INTRODUZIONE
How It All Began è un romanzo della scrittrice inglese Penelope Lively ed è esemplare della
narrativa imprevedibile, intricata e governata dall'ambivalenza tipica dell'autrice.
In questo coinvolgente romanzo la Lively usa tutte le sue doti di narrativa per mostrare come
una serie di eventi casuali possa dettar legge sulle vite degli individui; uno sfortunato evento ha la
capacità di mettere in moto una reazione a catena e il cosiddetto effetto farfalla (il battito di ali di
una farfalla che può provocare un uragano dall'altra parte del mondo) è sempre in agguato nella vita
di tutti i giorni. Non a caso l'autrice sceglie di mettere all'inizio una citazione tratta dal libro di
James Gleick, Chaos, che parla appunto dell'imprevedibilità che caratterizza gli eventi: “La ragione
di questo stato di cose era l'effetto farfalla. Per piccoli fenomeni meteorologici – e per chi faccia
previsioni su scala mondiale piccolo può significare tempeste e tormente – ogni previsione si
deteriora rapidamente. Errori e incertezze si moltiplicano, diffondendosi a cascata attraverso una
catena di elementi di turbolenza, da turbini di polvere e temporali improvvisi sino a vortici
continentali osservabili solo da satelliti.” (Traduzione di Libero Sosio)
La trama del romanzo è stata definita dal New York Times una gigantesca valanga
1
. Tutto ha
inizio con lo scippo ai danni di un'anziana signora, Charlotte Rainsford, a Londra, e per la fine del
libro quest'evento avrà sconvolto sette vite, deviando le storie dei personaggi verso nuove direzioni.
Ho scelto How It All Began perché volevo cimentarmi con un testo che supponesse delle sfide.
La Lively ha un modo di scrivere arguto, ironico, pieno di battute e giochi di parole, ma soprattutto
riesce a farci immedesimare nei pensieri dei personaggi, come se anche noi facessimo parte del
romanzo. Il suo modo di esplorare il passato e la memoria attraverso la narrativa mi affascina, e
ritengo che la traduzione sia il modo migliore di analizzare attentamente un testo e scoprirne le
peculiarità che durante la semplice lettura potrebbero sfuggire.
Nella pratica della traduzione, in un'ottica estremamente semplificata, possiamo individuare due
tendenze principali: ottenere, attraverso la traduzione, un testo che sembri essere stato prodotto
nella lingua d'arrivo, rendendo quindi invisibile il lavoro del traduttore; oppure adottare un
approccio estraniante, che non si attenga rigorosamente alle strutture sintattiche della lingua
d'arrivo, ma che, anzi, se ne discosti quel tanto che basta per rendere evidente al lettore che si trova
di fronte ad una traduzione
2
.
1 Michiko Kakutani, “One Small Event Derails Many Lives”, The New York Times, 23 gennaio 2012
2 Cfr. Jeremy Munday, Introducing Translation studies – Theories and applications, 2001, Routledge
III
In questa trattazione, non ho adottato l'uno o l'altro approccio. Mi sono, per così dire, tenuta nel
mezzo, cercando, per quanto possibile, di riprodurre un testo scorrevole, piacevole alla lettura, ma
che al tempo stesso non nascondesse la sua natura di testo tradotto. Questo perché la traduzione è
una delle più antiche pratiche della civiltà e credo che sia inutile, oltre che ingiusto, continuare a
rendere 'invisibili' il traduttore e il prodotto del suo lavoro
3
.
Quanto alle tecniche da adottare nell'esercizio di questa pratica, il dibattito è in continuo
divenire. I primi teorici della traduzione ritenevano che il principio fondamentale da rispettare fosse
mantenere il senso: un testo tradotto deve mantenere lo stile dell'originale, ma soprattutto deve
provocare nel lettore della lingua d'arrivo lo stesso effetto che era stato provocato nel lettore della
lingua di partenza. In seguito alcuni teorici e traduttori hanno cominciato ad affermare la validità di
un approccio estraniante, volto a rendere palese la natura di traduzione del testo
4
.
Anche in questo caso, è arduo scegliere se adottare l'una o l'altra tecnica. Nel mondo 'lavorativo'
della traduzione, spesso il traduttore prende una decisione anche in base al tipo di committente.
Essendo la presente una tesi di laurea che non suppone committenti ma, piuttosto, una commissione
di lettori esperti nel campo delle lingue e della traduzione, ho cercato di scendere a meno
compromessi possibili, e di far immergere il lettore nella cultura inglese in cui è ambientato il
romanzo. Ho preferito utilizzare una tecnica foreignizing piuttosto che domesticating, perché volevo
che al termine della lettura, si avesse la sensazione di aver imparato qualcosa in più sul mondo
inglese. Dopotutto è anche per questo che leggiamo. Ed ho cercato di ricreare al meglio lo stile che
contraddistingue la Lively, con gli stream of consciousness, l'ironia e il modo in cui anche il
discorso indiretto di ciascun personaggio è sempre caratterizzato dal suo modo di parlare.
3 Cfr. Lawrence Venuti, The Translator’ s Invisibility – A History of Translation, 1995, Routledge
4 Cfr. Jeremy Munday, op. cit.
IV
CAPITOLO PRIMO
In questo capitolo procederò a presentare l'opera di cui ho tradotto un estratto, e prenderò in
considerazione anche l'autrice: la vita, le opere, le caratteristiche peculiari della sua narrativa.
1. PRESENTAZIONE DELL'OPERA E DELL'AUTORE
1.1 Presentazione dell'autore
Penelope Lively, nata a Il Cairo nel 1933, è una scrittrice britannica di narrativa sia per adulti
che per bambini acclamata dalla critica, tre volte vincitrice del prestigioso premio inglese Booker
Prize.
Ha trascorso l'infanzia in Egitto ed è andata in Inghilterra quando aveva dodici anni, nel 1945.
Ha frequentato la scuola nel Sussex, per poi studiare storia moderna al St. Anne's College di
Oxford. Nel 1957 si sposò con Jack Lively (morto nel 1998) ed ebbero due figli. La carriera
accademica del marito portò la famiglia da Swansea al Sussex e a Oxford, e alla fine all'Università
di Warwick, dove insegnò Politica. Attualmente Penelope Lively vive a Londra.
La narrativa della scrittrice è fortemente influenzata dai cambiamenti radicali della società
inglese durante il ventesimo secolo. All'inizio ebbe successo con la letteratura per bambini. Il suo
primo libro, Astercote, venne pubblicato nel 1970. Si tratta di un opera di low fantasy ambientata in
un villaggio nelle Cotswolds ed in un vicino villaggio medievale nei boschi infestato dalla Peste. Da
allora la Lively ha pubblicato più di venti libri per bambini, ottenendo riconoscimenti e premi, come
per esempio il Whitebread Children's Book Award nel 1976 per il suo romanzo A Stitch in Time.
Nel 1977 pubblica il primo libro per adulti, The Road to Lichfield, candidato al Booker Prize.
Ma è con Moon Tiger che ottiene quel riconoscimento, nel 1987. Il libro narra la movimentata vita
di una donna, rivissuta da lei stessa mentre trascorre i suoi ultimi giorni di vita in ospedale. Come
per tutta la narrativa della scrittrice, in Moon Tiger si può notare una profonda attenzione al potere
della memoria, l'impatto del passato sul presente e le tensioni tra le storie “ufficiali” e quelle
personali. Gli stessi temi vengono affrontati più esplicitamente nelle sue opere di saggistica, tra cui
A House Unlocked (2001) e Oleander, Jacaranda: A Childhood Perceived (1994), in cui descrive la
sua infanzia trascorsa in Egitto. Uno dei suoi romanzi più recenti, Family Album, è stato candidato
al Costa Novel Award del 2009.
Oltre a romanzi e racconti brevi, Penelope Lively ha scritto anche sceneggiature per la radio e la
televisione e ha presentato un programma radio. Contribuisce regolarmente a numerosi quotidiani
nazionali e a riviste letterarie ed educative, compresi il Sunday Times, l'Observer e il Times
V
Educational Supplement.
L'autrice è un membro della Royal Society of Literature (ritenuta l'accademia nazionale inglese
della letteratura) e vicepresidente dei Friends of the British Library, un'organizzazione di
beneficenza del Regno Unito che fornisce fondi in forma di donazioni, per permettere alla
Biblioteca di acquistare nuovi libri, collezioni, o attrezzature e organizzare esposizioni.
Ha ricevuto varie nomine dalla corona, la più recente delle quali risale al 2012, anno in cui è
stata nominata Dama Comandante dell'Impero Britannico per i servizi resi alla letteratura.
Le opere della Lively sono rivolte sia a un pubblico giovane e ordinario, ansioso di trovare una
via di fuga in un bel racconto, sia a un pubblico accademico interessato alle sue tecniche
sperimentali di narrazione e alla creazione di ciò che, a volte, gli studiosi postmoderni chiamano
‘metanarrativa storiografica’. Il termine è stato coniato da Linda Hutcheon, una teorica letteraria. In
base ai suoi studi pubblicati in A Poetics of Postmodernism, si possono definire tali i romanzi
famosi e popolari che sono auto-riflessivi, ma al tempo stesso, paradossalmente, rivendicano anche
personaggi ed eventi storici. La metanarrativa storiografica è una forma d'arte postmoderna per
antonomasia, collegata alle opere testuali, alla parodia e alla riformulazione di concetti storici.
Questo particolare tipo di narrativa cerca di accogliere ciò che è letterario attraverso il confronto
con ciò che è storico, e lo fa sia a livello tematico che formale; colma la divisione tra le opere
storiche e quelle narrative ricombinando i due generi
5
. L'interesse della Lively si concentra
soprattutto sulla relazione tra il passato e la memoria, probabilmente come conseguenza degli anni
trascorsi a studiare storia moderna. A questo proposito, la scrittrice ha affermato di essere
interessata
ai modi in cui il mondo fisico è composto dalla memoria, i motivi per cui è un fardello e
quelli per cui è un vantaggio... È difficile decidere quale sia delle due. Ma è qualcosa che
percepisco costantemente e cerco in continuazione nuovi modi di esplorarla a livello
narrativo
6
.
Si tratta dell'elemento che la scrittrice definisce “indecidibilità” nella prosa narrativa che
caratterizza le sue opere migliori, come Moon Tiger.
1.2 Presentazione dell'opera: How It All Began
How It All Began è il più recente libro di Penelope Lively, pubblicato dalla Penguin nel
novembre 2011.
Il romanzo principalmente riguarda i temi della memoria e della consapevolezza, elementi
costanti nella narrativa della Lively. Scrivendo con la sua solita compostezza e passando in stile
5 Cfr. Linda Hutcheon, A Poetics of Postmodernism – History, Theory, Fiction, 1988, Routledge, Digital Printing
(2004)
6 Cfr. http://literature.britishcouncil.org/penelope-lively
VI
cinematografico dalla storia di un personaggio all'altro, la scrittrice orchestra gli eventi con
eleganza, usandoli al tempo stesso come punto di partenza per un'altra serie di sviluppi, ad esempio
l'incontro di Marion con un potenziale cliente durante il suo viaggio a Manchester con lo zio, o la
crescente infatuazione di Rose per Anton, l'immigrato al quale sua madre, Charlotte, dà lezioni per
imparargli a leggere in inglese. Riassunto in breve, il tamponamento a catena umano di How It All
Began potrebbe sembrare un po' forzato – la scrittrice nei panni di un Dio capriccioso, che escogita
situazioni per scombinare le convinzioni dei personaggi – ma la Lively mette in atto il suo piano
con una tale vivacità da cancellare ogni dubbio dalla mente del lettore. Come ha già fatto in molti
altri dei suoi libri, scrive con una miscela di empatia e distacco, satira ed emotività che danno come
risultato una storia coinvolgente, persino divertente in superficie, ma in fin dei conti malinconica
per la sua consapevolezza del tempo, delle occasioni perdute, per il timore dei personaggi verso la
mortalità e i limiti ai loro sogni.
1.2.1 Sinossi
Il romanzo si apre sulla scena di uno scippo. Questo è l'evento scatenante che darà il via
all'effetto farfalla. Infatti quando viene scippata, cadendo, Charlotte si rompe il femore. È quindi
costretta ad andare a stare, temporaneamente, a casa di sua figlia Rose e di suo genero, Gerry.
Dovendo andare a prendere la madre che viene dimessa dall'ospedale, Rose non può accompagnare
il suo capo, Henry, un anziano storico molto snob, a una conferenza a Manchester, il che lo spinge a
chiedere a sua nipote, Marion, di accompagnarlo. In vista di questo cambio di programma
quest'ultima manda un messaggio a Jeremy, il suo amante, per avvisarlo che non potranno vedersi,
ma è la moglie di lui, Stella, a leggerlo, con conseguente sfuriata al marito e la decisione di
divorziare.
Da questa prima catena di eventi, che dirige le vite dei personaggi in direzioni che non si
sarebbero mai aspettati, ne susseguiranno altri che influenzeranno il corso della storia delle nostre
sette vittime come conseguenza di ciò che la Lively definisce un “tamponamento a catena”.
VII