2osservano Gary Dimsky e Robert Pollin, una ‘visione preanalitica’, che mette in
discussione le teorie ortodosse (portino esse il nome di monetarismo o
neokeynesianesimo) alle fondamenta. Una lettura superficiale, che riconduca
l’analisi di Minsky agli schemi teorici tradizionali porta a non coglierne gli aspetti
innovativi.1
• Gli scritti di Minsky presentano spesso un’esposizione complicata e a volte oscura,
tanto che per comprenderne le principali idee è indispensabile ‘incrociare’ la lettura
di diversi suoi libri o articoli per coglierne a fondo il senso (di certo questo è anche
dovuto al fatto che la sua analisi muove da una sua personale visione preanalitica).
• Infine manca, nell’opera di Minsky, una trattazione analitica della sua teoria, che
dia una visione completa ed univoca della stessa.
Queste peculiarità rendono particolarmente difficile comprendere il messaggio
minskiano in tutti i suoi aspetti. Nel presente lavoro si tenta perciò di esporre
chiaramente ed in modo per quanto possibile schematico il ‘cuore’ della teoria di
Minsky, anche attraverso confronti e critiche.
Il capitolo 1 riporta alcune informazioni biografiche. L’interesse principale sta
nell’identificare le influenze culturali che M nsky ha subìto nell’arco della sua vita,
oltre che nel tracciare l’evoluzione della sua ricerca. Il secondo capitolo è incentrato
prevalentemente sul libro John Maynard Keynes del 1975, in cui M nsky espone il
risultato della sua rielaborazione di alcune importanti idee della Teoria G nerale di
Keynes. In questo capitolo esporremo le critiche di Minsky nei confronti dei
‘keynesiani tradizionali’ e quindi spiegheremo la sua teoria dell’investimento basata su
1
Cosa si intenda esattamente per visione preanalitica risulterà chiaro in seguito. Per il momento può
essere utile sapere che Minsky si oppone strenuamente all’idea del ‘para igma della fiera di paese’
che considera il comportamento della nostra economia riconducibile ai principi di una semplice
economia di baratto. Al contrario, studiando un’economia con istituzioni finanziarie sofisticate come
la nostra si dovrà far riferimento al ‘paradigma di Wall Street’, in cui le decisioni fondamentali
(quelle dei consigli di amministrazione) sono immancabilmente legate agli impegni di pagamento
assunti in passato e all’incertezza che regna sulle prospettive future.
3alcuni elementi ‘dimenticati’ della Teoria Generale. Questa spiegazione ci permette di
comprendere la ‘visione statica’ di Minsky, cioè la sua visione dei legami e delle
interazioni tra le variabili economiche del sistema. La teoria keynesiana
dell’investimento, unita alle equazioni di Kaleck per la determinazione dei profitti e
dei prezzi (contenute nella parte finale del capitolo), costituisce lo strumento di base
su cui Minsky costruisce la sua ipotesi di instabilità finanziaria. Questa è spiegata nel
capitolo 3, incentrato appunto sulla visione ‘dinamica’ del sistema secondo Minsky.
L’ipotesi di instabilità finanziaria può essere considerata in un certo senso come un
raccordo tra la teoria di Keynes e la teoria delle grandi deflazioni da debiti di Irvin
Fisher. Minsky infatti, partendo da una visione keynesiana dell’economia, dimostra
come il sistema, endogenamente (cioè anche senza l’intervento di agenti esterni) tenda
a generare delle crisi del tipo descritto da Fisher. La visione dinamica di Minsky non è
conciliabile con gli strumenti teorici a disposizione dell’analisi tradizionale. Per
chiarire questo aspetto, prima di esporre questa teoria, all’inizio del capitolo 3 ci
soffermeremo sulla posizione di Minsky nei confronti delle teorie dell’equilibrio
economico generale e degli equilibri non-walrasiani.
Il capitolo 4 tratta dell’analisi empirica condotta da Minsky sull’economia americana
per il periodo che va dagli anni cinquanta ai primi anni ottanta. In realtà la separazione
tra parte teorica (capitoli 2 e 3) e parte empirica (capitolo 4) risponde più ad esigenze
di chiarezza che all’impostazione di Minsky. Questo perchè le sue teorie non sono
astratte costruzioni successivamente testate sui dati statistici. Esse sono piuttosto il
frutto di una attenta osservazione della realtà finanziaria americana e dei suoi
mutamenti. Osservazione empirica e teoria sono inscindibilmente legate nelle
spiegazioni di Minsky.
Il capitolo 5 è piuttosto breve e fa una panoramica sulle principali idee di Minsky in
tema di politica economica, mettendole per quanto possibile in relazione alle idee
spiegate nei capitoli precedenti. Nel capitolo 6 è invece trattato il problema dei
rapporti tra il pensiero di Minsky e quello degli altri keynesiani, le possibilità di
convergenza tra l’impostazione dei nuovi keynes ani e quella dei post keynesiani ed
alcuni contributi allo sviluppo analitico della teoria di Minsky.
4Infine, nel capitolo 7 esprimeremo una serie di osservazioni conclusive riguardo alla
teoria di Minsky e all’importanza del suo contributo al pensiero economico.
5CAPITOLO 1
CENNI BIOGRAFICI
Hyman Philip Minsky nasce a Chicago, il 23 settembre 1919. Figlio di immigrati russi
che, sappiamo da Perry Mehrling (1998), “si incontrarono in un tram andando a un
raduno in onore del centesimo anniversario della nascita di Karl Marx”, da giovane fu
un fervido socialista.
Trascorre la sua giovinezza prevalentemente a Chicago, a parte qualche anno speso a
Lima, Ohio e New York per gli affari del padre. Ed è proprio a New york ch , nel
1937 i genitori si separano. Hyman torna allora nella città natale con la madre, dove
inizia gli studi universitari. L’anno successivo vede purtroppo un altro evento
drammatico per Minsky: la morte della madre.
E’ in questi anni difficili (per Minsky come per l’intera America, che si sta
riprendendo a stento dalla Grande Crisi) che il futuro economista comincia a legarsi
saldamente all’ambiente dell’Università di Chicago, dove scopre gli interessi che lo
appassioneranno per una vita. Due figure in particolare hanno una grande importanza
in questo periodo e nello sviluppo del suo pensiero successivo: i professori Oscar
Lange ed Henry Simons. Il primo a quei tempi lavorava ad una sintesi tra le teorie di
Marx e l’economia neoclassica, mentre il secondo si concentrava prevalentemente
sulla natura finanziaria delle economie moderne, formulando alcune idee che Minsky
stesso svilupperà nei suoi principali lavori. Volendo rintracciare le maggiori influenze
dei primi anni di studio universitario, dobbiamo senz’altro ricordare altri nomi
dell’Università di Chicago di quel periodo: Maynard Krueger, Paul Duglas, Jacob
Viner, Frank Knight, e ancora Gerhard Meyer e Abba Lerner, con cui rimarrà legato
da una lunga amicizia.
Il percorso universitario di Minsky comunque non comincia con l’economia, bensì
con la matematica. E’ infatti in matematica che si laurea a Chicago nel ‘41.
L’ambiente di cui abbiamo detto stimola però il suo interesse per l’economia e la
finanza e per questo motivo, dopo la laurea, decide di conseguire master e dottorato
HYMAN MINSKY: DA KEYNES ALL’IPOTESI DI INSTABILITA’ FINANZIARIA
6
in economia ad Harvard. Solo nel 1954 comunque riuscirà in questo intento, poichè
nel frattempo sopraggiunge la chiamata alle armi che lo tiene lontano dagli studi per
quattro anni. Dal ‘43 al ‘45 Minsky lavora alla base militare di Brooklyn, a New
York, poi viene trasferito oltreoceano, dove rimane fino al ‘46. Non è da trascurare
l’influenza di questa esperienza nella sua futura visione economica. Viene mandato
prima in Inghilterra, quindi in Francia e Germania. Egli stesso ammette che
soprattutto l’esperienza in Germania l’aveva convinto dell’importanza delle istituzioni
specifiche e delle circostanze storiche per capire cosa accade nel mondo. Scrive infatti
“Da quel momento in poi capii che le astrazioni teoriche sono necessarie per mettere a
fuoco i pensieri, ma la teoria astratta è l’inizio della seria analisi economica, non il
prodotto finale” (Minsky 1985, traduzione nostra).
Ed è a causa di questa visione che la scelta di Harvard, dovuta all’incoraggiamento da
parte di Oscar Lange, si rivela presto poco soddisfacente per Minsky. Questa era
infatti la culla dei keynesiani ortodossi, che andavano elaborando una sempre
maggiore astrazione e semplificazione della teoria di Keynes. Tuttavia, per ragioni
personali (a Chicago non c’erano più le amicizie di prima della guerra) egli, una volta
concluso nel ‘46 il servizio nell’esercito, torna da Harvard. Qui lavora come assistente
di Alvin Hansen.
Hansen era a quel tempo il principale esponente della scuola keyne iana americana. In
questi anni Minsky conosce allora la teoria e l’impostazione che sfocerà nella sintesi
neoclassica, principale bersaglio delle sue future critiche all’analisi tradizionale.
L’analisi di Hansen tendeva infatti a rappresentare il pensiero di Keynes in modo
meccanico e ad ignorarne alcuni aspetti fondamentali: il ruolo della moneta, della
finanza e dell’incertezza. Come scrivono Papadimitriou e Wray, Minsky “non vide mai
Harvard come la sua casa intellettuale. Per lui la vera casa intellettuale era l’Università
di Chicago, che continuò ad influenzarlo durante i giorni di Harvard” (Papadimitriou-
Wray, 1998, p.1, traduzione nostra)1.
1
Si tenga presente che a quei tempi l’Università di Chicago seguiva correnti molto diverse da quelle
di cui oggi è la massima rappresentante (ci riferiamo al monetarismo e alla Nuova Macroeconomia
Classica).
Capitolo 1 Cenni biografici
7
E infatti, nel 1949 Minsky lascia Harvard, malgrado le opportunità di carriera
offertegli, per accettare il suo primo incarico accademico alla Brown University a
Rhode Island. Rimane comunque in contatto con Harvard per finire la sua tesi di
dottorato. Supervisore del lavoro era inizialmente Joseph Shumpeter, ma quest’ultimo
morì nel 1950, così la tesi, che trattava delle relazioni tra struttura del mercato,
attività bancaria, determinanti della domanda aggregata e cicli economici, viene
seguita da Wassally Leontief.
Nel 1955, lo stesso anno in cui si sposa con E ther De Pardo, Minsky viene invitato
da Andras Papandreou all’Università di Berkeley in California, dove rimane fino al
‘65. Questi sono anni molto produttivi, che vedono la pubblicazione di numerosi
articoli tra i quali quelli sul modello acceleratore-moltiplicatore (che trascureremo di
trattare in questa tesi) e quelli molto importanti riguardanti il ruolo della banca
centrale e del mercato monetario (cui faremo invece spesso riferimento, poichè
elaborano concetti basilari per la comprensione dell’ipotesi di instabilità finanziaria).
La permanenza a Berkeley è importante anche sotto altri aspetti. Egli elabora in questi
anni le pricipali idee del libro John Maynard Keynes (che finirà nel ‘72, anche se la
casa editrice decide di ritardarne la pubblicazione di tre anni) e sempre in quegli anni
ha diversi allievi (Victoria Chick, Peter Gray, Robert Hall, Thomas Sargent) che si
distingueranno in seguito come economisti.
Anche l’ambiente di Berkeley comunque delude Minsky. All’inizio degli anni sessanta
la ricerca e l’insegnamento qui cominciano ad enfatizzare in modo quasi esclusivo la
ricerca astratta e la matematica nell’economia, a scapito dello studio delle
determinanti storiche ed istituzionali.
Per questo motivo nel 1965 accetta un incarico permanente alla Washington
University a St. Louis, dove rimarrà per venticinque anni, anche a causa della duratura
collaborazione con la banca Mark Tw in. Questa lunga esperienza permette a Minsky
di approfondire le sue conoscenze sulla realtà bancaria, conoscenze basilari per
l’elaborazione della sua teoria.
HYMAN MINSKY: DA KEYNES ALL’IPOTESI DI INSTABILITA’ FINANZIARIA
8
Del periodo successivo va ricordata la sua partecipazione nel 1977 al lancio del
Journal of Post Keynesian Economics, che lo vede a fianco di PaulDavidson e
Sidney Weintraub. Inoltre, in questi anni pubblica i suoi tre noti libri: John Maynard
Keynes (del ‘75, nell’edizione italiana Keynes e l’instabilità del capitalismo), in cui è
esposta la sua reinterpretazione della Teoria Generale di Keynes, Can ‘It’ happen
again? (del 1982, tradotto col titolo Potrebbe ripetersi?), che raccoglie una serie di
articoli riguardanti i modelli di crescita endogena, la politica monetaria e il ruolo della
banca centrale, l’ipotesi di instabilità finanziaria e la teoria dell’investimento, e
Stabilizing an Unstable Economy (del 1986, tradotto come Gov rnare la Crisi) in cui
Minsky rielabora buona parte dei suoi lavori precedenti.2
I tre libri ruotano attorno ad un unico intento: lo sviluppo di una teoria che, partendo
dall’analisi economica di Keynes riesca a spiegare l’instabilità finanziaria della nostra
economia.
Solo nell’ultimo libro il campo di indagine si estende, quando Minsky tratta alcune
questioni di politica economica e abbozza un suo ‘programma di riforme’.
Ed è sull’elaborazione di questo programma che Minsky lavorerà negli ultimi suoi anni
di vita che, dopo il pensionamento dalla Washington University come Emeritus
Professor, lo vedranno di nuovo al lavoro al Je me Levy Economics Institue of Bard
College.
Rimarrà qui fino alla sua morte, avvenuta il 24 ottobre 1996, a Rhinebeck, New York.
I capitoli seguenti si basano prevalentemente sul contenuto dei tre libri menzionati,
completati da riferimenti a diversi altri scritti. Essi quindi trattano la parte centrale del
pensiero di Minsky, elaborata tra la fine degli anni cinquanta e la fine degli anni
ottanta.
2
Per semplicità, nelle indicazioni bibliografiche dei capitoli successivi indicheremo i tre libri con le
seguenti sigle:
Keynes e l’instabilità del capitalismo: JMK
Potrebbe ripetersi?: PB
Governare la crisi: GLC
I numeri di pagina indicati a fianco sono riferiti alle edizioni italiane (indicate nella bibliografia).
Capitolo 1 Cenni biografici
9
Le informazioni biografiche qui riportate non rappresentano una semplice curiosità,
ma possono essere utili a capire alcuni elementi ricorrenti nell’analisi che illustreremo
in seguito. Ci riferiamo all’importanza per Minsky della visione istituzionalista, alla
forte contrapposizione al pensiero economico prevalente, alla grande importanza dei
riferimenti tecnici riguardanti l’attività bancaria, al progressivo abbandono degli
strumenti matematici nella sua analisi economica, ma anche alla sua visione fortemente
pessimistica della realtà così come alla sua mancanza di fiducia nelle capacità di
‘autoregolarsi’ del capitalismo.
11
CAPITOLO 2
REINTERPRETAZIONE DEL PENSIERO DI KEYNES
E TEORIA DELL’INVESTIMENTO
Il punto di riferimento costante dell’opera di Minsky è il pensiero di Keynes. Secondo
Minsky il modo migliore per affrontare e capire i problemi della nostra economia è
stare ‘sulle spalle dei giganti’, e il ‘gigante’ per eccellenza nel pensiero economico del
nostro secolo è appunto JohnMaynard Keynes. Il primo passo per comprendere la
visione di Minsky non può che essere il ritorno all’opera originale di Keynes, in
particolare della Teoria Generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta
(d’ora in poi Teoria Generale), opera da cui Minsky attinge molte idee che i
‘keynesiani tradizionali’ hanno per lungo tempo ignorato. Ed è proprio sul tema della
reinterpretazione di Keynes che si incentrano diversi articoli scritti tra i primi anni
settanta e gli anni ottanta. In particolare ad esso è dedicato l’intero saggio John
Maynard Keynes (nell’edizione italiana Keynes e l’instabilità del capitalismo) del
1975.
Nelle pagine che seguono tenteremo di fare un’esauriente sintesi della
reinterpretazione minskiana della Teoria Generale e di come da essa il pensiero di
Minsky sfoci naturalmente nella formulazione della cosiddetta ip tesi di instabilità
finanziaria.
2.1 Perchè reinterpretare la Teoria Generale ?
La Teoria Generale è un'opera, come il titolo stesso lascia intuire, di contenuto assai
vasto. E' un testo che raccoglie una quantità notevolissima di osservazioni concernenti
i molteplici aspetti della realtà economica capitalistica degli anni '20 e '30. Keynes
stesso era cosciente della portata fortemente innovativa di quest'opera e del taglio
netto col passato che essa rappresentava.
HYMAN MINSKY: DA KEYNES ALL’IPOTESI DI INSTABILITA’ FINANZIARIA
12
Tuttavia, la Teoria Generale risulta anche un'opera alquanto oscura. La grande
quantità di intuizioni è presentata spesso in modo difficilmente comprensibile e manca
completamente una sintesi analitica della teoria complessiva. Dalla lettura di
quest'opera sembra che l'idea di Keynes fosse quella di stendere le basi per una futura
teoria economica nuova che si sarebbe dovuta sviluppare in seguito. Il problema
fondamentale, secondo Minsky, così come secondo altri ‘keynesiani d.o.c.’,
normalmente identificati col termine post-keynesiani, è che questa vera e propria
teoria verso cui avrebbe dovuto portare la Teo ia Generale non è mai stata neppure
iniziata. D’altra parte è più che esplicito che con quest’opera Keynes volesse porsi in
netta contrapposizione rispetto all’economia che egli definiva ‘classica’.
Ciononostante, il fondamento dell’interpretazione ‘ufficiale’ della Teoria Generale si
basa sull’idea che le novità introdotte da Keynes vadano viste come un completamento
delle teorie ‘classiche’.
A contribuire a questo ‘malinteso’ c’è il fatto che, quando scrisse la Teoria G nerale
Keynes non si era ancora liberato completamente dalle forme e dagli schemi tipici
dell’analisi tradizionale. In questo senso possiamo dire anche noi, con Joan Robins ,
che il Keynes della Teoria Generale era come “un serpente in fase di muta”; “la
Teoria Generale fu terminata - dice Minsky- prima che la vecchia pelle (la teoria
classica) fosse completamente mutata”. Esemplare risulta l’uso della funzione
marginale degli investimenti, eredità dei ‘classici’, che ben poco si addice alla teoria
degli investimenti di Keynes.
Secondo Minsky, l'elaborazione analitica "ufficiale" del pensiero Keynesiano (che
parte dalla teoria di Hicks-Hansen fino all'opera di S muelson, Modigliani, Friedman e
Patinkin, cioè quella che definiamo ‘sintesi neoclassica’) non fa che allontanarsi dalle
idee guida della Teoria Generale attraverso una serie di schematizzazioni sempre
troppo semplicistiche. Ne è testimonianza il fatto che, paradossalmente, lo schema
teorico neoclassico fornirà un supporto anche al monetarismo, cioè la negazione più
totale delle idee keynesiane.
Secondo Minsky, l’interpretazione ‘autentica’ deve porre al centro dell’attenzione “la
natura ciclica e ‘finanziaria’ del sistema capitalistico”. Questa interpretazione
Capitolo 2 Reinterpretazione di Keynes e teoria dell’investimento
13
considera la Teoria Generale come un’analisi di carattere istituzionale, cioè
un’analisi in cui il comportamento del sistema economico dipende dal tipo di
istituzioni esistenti. Gli economisti neoclassici, rifacendosi al para igma della fiera di
paese, prescindono dalle differenze istituzionali che presenta un sistema capitalistico
avanzato rispetto ad un’economia di baratto. Minsky al contrario affermerà
strenuamente che il comportamento di un’economia dipende dalle sue istituzioni. Non
esistono regole generali, ma rapporti e comportamenti tipici che si instaurano tra i
soggetti appartenenti a uno dei tanti sistemi economici possibili.
La chiave dell'interpretazione della Teori Generale è, secondo Minsky, la risposta di
Keynes alla recensione che Jacob Viner fece all’opera nel '36. Questa fu l'unica
occasione in cui Keynes contraddisse una interpretazione del suo nuovo libro.
L'aspetto più sorprendente di questa recensione è l'analogia dell'approccio di Viner
con quello che Hicks seguirà l'anno successivo, nel celebre articolo da cui nacque lo
schema IS-LM (che è il fondamento della ‘sintesi neoclassica’). Prima di illustrare i
contenuti della risposta a Viner è però utile riportare una sintesi dell’interpretazione
tradizionale della Teoria Generale e delle critiche mosse contro di essa da Minsky.
2.2 L’interpretazione tradizionale
Minsky sostiene che i principali modelli macroeconomici keynesiani hanno
completamente offuscato l'essenza della Teoria Generale. In particolare l'esigenza di
semplificazione della realtà contenuta in tali modelli ha portato a menomare
pesantemente il pensiero di Keynes proprio in quei concetti che ne costituivano la
parte più originale e “rivoluzionaria”: la formazione delle decisioni in condizioni di
incertezza, il carattere ciclico del processo economico capitalistico, i rapporti
finanziari tipici delle economie capitalistiche.
HYMAN MINSKY: DA KEYNES ALL’IPOTESI DI INSTABILITA’ FINANZIARIA
14
In John Maynard Keynes Minsky evidenzia come i modelli tradizionali, pur
giustificando l'intervento statale, finiscono col negare la contraddittorietà del sistema
capitalistico.
Minsky classifica i modelli "tradizionali" in tre gruppi:
• Modelli basati sulla funzione di consumo.
• Modelli che uniscono condizioni di equilibrio sul mercato dei beni e sul mercato
monetario (schema IS-LM).
• Modelli che inglobano anche le condizioni di equilibrio sul mercato del lavoro.
2.2.1 Modelli basati sulla funzione di consumo
Questi modelli sono molto semplici, in quanto non considerano affatto i fenomeni
monetari.
Vengono tuttavia molto usati in ambito econometrico a scopo previsionale e su di essi
si incentra il dibattito sulla cosiddetta politica economica key esian .
Secondo Gardner Ackley, sostenitore di tale approccio, la funzione di consumo
costituisce "il cuore della macroeconomia contemporanea". In realtà, nella visione di
Keynes, la funzione di consumo altro non è che la componente passiva della domanda
effettiva e per questo è anche quella dall'andamento più facilmente prevedibile. Il fatto
che sia così usata nell'analisi econometrica ne rappresenta per Minsky una comprova.
"E' molto più agevole individuare le leggi che regolano le reazioni di tale componente
passiva che non quelle assai più complesse sottostanti alle forze motrici attive che
determinano il livello del reddito". (JMK pag. 38).
Keynes non dedicò molto spazio alla funzione del consumo. Dalla Teoria Generale si
evincono comunque alcuni aspetti essenziali:
• Il consumo (e più precisamente il rapporto consumo/reddito) è determinato quasi
esclusivamente da una “legge psicologica”. Tale legge è definita da Keynes come
segue: “di norma, e in media, gli uomini sono disposti ad accrescere il loro
consumo con l’aumentare del reddito, ma non tanto quanto l’aumento del loro
Capitolo 2 Reinterpretazione di Keynes e teoria dell’investimento
15
reddito (...) la frazione del reddito che viene risparmiata aumenterà di norma col
crescere del reddito reale” (Keynes, 1935, p.256). Keynes elenca anche le possibili
variazioni della propensione al consumo rispetto ad altri fattori (saggi d’interesse,
variazioni attese del livello dei prezzi, della politica fiscale e finanziaria sia del
governo che del settore privato, delle aspettative sui redditi futuri) ma conclude
che questa può essere considerata abbastanza stabile rispetto a tali fattori.
• La relazione consumo/reddito dipende poi dalla fase del ciclo in cui ci si trova.
Dice Minsky: “il rapporto consumo/reddito aumenta (diminuisce) quando il reddito
si mantiene su livelli elevati (modesti) per un lungo periodo di tempo”(JMK p.39).
• L'occupazione nel settore dei beni di consumo ha un ruolo secondario, non
autonomo (al contrario dell'occupazione nel settore dei beni d'investimento).
Minsky è critico verso la tradizionale estensione della teoria del consumo keynesiana
rappresentata dalle teorie del reddito permanente e del ciclo di vita, in quanto
entrambe ignorano l’incertezza e le condizioni finanziarie delle famiglie. Tuttavia non
si sofferma a lungo su tale critica proprio per lo scarso peso che egli attribuisce alla
funzione di consumo.
L’importanza di questa funzione è limitata quindi all’effetto moltiplicativo di
variazioni della domanda aggregata. In termini analitici:
C= a+cY (questa è la tradizionale schematizzazione della funzione di consumo
keynesiana)
Y= C+I+G (in ogni istante, dati i prezzi di equilibrio, il reddito è uguale alla
domanda effettiva = consumi + investimenti + spesa pubblica)
Date le caratteristiche (“psicologiche”) della funzione di consumo (‘a’ e ’c’), il
contributo del consumo alle variazioni del reddito (Y) può solo essere conseguenza di
precedenti variazioni di Y.
HYMAN MINSKY: DA KEYNES ALL’IPOTESI DI INSTABILITA’ FINANZIARIA
16
La grave lacuna di questi modelli consiste nella totale assenza dell’incertezza e dei
fattori monetari come determinanti degli investimenti e quindi del reddito. I modelli
econometrici basati sulla funzione di consumo costruiscono in sostanza un sistema
economico perfettamente regolabile con gli strumenti di politica economica. Tale
regolazione permetterebbe di mantenersi in uno stato di perpetua piena occupazione.
Questa idea è completamente aliena al pensiero di Keynes, che vede
nell’imprevedibilità delle opinioni degli agenti, un costante fattore destabilizzante.
2.2.2 Modelli che uniscono condizioni di equilibrio sul mercato dei beni
e sul mercato monetario (schema IS-LM).
Si fa qui riferimento alla teoria definita Hicks-Hansen, in quanto basata su un celebre
articolo di Hicks (1937), in cui venne creato lo schema IS-LM, e sulle successive
elaborazioni e applicazioni di Hansen.
L’articolo di Hicks mirava esplicitamente ad inserire la teoria keynesiana nell’apparato
teorico ‘classico’ con la conseguenza di eliminarne completamente gli aspetti più
“incompatibili”. Ad esso comunque bisogna riconoscere il merito di considerare
almeno il mercato monetario come determinante essenziale dell’equilibrio.
Il modello si basa infatti sulla schematizzazione di due mercati, rappresentati dalle
rispettive curve:
• la IS rappresenta tutte le coppie di valori di reddito e tasso d’interesse che
garantiscono l’equilibrio nel mercato degli investimenti (cioè: investimenti =
risparmi), date la propensione al risparmio del pubblico e la domanda di
investimenti.
• la LM rappresenta invece tutte le coppie di reddito e tasso d’interesse che
determinano l’equilibrio sul mercato monetario (cioè domanda di moneta = offerta
di moneta), date l’offerta di moneta (esogena) e la funzione di preferenza per la
liquidità.