6
Tuttavia esiste un ampio filone di studi critici intorno a questa
produzione minore, volto a far emergere i caratteri originali di questi scritti
che per troppo tempo hanno vissuto nell’anonimato. I Paralipomeni della
Batracomiomachia sono uno di questi.
Opera postuma dell’ultimo Leopardi e oggetto di questa mia breve
trattazione, cominciano ad acquistare al pubblico il giusto valore con il
saggio di Walter Binni del 1947, La nuova poetica leopardiana, dopo più
di un secolo nel quale sono vissuti all’ombra delle altre grandi opere
leopardiane, immeritatamente condannate dal giudizio, equivocato dai
contemporanei, di Vincenzo Gioberti, il quale li definì «libro terribile»
2
dando involontariamente vita a un filone interpretativo, a lungo dominante,
che li relegava al destino di opera mediocre, al di sotto delle grandi doti di
poeta di cui aveva fatto mostra in passato Leopardi. Con Binni, però, si dà
una svolta negli studi critici. Nel suo saggio egli pone sotto una nuova luce
la poetica dell’ultimo Leopardi, considerandola una fase a sé, per alcuni
versi “più emancipata”, ulteriore rispetto alla visione che sottende i Canti e
le Operette, e da questo punto di vista rivendica autenticità e organicità alla
produzione che si snoda tra il 1831 e il 1837, di cui i Paralipomeni fanno
parte.
Gennaro Savarese è uno degli studiosi dei Paralipomeni che hanno
portato maggiori contributi in questo senso. Il suo Saggio sui
‘Paralipomeni’ del 1967
3
, aggiornato nel 1987, con l’aggiunta di un
capitolo sulle fonti della tradizione eroicomica cui Leopardi si rifà, e riedito
2
V. GIOBERTI, Il Gesuita moderno, Losanna, Bonamici, 1846-1847, 5 voll., III p.484.
3
G. SAVARESE, Saggio sui ‘Paralipomeni’, Firenze, La Nuova Italia, 1967.
7
nel 1995
4
, è fondamentale per capire qual è la giusta prospettiva sotto la
quale condurre i nuovi studi sul poemetto. Citando il Foscolo dell’articolo
sui Narrative and Romantic Poems of the Italians, Savarese fa emergere
come il giudizio negativo sui Paralipomeni sia attribuibile al fine politico
che sembrano perseguire, che è sì presente nelle trame dell’opera, ma che
non esaurisce assolutamente gli intenti di Leopardi, che nella veste di
satirico anzi compie una rivoluzione del genere e del mito, come ben
dimostrano ad esempio le analisi di Daniela Carbone, Angela Gigliola
Drago, Cesare Galimberti e di altri di cui si tratterà più specificamente
all’interno di questo saggio.
D’altro canto, sempre a partire dal saggio binniano, si contribuisce a
far chiarezza sul rapporto dell’ultimo Leopardi con l’attualità politica e
culturale. Da sempre considerato un disadattato, tanto che Niccolò
Tommaseo malignamente seguitava a considerare le opinioni del poeta
come il risultato di «souffrances particulières»
5
, Leopardi negli ultimi anni
della sua vita “esce allo scoperto” con delle opere dirette a colpire gli
intellettuali di Toscana, di cui lo stesso Tommaseo faceva parte e, più
genericamente, gli spiritualisti francesi che, voltate le spalle a
quell’Illuminismo da cui provenivano, erano indietreggiati su posizioni
politicamente reazionarie e avevano abiurato alla ragione arroccandosi in
un ottimismo antropocentrico e provvidenzialistico. Purtroppo quelle opere
rimarranno allo stato di progettazione al momento della sua morte.
4
ID., L’eremita osservatore. Saggio sui ‘Paralipomeni’ e altri studi su Leopardi, Padova, Liviana, 1987 (Roma,
Bulzoni, 1995
2
).
5
Lettera di Giacomo Leopardi a Luigi de Sinner, 24 maggio 1832, in G. Leopardi, Epistolario, a cura di Giuseppe
Piergili (raccolto e ordinato da Prospero Viani), Firenze, Le Monnier, 1938
7
.
8
Dunque i Paralipomeni sono questo e molto di più. Sono una satira
politica da un lato contro gli abusi di governi oppressori e reazionari,
dall’altro contro l’inconcludenza dei liberali moderati che vogliono
mettersi a capo della rivoluzione; sono un poema eroicomico ambientato
nel mondo animale; sono una critica all’ottimismo antropocentrico volta a
colpire le rassicuranti certezze degli intellettuali mondani, il tutto condotto
sul filo di uno straniamento letterario in cui gli strumenti della letteratura
vengono sapientemente usati da Leopardi, maestro, è il caso di dirlo, anche
in questo genere, per mettere in discussione quella stessa letteratura.
9
1. Fonti e modelli dei Paralipomeni
Mi sembra opportuno condurre questa mia rassegna della critica
recente dei Paralipomeni usando come base per il mio discorso la versione
ampliata del già noto Saggio sui ‘Paralipomeni’ di Gennaro Savarese
6
,
pubblicata nel 1987 sotto il titolo significativo L’eremita osservatore.
Saggio sui ‘Paralipomeni’ e altri studi su Leopardi
7
, da cui le ricerche di
questi ultimi anni hanno preso più di qualche spunto nella direzione di
un’indagine delle modalità con cui Leopardi riutilizza i modelli a cui si
richiama per la stesura del poemetto. Tornando più avanti sulla nozione
emblematica di «eremita osservatore», mi interessa riprendere qui la
distinzione metodologica tra memoria esterna e memoria interna di
un’opera letteraria, filiata a sua volta da Friedrich Ohly
8
. Per memoria
esterna si intendono le fonti da cui è stata attinta la materia dell’opera, in
questo caso i fatti storici; per memoria interna, il rapporto dialettico
instaurato con la tradizione letteraria e il genere prescelto.
I Paralipomeni della Batracomiomachia, la cui data di composizione
oscilla tra il 1831 e il 1837 – il termine post quem che ce lo certifica è un
riferimento nel I canto
9
alla battaglia di Lovanio combattuta tra belgi e
olandesi il 12 agosto 1831 -, editi da Antonio Ranieri per la prima volta a
Parigi presso l’editore Baudry nel 1842, in Italia solo nel 1845, sono il
prodotto di un coacervo di letture ed esperienze, portate a maturazione
6
G. SAVARESE, Saggio sui ‘Paralipomeni’, Firenze, La Nuova Italia, 1967.
7
ID., L’eremita osservatore. Saggio sui ‘Paralipomeni’ e altri studi su Leopardi, Padova, Liviana, 1987 (Roma,
Bulzoni, 1995
2
).
8
F. OHLY, Annotazioni di un filologo sulla memoria, in Geometria e memoria, Bologna, 1985.
9
G. LEOPARDI, Paralipomeni della Batracomiomachia (d’ora in poi Paralip.), a cura di M. A. Bazzocchi e R.
Bonavita, Roma, Carocci, 2002, c. I, ott. 4: «o come dianzi la fiamminga gente, […] viste l’armi d’Olanda,
immantinente / la via ricominciò ch’avea fornita», in cui “dianzi” sta a significare “poco fa”.
10
dopo anni di silenziose osservazioni dei fatti dell’attualità politico-culturale
riguardanti la penisola italiana e l’Europa della Restaurazione. D’altro
canto, il poemetto è il frutto della sperimentazione dell’ultimo Leopardi il
quale, al di là dell’esperienza lirica dei Canti e di quella prosaico–filosofica
delle Operette morali, si mette ora alla prova anche nel genere del poema
eroicomico, da sempre considerato minore in quanto controcanto dell’epica
cavalleresca ben prolifica nel Cinquecento, a partire dall’Orlando furioso.
1.1 Memoria esterna
Sotto questa categoria, dunque, abbiamo identificato i contenuti
dell’opera. I Paralipomeni, riprendendo la Batracomiomachia pseudo-
omerica che si era conclusa con la disfatta del popolo dei topi contro i
granchi, chiamati in aiuto dalle rane, raccontano il tentativo degli sconfitti
di pervenire a una pace giusta ed equilibrata con i dominatori, tentativo
destinato e fallire e a concludersi con una nuova guerra e una nuova fuga
dei topi. In seguito a ciò, l’eroe-antieroe del poema, il conte Leccafondi,
intraprende un viaggio-esilio che lo condurrà in primis a imbattersi
nell’unico personaggio umano della vicenda, Dedalo, e su consiglio di
questo affronterà una discesa agli Inferi - topos della più grande tradizione
epica, da Omero a Virgilio a Dante – alla ricerca di una risposta sulle sorti
del popolo topino. Ma, vista la reazione negativa avuta dal coro di topi-
morti, e allo stesso momento imbarazzante per il topo-umano Leccafondi,
costui fa ritorno alla sua città d’origine per consultare in extremis l’unico
topo che potrebbe dargli aiuto, il generale Assaggiatore; inizialmente
renitente, nel momento in cui quest’ultimo sta per dare finalmente la
risposta cercata da Leccafondi, il racconto si interrompe, sotto
11
l’escamotage tipico della convenzione romanzesca del periodo del
manoscritto ritrovato dal narratore-filologo.
Per i primi lettori i Paralipomeni furono, come si sa, un «libro
terribile»
10
. Terribile perché fu subito chiaro che sotto la favola dei topi
contro i granchi erano adombrate le vicende della più recente attualità
politica, quella della Restaurazione post-napoleonica. Leopardi,
abitualmente considerato un “a-politico”, in realtà aveva iniziato a
raccogliere i materiali per la stesura del poemetto probabilmente già dal
1826, da quell’anno in cui aveva rifiutato la proposta di Giovan Pietro
Vieusseux, direttore dell’«Antologia», che lo voleva a tutti i costi nelle
vesti di hermite dagli Appennini
11
, figura tanto in voga negli ambienti
letterari d’oltralpe, che aveva la funzione di analizzare e criticare con
lucido discernimento la moralità dei costumi e dei comportamenti
dell’epoca. Ma «il “flagello” del quale Vieusseux auspicava la
collaborazione alla sua «Antologia» era incapace di un moralismo
confezionato ad uso dell’industria editoriale, che flagellasse e insieme
ottenesse l’applauso dei flagellati»
12
. Pertanto Leopardi rifiuta l’offerta di
vestire pubblicamente i panni di moralizzatore per i lettori
dell’«Antologia», ma non disdegna di farlo nel privato.
Ed è sempre nell’ambiente dell’«Antologia» che Leopardi viene a
contatto con Pietro Colletta, il generale napoletano esule nel Granducato di
Toscana, autore della Storia del reame di Napoli che costituisce a detta di
molti l’ipotesto dei Paralipomeni
13
, il documento d’appoggio a partire dal
quale il recanatese costruisce la sua favola politica.
10
V. GIOBERTI, Il Gesuita moderno, vol. III, Losanna, Bonamici, 1846-1847, p.484.
11
G. SAVARESE, L’eremita osservatore cit., p. 11.
12
Ibid.
13
Ivi, p. 6.