ruolo strutturale oltre a partecipare alla formazione
: la tunica mediana ricca di vasi sanguinei che irrorano la retina è
ricca di pigmenti e nella porzione anteriore forma il corpo cigliare e l’iride ;
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Retina : la tunica più interna, formata da tessuto di origine neuronull
ectodermico, costituito da dieci diversi strati di cellule nervose, comprendenti le
cellule a cono e bastoncello, deputate dal riconoscimento dello stimolo luminoso,
intimamente connesse con cellule epiteliali, dette lamina pigmentosa.
1.3 Anatomia della retina
La retina dei Vertebrati, di tipo invertito, costituisce la porzione fotosensibile
dell’occhio. Nelle sue sezioni traverse si riconoscono, al microscopio ottico, i seguenti 10
strati :
epitelio pigmentato ;
strato bacillare (fotorecettori) ;
membrana limitante esterna ;
strato granulare esterno (ONL) ;
strato plessiforme esterno (OPL)
strato granulare interno (INL) ;
strato plessiforme interno (IPL) ;
strato delle cellule gangliari (GCL) ;
strato delle fibre nervose ottiche (OFL) ;
membrana limitante interna.
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Figura 1.3 : Schema rappresentativo della posizione delle cellule dei diversi strati.
Colorazione in Ematossilinanulleosina di sezione di re tina
L’epitelio pigmentato deriva dal foglietto esterno del calice ottico, tutti gli altri strati
dal foglietto interno. I corpi cellulari dei neuroni identificabili nella retina (fotorecettori,
cellule bipolari, orizzontali, amacrine, interplessiformi, gangliari) sono disposti in tre strati,
fra i quali si interpongono due fasce di sinapsi (interna ed esterna). Lo strato esterno
contiene i fotorecettori (cellule dei coni e dei bastoncelli), quello interno le cellule
gangliari, quello intermedio tutti gli altri tipi cellulari (cellule bipolari, orizzontali, amacrine,
interplessiformi).
La retina presenta quindi 5 tipi fondamentali di neuroni organizzati nei tre strati
nucleari e fra loro interconnessi. Le informazioni fluiscono non solo in senso verticale dai
fotorecettori alle cellule bipolari e alle cellule gangliari, ma anche orizzontalmente, per
l’intervento delle cellule orizzontali nello strato plessiforme esterno e delle cellule amacrine
nello strato plessiforme interno.
Oltre ai fotorecettori e ai tipi neuronali in precedenza ricordati esistono nella retina
anche cellule gliali, fra cui le più singolari sono le cellule di Muller che occupano, in
altezza, tutto lo spessore della lamina interna della retina [Baldacchini, Anatomia
Comparata].
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La trasmissione dell’informazione luminosa, che colpisce la retina, coinvolge un
complesso circuito sinaptico che vede nello strato plessiforme esterno la formazione di
sinapsi tra coni e bastoncelli sulle cellule bipolari e orizzontali, con sinapsi sia di tipo
chimico sia di tipo elettrico.
Le cellule bipolari contattate sono di tipo differente a seconda del fotorecettore
coinvolto; i coni inoltre formano sinapsi morfologicamente differenti su due tipi di cellule
bipolari; le centronullon e le centronulloff rispettivamente con sinapsi invaginate e sinapsi
piatte.
Le cellule bipolari dei bastoncelli non contattano direttamente le cellule gangliari, ma
formano sinapsi sulle cellule amacrine le quali si connettono con le cellule gangliari
centronulloff e con le bipolari centronullon.
Figura 1.4 : Schema della popolazione cellulare della retina e loro orientamento
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Parte 2 : I fotorecettori
2.1 Generalità sui fotorecettori
I fotorecettori sono neuroni specializzati, che si trovano sulla retina e svolgono
un'importante funzione di trasduzione, cioè sono in grado di trasformare il segnale
luminoso, che arriva sul fondo dell'occhio, in informazione chimica e quindi elettrica, che
giungeranno al cervello attraverso il nervo ottico. Costituiscono circa il 70% della
popolazione cellulare della retina di mammifero [Curcio, C. et al., 1990].
La sensibilità dei fotorecettori presenti nell’occhio dei vertebrati si approssima al
limite ultimo stabilito dalla natura quantica della luce. Inoltre il loro campo d’azione è
straordinariamente vasto, dalla luce più intensa tollerabile a quella appena più fioca
percettibile. In confronto però con altri recettori, come ad esempio i trasduttori acustici, la
velocità di risposta di quelli visivi è molto più bassa.
2.2 Caratteristiche citologiche e strutturali
I fotorecettori sono distinti in coni e bastoncelli, così chiamati per la loro forma.
Coni : si concentrano, nell’uomo, maggiormente nella zona centrale della
retina (fovea) e sono deputati alla visione dei colori (fotopica), si distinguono in tre
tipi : I) rossi tipo L), II) blu (tipo S), III) verdi (tipo M) in base alla lunghezza d’onda
che assorbono, grazie alla presenza in essi di un particolare pigmento sensibile ad
una delle tre lunghezze d’onda. In un occhio sono presenti all’incirca 6null7 milioni di
queste cellule ;
Bastoncelli : si concentrano invece nella zona periferica della retina e
sono deputati alla visione al buio (scotopica) e sono più sensibili al movimento. Sono
di un unico tipo, testimoniato dalla presenza di un solo tipo di pigmento visivo (la
rodopsina) e sono molto più numerosi dei coni (circa 120 milioni).
Anche se i due tipi di recettori mostrano funzioni diverse, questi presentano
un’uniformità strutturale molto elevata. Infatti, sia i coni che i bastoncelli sono cellule
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allungate, orientate parallelamente alla direzione della luce e sono costituite da tre
porzioni principali:
Segmento esterno (Outer Segment) : caratterizzato da strutture
membranose, dette dischi (nei bastoncelli), su cui sono posizionati i pigmenti visivi,
che reagiranno allo stimolo luminoso. Questa parte è a diretto contatto con l’epitelio
pigmentato, che contiene melanina in grado di assorbire la luce non trattenuta dalla
retina ;
Segmento interno (Inner segment) : caratterizzato dalla presenza di
organelli citoplasmatici, come ad esempio mitocondri, apparato di Golgi,
indispensabili per il metabolismo cellulare e la produzione dei pigmenti visivi, ed il
nucleo ;
Terminazione sinaptica : regione che permette la trasmissione dei
segnali dal fotorecettore alle cellule bipolari, tramite sinapsi di tipo chimico.
Il segmento interno ed esterno sono connessi da un cilium “non mobile”, costituito
da microtubuli con struttura ad assonema tipo 9+0 [Yoshida M. Molecular Phisiol. Of
retinal proteins]. Il segmento interno è la parte metabolicamente più attiva, vista la
presenza di numerosi organelli citoplasmatici, mentre il segmento esterno è la sede dove
avviene la prima parte del processo visivo, grazie alla presenza dei dischi, posti ad una
distanza reciproca di 30nm [Chabre et al., 1977 ; Van Breugel P., 1977], che si formano
per progressiva invaginazione della membrana plasmatica alla base del cilium. Durante
tale processo la membrana si inverte, cosicché il versante extracellulare della membrana
plasmatica diviene la faccia interna del disco [Steinberg et al., 1980].
Nei coni dei mammiferi, il lume di ogni lamella si apre verso l’esterno della cellula
mentre, nei bastoncelli, le lamelle si invaginano completamente così da formare dei sacchi
appiattiti, o dischi, disposti a strati l’uno sull’altro all’interno del segmento esterno. Solo
nei bastoncelli i dischi si rinnovano continuamente, infatti quelli più distali vengono estrusi
e fagocitati dalle cellule pigmentate.
Esiste quindi una chiara compartimentazione intracellulare dei bastoncelli : la pila
compatta dei dischi, in un numero variabile da 600 a 2000 [Young et al., 1985], occupa la
maggior parte del volume del segmento esterno, suddividendone il citoplasma in uno
spazio interdiscale di 15 nm, che comunica soltanto agli estremi con lo strato continuo
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extradiscale al di sotto della membrana esterna, e lo spazio intradiscale dello spessore di
2 nm.
Lo spazio intradiscale ha una composizione ionica simile a quella extracellulare
poiché il disco, come già detto, deriva dall’invaginazione della membrana citoplasmatica.
Figura 2.1 : Rappresentazione schematica di un bastoncello e di un cono, con le relative
strutture caratterizzanti (Da Istologia, Gartner e Hiatt). Legenda : OS segmento esterno, C zona di
connessione, BB corpo basale, Ce centriolo, IS segmento interno, M mitocondrio, RS regione sinaptica SV
vescicole sinaptiche, NR regione nucleare
La componente proteica più cospicua della membrana del segmento esterno (80%)
è costituita dalla rodopsina (circa 3x10
9
molecole/ros) [Hamm et al., 1986], un pigmento
visivo componente intrinseco della membrana dei dischi. Le altre proteine che si trovano
in maggior quantità nei bastoncelli sono una fosfodiesterasi specifica per il cGMP e la
trasducina, una Gnullprotein.
Una delle principali caratteristiche di queste membrane è l’elevato grado di
insaturazione (più del 50%) che presentano le catene degli acidi grassi dei fosfolipidi. Tale
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insolita composizione può essere in parte spiegata come elemento di facilitazione dei
movimenti traslazionali delle proteine intrinseche ed, in particolare, della rodopsina
[Liebman et al., 1974], che deve subire rapidi riarrangiamenti conformazionali in seguito
all’assorbimento di energia luminosa.
La cascata di eventi innescata da una singola molecola di rodopsina “fotonulleccitata”
si svolge entro un solo spazio interdiscale ; solo piccole molecole con ruolo di messaggero
o di metabolita (ATP, GTP, cGMP, Ca
2+
) si spostano rapidamente tra i compartimenti
interdiscali [Chabre et al., 1989].
2.3 Fisiologia e biodiversità
Coni e bastoncelli presentano una diversa sensibilità alla luce, riconducibile alla
rispettiva organizzazione del lavoro. Il lavoro dei coni è individuale, cioè ciascuno di essi
genera un impulso che è avviato al cervello indipendentemente. Nel caso dei bastoncelli,
invece, diverse migliaia di elementi convergono su un singolo interneurone e l'impulso che
viene inviato al cervello emerge dalla sommatoria di tutti i singoli impulsi. I bastoncelli
risultano così circa 4000 volte più sensibili alla luce rispetto ai coni.
Questa diversità è alla base della teoria della duplicità visiva secondo cui i
bastoncelli, molto sensibili e attivati da una luce a bassa intensità, sarebbero responsabili
della visione notturna (scotopica) nei toni del grigio, mentre i coni, stimolati solamente da
luce relativamente intensa, presiederebbero alla visione diurna (fotopica), permettendo
una migliore discriminazione visiva e una visione a colori.
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Figura 2.2 : Spettro di assorbimento dei tre tipi di coni e dei bastoncelli (Da
www.naturalmentescienza.it/ipertesti/visione/index.htm)
In specie diverse di vertebrati queste differenze funzionali sono sfruttate in modo
selettivo per acquistare particolare capacità visive; in particolare nei mammiferi il
gradiente di densità dei fotorecettori ha una simmetria radiale. Un’importante
caratteristica della retina di questi animali è la presenza della fovea, o area centralis,
ovvero una piccola zona centrale della retina che fornisce informazioni dettagliate sul
campo visivo, cioè è specializzata per la massima acuità visiva. Nell’uomo e negli altri
mammiferi dotati di visione a colori, la fovea contiene soltanto coni, in modo particolare
sono maggiormente presenti i coni L (rossi) ed M (verdi), mentre quelli S sono in netta
minoranza. Mentre il resto della retina contiene sia bastoncelli che coni, anche se i primi
sono più numerosi. Esistono poi zone della retina in cui i fotorecettori sono
completamente assenti, come: il punto cieco o papilla (da cui inizia il nervo ottico), l’ora
serrata, la retina che riveste l’iride, il corpo ciliare, o regioni in cui si ravvisano particolari
specializzazioni come nell’area maculare.
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Figura 2.3 : Distribuzione dei tre tipi di coni nella fovea umana : i coni S sono in netta
minoranza rispetto a cono di tipo L ed M (figura tratta da www.naturalmentescienza.it
/ipertesti/visione/index.htm).
I tre tipi di coni non contribuiscono ugualmente alla sensazione di intensità
luminosa: a questa contribuiscono prevalentemente i coni L ed M (in modo additivo),
mentre i coni S hanno una forte valenza cromatica. Può sorprendere il fatto che abbiamo
due pigmenti con sensibilità spettrali così simili, mentre il terzo è molto differenziato. Tra i
mammiferi (tricromati) questa proprietà è presente nelle scimmie del vecchio mondo e
nell’uomo, mentre nella maggioranza degli altri mammiferi la retina contiene solo due tipi
di coni (dicromati) : uno di tipo S, cioè con sensibilità massima nell’ambito delle corte
lunghezze d’onda, e uno con sensibilità spettrale intermedia tra quelle dei coni M e L
dell’uomo.
Figura 2.4 : Schema di percezione dei colori con due soli coni. Gli animali che hanno questo
tipo di percezione dei colori (dicromati) identificano i frutti in base a sfumature di verde (figura tratta dal sito
www.naturalmentescienza.it/ipertesti/visione/index.htm).
Ma quindi perché l'uomo ed alcune specie di scimmie sono tricromati e non
dicromati, dal momento che anche con due soli tipi di coni potrebbero fornire la