“fenomenologico” che lo avvicinano alla sensibilità “continentale” e a
problematiche quali la temporalità, la trascendentalità, la coscienza e la
storicità.
Le differenze teoretiche e speculative tra questi due indirizzi di pensiero si
ripercuotono inevitabilmente anche sul piano ermeneutico, vale a dire sul loro
modo di interpretare i diversi autori. Analizzando brevemente gli studi su
Husserl, sia in ambito analitico sia in ambito continentale è possibile cogliere
immediatamente una diversa focalizzazione dei problemi. Molti studiosi
appartenenti al primo filone come ad esempio Hintikka, Bonomi e Monhaty si
concentrano maggiormente su questioni logiche (quali i quantificatori, le
variabili libere, il rapporto tra asserzione e predicazione e la logica temporale),
epistemologiche (quali il significato dell’ontologia formale) o di filosofia della
mente (quali i rapporti corpo-mente) prediligendo così gran parte degli scritti
husserliani precedenti le Idee. Gli studiosi appartenenti alla corrente
continentale come Banfi, Benoist, Diemer e Janssen si soffermano invece su
problematiche quali l’intenzionalità, la temporalità, l’intersoggettvità e la
Lebenswelt (che più difficilmente si prestano ad un’indagine in stile analitico)
prediligendo così tutti quei testi che, a partire dalle Idee, portano innanzi le
istanze proprie della fenomenologia.
Alla luce di ciò, le problematiche di carattere logico da un lato, e
fenomenologico dall’altro, con tutte le loro differenti diramazioni, assumono
inevitabilmente un ruolo centrale all’interno degli studi husserliani. Accanto a
4
questi due filoni centrali vi sono anche altri aspetti quali l’etica, l’estetica e la
storia che hanno un ruolo di secondo piano. Smith rileva che Husserl «per più
di cinque decadi pubblicò e svolse lezioni su problemi di logica, epistemologia,
fenomenologia e di linguistica; le sue idee in etica, politica e teologia erano
meno evidenti, sebbene egli svolse lezioni su tali questioni, e le sue
pubblicazioni comportano implicazioni anche in queste aree»
1
.
L’accezione di “problemi secondari” non vuole essere tuttavia un “giudizio
di valore” (secondo la terminologia neo-kantiana), non intende affermare cioè
che essi abbiamo minore importanza in senso assoluto ma solamente che
all’interno del pensiero husserliano hanno una minore visibilità. Sono infatti
questioni che Husserl tratta per cosi dire en passant, o meglio, che non hanno
un loro statuto indipendente ma sono sempre in relazioni ad altri problemi
centrali dalla cui risoluzione dipende il carattere stesso della fenomenologia. È
inevitabile dunque che siano influenzati dal modo in cui Husserl risolve dei
problemi per lui più radicali quali quelli della coscienza e del suo carattere
trascendentale, della temporalità e della Lebenswelt. Sarebbe stato molto
difficile per Husserl avvicinarsi al tema della storia se prima non si fosse
trovato dinanzi a quello della storicità della coscienza.
Quel che forse ancor di più rende “secondarie” tali problematiche è che, non
avendo mai ricevuto una sistemazione definitiva (che Husserl si è sforzato di
dare ad altri problemi), sono rimaste ad uno stato embrionale. Non sono mai
1
Aa. Vv., The Cambridge companion to Husserl, Cambridge, 2000, p. 8
5
passate dallo stato informale dei manoscritti a quella pubblica del testo. Spesso
ci si trova dinanzi esclusivamente ad una serie d’intuizioni non sempre
collegate tra loro. Chiunque si trovi ad affrontare tali problemi è destinato a
incappare nell' empasse, sottolineata dallo studioso americano David Carr, per
cui «la natura dei manoscritti di Husserl ci lasciano senza una risposta
definitiva»
2
. Occorre ricordare infatti che Husserl ha pubblicato solo una
piccola parte di quel che ha scritto (che come riferisce Von Breda, è pari a più
di «40.000 pagine stenografate»
3
). Non solo, quel che accresce la difficoltà del
lavoro interpretativo è che per il fondatore della fenomenologia scrivere era un
mezzo per riflettere e non una “sistemazione” di riflessioni precedenti. Non è
difficile dunque trovarsi di fronte a manoscritti che, risalenti a periodi differenti,
sono in forte contraddizione tra loro, o rappresentano solo un momento di
preparazione per riflessioni ulteriori.
Ancor meno studiato è il rapporto di Husserl con la storia della filosofia.
Non mancano confronti con diversi autori (Heidegger e Dilthey su sponda
continentale, Frege su quella analitica tra i suoi contemporanei, Cartesio, Kant,
Platone e San Tommaso tra i più antichi) ma difficilmente si possono consultare
studi sistematici sul confronto che Husserl istituisce con la storia della filosofia
tout court.
Dal momento che Husserl non ha mai scritto una vera e propria storia della
filosofia, né in genere alcun testo dedicato interamente alla storia, è facile
2
D. Carr, Phenomenology and the problem of history, Evanston, 1974, p. 238
3
Aa. Vv., Husserl und das Denken der Neuzeit, Den Haag, 1959, p. 7
6
cadere nell’opinione che essa non abbia per lui alcuna rilevanza. Come rileva
Cristin «bisogna riconoscere che nel suo pensiero questo problema soffre di una
certa estrinsecità»
4
. A ben guardare però molte delle sue opere, e molti dei suoi
manoscritti, sono ricchi di riferimenti alla tradizione passata e al modo in cui
Husserl intende rapportarsi ad essa.
Scopo di questo studio è quello di ricostruire il rapporto di Husserl con la
storia e in particolar modo con la storia della filosofia. Cercheremo quindi di
dimostrare la fallacia di quel pregiudizio che interpreta Husserl come un
filosofo non solo a-storico ma addirittura antistorico ed, altresì, di mostrare che,
sebbene la storia non sia in primo piano nel progetto fenomenologico, ciò non
vuol dire che non abbia un ruolo importante.
2. Schema e metodo
La presente trattazione, articolata in quattro capitoli, può essere idealmente
suddivisa in due parti fondamentali. La prima, composta dal primo capitolo,
inquadra il rapporto tra Husserl e la storia, la seconda, costituita dai restanti tre
capitoli, focalizza il ruolo della storia della filosofia nel pensiero del fondatore
della fenomenologia.
La prima parte riveste dunque una duplice funzione: funge da “introduzione”
ai successivi capitoli (in quanto la storia della filosofia è solo una parte della
storia in generale), e costituisce al contempo una base per le successive
4
R. Cristin, Fenomeno storia (fenomenologia e storicità in Dilthey e Husserl), Napoli, 1999, p.
37
7
considerazioni sulla storia della filosofia. Questi due ambiti risultano
interconnessi in quanto sarebbe difficile comprendere il progressivo interesse di
Husserl per la storia della filosofia senza considerare anche il contemporaneo
processo di “rivalutazione” della storia tout court che influisce sulla sua
filosofia.
Nel primo capitolo indagheremo l’emergere della storia come tema sempre
più importante nella filosofia husserliana e il conseguente superamento della
sua iniziale ambivalenza. In un primo momento la storia viene infatti
completamente “messa tra parentesi” sia perché ostacola la riflessione teoretica
(invece di concentrarsi sui problemi spinge a considerare ciò che i filosofi
hanno detto su tali problemi), sia perché costituisce la fonte di molteplici
“pregiudizi” che impediscono quella considerazione pura e trascendentale (e
quindi astorica) della coscienza che costituisce uno dei primi obbiettivi della
fenomenologia. Col passare del tempo però la storia sembra offrire a Husserl
spunti estremamente positivi. Funge da ennesimo tentativo di “introduzione”
alla fenomenologia, serve a comprendere il senso precipuo di molti termini
filosofici (affetti da erronee interpretazioni) e a cogliere il significato di quella
“crisi” in cui sono incappate le scienze europee. L’emergere di questi tre fattori,
contemporaneamente alla crisi di altri concetti come quello della “riduzione”
porteranno Husserl a soffermarsi sul tema della storicità della coscienza prima,
e del mondo della vita dopo al fine di avere una visione più reale e concreta
dell’uomo.
8
Il secondo capitolo sarà focalizzato sulle riflessioni di Husserl riguardanti la
storia della filosofia. Dopo aver introdotto il senso e il significato del confronto
che il filosofo moravo instaura con essa, illustreremo tre aspetti che
costantemente si ripresentano in ogni sua “ricostruzione” storica della
tradizione filosofica: il suo atteggiamento critico e non oggettivo (a differenza
di quanto converrebbe ad un’ istituzionale storia della filosofia), la visione
teleologica che vede la fenomenologia come coronamento dell’intera tradizione
e la costante attenzione all’epoca moderna come luogo di una svolta radicale. In
seguito, tenendo come punti fermi tre testi in cui le considerazioni storiche sono
più ampie, illustreremo tre diversi modi (da noi definiti rispettivamente
“dialettico”, “binario” e “ discendente”) con cui Husserl ricostruisce la storia
della filosofia dal mondo greco fino a Kant.
Il terzo capitolo funge da “integrazione” del precedente. Se infatti le “storie
della filosofia” tracciate in quest’ultimo non vanno mai oltre l’età moderna,
esso ricostruisce quanto più accuratamente ed esaustivamente possibile il
rapporto critico che Husserl instaura con quella parte della tradizione
immediatamente successiva a quella moderna: l’idealismo tedesco.
Sottolineeremo in primis l’importanza di tale relazione (è proprio dalla
concezione della fenomenologia come un idealismo trascendentale che
dipenderà la spaccatura del movimento fenomenologico) la cui connotazione
“polemica” nasce dal fatto che per quanto Husserl definisse la fenomenologia
un’“idealismo” (trascendentale), tenta continuamente di definire le
9
caratteristiche ad esso specifiche e quindi le differenze con quello romantico.
Analizzeremo inoltre il rapporto tra il fondatore della fenomenologia e due
esponenti dell’idealismo tedesco, Fichte ed Hegel, per capire cosa egli
condivida e cosa rifiuti della loro filosofia.
Il quarto capitolo sarà dedicato a quello che idealmente può essere
interpretato come l’ultimo stadio della storia della filosofia: l’epoca
contemporanea a Husserl. Partiremo da un’indagine accurata del concetto di
“crisi” seguendo due direzioni ben precise: quella della scienza da un lato e
quella della filosofia dall’altro. Analizzeremo altresì le forze che contribuiscono
ad acuire questo processo (lo scetticismo e l’obbiettivismo) e le forze che lo
ostacolano (la concezione della filosofia come scienza rigorosa e la
rivalutazione dell’epoca greca e di quella rinascimentale come epoche in cui la
filosofia e la scienza erano ancora in stretto dialogo tra loro). L’ultimo passo
sarà considerare il confluire di questi due processi (la crisi della scienza e quella
della filosofia) nella ben più grave “crisi dell’ Europa” la quale sembra offrire
solamente due possibilità: o il tramonto dell’Europa o la sua rinascita. Vedremo
come la storia della filosofia, in quanto incarnazione della razionalità umana,
abbia il compito di illustrare l’unica meta possibile per superare tale crisi.
10
Cap. I - RIFLESSIONE FILOSOFICA E TRADIZIONE STORICA NEL
PENSIERO DI EDMUND HUSSERL
1. Idea e concetto di filosofia
Tra le numerose e complesse domande poste dalla filosofia, la più
fondante, e dunque, la più radicale è certamente quella sull’essenza della filosofia.
Per chiunque si dedichi a tale disciplina, porsi questo interrogativo su cosa essa
sia, ha una portata basilare perché significa al contempo esaminare alla radice il
senso di quel che si fa. Come il destino del vivente dipende, inevitabilmente, dalla
risposta che egli dà alla domanda sull’essenza della vita, quello del filosofo
dipende da un’analoga istanza sull’essenza della filosofia. Se il suicidio di chi non
riconosce alcun valore alla propria vita, non è certo un evento consequenziale, di
converso non è pensabile che ricorrendo all’estrema decisione si è in presenza di
una valutazione in senso positivo della propria esistenza. Altrettanto
inevitabilmente, chi pensa che la filosofia sia “inutile”, non in senso assoluto, cioè
per tutti, ma quanto meno per sé stesso, difficilmente deciderà di dedicarsi a tale
disciplina. Considerando un caso limite si può affermare che ci si può affacciare
alla filosofia pur considerandola “inutile”(incapace cioè di avere degli effetti sul
piano sociale ad esempio) ma solo perché si ricava da essa un certo piacere. È
proprio tale gratificazione a renderla utile, se non in senso oggettivo e assoluto,
almeno per colui che vi si dedica.
Questa domanda è prettamente filosofica perché è proprio la filosofia che
deve, ma che soprattutto può, chiedersi cosa essa sia. Tale considerazione
11
potrebbe apparire banale. Non sembra infatti esserci niente di più ovvio del fatto
che spetti alla filosofia definirsi. Analizzando la precedente affermazione più
approfonditamente, notiamo che non accade la stessa cosa per altri saperi, come
ad esempio la scienza. Non esiste una scienza che indaghi cosa sia la scienza: è
una branca della filosofia (l’epistemologia) a portare innanzi tale istanza. Questa
particolare relazione conoscitiva tra scienza e filosofia non è casuale, poiché
questo stesso ruolo di “meta-sapere” rispetto alla scienza, la filosofia lo ricopre
anche nei confronti di molti altri ambiti come la storia, l’arte e la religione, di cui
cerca di comprendere l’essenza. A ben guardare, la domanda stessa sul “che cosa”
è nata proprio dall’interrogare filosofico il quale, sin dai tempi di Socrate, si
chiede il το δε τι di tutto ciò che appare all’uomo come portatore di senso. Questo
dato di fatto storico non significa, tuttavia, che tale domandare appartenga solo ed
esclusivamente alla filosofia; anche la scienza, infatti, si chiede cosa siano gli
oggetti che studia (la fisica atomica, ad esempio, definisce l’elettrone, così come
la genetica fa con il cromosoma). Tale indagine d’altronde è il primo passo verso
la comprensione ed è dunque necessario per il sapere (filosofico o scientifico che
sia). Ogni tentativo di comprensione costituisce un processo, e, in quanto tale, è un
movimento dinamico che mira a cogliere gli oggetti, sia nella loro staticità (e
chiedersi dunque il che cosa di un qualcosa) sia nella loro dinamicità (chiedendo
per esempio il “perché” e il “come”). Infatti sono proprio queste ultime due
domande a porre l’oggetto in relazione con altri elementi ed inserirlo così
all’interno di un processo. Sapere solo il che cosa di un qualcosa significherebbe
12
avere una conoscenza riduttiva, o meglio, ridotta, dell’oggetto, che lo isola dal
movimento reale in cui è naturalmente inserito. D’altro canto però, chiedersi il
“perché” e il “come” è impossibile se non si conosce la cosa (e dunque il che
cosa) di cui si vuole conoscere il perché e il come. Sebbene sia la scienza sia la
filosofia domandano il “che cosa”, il “perché” e il “come” di un qualcosa è
innegabile che tali domande hanno per l’una non solo oggetti, ma anche una
portata e un livello di problematizzazione molto differenti che per l’altra. Ciò è del
tutto ovvio dal momento che, altrimenti, secondo il principio degli indiscernibili di
Leibniz, la scienza e la filosofia sarebbero un unico sapere. Accantoniamo però le
differenze tra l’indagine filosofica e quella scientifica e focalizziamo l’attenzione
sull’analisi che la filosofia compie su sé stessa.
Proprio perché la domanda su cosa sia la filosofia sembra spettare di diritto
alla filosofia, non c’è filosofo o corrente filosofica che non ne abbia data, o quanto
meno tentata, una definizione. Una volta liberatici da quella descrizione riduttiva
di filosofia come “amore del sapere” (che Hegel definisce una «filastrocca»
5
, e
cioè una di quelle definizioni che si incontrano nei manuali per rendere univoche
espressioni dal significato molto complesso e articolato) troveremo non solo
molteplici definizioni ma anche una visione meno limitante e più profonda della
filosofia.
Tra le innumerevoli “definizioni” di filosofia una delle più ampie e
onnicomprensiva è proprio quella di Hegel. Prenderemo come spunto le sue
5
G. W. F. Hegel, Vorlesungen uber die Geschichte der Philosophie, Hamburg, 1989; tr.it.
Lezioni sulla storia della filosofia, a cura di E. Codignola e G. Sanna, Firenze, 1964, p. 20
13
riflessioni perché il nostro fine non è naturalmente definire cosa sia la filosofia di
per sé ma solo quello di introdurci all’interno del discorso husserliano. Possiamo
dire infatti che Hegel, invece di fornirci uno (tra i tanti possibili) concetti di
filosofia, ce ne fornisca l’idea. Per comprendere tale assunto occorre rifarsi
brevemente al significato che Kant attribuisce ai termini “idea” e “concetto”. Nel
momento del passaggio dall’analitica alla dialettica trascendentale Kant fa una
sorta di resoconto del cammino fin lì compiuto e di quello da svolgere. A tal fine
immagina di essere su di un isola (simbolo dell’intelletto, e dunque del concetto)
dai «confini immutabili»
6
ormai percorsa in «ogni suo angolo»
7
(per mezzo
dell’analitica trascendentale). Tutt’intorno vi è «un oceano vasto e tempestoso che
è la vera sede dell’illusione»
8
(di cui si occuperà la dialettica trascendentale), dove
il navigatore errabondo sarà invischiato in «avventure che non potrà mai troncare
ma neppure potrà mai condurre a termine»
9
. Il riferimento indiretto di tale
affermazione sono i problemi legati alle idee di mondo, di Dio e di anima. Tali
problemi, in quanto eccedenti lo stabile terreno dell’esperienza, si mostreranno al
di là delle reali capacità dell’intelletto umano; non potendo assumere, con
assoluta certezza, su di essi nessuna posizione teoretica, ci si «sbarazzerà così di
tutte le asserzione contrapposte, siano esse ateistiche, o deistiche o
antropormofistiche»
10
. Le stesse ragioni «mediante cui viene chiarita l’impotenza
6
I. Kant, Kritik der reinen Vernunft, Berlin, 1889; tr. it. Critica della ragion pura, a cura di
G.Colli, Milano, 2001, p. 311
7
Ibid.
8
Ibid.
9
Ibid.
10
Ibid., p. 656
14
della ragione umana rispetto alle asserzione dell’esistenza di tale ente [Kant parla
qui di Dio ma tale discorso varrà anche per le idee di anima e di cosmo] sono
necessariamente sufficienti altresì per dimostrare l’invalidità di ogni asserzione
contraria»
11
.
Dal paragrafo precedente si ricava così la relazione secondo la quale tra il
concetto e l’idea vi è lo stesso rapporto che esiste tra un isola e l’oceano che la
circonda. Uscendo dal limitante schema kantiamo (secondo cui solo quelle di
Dio, anima e mondo sono idee) possiamo affermare che tutti i concetti, o meglio,
le concettualità filosofiche
12
, nonché il concetto stesso di filosofia, sono delle
Idee. Quest’ultimo termine è affine all’accezione kantiana solo se l’idea è definita
come un “concetto limite”. È limite perché al di là di essa la nostra comprensione
non può andare, o meglio, oltre essa non può definire. È il limite all’interno di cui
sono possibili i vari concetti, cioè le varie definizioni. L’idea è un “limite” in
quanto non può essere espressa, o meglio definita; ciò può avvenire solo con il
concetto, il quale però, proprio come un’isola, rappresenta non tutto l’oceano ma
una piccola parte. Questo rapporto apparirà più chiaro se analizziamo il termine
tedesco Begriff: deriva dal verbo greifen (che traduce il nostro “afferrare”) e dal
suffisso be. Il Begriff ci trasmette così il senso dell’atto mentale della
concettualizzazione consistente nell’ afferrare circoscrivendo, limitando rispetto
ad un contesto più ampio (quello appunto dell’idea)
13
. Anche nel linguaggio
11
Ibid.
12
Compiamo tale distinzione tra concetto e concettualità poiché questo ultimo termine è assunto
(a differenza del primo) in un senso non specificatamente kantiano
13
D’altra parte in grego λεγειν significa anche “raccogliere, radunare”
15
quotidiano è in fondo presente tale rapporto allorché diciamo di avere l’idea di un
qualcosa (ad esempio l’amore, la morte o la filosofia) ma non saperlo esprimere o
definire.
Tale idea è una sorta di noumeno il quale è per noi conoscibile solo attraverso
il fenomeno delle molteplici concettualizzazioni. Husserl descrive nelle Idee il
processo della percezione come un vero e proprio infinito girare intorno
all’oggetto (nel caso specifico un tavolo) al fine di costruirne una visione quanto
più totale possibile (non potendone avere infatti una percezione unitaria
immediata occorre sommare tutte le varie percezioni parziali). Analogamente il
processo della riflessione consiste nell’infinito girare intorno all’idea (che come
nel caso husserliano è impossibile cogliere con un unico atto definitorio) tramite i
diversi concetti di cui noi disponiamo.
Sosteniamo la validità della definizione di Hegel, quanto meno in questa
sede, poiché ci fornisce non il concetto (uno tra i tanti come ad esempio quelli di
“amore per il sapere”, “scienza prima” e “sapere critico”) ma l’idea di filosofia,
cioè un qualcosa che è in fondo comune a tutti i concetti, in quanto tutti i concetti
tentano di definire tale idea.
Così inizia una delle opere più importanti e sistematiche di Hegel,
L’enciclopedia delle scienze filosofiche : «la filosofia non ha il vantaggio, del
quale godono le altre scienze, di poter presupporre i suoi oggetti come
16
immediatamente dati né il metodo del suo conoscere»
14
; per tale motivo dunque
«nella considerazione pensante si fa manifesta l’esigenza di mostrare la necessità
del suo contenuto e provare l’essere e i caratteri dei suoi oggetti»
15
. Un’ulteriore
difficoltà dinanzi alla quale tale sapere si trova è quella di dover fare i conti con il
proprio presente storico e non poter essere dunque completamente “oggettivo”.
Tale aspetto è sottolineato da Gadamer allorché dichiara che «non si può dire che
nelle scienze dello spirito (cui appartiene anche la filosofia) vi sia un oggetto di
ricerca sempre identico come accade nelle scienze naturali»
16
. Nelle prime infatti
«l’interesse che muove la ricerca è sempre a sua volta motivato in maniera
peculiare dal momento storico in cui sorge e dai suoi interessi specifici»
17
. Eppure
tale apparente debolezza si trasforma in un immediato punto di forza perché,
mentre la filosofia rimane un qualcosa dalla portata universale attraverso i tempi,
le scienze naturali valgono solo per quel determinato momento storico durante cui
esse vengono applicate. Se ai giorni nostri è ancora possibile leggere, e soprattutto
comprendere i testi di Aristotele o i versi di Dante, perché hanno ancora qualcosa
da comunicarci, non accade altrettanto con le opere di scienziati vissuti nel passato
le cui teorie, essendo state “superate”, non hanno che un valore meramente storico
e non suscitano in noi nessun vivo interesse. Tra filosofia e tempo si apre così una
relazione paradossale. Se infatti da un lato ogni filosofia è figlia del proprio tempo
14
G. W. F. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse, Hamburg,
1989; tr.it. Enciclopedia delle scienze filosofiche, a cura di B. Croce, Bari-Roma, 2002, p. 3
15
Ibid., p. 4
16
H.G. Gadamer, Wahrheit und Methode, Tubingen, 1975; tr.it. Verità e Metodo, a cura di G.
Vattimo, Milano, 2001, p. 333
17
Ibid.
17