locale, in particolare pugliese. La Gazzetta del Mezzogiorno difatti era ed è ancora il
quotidiano più importante dell’Italia meridionale e perciò rilevante è stata la posizione
assunta da questa in merito al Caso Moro e, più precisamente, riguardo alla decisione
di schierarsi a favore della cosiddetta “linea della fermezza” o, al contrario, della
“linea della trattativa”.
I 55 giorni del rapimento del leader democristiano hanno rappresentato uno dei punti
più alti di drammaticità nella storia del nostro paese, sia per quanto riguarda le sorti
dell’ostaggio, ma anche per quanto riguarda le sorti della stessa Repubblica Italiana,
che da quel momento non sarebbe stata più la stessa; anzi, secondo diversi studiosi e
storici, la morte di Moro segnò la fine della cosiddetta Prima Repubblica, espressione
tanto cara ad alcuni giornalisti.
Lo storico Miguel Gotor, però, non è d’accordo con tale affermazione: “trent’anni
dopo la seconda non è ancora nata, come sarebbe stato logico e conseguente aspettarsi
se quell’affermazione fosse stata storicamente fondata”
3
.
Furono, quelli, giorni nevralgici, complessi da gestire, delicati anche perché precedenti
così gravi nel nostro paese non si erano mai avuti. Ma è indubbio anche “ che quei 55
giorni della prigionia furono giorni di una passione intensa che coinvolse
profondamente il paese. […] quei 55 giorni hanno accumulato nel paese una riserva di
valori, di solidarietà, di sentimenti di condivisione e di responsabilità comune; hanno
svolto quel ruolo misteriosamente fecondo che nella vita collettiva come in quella
individuale è riservato al dolore e ai momenti più duri di prova”
4
.
Ed ecco allora che tra i tanti protagonisti della vicenda, oltre ovviamente alle stesse Br
e ai vari partiti politici come la Dc, il Pci, il Psi, solo per citare i principali, ma anche
la magistratura e la famiglia Moro, un ruolo sicuramente fondamentale nella gestione
della stessa fu svolto dal mondo dell’informazione giornalistica, e più precisamente,
da quello della carta stampata; una stampa che, a un ritmo serrato, in quei 55 giorni
pubblicò interviste e prese di posizione dei vari uomini politici ed esponenti di partito,
diffuse i 9 comunicati delle Brigate Rosse, diede voce alle istanze popolari, raccolse le
opinioni della gente, realmente scossa da quello che stava succedendo; una stampa che
avanzava problemi e sospetti, si faceva domande, ma anche, come la Gazzetta del
Mezzogiorno, così come altre testate nazionali, portava avanti con determinazione la
propria linea di pensiero.
3
Miguel Gotor, Aldo Moro Lettere dalla prigionia, Einaudi Torino, premessa XXIII.
4
Pietro Scoppola, La coscienza e il potere, Edizioni Laterza 2007, pp. IX-X.
4
Infatti, se la maggioranza dei quotidiani nazionali, come Repubblica o il Corriere della
Sera per il quale “non c’è baratto possibile”, non hanno esitato, dal primo giorno, a
sostenere il governo in quella che poi diverrà l’inflessibile linea della fermezza, altri
quotidiani come la Gazzetta del Mezzogiorno, già a partire dalla mattina del 16 marzo,
attraverso un’ edizione straordinaria del suo giornale, esprimerà la propria posizione,
dando vita così alla sua campagna a favore del cosiddetto “partito della trattativa” che
porterà avanti fino alla fine del sequestro. A dover di cronaca, gli altri quotidiani che
seguirono la stessa strada percorsa dalla Gazzetta furono “Il Manifesto” e “Il Giorno”,
secondo il quale “il possibile e perfino l’impossibile deve essere tentato per salvare
Moro”
5
.
Fu cosi che iniziò la risoluta iniziativa del quotidiano pugliese, che dalla redazione
centrale di Bari e attraverso la penna del direttore Oronzo Valentini, non mancò mai
l’occasione di ribadire la propria opinione a riguardo, nella speranza, vana, che questi
continui appelli giungessero, a chi di dovere, nelle aule di Montecitorio a Roma.
Le fonti utilizzate nella stesura di questo lavoro possono essere classificate secondo tre
tipologie:
A) Una scelta nell’ampia letteratura sul “Caso Moro”, che comprende testi di vari
studiosi, storici e giornalisti.
B) Le edizioni della Gazzetta del Mezzogiorno contenenti gli editoriali del
direttore che vanno dall’edizione straordinaria del 16 Marzo, a quella dell’11
maggio 1978, come fonte ulteriore per completare il quadro sui rapporti tra
Moro e la sua terra e il legame con il direttore della Gazzetta.
C) Intervista ad Agnese Moro, una delle figlie dello statista pugliese.
Il presente lavoro è suddiviso in tre capitoli: il primo vuole essere, senza alcuna
pretesa esaustiva, una sorta di presentazione della situazione storica che ha fatto
da cornice al rapimento del presidente democristiano, oltre che una panoramica
sulle vicende politiche dei 55 giorni; il secondo capitolo è dedicato alle Brigate
Rosse, nello specifico ai 9 comunicati recapitati durante i 55 giorni del rapimento,
cercando di soffermare l’attenzione, in particolare, sulla terminologia da loro
utilizzata, un aspetto per me interessante, e sul cosiddetto “modello di regia”,
come giustamente l’ha definito Andrea Colombo
6
, senza, tuttavia, trascurare un
5
Atlante di Repubblica, p. 90.
6
Andrea Colombo, Un affare di Stato, cit., p. 104.
5
accenno alla storia delle origini delle Br. Nel terzo, invece, che costituisce la parte
centrale dell’intero lavoro, è contenuta l’analisi e il punto di vista di Oronzo
Valentini, desunto dai 16 editoriali che egli scrisse durante l’intera vicenda, con
stretti collegamenti sia agli avvenimenti che accadevano parallelamente a livello
nazionale, come i vari comunicati delle Br e le posizioni assunte dal governo, sia
alle vicende che riguardavano, più da vicino, lo stesso quotidiano pugliese, come,
ad esempio, il periodo di autogestione che visse la Gazzetta a partite dal maggio
1978;
Questo lavoro, considerata la grandissima importanza che la vicenda Moro ha
assunto nel corso del tempo e che, a distanza di 30 anni, continua ancora ad avere,
si propone solo come un semplice tentativo di analisi secondo una prospettiva
diversa dal solito, una prospettiva locale, con l’obiettivo di dare rilievo a una voce
importante come è stata quella della Gazzetta del Mezzogiorno; si tratta di un
lavoro scaturito semplicemente dal particolare interesse da me nutrito nei
confronti di questa affascinante ma, nello stesso tempo, drammatica e complessa
pagina della nostra Repubblica.
6
1. Situazione storica al momento del rapimento di Aldo Moro
1.1 Gli anni Settanta
1.1.1 Il quadro internazionale nei primi anni ‘70
Se gli anni ’60 sono stati, per il nostro paese, anni di sviluppo economico, anni di
contestazione studentesca, ma non solo, anni in cui l’Italia ha iniziato, gradualmente, a
diventare una democrazia matura facendo leva su quella coscienza civile, politica e
morale rimasta sopita negli anni fascisti, il successivo decennio, ovvero gli anni ’70
inaugurano decisamente una nuova fase storica, politica ed economica allo stesso
tempo.
Cominciamo, innanzitutto, a delineare qual’era lo scenario internazionale che si
presentava in quegli anni; rispetto agli anni ’60, negli anni ’70, in particolare nel 1972,
si apre una breve stagione di distensione tra Usa e Urss che iniziano a dialogare
riguardo alla riduzione degli armamenti nucleari; ciò avviene in seguito alla denuncia
degli accordi di Bretton Woods nel 1971 da parte degli Stati Uniti, accordi che,
stipulati nel 1944, avevano contribuito a una lunga fase di stabilità monetaria ed
economica. Ora, invece, la fine della parità del dollaro causa un generale
rallentamento economico, del quale risentirà anche il nostro paese
1
.
Il colpo più forte, però, arriverà nel 1973 quando lo scoppio della guerra tra Israele ed
Egitto e le conseguenti sanzioni degli emirati arabi (Opec) contro le nazioni amiche
dello Stato ebraico, provocherà un aumento del prezzo del petrolio che passerà dai 2-
3 dollari ai 12 dollari per barile; il cosiddetto “shock del petrolio” metterà in ginocchio
diversi paesi, tra cui l’Italia che, non disponendo di proprie fonti di energia, dovette
ricorrere in quel periodo a una forte svalutazione della lira, con squilibri rilevanti sia
per quanto riguarda l’inflazione, sia per quanto riguarda la bilancia dei pagamenti.
Inoltre, il quadro internazionale dei rapporti di forza a livello commerciale si stava
profondamente modificando, poiché altre piccole e grandi potenze cominciarono a
fare il loro ingresso sul mercato mondiale, dominato dal colosso americano; si tratta,
ad esempio,della Germania e del Giappone, ma anche dei cosiddetti N.I.C. (paesi di
nuova industrializzazione, come Spagna, Grecia e i paesi del Sud Est asiatico, che
potevano contare su alti tassi di sviluppo, sostenuti dalle loro esportazioni). Ed ancora.
1
Simona Colarizi, Storia politica della Repubblica 1943-2006, Edizioni Laterza Roma – Bari
2007.
7
Nel giugno 1974 fallì la più grande banca privata tedesca, la Herstatt: era il segnale di
una forte recessione, mentre l’inflazione continuava a crescere. Una situazione
davvero difficile, quindi, quella che si presentava davanti agli occhi del nuovo
esecutivo italiano, formatosi dopo le elezioni politiche del 1972.
1.1.2 La fine del centro sinistra e il referendum sul divorzio
La V legislatura, iniziata nel 1968, per la prima volta nella storia della Repubblica
italiana si chiude nel 1972, con un anno di anticipo rispetto ai cinque anni previsti
dalla Costituzione.
Dalle elezioni politiche del 1972, il dato più importante che si può certamente ricavare
è uno spostamento a destra del sistema rispetto alle elezioni del ’68 e la conseguente
fine del centrosinistra; la Dc scende dal 39, 1% al 38, 7%, il Pci invece sale dal 26,9%
al 27,1%; i socialisti, non presentandosi più nella forma unitaria del Psu,
guadagneranno solo un misero 9,6%
2
.
La destra, in questi anni, è particolarmente attiva; infatti, approfittando della rivolta di
Reggio Calabria (1970), protesta che va ben oltre il semplice orgoglio del
campanilismo mortificato, soffierà sugli umori dei ribelli calabresi. Ma non solo. Nel
1969 si ha la strage di Piazza Fontana e nel 1970 il tentativo di colpo di Stato di Junio
Valerio Borghese. Per di più, la destra raccoglie moltissimi consensi soprattutto al
Sud, da sempre filo monarchico, svuotando cosi i consensi della Dc, a cominciare
dalle regionali del 1970; e ci riesce facendo leva su un Meridione profondamente
deluso dal mancato e tanto esaltato boom economico e dalle politiche economiche
insoddisfacenti portate avanti dal centro sinistra (si veda, ad esempio, l’istituzione
della Cassa del Mezzogiorno(1950) che si è trasformata ben presto non solo in un
grosso elemento di sviluppo per il sud, ma anche, a volte, in una forma di
arricchimento per i soliti notabili e latifondisti meridionali).
La Dc ovviamente è consapevole di questa situazione, aggravata, tra l’altro, anche
dallo scandalo Lockheed
3
che riguardava il pagamento di tangenti per l’acquisto di
forniture militari e che coinvolse anche diversi ministri democristiani, come Rumor e
Gui; e si ricordi come, riguardo a tale vicenda, Moro difenderà la Dc con la famosa
affermazione: “Non ci lasceremo processare nelle piazze”.
2
Simona Colarizi, Storia politica della Repubblica 1943-2006, cit., p. 107.
3
Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi Torino, p. 502.
8
Intanto il Pci, reduce dal successo nelle elezioni del’72, e con l’arrivo alla segreteria
del partito di Enrico Berlinguer, ha tutte le intenzioni di accelerare il percorso di
legittimazione nel sistema politico italiano; legittimazione che però solo la Dc, in
quanto partito egemone, è in grado di consentire; così, in questi anni, Berlinguer attiva
una strategia nuova, detta dell’“eurocomunismo”, proponendo un nuovo comunismo
democratico, compatibile con le democrazie dell’Occidente, al quale il Pci si sta
sempre più avvicinando, e superando cosi quella conventio ad excludendum che sbarra
ai comunisti l’accesso al governo; si tratta di un comunismo, però, che resti in qualche
modo legato alla casa madre e rimanga comunque alternativa al capitalismo; insomma,
anche se un primo passo già ci è stato, attraverso lo strappo ufficiale con Mosca in
occasione della “Primavera di Praga”, il partito comunista sembra ancora alla ricerca
di una indeterminata terza via.
Inizia così, in questi primi anni ’70, la collaborazione tra Dc e Pci, che vedrà in
Berlinguer, ma soprattutto in Moro, uno dei principali artefici; sarà infatti lo stesso
Moro a dare una prima codificazione ufficiale a tale collaborazione nella cosiddetta
“strategia dell’attenzione”, preludio al successivo compromesso storico.
Ma quelli in corso sono anche anni sanguinosi e violenti che passeranno alla storia con
la denominazione di “anni di piombo”, caratterizzati, a partire dal 1972, da una serie
di stragi volte a produrre terrore e a mettere in crisi la fragile democrazia italiana,
provocando, tra l’altro, tante vittime innocenti, come nel caso della strage di Piazza
della Loggia a Brescia e sul treno “Italicus” nel 1974.
Il primo imminente banco di prova alla nascente cooperazione tra sinistra e
Democrazia Cristiana fu, nel 1974, rappresentato dal referendum sul divorzio.
In quel periodo (dal giugno 1973 al luglio 1975) alla giuda della Dc vi era Amintore
Fanfani, considerato come una valida sponda per quelle correnti del partito cattolico
da tempo ostili alla politica di Moro. Fanfani è preoccupato dall’immobilismo della
Dc e dall’incapacità che questa sembra avere nel gestire la situazione di forte allarme
presente nel paese; di principio non contrario al centro sinistra, Fanfani chiede però al
Psi da quale parte delle barricata si vuole collocare e, nel frattempo, viene inaugurato
un nuovo esecutivo, guidato da Andreotti, costituito da Dc, PSDI, Pli e al quale il Pri
darà il suo appoggio esterno. L’esperimento quasi centrista durerà però poco, travolto
soprattutto dall’esplodere della crisi petrolifera. Ma Fanfani non si arrende e punta
tutte le sue carte sul referendum, nella speranza che una vittoria degli antidivorzisti
possa tradursi in un successo per la Dc e recuperare così prestigio agli occhi
dell’opinione pubblica. I risultati, tuttavia, non gli danno ragione: infatti, la
9
schiacciante vittoria dei no- 59,3%-evidenzia con forza il ritardo del partito cattolico,
che non riesce a rendersi conto di quanto il paese sia profondamente cambiato rispetto
ai primissimi anni della Repubblica; è cambiato non solo economicamente, ma anche
nella mentalità, nei valori, nei costumi, investito da quel processo di
“scristianizzazione”, che è parte integrante del percorso di laicizzazione della politica
4
.
1.1.3 Verso la solidarietà nazionale
Forte del risultato del referendum, nettamente a sfavore della Dc, il Partito Socialista
si rianima ed elabora con vigore la proposta all’alternativa socialista, incoraggiato
anche dal buon risultato delle elezioni regionali e amministrative del 1975, elezioni a
cui partecipano per la prima volta anche i diciottenni; da segnalare, in questa stessa
tornata elettorale, il calo preoccupante della Dc che passa dal 37,8% al 35,3%; così,
nelle maggiori città italiane, da Milano a Torino e persino a Napoli, a ricoprire
l’incarico di sindaco sono esponenti sia socialisti che comunisti.
E sarà proprio il partito di Berlinguer che opporrà un categorico no alla proposta
avanzata da Lombardi; infatti il leader comunista è più che mai deciso, considerato
l’enorme balzo in avanti compiuto nelle elezioni regionali, a sfruttare appieno questo
momento per piegare la Democrazia Cristiana, fortemente indebolita sia dal risultato
referendario, sia dagli scandali che stanno riguardando diverse personalità del suo
partito. Non a caso Berlinguer in campagna elettorale ha insistito molto sulla
“questione morale”, chiedendo a gran voce un rinnovamento della politica italiana,
che consenta di uscire dalla crisi.
Sarà proprio su queste basi, che nascerà l’ormai prossimo “compromesso storico”,
definito con cautela e prudenza da Moro col nome di strategia dell’attenzione; e
questo anche perché lo stesso Moro non ha alle spalle il sostegno univoco da parte del
suo partito; ciò spiega anche le innumerevoli crisi che la Dc ha dovuto fronteggiare nel
corsi di questi anni al governo, crisi principalmente dovute a una pluralità di
composizione con conseguenze sulla stabilità governativa.
Intanto il Psi, incassato il no da Berlinguer circa la proposta dell’alternativa socialista,
tramite De Martino dichiara, alla vigilia delle elezioni del 1976, definitivamente
chiusa l’esperienza del centrosinistra; da questo momento i socialisti vivranno la fase
forse più critica della loro vicenda politica, rassegnandosi al ruolo di forza intermedia;
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Simona Colarizi, Storia politica della Repubblica 1943-2006, cit., p. 120.
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