2
sono i soggetti più vulnerabili di fronte all’azione dei media e rappresentano il futuro della nostra
società; la seconda perché è la principale fonte di condizionamento non solo delle persone, ma
anche dei media stessi, è inoltre il linguaggio di persuasione più ricco, raffinato e dinamico con cui
abbiamo a che fare, nonché il più pervasivo. In più, la pubblicità ha trovato il suo target ideale
proprio nei bambini, sfruttando la loro facile influenzabilità, curiosità e desiderio di cose sempre
nuove. Sebbene il compito principale della scuola sia quello di fornire ai giovani gli strumenti per
vivere e comprendere al meglio il mondo, sembra impensabile che essa dia così poca attenzione ai
media e alla pubblicità, data la loro enorme influenza nella vita quotidiana.
Cosa viene quindi concretamente fatto nelle scuole per educare i bambini ad uno sguardo
critico verso gli spot televisivi? Rispondere a questa domanda è proprio l’obiettivo della mia tesi,
nella quale ho perciò descritto ed analizzato le esperienze di educazione alla pubblicità di cui sono
venuta a conoscenza, incontrando degli educatori del Veneto che lavorano con i media nelle e per le
scuole, leggendo alcuni resoconti trovati su dei libri o su Internet. La fascia d’età presa in
considerazione è quella delle scuole medie inferiori, in quanto è ad essa che si rivolge la maggior
parte degli interventi di educazione ai media.
Questa tesi è divisa sostanzialmente in due parti: i primi tre capitoli sono dedicati ad una
descrizione dello stato degli studi sul rapporto fra bambini e televisione, sulla Media Education,
sulla pubblicità e il suo linguaggio (dando attenzione anche agli effetti che essa provoca sui
bambini); la seconda parte invece alla metodologia di applicazione della Media Education nelle
scuole e alla descrizione, analisi e giudizio di alcune esperienze concrete, che vanno dalle prime
sperimentazioni degli anni ’80 a quelle che vengono portate avanti attualmente. Alla fine ho
dedicato un paragrafo ad alcune mie proposte di attività che potrebbero venir svolte con i bambini
sul tema della pubblicità.
Data la vastità dell’argomento, la mancanza di posizioni concordi da parte degli studiosi e
l’incertezza riguardo al futuro della Media Education in Italia, la mia speranza è che questa tesi
riesca almeno a fornire un quadro abbastanza completo della situazione e a far riflettere su questo
importante aspetto della nostra società e vita quotidiana.
Prima di lasciare spazio alla tesi vera e propria, desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno
aiutato a renderne possibile la stesura: il mio relatore Gabriele Coassin per l’entusiasmo, la
dedizione e la pazienza con cui mi ha seguito; gli educatori Nicola Mattarollo, Massimo Marco
Rossi e Giorgio Bassanese, che si sono resi disponibili a raccontarmi le loro esperienze nelle scuole
e a mostrarmi i video realizzati con i ragazzi; Marco Grollo, tramite il quale ho scoperto l’esistenza
della Media Education e che è sempre stato un prezioso appoggio non solo riguardo alla tesi;
naturalmente la mia famiglia e tutti i miei amici, che mi hanno sostenuto durante questi mesi e in
ogni circostanza della mia vita.
3
Capitolo 1
La televisione e i bambini
1. Lo schermo che attrae
La televisione è uno degli argomenti su cui risulta più facile al giorno d’oggi avviare una
discussione: il più delle volte essa viene criticata, utilizzata come capro espiatorio per spiegare i
disagi e i cambiamenti della società, soprattutto per quanto riguarda i bambini. Questi ultimi infatti
la guardano in media per circa 3-4 ore al giorno, ma oltre a ciò poi portano i suoi personaggi, il suo
linguaggio, i desideri che essa innesca anche nei giochi, nelle discussioni con gli amici.
Educatori e studiosi, di fronte al potere d’attrazione posseduto dalla TV nei confronti dei
bambini, non riescono a restare indifferenti e da anni ormai portano avanti un dibattito sulla sua
positività o negatività con ricerche statistiche, analisi sociologiche, riflessioni teoriche e indicazioni
pratiche. Alcune delle domande che solitamente vengono poste sono: “per quante ore guardano la
TV i bambini? Quanto essa influisce sui loro comportamenti e sulla loro conoscenza del mondo?
Guardare la TV fa male o fa bene ai bambini?” Il risultato è una letteratura assai consistente
sull’argomento, che continua tuttora a venir alimentata.
Questo grande interesse per la televisione, inoltre, non investe solo gli ambienti accademici,
ma anche l’opinione comune: tutti infatti almeno una volta l’hanno colpevolizzata di rendere i
bambini troppo inattivi e di trasmettere loro idee e valori diseducativi.
L’importanza dell’argomento è di fatto centrale: è stato ormai accertato che la presenza
sempre più pervadente della TV in ogni momento della nostra vita con il suo indiscusso potere
ammaliante contribuisce a plasmare in profondità il nostro modo di guardare la realtà e di
partecipare ad essa. I bambini, che hanno una mente aperta ed estremamente ricettiva a tutti gli
stimoli che vengono loro proposti, si fanno facilmente influenzare dalla televisione e questo
condiziona non solo il loro modo di vivere del momento, ma soprattutto gli schemi mentali, i valori
e le abitudini che li accompagneranno per tutta la loro vita.
Apparentemente la televisione è una “finestra sul mondo”: le immagini che ci mostra
sembrano rispecchiare fedelmente la realtà dando l’impressione di trovarsi in quei luoghi e in ogni
momento è possibile vedere cosa sta accadendo in ogni angolo della Terra, rendendo tutto il mondo
più piccolo, più vicino (la morte “in diretta” di Giovanni Paolo II ne è l’ultimo, emblematico
4
esempio: anche senza essere andati a Roma in quei giorni si è comunque avuta l’impressione di
partecipare quasi fisicamente all’evento).
In realtà spesso ci si dimentica che quelle immagini, anche le più apparentemente obiettive,
sono necessariamente frutto di una scelta e di uno sguardo personale: sono infatti parti di un
linguaggio costituito da inquadrature, da un ritmo, da movimenti di macchina e trasmettono dei
significati che vanno al di là di ciò che superficialmente viene mostrato (ad esempio il solo scegliere
di riprendere una stessa persona dal basso o dall’alto significa già esprimere un giudizio su di essa:
nel primo caso le si dà grande importanza, essa sembra dominare la scena; nel secondo caso appare
invece sottomessa, di minor statura non solo fisica ma anche morale. Le riprese di comizi elettorali
giocano moltissimo su ciò per dare una visione maggiormente positiva o negativa del candidato).
La caratteristica della TV di possedere un palinsesto giornaliero ha inoltre una fortissima
influenza sulle nostre abitudini quotidiane: rispetto ad alcune decine di anni fa sono cambiate le
attività di svago nel tempo libero e il susseguirsi dei vari programmi scandisce il ritmo della
giornata, con la conseguenza che è diminuito il tempo degli scambi sociali, della conversazione e
della cura degli hobbies, primi fra tutti l’attività fisica e la lettura.
1.1: La televisione come percezione del mondo
Scendendo più in profondità, Giovanni Sartori in “Homo Videns” scrive che la TV: «sta
producendo una permutazione, una metamorfosi, che investe la natura stessa dell’homo sapiens. La
televisione non è soltanto comunicazione, è anche al tempo stesso paideia, ovvero formazione. […]
E’ un medium che genera un nuovo àntrophos, un nuovo tipo di essere umano. […] Una tesi che si
fonda, in premessa, sul puro e semplice antefatto che i nostri bambini guardano la televisione per
ore e ore, prima di imparare a leggere e a scrivere» e quello che assorbono, oltre ai contenuti in sé, è
uno stampo formativo “tutto centrato sul vedere”1
Anche il Papa Karol Wojtyla si è espresso al riguardo: «Non è infatti questione soltanto di un
condizionamento del tempo libero, cioè di una restrizione degli spazi da riservare quotidianamente
ad altre attività intellettuali e ricreative, ma anche di un condizionamento della stessa psicologia,
della cultura, dei comportamenti della gioventù.»2
Infatti, la grammatica delle immagini, i contenuti stessi e il modo di presentarli influiscono sul
nostro modo di percepire la realtà: ciò che appare in TV e da essa viene giudicato importante, lo
diventa inconsciamente anche ai nostri occhi, se non si è ricevuta un’educazione critica adeguata, e
ciò lascerà una traccia nella nostra vita e nei nostri comportamenti.
1
G. Sartori, Homo videns. Televisione e post- pensiero , Laterza, Roma -Bari, 1997, pag. 14
2
D. De Kerckhove, il Papa che viaggia. L’aura elettronica, «Mass Media», n. 1, 1986, Capone Editore
5
Tutto questo non si riferisce solo ai bambini, ma anche agli adulti, i quali convivono con la
TV ormai da alcune decine d’anni e hanno quindi avuto il tempo per accettare come naturale la sua
presenza e il suo linguaggio.
Tra bambini e adulti c’è però una differenza di fondo: i primi «si accostano alla televisione e la
guardano con motivazioni che differiscono in misura significativa da quelle prevalenti fra gli adulti.
[…] La maggior parte dei bambini, pur trovandola divertente, guarda la televisione perché cerca di
capire il mondo. Molti adulti considerano la televisione poco significativa e la guardano con quella
che talora si definisce “sospensione dell’incredulità”. Pur di divertirsi accettano l’allontanamento
dalla raffigurazione realistica.»3. I bambini invece hanno una limitata conoscenza del mondo e la
televisione rappresenta uno dei mezzi principali e più semplici attraverso cui soddisfare il loro
naturale bisogno di comprensione dell’ambiente in cui vivono, ma non possedendo ancora la
capacità di discernere la realtà dalla finzione risultano più vulnerabili ai messaggi che essa
trasmette.
2. Televisione baby-sitter
Lo schermo illuminato e dal potere quasi ipnotico della TV è risultato fin dalla sua entrata
nelle case un metodo valido per tenere tranquilli i bambini e far passare loro il tempo in allegria.
Con il passare degli anni ci si è però resi conto che esso assorbe sempre più la loro attenzione e che
i messaggi veicolati spesso vanno contro gli insegnamenti dei genitori.
Nonostante si sia sempre più consapevoli di ciò, il problema è ancora lontano dall’esser
risolto: neppure gli adulti riescono più a fare a meno della TV e il loro controllo sui programmi visti
dai bambini è sempre più labile.
Per i bambini la TV è un modo per capire il mondo, ma anche per riempire gli spazi di noia
e solitudine; prima essi in questi momenti si lasciavano andare ai loro pensieri e creavano con la
fantasia storie incredibili, ora tutto questo è già pronto: è sufficiente mettersi di fronte alla
televisione per vivere tali avventure senza alcuno sforzo mentale.
Ai bambini viene fornito tutto «il materiale per le loro fantasie, per i loro giochi, per i disegni,
addirittura per i sogni»4, inibendo lo sprigionarsi della loro creatività. Quindi «la TV non favorisce
lo sviluppo della fantasia, ma al tempo stesso mantiene il bambino in un mondo fantastico»5. La
propria immaginazione, semplicemente, non serve più.
3
J. Condry, Cattiva Maestra Televisione, Marsilio Editori, Venezia, 2002, pag. 81
4
Nicoletta Pavesi, Media Education. Una prospettiva sociologica, Franco Angeli, Milano, 2001, pag. 138
5
Marina D’Amato, Bambini e TV, Due Punti Il Saggiatore, Milano, 1997, pag. 21
6
Questo nuovo modo di occupare il proprio tempo libero si traduce nella realtà in una media di
quattro ore di visione al giorno, principalmente da soli nel pomeriggio e con i familiari durante la
cena e alla sera. 6
Va specificato che anche quando sono presenti i genitori, questi piuttosto raramente aiutano i
figli nell’elaborazione dei messaggi televisivi. Al contrario, i bambini ne parlano spesso con i
coetanei, intensificando però così il loro interesse verso questo medium, tanto da farlo divenire
un’abitudine irrinunciabile per sentirsi parte del gruppo (per non restare cioè esclusi dai discorsi
degli amici, per condividerne i miti…): la televisione viene vissuta quindi anche come un
importante mezzo di socializzazione.
3. La socializzazione attraverso i media
Il concetto di socializzazione merita di venir trattato più in profondità, in quanto si ricollega
con il bisogno dei bambini (e non solo) di capire il mondo attraverso la TV.
La socializzazione si può definire come un processo che «ci dà gli strumenti per comunicare,
pensare, risolvere problemi usando tecniche accettabili per la società e in generale per adattarci in
modo unico e originale al nostro ambiente»7 e per garantire quindi, ad un livello più ampio, l’ordine
e la stabilità sociali. In altre parole è il modo per acquisire i valori, le norme, le conoscenze che
servono per regolare il proprio comportamento all’interno della società.
Solitamente tale compito è sempre stato svolto dalla scuola, dalla famiglia, dal gruppo dei pari
e da altri gruppi informali (le cosiddette agenzie formative tradizionali): ora anche i mezzi di
comunicazione di massa, la TV in primis, contribuiscono a ciò, si può dire anzi che abbiano preso il
sopravvento.
«I media, infatti, sono fonti affascinanti e sempre disponibili che forniscono modelli simbolici
per pressoché tutte le fonti di comportamento che è possibile concepire»8.
Tali modelli possono anche non essere veritieri, o distorti, ma vengono comunque assimilati,
contribuendo a formare quegli schemi mentali che guidano il nostro modo di guardare e vivere la
realtà.
La pubblicità, per introdurre l’argomento principale della tesi, ne è un tipico esempio. Gli spot
per i bambini sono molto diversi nei contenuti e nelle forme espressive a seconda che ci si rivolga
ad un target maschile o femminile: ai primi vengono mostrate attività quali sport, giochi
manipolativi, esplorativi, il tutto rappresentato con azioni rapide, ritmo visivo sostenuto, musica
6
Da recenti statistiche Auditel, calcolate su bambini tra i 4 e i 14 anni
7
M. De Fleur e S.J.Ball-Rokeach, Teorie delle comunicazioni di massa, Il Mulino, Bologna, 1995, pag. 226
8
M. De Fleur e S.J.Ball-Rokeach, Teorie delle comunicazioni di massa, cit., pag. 234
7
ritmata; alle seconde vengono proposte le tipiche attività “da donna”, attraverso musiche melodiche
e dolci, dissolvenze, ritmo lento e prevalenza di colori pastello. Viene attuata già dall’infanzia,
quindi, una marcata stereotipizzazione dei ruoli, che avrà un peso determinante nella costruzione
dell’identità dei bambini stessi.
Il peso della TV nella loro crescita può però venir arginato se essa non rappresenta l’unico
riferimento culturale a cui affidarsi: da qui l’importanza dell’educazione fornita dalla famiglia e
dalla scuola e delle esperienze dirette di realtà.
4. Le peculiarità del mezzo televisivo
La televisione possiede alcune caratteristiche strutturali che la contraddistinguono dagli altri
medium e che devono necessariamente venir prese in considerazione in uno studio su di essa.
In “TV per un figlio”9 la Oliviero Ferraris identifica cinque proprietà del mezzo televisivo:
• la richiesta di attenzione: lo schermo, al di là dei contenuti presentati, attrae già solo grazie
ai movimenti continui che avvengono su di esso e al ritmo rapido delle immagini, richiedendo allo
spettatore una focalizzazione dell’attenzione. Ciò avviene anche in bambini molto piccoli, prima
che essi siano in grado di decodificare il messaggio.
• la brevità delle sequenze: in ogni genere televisivo (informazione, spot, telefilm…) il ritmo
viene dato da sequenze di durata assai ridotta, con la conseguenza che ormai tutto ciò che non è
veloce annoia.
• l’effetto interferenza: la velocità di ritmo e la quantità di stimoli proposti ne rende difficile
la piena comprensione e la memorizzazione, con la conseguente perdita di “pezzi” di contenuto.
• l’orientamento visivo: la televisione è costituita in massima parte da immagini e ci sta
abituando quindi a concentrare l’attenzione su questa modalità di comunicazione, lasciando in
disuso le capacità di comprensione nella lettura e dell’uso e organizzazione del linguaggio (vengono
sviluppate di più nel cervello le facoltà visivo- spaziali di quelle logiche e verbali).
• il coinvolgimento emotivo: attraverso un utilizzo studiato della luce, dei colori, delle
tecniche di ripresa e regia, dei suoni la televisione riesce a coinvolgere emotivamente lo spettatore.
Un’altra caratteristica fondamentale della TV è la sua capacità di dare parvenza di realtà
anche a ciò che lo è affatto: unendo il codice sonoro a quello visivo si ottiene qualcosa di
assolutamente verosimile che risulta dominante agli occhi dello spettatore più della consapevolezza
che quelle immagini sono state costruite.
9
A. Oliviero Ferraris, TV per un figlio, Laterza, Bari, 1995, pagg. 22-23
8
«In TV è vero ciò che sembra vero: non importa che lo sia ma che lo appaia. […] Realtà e
rappresentazione della realtà tendono a confondersi al punto che il vero appare meno vero del
verosimile»10
Tale processo può però alla lunga venir sostituito da quello contrario, ma ugualmente
ingannevole: si inizia cioè a pensare che tutto, in quanto costruito, sia finto e quindi non si crede più
a nulla.
«Sta all’individuo, alle sue capacità di negoziazione, alle sue possibilità di accedere ad abilità
personali ed a risorse esterne, la responsabilità di negoziare il significato, inserendolo in un
contesto»11: queste abilità hanno però bisogno di venir sviluppate, se ne deve essere consapevoli, e
qui entra in gioco l’importanza della Media Education di cui tratterò più avanti.
5. Televisione di ieri e di oggi
Ai bambini di oggi la presenza in Tv di continue interruzioni pubblicitarie, di programmi
costruiti sul sensazionale o sui sentimenti delle persone deve apparire come qualcosa di normale: in
realtà questa è la caratteristica della cosiddetta neo-televisione e in passato le cose erano molto
diverse. Per capire veramente la TV di oggi è necessario quindi un breve scorcio su com’era prima
dell’avvento delle TV private e di Mediaset.
Nei primi decenni della televisione (anni ’50- ’70) esistevano solamente i canali della RAI che
trasmettevano per un numero limitato di ore al giorno e la sua funzione era di intrattenere, educare e
informare, ma in modo estremamente diverso da oggi: allora la TV era utilizzata soprattutto per
diffondere cultura, attraverso una preponderanza di programmi letterari e scientifici, di
documentari, di rotocalchi d’impegno. «La sera si davano Cechov, Dostoevskji e persino film come
“Il settimo sigillo” di Bergman oppure lo sceneggiato all’italiana. La TV aveva assunto la funzione
che in epoca preindustriale era stata del teatro», quando esso era frequentato da tutti e vi passava
ogni tipo di cultura, da quella contadina a quella classica greca e latina.12
Uno dei suoi obiettivi principali era quello di unificare l’Italia dei dialetti in una lingua
comune ed infatti è stato principalmente questo il mezzo che ha reso possibile la diffusione
dell’italiano. La paleo-televisione aveva quindi una funzione essenzialmente educativa e cercava di
fornire programmi di alta qualità che contribuissero alla crescita culturale dei cittadini.
Con l’avvento delle TV private e in particolare con l’appropriarsi di gran parte del mercato da
parte dei tre canali commerciali della Mediaset (primi anni ’80) la situazione è cambiata
10
M. Livolsi, La realtà televisiva. Come la Tv ha cambiato gli italiani, Laterza, Roma- Bari, 1998, pag. 38
11
N. Pavesi, Media Education. Una prospettiva sociologica, cit., pag. 171
12
M. Fini, La Tv al servizio del vuoto, da il Gazzettino del 15/12/2004
9
drasticamente: rispetto alla RAI, questi canali privati, per ottenere audience elevate, iniziano a
proporre trasmissioni basate sulla spettacolarizzazione di qualsiasi evento, utilizzando un
linguaggio sempre più semplice che poi scade nella banalità; il pubblico però ha più facilità nel
comprendere e nel lasciarsi coinvolgere da questo tipo di programmazione (che forse è tale proprio
per porsi come risposta polemica all’eccessivo cerebralismo di certi generi d’informazione del
servizio pubblico). Il gradimento ottenuto dai programmi trasmessi su queste reti ha quindi
obbligato la RAI ad adeguarsi ad essi per mantenere degli indici d’ascolto elevati, dando inizio ad
una spirale di decadenza che continua ancora adesso.
Ora la TV ha una funzione prettamente economica: i suoi ricavi provengono in gran parte
(per Mediaset totalmente) dalla pubblicità che viene trasmessa ed è quindi necessario garantire per
essa un’audience sempre elevata. L’imperativo della neo-TV è di conseguenza: vietato annoiare!
«Per inseguire l’ascolto- che vuol dire pubblicità e quindi quattrini- si presentano spettacoli di
livello sempre più basso per raggiungere il maggior numero di spettatori, i quali a loro volta educati
in questo modo, chiedono cose ancora più infime in un circolo vizioso che pare non avere fondo».13
Il moltiplicarsi delle reti, se in apparenza potrebbe sembrare indice di una maggiore
democraticità, in realtà ha portato ad una dispersione dei budget disponibili (quindi a meno risorse
da investire nella qualità dei programmi) e ad un’informazione che comunque viene in maggioranza
controllata sempre dai soliti organismi. I programmi stessi, inoltre, non riflettono la varietà di idee e
tendenze che ci si dovrebbe aspettare: si assiste sempre più infatti ad un tentativo incessante di
offrire produzioni che abbiano successo, e poco importa se per fare ciò si devono copiare idee altrui
già collaudate, ma non per questo culturalmente valide.
L’obiettivo della neo-televisione è, in sostanza, non più quello di produrre programmi per il
proprio pubblico, ma di vendere audience ai pubblicitari.
Nonostante l’opinione pubblica ne sia consapevole, gua rdare la TV è ormai diventata
un’abitudine talmente acquisita e difficile da cambiare che nella maggior parte dei casi alle critiche
non segue un reale governo del mezzo televisivo. Alla luce di questo è quindi necessario accrescere
in tutti, specialmente nei giovani, una comprensione più profonda dei meccanismi che regolano la
televisione e la pubblicità, al fine di acquisire uno sguardo critico e una più forte consapevolezza
dalla quale partire nel momento di fare le proprie scelte.
13
M. Fini, La Tv al servizio del vuoto, cit.