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linguaggio innovativo che il pubblico ha imparato a decodificare.Si
considerano poi la pubblicità come rappresentazione sociale,sottolineando
l’importanza del ruolo delle favole nella formazione dei bambini nelle culture
più antiche,dove la trasmissione orale era il meccanismo di costruzione
dell’identità sociale. Oggi la pubblicità rappresenta la versione aggiornata
del corpus fiabesco, costituita da linguaggio animato,l’aiutante magico,il
mondo alla rovescia ,diventano il bagaglio culturale e formativo delle nuove
generazioni.Nell’ultimo paragrafo, vengono descritti gli stereotipi.Essi
rappresentano uno strumento e una soluzione all’esigenza oggettiva presente
nei media.Lo stereotipo viene appreso come una conoscenza della realtà e
applicato.
Nella seconda ed ultima parte, si cerca di approfondire quali sono gli effetti
della pubblicità sui bambini.
Nel terzo capitolo, il tema principale è la valutazione dei bambini sulla
pubblicità:essa è un mezzo fondamentale attraverso cui i protagonisti delle
immagini pubblicitarie trasmettono messaggi,atteggiamenti e valori.Gli spot
comportano la modifica di un comportamento d’acquisto da parte dei bambini.
Nel successivo paragrafo si presta attenzione a un’aspetto molto importante
che è l’etica pubblicitaria.Si considerano poi i limiti della pubblicità per
evidenziare una mancanza di chiarezza nella definizione dei confini del ruolo
sociale, da considerare legittimo per questa forma di
comunicazione.Quest’ultimo aspetto consente un collegamento con la ricerca
presentata nel capitolo successivo.Lo studio empirico presta la sua attenzione
sul bambino e il messaggio pubblicitario.Scopo di questa indagine è
dimostrare se i bambini di età compresa tra i nove e i dieci anni,colgono il
contenuto del messaggio pubblicitario, presente in uno spot televisivo.Il lavoro
si chiude nelle riflessioni conclusive analizzando i risultati dell’indagine.
PARTE I
CAP I: LO SVILUPPO DEL BAMBINO
1.1 Lo sviluppo cognitivo
Tra i diversi autori che hanno trattato lo sviluppo cognitivo viene preso in
considerazione soprattutto Piaget, perché il suo pensiero permette d'inquadrare
il problema da un punto di vista generale: Bruner (1983) ha sottolineato come
"Piaget ha portato un contributo enorme alla nostra comprensione della mente
infantile e del suo sviluppo. Piaget potrebbe anche sbagliarsi in ogni singolo
dettaglio, ma dovrebbe lo stesso essere riconosciuto come uno dei grandi
pionieri. Ma soprattutto Piaget è l'autore che ha offerto, più di ogni altro, una
teoria organica e completa su questo tema: ha formulato, cioè, un modello
sistematico per spiegare come il bambino passi da uno stadio di abilità
cognitiva al successivo e quali siano le strutture cognitive coinvolte nel
passaggio. Gli esperimenti e le costruzioni teoriche entro cui Piaget ha
sistematizzato i risultati delle sue ricerche che seguono un'impostazione che è
detta "genetica": ciò significa che egli ha sempre di mira l'aspetto dinamico ed
evolutivo della vita psichica e cerca di rintracciare l'origine, l'evoluzione e le
trasformazioni successive delle varie strutture psichiche. Ciò che conta,
quindi, per Piaget e per la psicologia genetica non è solo quello di verificare
come il bambino nelle varie fasi sappia o non sappia riconoscere i rapporti
logici, quanto piuttosto quello di comprendere come il bambino apprenda
gradualmente a costruire tali rapporti. Secondo Piaget (1968; 1973) il bambino
ha un ruolo decisamente attivo nello sviluppo della conoscenza: egli costruisce
il suo pensiero adattandolo alla realtà circostante. Non si tratta quindi
semplicemente di una registrazione passiva degli oggetti o degli eventi, ma la
conoscenza nasce come risultato dell'attività del bambino sulle cose, di un
vero e proprio rapporto di interazione e di adattamento nella relazione con il
mondo esterno. Ad esempio, già nei primi mesi di vita, il bambino coglie le
proprietà di alcuni oggetti attraverso la suzione o la manipolazione: la prima
implicazione di questa osservazione è data dal fatto che i sistemi cognitivi non
sono innati, ma costruiti dal bambino nell'interazione con l'ambiente.Questo
processo è una vera e propria forma di adattamento, che si suddivide in diversi
sottoprocessi: secondo Piaget, infatti, ogni nuova organizzazione intellettiva
proviene dalle precedenti e ne genera altre, in una successione che conduce il
processo evolutivo fino alla formazione delle strutture logiche che assicurano
una conoscenza coerente della realtà circostante: "ogni azione, ogni pensiero,
ogni sentimento risponde a un bisogno, l’azione si conclude quando si ha la
soddisfazione di un bisogno" (Piaget, 1967).La conoscenza è quindi costituita
da azioni e ognuna di queste corrisponde a uno schema, che si configura come
l'atto stesso di creare una categoria: ad esempio, quando il bambino afferra un
cucchiaio per mangiare usa il suo schema per guardare, quello per prendere e
quello per tenere una cosa in mano. Ogni bambino inizia la sua vita con un
piccolo repertorio di semplici schemi sensomotori, che vanno via evolvendosi
fino a realizzare quelli più articolati: questo passaggio avviene attraverso tre
processi fondamentali, che Pìaget definisce come assimilazione,
accomodamento ed equilibrazione.L 'assimilazione è un processo attivo e
selettivo nei confronti delle informazioni, che consente di incorporare un
evento o un’esperienza all'interno di uno schema pre-esistente: in altre parole,
attraverso questo processo un nuovo dato proveniente dall'esterno viene
inserito in schemi mentali già presenti, senza che l’esperienza in questione
cambi tali schemi. In questo modo, attraverso l'assimilazione, l'organismo fa
propri gli elementi dell'ambiente esterno incanalandoli nelle proprie strutture
cognitive. Il passo complementare all'assimilazione è l'accomodamento,
ovvero il cambiamento che avviene nello schema a causa delle nuove
informazioni ricevute: questo processo cognitivo è la chiave per tutti i
cambiamenti dello sviluppo, giacché è quello che rende possibile la nascita di
nuovi schemi dalla modificazione dei precedenti, in funzione dei nuovi dati
esperienziali che giungono dall’' ambiente. Come si è detto, però, i due
processi sono complementari: l'assimilazione trasforma il dato esterno
secondo le proprietà della struttura e l’accomodamento trasforma la struttura
per adattarla alle nuove conoscenze.L'ultimo processo, l'equilibrazione, è
quello che prevede, da parte del bambino, una ricerca di equilibrio tra i suoi
precedenti schemi e quelli appena acquisiti; in questo caso Piaget stesso
definisce il bambino come "un piccolo scienziato", che reagisce in modo
diverso all'arrivo di nuove informazioni: può infatti inserire le nuove
informazioni all’'interno degli schemi esistenti oppure aggiornare gli schemi
sulla base delle nuove informazioni provenienti dall’' ambiente, esattamente
come fa un ricercatore con un 'ipotesi scientifica.Dal momento, quindi, che il
bambino inizia con un repertorio di schemi piuttosto limitato, le prime
strutture schematiche che egli crea non durano molto tempo, poiché sono
continuamente superate dall'arrivo di nuovi dati dall’' esperienza: sarà quindi
costretto a riorganizzare le sue conoscenze attraverso successive
riequilibrazioni4. In particolare Piaget ha identificato tre momenti principali di
equilibrazione, ciascuno dei quali dà origine a una nuova fase di sviluppo.
1.1.1 Gli stadi dello sviluppo cognitivo
Secondo Piaget esistono quindi tre grandi momenti di riorganizzazione del
sistema cognitivo del bambino, da cui deriva la distinzione in quattro stadi
dello sviluppo infantile .
- stadio sensomotorio: dalla nascita ai due anni
- stadio preoperatorio: dai due ai sei anni;
- stadio operatorio concreto: dai sei agli undici anni;
- stadio operatorio formale: dai dodici anni in poi.
L’attenzione sarà focalizzata soprattutto sul secondo e il terzo stadio, poiché
sono quelli che interessano maggiormente lo studio dei rapporti tra bambini e
pubblicità. Sarà, tuttavia, utile qualche accenno anche agli altri due stadi, per
comprendere il punto di partenza e di arrivo dello sviluppo cognitivo del
bambino.Per quanto riguarda il primo stadio è sufficiente, quindi, rimarcare
come il bambino passi da una fase in cui applica i riflessi e li modifica
secondo la situazione, a una in cui riesce ad attuare strategie complesse grazie
alla comparsa delle rappresentazioni: il bambino, in altre parole, conosce gli
oggetti soprattutto attraverso le azioni dirette che compie su di essi, ma il
punto fondamentale di questo stadio è la costruzione della rappresentazione
mentale degli schemi delle azioni, la cui formazione rende possibile
immaginare le azioni senza doverle concretare in movimenti muscolari.Nel
secondo stadio, quello preoperatorio, il bambino inizia a usare il linguaggio
come fosse un nuovo mezzo di conoscenza: all'inizio le parole sono solo
simboli, ma poi acquisiscono significati convenzionali che danno al linguaggio
il requisito di comunicabilità sociale. .L’acquisizione di una forma di
comunicazione condivisa ha una notevole importanza per lo sviluppo
dell'attività rappresentativa: ogni vocabolo del linguaggio adulto che il
bambino assimila, indica infatti un aspetto della realtà e dà quindi al bambino
la capacità di evocare l'immagine della realtà stessa, anche quando questa non
è presente. A quest'età inizia a svilupparsi anche la dinamica del gioco
simbolico, attraverso il quale il bambino tratta un oggetto come se fosse
qualcosa di diverso, per esempio un cucchiaio al posto del telefono, una scopa
al posto del cavallo . In questo modo la sua attività ludica certifica la raggiunta
capacità di rappresentarsi situazioni non realmente presenti(1)e dimostra che
la sua attività mentale è relativamente autonoma dalla realtà percepita
immediatamente circostante. In questa fase il pensiero del bambino è
caratterizzato però da un egocentrismo intellettuale che si manifesta nella
tendenza a considerare reale e veritiero solo il proprio punto di vista: ciò non
significa che il bambino sia egoista, ma che semplicemente dà per scontato
che tutti vedano le cose come le vede lui. Il bambino è, cioè, completamente
rivolto a se stesso e alla conquista delle cose: ha quindi una scarsa
disponibilità alla socializzazione e non si cura di verificare l’esattezza delle
sue idee e la loro corrispondenza con quelle degli altri. Infatti, quando i
bambini conversano tra loro, ognuno prosegue con il proprio discorso senza
tenere conto di quello che dicono gli altri, come se stessero portando avanti
una sorta di monologo collettivo(2).Per il bambino, in questa fase, ogni cosa
percepita o immaginata ha un carattere immediato di realtà: quello che manca
ancora è la consapevolezza della sua soggettività e di tutte le implicazioni che
da essa derivano. Il realismo consiste quindi in una generale indifferenziazione
fra Io e non-Io, in una confusione tra mondo oggettivo e mondo interiore.Il
periodo preoperatorio è infine caratterizzato anche dal ragionamento
prelogico: l'egocentrismo che caratterizza le cognizioni del bambino, che fa
del proprio Io il metro per interpretare l'universo, genera una visione
antropomorfica del mondo fisico. In questo stadio egli fa confusione tra nessi
casuali e nessi causali (partecipazione magica), considera le cose come vive e
dotate di intenzioni (animismo) e prodotte sempre e comunque da qualcuno
(artificialismo). La partecipazione magica è infatti la tendenza a stabilire
relazioni fra due esseri o due fenomeni, che vengono percepiti come
parzialmente identici o come aventi una diretta influenza reciproca, anche se,
in realtà, non hanno tra loro né contatto spaziale, né connessione causale
dimostrabile. Ciò deriva, come si è detto, dall'egocentrismo del bambino: egli
è infatti convinto che i suoi pensieri e la sua vo1ontà siano onnipotenti, ovvero
in grado di poter ottenere qualunque cosa desideri. Questa sua convinzione
nasce dal fatto che durante i primi mesi di vita bastava un pianto per attirare
immediatamente le attenzioni della madre: in questa fase, però, egli prende
atto dell’ esistenza di un mondo esteriore, poiché sperimenta un lasso
temporale che intercorre tra i suoi bisogni e la soddisfazione degli
stessi.L’animismo è invece la tendenza a considerare ogni oggetto come vivo e
dotato d'intenzionalità: anche questo deriva dalla logica egocentrica, per cui il
bambino attribuisce alla realtà esterna tutto ciò che sperimenta su se stesso.
Quando non riesce a spiegarsi qualche fatto che accade nella realtà attorno a
lui, ricorre a regole morali o sociali in grado di potergli fornire spiegazioni:
ecco il motivo per cui anche un peluche può diventare "animato" nella mente
di un bambino. L’artificialismo consiste, infine, nell’' assegnazione di una
causa e di uno scopo precisi ma immaginari a ogni fenomeno: questo genere
d'interpretazione della realtà tende a diminuire man mano che il bambino
aumenta la sua conoscenza solo quando il bambino abbandona l’egocentrismo,
arrivando a stabilire il confine tra se e il mondo, egli acquisisce la differenza
tra i rapporti di natura causale e quelli di semplice somiglianza formale odi
contiguità spaziale e temporale. Tra i cinque e i sette anni per Piaget, poco
prima per altri autori, si passa dallo stadio preoperatorio a quello successivo,
in cui il pensiero del bambino diventa operatorio concreto: operare, in questo
caso, significa essere in grado di tenere conto dei diversi fattori della realtà
riuscendo a cogliere i nessi tra eventi diversi. Piaget parla infatti di operazioni
concrete, in cui il termine "operazione" si riferisce al mutamento qualitativo
degli schemi (reversibilità,addizione, sottrazione, ecc.), che vengono
interiorizzati e diventano potenti strumenti di comprensione della realtà.È
grazie a essi che il bambino sviluppa infatti la logica induttiva: parte dalla sua
esperienza personale e arriva a un principio generale. È questa l'età delle
curiosità infantili, l'età delle domande e dei "perché": il bambino sente infatti
l’esigenza di precisare sempre meglio i suoi concetti e vi riesce attraverso un
continuo affinamento del linguaggio. Lo sviluppo del suo patrimonio verbale,
infatti, con il moltiplicarsi dei vocaboli conosciuti e il perfezionamento della
struttura del linguaggio, consente al bambino di formarsi le prime
rappresentazioni concettuali.Il bambino supera quindi il livello del pensiero
intuitivo, per arrivare a uno stadio in cui "il pensiero si può definire decentrato
piuttosto che centrato,dinamico piuttosto che statico e reversibile piuttosto che
irreversibile" (Piaget, 1967); grazie a questo egli diviene capace di costruire
concetti che consistono nel coordinamento mentale di caratteristiche diverse e
impara a ordinare gli oggetti secondo una serie regolare (di grandezza,
lunghezza),a classificarli secondo qualità, a numerarli, ecc. Attraverso
l’acquisizione di queste capacità operative e delle conseguenti nozioni che da
esse derivano, il bambino raggiunge la maturità necessaria per aspirare a una
visione oggettiva della realtà: egli può quindi considerare anche se stesso
come un oggetto fra gli altri. Riesce, vale a dire, a considerare se stesso dal di
fuori, ma non può ancora considerare i punti di vista degli altri in modo
analitico, giacché sono ancora frequenti le regressioni a comportamenti di tipo
egocentrico.Tuttavia è certo che il bambino in questi anni si renda
maggiormente conto di quello che succede intorno a lui: la socializzazione
s'instaura in modo più stabile. Infatti, egli diminuisce il suo "monologo
intellettivo" e dà più valore alla comunicazione con gli altri: per formulare
sinteticamente il concetto centrale del periodo operatorio concreto si potrebbe
affermare che il bambino realizza un equilibrio precario tra soggettività e
oggettività, equilibrio che si risolverà solo dopo i dodici anni, con il passaggio
allo stadio terminale dello sviluppo, quelle delle operazioni formali. Per tutta
l'adolescenza, il ragazzo imparerà ad applicare gli schemi non solo agli
oggetti, ma anche alle idee e ai pensieri, costruendo a quella logica deduttiva
che gli consentirà di fare previsioni e anticipazioni sul mondo che lo circonda,
senza avere bisogno di una sperimentazione diretta a livello oggettuale, come
accade nella fase operatoria concreta.Ricerche successive lo hanno confermato
molte delle scoperte e delle intuizioni di Piaget, anche se hanno messo
fortemente in crisi il concetto di stadio cosi determinato, come egli aveva
immaginato: è molto più probabile che la progressione dello sviluppo infantile
si snodi come un continuum ininterrotto, in cui, negli anni precedenti alla
completa realizzazione di una determinata capacità, essa sia già in realtà
presente in una forma più frammentaria o incompleta.Ma la mancanza forse
più grave fra tutte è che Piaget abbia completamente escluso nel suo studio
dello sviluppo cognitivo il ruolo fondamentale della fantasia: infatti, essa è un
aspetto importante del pensiero, sia da un punto di vista cognitivo, perché
permette di anticipare la realtà, di modificarla o di sostituirla, sia da un punto
di vista emotivo, perché consente di ampliare il sentimento di libertà e di
reagire alle frustrazioni. La fantasia, quindi da un lato permette di anticipare il
futuro, dall'altro di modificare il presente e di idealizzare il passato: si tratta di
un'attività del pensiero che qualche volta può arrivare a negare o trasfigurare la
realtà sino al limite dell'assurdo, ma che svolge anche un 'importante funzione
di mediazione e di controllo del comportamento, soprattutto nei bambini. I
modi secondo cui la fantasia si manifesta sono numerosi e vari: la
fantasticheria cosciente "a occhi aperti", le espressioni di gioco individuali e
collettive del bambino, ma anche dell'adulto, le rappresentazioni oniriche, fino
alle espressioni più alte della creazione artistica. Non è facile comprendere se
tutte queste manifestazioni traggano origine comune dall'inconscio oppure se
esse siano il prodotto di una mediazione tra affettività e pensiero razionale, o
ancora derivino dall'instaurarsi di associazioni cerebrali nuove. Sono state date
interpretazioni diverse dell'attività fantastica: quella offerta dalla psicanalisi è
certamente la più suggestiva, anche perché si muove in una prospettiva
psicogenetica che inizia a considerare il problema sin dalle prime fasi dello
sviluppo della personalità. Un’attività fantastica molto vivace
caratterizzerebbe il bambino fin dalla sua prima realtà psichica: il gioco
complesso delle tendenze istintive si tradurrebbe nella creazione di "fantasmi"
allucinatori che danno al bambino una sorta di compensazione sostitutiva della
realtà, che egli è chiamato ad affrontare in condizioni di inferiorità rispetto
agli adulti. Sentimenti e impulsi del bambino, frenati dalle norme di
allevamento e di educazione, troverebbero modo di realizzarsi sotto forma di
fantasia.È questa, ad esempio, la dimensione degli oggetti transizionali, quella
che Winnicott (1981) chiama il "terzo mondo": nel periodo di transizione,
appunto, tra la totale dipendenza dalla madre e l’emancipazione da lei come
entità separata, il bambino identifica in alcuni oggetti questa funzione di
distanza. Il pupazzo, il succhiotto ricordano sensazioni e odori noti,
consentendo di mantenere tracce della presenza materna anche quando la
madre è assente: la fantasia diventa così una modalità di crescita e di
evoluzione. Nello sviluppo infantile, quindi, l'attività fantastica svolgerebbe
una sorta di funzione d 'igiene mentale, un ruolo molto importante di
adattamento e di compensazione delle frustrazioni che il bambino subisce
durante il faticoso processo di crescita psicologica. Solo con il maturare
graduale delle funzioni dell’Io, il bambino inizia ad acquisire la capacità di
confrontare le sue fantasie primitive con il principio di realtà di cui il pensiero
razionale è espressione tipica: all'attività fantastica si va pertanto gradualmente
affiancando l'attività consapevole di conoscenza della realtà. Un contributo
fondamentale a questo processo è dato dall'acquisizione del linguaggio che
rappresenta uno strumento molto importante per lo sviluppo del senso di
realtà, poiché la conoscenza e l'uso appropriato delle parole consentono un
rapporto più preciso con gli oggetti, le persone, le situazioni; all'attività
dell'immaginazione va quindi subentrando gradualmente quella del pensiero
razionale.