5
Introduzione
La figura di Hoda Sharawi
1
è al centro di questo lavoro di ricerca; la sua vita (dal
1879 al finire del 1947) la vede nascere in un Egitto ancora formalmente legato all’impero
ottomano, passare per la lunga dominazione britannica (prima attraverso un’occupazione che non
cancellava il legame con Istanbul e poi, con lo scontro di quest’ultima con Londra nel Primo
conflitto mondiale, attraverso un Protettorato) e quindi, praticare in età già matura l’esperienza
femminista per la quale passerà alla Storia in un Egitto formalmente indipendente dal 1922,
incidendo con l’opera della sua Unione Femminista Egiziana (Ufe) su numerosi interventi normativi
ed esercitando una egemonia culturale sulla società civile femminile del paese. Sharawi univa
all’impegno femminista quello nazionalista anticoloniale, inscindibili per ogni emancipazionista del
paese del Nilo poiché la Gran Bretagna si rivelava nemica dell’avanzamento della donna in Egitto,
in primo luogo attraverso forti limitazioni all’istruzione femminile. Uomini come Lord Cromer, che
per un intero lustro fece il bello e il cattivo tempo in Egitto, giustificavano l’occupazione britannica
nel paese con l’urgenza di liberare le donne egiziane dalle vessazioni che la religione musulmana
avrebbe imposto loro, ma poi in patria risultavano attivi antisuffragisti. Tra gli anni Trenta e gli anni
Quaranta del secolo scorso, con l’esplosione della questione palestinese e l’immigrazione di decine
di migliaia di ebrei in Terra Santa, Hoda Sharawi si impegnò fortemente nella causa di Palestina e
in quella panaraba, vivendo una seconda stagione del proprio impegno politico in età avanzata.
Sharawi era un’aristocratica, cresciuta in un harem, di origini turco-circasse, come gran
parte della classe dirigente egiziana erede delle élite imposte dal wali Muhammad ‘Ali, che era
infatti uno straniero, essendo un albanese giunto in Egitto per nome della Sublime Porta, dopo che
quest’ultima volle riportare il paese egiziano nella propria orbita, pochi anni dopo la spedizione
napoleonica del 1798-1801. Ella parlava sostanzialmente il turco in famiglia e il francese a livello
politico e intellettuale, non l’arabo; era anche una liberale e una femminista sostanzialmente laica.
Condivideva le proprie convinzioni di emancipazionista upper-class con le emancipazioniste
occidentali con cui scelse di rapportarsi, affiliando la propria organizzazione sin dal principio
all’International Woman Suffrage Alliance (Iwsa). Proprio sul congresso del maggio 1923 dell’Iwsa,
il IX congresso internazionale di questa vasta organizzazione, incentrata sull’issue del suffragio alla
donna, si focalizza in particolare questa tesi. Tale congresso si svolse a Roma, capitale di un’Italia
scossa dal vento di un nuovo regime che stava muovendo proprio in quel momento i suoi primi
passi, a sei mesi dalla Marcia su Roma. In questo congresso romano, Benito Mussolini promise il
voto amministrativo alle donne, femminismo e fascismo furono rappresentati da numerose
giornaliste emancipazioniste italiane come mondi non incompatibili, tutt’altro: secondo alcune vi
erano forti affinità elettive tra il Duce del fascismo e le rivendicazioni della donna, era questa
l’opinione di una parte rilevante delle femministe italiane degli anni Venti del secolo scorso. Il
femminismo italiano, sviluppatosi a partire dalla stessa Unità del Bel Paese, con la non trascurabile
eccezione delle socialiste, finì sostanzialmente per adeguarsi ad un regime che concesse alle
donne ben poco, ma che tuttavia nel 1925, a seguito di alcune promesse elargite nel congresso
1
La trascrizione corretta è Hudá Sha‘rāwī. Per i nomi arabi, così come per quelli turchi, si è scelto di
utilizzare un sistema semplificato
6
romano dell’Iwsa, concesse un voto amministrativo ad alcune categorie di donne, diritto che
comunque non uscì mai dalla mera giurisprudenza: non fu sostanzialmente mai applicato nei fatti,
soprattutto a causa dell’introduzione dei podestà.
La presente tesi affronta argomenti tra loro diversi, quali l’orientalismo;
l’emancipazionismo femminile nei primi decenni del XX secolo, nelle sue manifestazioni
maggiormente note sviluppatesi nel cosiddetto Occidente ma, soprattutto, in quelle
extraoccidentali, forse meno note ma non per questo meno incisive per i destini dei popoli ove si
svilupparono e questo è vero soprattutto nel caso del femminismo egiziano; la storia moderna
egiziana, a partire da colui che, secondo l’opinione della maggioranza degli studiosi, ne fu
l’iniziatore, Muhammad ‘Ali e sino al tramonto della dinastia che egli fondò in Egitto agli albori del
XIX secolo, attraverso un lungo periodo di centocinquant’anni durante i quali il paese del Nilo da
un lato si caratterizzò per la sua potenza economica e militare, per una particolare vivacità
intellettuale e per un ruolo a tratti egemonico o quantomeno trainante nei confronti di questi
paesi che ne condividevano alcune caratteristiche, quali la lingua o la confessione religiosa
dominante, dall’altro dovette rapportarsi con le diverse potenze europee, in primis la Gran
Bretagna e la Francia che in più occasioni ne bloccarono lo sviluppo, economico, intellettuale,
limitando altresì l’emancipazione della donna, attraverso politiche coloniali di sfruttamento che
ingessarono le aspirazioni delle élite e non risposero ai bisogni popolari.
La prima parte della tesi è dedicata primariamente al congresso, attraverso l’analisi della
stampa coeva dello stesso, ma affronta anche l’issue dell’emancipazionismo femminile
internazionale, attraverso la narrazione delle principali organizzazioni e dell’emancipazionismo
italiano al momento del congresso, compresa la condizione della donna nel Bel Paese. Infine,
analizza il rapporto tra le femministe occidentali e quelle orientali, un confronto tra mondi diversi,
con le prime sovente accondiscendenti alle politiche coloniali intraprese dalle élite dei propri paesi
e le seconde generalmente impegnate nei movimenti nazionalisti, in una continua lotta tra visioni
differenti, che vedeva le occidentali nutrire per le “consorelle” dei paesi impegnati nella lotta
anticoloniale una perniciosa rappresentazione di “femminismo orientalista”.
La seconda parte è incentrata sull’Egitto e sull’Unione Femminista Egiziana. Per quanto
riguarda l’emancipazione della donna, il paese egiziano fu la nazione, tra i paesi arabo-musulmani,
maggiormente impegnata per numero e qualità di femministe. La storia dell’Egitto moderno, dagli
albori del XIX secolo sino ai giorni nostri, vede la donna ottenere diritti fondamentali, a partire da
quello all’istruzione. Il vero e proprio femminismo organizzato - già in nuce nella Rivoluzione
patriottica egiziana del 1919, che vide numerose donne scendere in piazza e manifestare
politicamente - nascerà solo alla vigilia del congresso romano, avendo come leader Hoda Sharawi,
la stessa che aveva guidato le donne in piazza pochi anni prima. Portando nel dibattito egiziano
tematiche quali l’età minima matrimoniale, i diritti per la maternità, la forte limitazione
dell’istituto poligamico, l’istruzione a tutti i livelli (primario, secondario, universitario) per le donne
e, in una seconda fase, l’emancipazione socio-culturale della donna egiziana di bassa estrazione,
avendo come riferimento e punto d’appoggio il suffragismo internazionale, sostenendo le issue
tradizionali del voto alle donne e della pace, l’emancipazionismo egiziano otterrà vittorie ma
7
talvolta subirà anche l’indifferenza delle élite nazionali. Parallelamente all’impegno
emancipazionista e inscindibile da esso, femministe come Sharawi, Nabarawi e varie altre loro
compagne, porteranno alla ribalta nazionale e internazionale, dagli anni Venti agli anni Quaranta
del secolo scorso, battaglie per l’autodeterminazione del proprio popolo, il sostegno alla causa
palestinese e infine la partecipazione della donna ai prodromi del panarabismo.
Nella terza parte, partendo dalla definizione di orientalismo data da Edward W. Said nel suo
studio, si analizzano la stampa italiana e internazionale, orientalistica e femminile, per evidenziare
le diverse rappresentazioni della donna egiziana e di quella orientale all’interno dell’Italia e di altri
paesi dell’Occidente. Un’attenzione particolare è dedicata nuovamente al congresso romano del
1923, attraverso la rappresentazione che di esso e delle componenti orientali che lo
caratterizzarono, diedero la stampa orientalistica, quella socialista, quella femminile, quella
romana e italiana in senso più ampio. Attenzione particolare viene poi dedicata alle
emancipazioniste italiane e alla rappresentazione che diedero delle femministe d’Egitto, di
Palestina, della Cina, del Giappone o dell’India. Un legame particolare lega inoltre Italia ed Egitto,
tanto nell’emancipazionismo quanto nella politica generale, ove in Italia si manifestò il Ventennio
mussoliniano a formale guida monarchica, mentre in Egitto un’altra monarchia, erede di
Muhammad ‘Ali, impose sovente il proprio dominio a discapito dei nazionalisti, impegnati a
contrastare l’influenza della Gran Bretagna. Tra la monarchia egiziana e il regime fascista, come tra
le classi intellettuali d’Italia e d’Egitto, vi furono prossimità ed influenze, ma Londra riuscì a
impedire ogni possibile convergenza sostanziale.
Nell’utilizzo delle fonti, primarie e secondarie, sono stato guidato, oltre che dal metodo
scientifico e dalle indicazioni dei relatori, anche dai miei personali interessi intellettuali. Vivendo
nella capitale del nostro Paese, un numero non minoritario di fonti primarie risultava, per così
dire, “a portata di mano”. Non era però facile districarsi nel mare magnum dei molti giornali, delle
molte riviste e dei numerosi testi scientifici. Alcuni preziosi consigli sono giunti dai relatori; per
altre fonti mi sono affidato alle bibliografie; mentre ad altre ancora sono giunto tramite intuito. In
particolare, per quanto concerne la figura della giornalista Ester Lombardo, ho potuto,
inizialmente, in certo senso “conoscerla” e, intellettualmente, entrarci in rapporto direi io,
attraverso alcuni articoli sulla stampa romana, scritti per quotidiani la cui visione nelle migliori
emeroteche romane fu, per alcuni, consigliata dalla professoressa Rossini e, per talaltri, frutto
della mia ricerca personale, anche attraverso la visione di un quotidiano come Il Giornale di Roma
di non semplicissimo reperimento. Per me che sono un giornalista iscritto all’Ordine del Lazio
questa “collega” che scriveva in maniera così accattivante (ma anche utile ai fini della ricerca) un
secolo prima di me, appariva tanto stimolante quanto, per il suo interessamento - non privo di
carica empatica - alle extraoccidentali, degna di approfondimento. Ho allora voluto ricercare la
rivista da ella diretta al momento del congresso romano, Vita Femminile e questa risultava fruibile
nel Campus Universitario di Rimini facente parte della storica e prestigiosa università bolognese.
Una volta che ebbi potuto visionare il materiale che ricercavo, esso risultò decisivo ai fini di una
migliore comprensione dell’emancipazionismo italiano e del suo rapporto con le extraoccidentali.
Oggi, molti quotidiani del XIX e XX secolo sono visionabili tramite Internet, ma non per tutti ciò
avviene e, sovente, il materiale migliore è quello che ancora non è stato informatizzato; ciò è
8
risultato vero anche per la mia ricerca. Devo aggiungere che la ricerca sul campo è forse
maggiormente “emozionante” rispetto a quella da Personal Computer e permette l’interazione
con studiosi, studenti e dipendenti, favorendo un confronto che si rivela assai produttivo ai fini
della ricerca.
Le motivazioni principali che mi hanno spinto a scegliere la tematica emancipazionista e, in
particolare, la figura di Hoda Sharawi come tema della mia tesi sono numerose. Un ruolo non
secondario in questa decisione è rappresentato dalla mia personale vicinanza intellettuale alle
ragioni del femminismo, una coscienza che nasce dall’educazione ricevuta in famiglia e che si è
sviluppata attraverso le esperienze della mia vita sinora: considero l’emancipazione della donna la
principale rivoluzione dell’età contemporanea, un cambio di paradigma culturale che ha investito
fortemente (ma molto deve ancora essere fatto) la politica e la società in tutte le nazioni della
Terra, sicuramente uno dei principali elementi (pari solo alla ricerca scientifica) che ci può far dire
di essere donne e uomini “migliori” rispetto ai cittadini di altre realtà politiche, delle età passate,
assai feconde sul piano dello sviluppo umano. Nello studio della materia Storia delle Donne in
Occidente - che scelsi senza indugio per il mio Piano di Studi - ho potuto conoscere donne di
particolare determinazione, capacità e influenza e tra queste Hoda Sharawi, grazie al suo legame
con l’Italia e Roma, che ne fa in certo senso un personaggio della nostra storia, per via del proprio
ruolo da assoluta protagonista al congresso romano. Nell’estate che precedette la scelta del tema
della tesi, mi dedicai a numerose letture e, tra queste, non mancarono alcune dedicate al mondo
arabo, all’Egitto e a Sharawi. Una realtà a noi prossima, quello araba-musulmana, verso la quale,
sempre per questioni di famiglia (mio fratello parla l’arabo fluentemente) nutrivo un desiderio di
approfondimento culturale in seno al mio bagaglio intellettuale. Questo Corso di Laurea mi è parso
fortemente indicato per acquisire le capacità necessarie per saper leggere con le migliori lenti la
realtà contemporanea; in questo senso un approfondimento del mondo arabo-musulmano - e del
tema su cui maggiormente subisce critiche in Occidente, sovente con una terribile superficialità,
quello della condizione femminile al suo interno - mi è parso fortemente necessario, ai fini di una
mia elevazione culturale. Anche altri “mondi” destarono la mia curiosità in questi due anni, per
esempio quello ortodosso o quello dell’America Latina; la scelta non era facile ma ho infine optato
per quello, forse, a noi italiani maggiormente legato a livello storico e sul quale, soprattutto, avevo
occasione di approfondire la donna, anche in Italia e nel resto dell’Occidente, che di tutto il Corso
è l’issue che mi ha maggiormente coinvolto. Nutro infatti un profondo interesse per l’incontro tra
gender e storiografia, che permette di conoscere popoli e società diversi da quella in cui si vive,
eppure ricchi di similitudini e collegamenti con la stessa, attraverso le parole, i fatti, in definitiva le
vite, della metà del genere umano che, apparentemente, vi ha svolto sino a non molto tempo fa
un ruolo da comprimario, ma che invece risulta decisivo nelle scelte tanto degli uomini quanto
delle popolazioni, producendo cultura, costituendo sociologia, dominando nel costume.
Del resto, se a fare quella Storia che un tempo veniva reputata l’unica degna di reale
considerazione intellettuale furono gli uomini, i loro pensieri, furono comunque troppo sovente
rivolti a determinate donne, fossero esse le madri, le sorelle, le mogli, le amanti, le figlie;
l’emancipazione del 50% del genere umano, un processo ancora in corso e per il quale vale la
pena, anche da maschi, definirsi femministi, comporta l’ingresso integrale sul piano politico di ciò
9
che era già presente sul piano individuale e, in definitiva, una maggiore libertà per tutti gli
individui, siano essi maschili o femminili.
Vorrei ringraziare tutte le persone che mi hanno aiutato nella realizzazione di questa tesi,
cominciando dalla relatrice professoressa Daniela Rossini per le sue preziose indicazioni, per il
costante aiuto fornitomi e per avermi fatto appassionare alla materia nella mia frequenza del
corso di Storia delle Donne in Occidente, ricco di interessanti conferenze e attraverso le sue
pubblicazioni; il professor Gennaro Gervasio per il particolare e paziente supporto morale e per
aver fatto crescere in me un maggiore interesse e, in definitiva, un migliore e più maturo
apprezzamento, del mondo arabo, di quello musulmano e dell’Egitto, un paese verso il quale
nutrivo interesse e che, in parte, fu protagonista anche della mia tesi triennale; i miei genitori per
il sostegno, l’aiuto materiale nel corso del lavoro alla tesi e gli stimoli intellettuali ricevuti nel corso
della mia vita; mio fratello Stefano Proia, laureando magistrale all’Università degli studi di Trieste,
per le sue traduzioni dal francese, tanto quelle che sono state inserite all’interno della tesi tanto
quelle (ahimè più numerose) che non hanno trovato spazio, ma che sono state comunque per me
fonte di arricchimento personale; i dipendenti della Biblioteca di Storia Moderna e
Contemporanea (Bsmc) di Roma, quelli dell’Alma Mater Studiorum - Università di Bologna e, last
but not least, la Biblioteca del nostro Dipartimento, per l’aiuto concessomi nel lavoro di ricerca,
stimolante e formativo, attraverso questi ultimi mesi.
10
Parte prima
Il congresso dell ’Iwsa a Roma nel 1923
1. Uno snodo cruciale per il movimento suffragista
Una festa a sei mesi da una tragedia
Un gruppo di congressiste indiane al congresso dell ’Iwsa di Roma nel 1923. Fonte: Un incidente e una giusta
protesta per l’esclusione della lingua italiana dal congresso internazionale delle donne per il voto politico, Il
Giornale d’Italia, 14 maggio 1923
Nel maggio del 1923 si apriva a Roma il IX congresso dell’International Woman Suffrage
Alliance (Iwsa), la principale organizzazione internazionale per il suffragio delle donne, alla
presenza del nuovo presidente del Consiglio italiano Benito Mussolini. Fu un evento di
straordinaria importanza, che vide confrontarsi il fascismo degli esordi - che promise il voto
amministrativo alle donne - e l’emancipazionismo internazionale, che salutò la presenza per la
prima volta di delegate egiziane in un proprio congresso. Donne da ogni angolo del mondo si
riunivano infatti a Roma e tra loro, anche molte non occidentali:
Per quanto possa sembrare sorprendente, il nostro movimento suffragista ha in realtà abbracciato
la Terra e si è diffuso dall’Artico del Nord all’Antartico del Sud. Ora tra i suoi affiliati ha membri che
rappresentano le cinque grandi razze del mondo: caucasici, mongoli, malesi, polinesiani e indiani.
Aderiscono le cinque grandi religioni: cristiana, ebraica, buddista, confuciana e maomettana.
11
Nessun movimento simile tra gli uomini è ancora venuto al mondo. È qualcosa di nuovo: [...] questo
sorgere, unirsi e marciare insieme di un sesso.
2
Queste parole furono pronunciate, all’interno del congresso romano, da Carrie Chapman
Catt, storica ed energica presidente dell’Iwsa. Si trattava di una vera e propria festa: il motivo dei
festeggiamenti erano i brillanti risultati raggiunti nell’ottenimento del suffragio alle donne. Infatti,
a seguito del Primo conflitto mondiale, una moltitudine di Paesi, in misura prevalente nel
cosiddetto Occidente
3
, avevano concesso il voto alle rispettive cittadine. Ma, come segnalavano le
sue parole, in quei primi anni Venti del secolo scorso, si registravano le adesioni agli organismi
internazionali fondati sul concetto significativo di “sorellanza” di attiviste provenienti da ogni
angolo del globo, anche dal cosiddetto Oriente e, per la prima volta in veste di affiliate, vi erano
presenti delegate provenienti dal più importante tra i paesi arabi: l’Egitto. Questo congresso fu
davvero un incontro di caratura internazionale: vi parteciparono donne provenienti da 43 paesi
diversi; vi erano delegate giunte dalla Cina, dall’India, dal Giappone e dal Brasile, dalla Palestina
(separatamente le arabe e le ebree) oltre all’Egitto
4
. La delegazione egiziana era composta da tre
delegate, capitanate dall’aristocratica Hoda Sharawi; la accompagnavano il suo braccio destro
Céiza Nabarawi e la pioniera dell’insegnamento femminile, Nabawiya Musa
5
, esse erano tra le
undici fondatrici della neonata al-Ittihad al-Nisa’i al-Misri (Unione Femminista Egiziana - Ufe),
appena affiliatasi all’Iwsa.
Roma, dove si svolgeva il congresso dell’Alleanza, era la capitale di un Paese che aveva da
poco subito un vero e proprio colpo di Stato. Siamo infatti a soli sei mesi (28 ottobre 1922) dalla
Marcia su Roma e il sistema liberale, che aveva accompagnato la giovane nazione dall’Unità sino a
quel momento, si era arrestato di colpo. Nella vivida ricostruzione di Chabod il momento è solenne
nella sua drammaticità:
Ben pochi fra gli uomini di governo si rendono conto di essere alla vigilia di un’avventura
estremamente pericolosa, nella quale l’Italia sarà trascinata per vent’anni, fino alla catastrofe.
L’esempio di Giolitti è tipico. Nessuno può dubitare che Giolitti fosse un uomo sostanzialmente,
profondamente liberale. Quando si avvide che il fascismo seguiva vie ben diverse da quelle previste,
Giolitti assunse un atteggiamento di estrema dignità. Non abbandonò mai la Camera dei deputati e
in talune occasioni fronteggiò da solo, o quasi, Mussolini. [...] Il senso di tutto questo è che siamo di
fronte a una crisi profonda, una crisi che i vecchi uomini di governo non sono capaci di
comprendere, di cogliere nei suoi tratti essenziali, e perciò di dominare
6
.
2
Discorso del Presidente, Carrie Chapman Catt, Iwsa, 1923 Congress Report (cit. in, M. Sandell, The Rise of
Women’s Transnational Activism, London, I.B. Taurus & Co Ltd, 2015, p. 46)
3
Negli anni compresi tra la fine del Primo conflitto mondiale e il congresso, il suffragio femminile era stato
concesso in una ventina di paesi, fra i quali Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Austria, Unione Sovietica e
Canada (D. Rossini, Dal sociale al politico: donne e suffragio a Roma tra il 1914 e il 1923, in P. Carusi (a cura
di) La Capitale della Nazione, Roma, Viella, 2011, p. 306)
4
M. Sandell, The Rise of Women’s Transnational Activism, p. 50
5
M. Badran, Feminists, Islam and Nation, Princeton, Princeton University Press, 1995, p. 91
6
F. Chabod, L'Italia contemporanea (1918-1948), Roma, Giulio Einaudi Editore, 2002, pp. 67-68
12
Le interpretazioni del fenomeno fascista
Incapacità di comprendere la realtà contingente, dunque, da parte dei “notabili” liberali
che avevano guidato il Bel Paese sino a quel momento. Ci troviamo, pertanto, ancora in una
situazione fluida; si tenga presente che Benito Mussolini, insediatosi da pochi mesi al Governo
nazionale per volontà del sovrano sabaudo d’Italia Vittorio Emanuele III, guida un governo di
coalizione
7
: il regime è nato, questo sì, ma non si è ancora consolidato e, soprattutto, non ha
ancora gli accenti vetero-conservatori che svilupperà in una fase successiva. A posteriori sappiamo
che il fascismo sarà un fenomeno, come ha magistralmente mostrato De Felice, prevalentemente
europeo, che proprio dall’Italia prenderà il via:
Le sue radici sono infatti tipicamente europee e sono inscindibilmente radicate nel processo di
trasformazione della società europea determinato dalla prima guerra mondiale e dalla crisi di
trapasso - morale e materiale - ad una società di massa funzionalizzata con nuove forme di
integrazione statale, politica e sociale verificatasi un po’ in tutto il continente, ma soprattutto nei
paesi che affrontarono tale trasformazione in particolari condizioni di ritardo, di debolezza e di
anormalità economiche e politiche
8
.
Nell’analisi storica del cattolico Maritain, dopo il Rinascimento e la Riforma il mondo fu
vieppiù sconvolto «da energie spirituali potenti e, in verità, mostruose, nelle quali l’errore e la
verità si mescolano strettamente e si nutrono luna dell’altro, verità che mentiscono e ‘menzogne
che dicono la verità’». Una volta che si spezzò l’unità intellettuale e spirituale della Cristianità, a
livello politico ascese prima una reazione assolutistica volta a ricostituire e preservare questa
unità, ma col trionfo del razionalismo e del liberalismo anche la barriera assolutistica saltò
irrimediabilmente e la vittoria della filosofia della libertà segnò in maniera definitiva la fine di ogni
unità spirituale. A questo punto, sempre secondo la ricostruzione del filosofo francese, il
liberalismo individualistico risultava una forza puramente negativa, «viveva per l’ostacolo e durava
per questo» e, anche nella prospettiva del sorgere di conflitti interni alla società industriale e
capitalistica, sorsero reazioni anti-liberali: il fascismo, appunto, ma anche il comunismo nell’ottica
di Maritain
9
. Per Croce, altresì, il fascismo «non fu escogitato né voluto da alcuna singola classe
sociale, né da una singola di queste sostenuto», ma «fu uno smarrimento di coscienza, una
depressione civile e una ubriacatura, prodotta dalla guerra». In secondo luogo questo
smarrimento e questa ubriacatura non furono solo un fatto italiano, ma di quasi tutti i popoli che
avevano partecipato al Primo conflitto mondiale
10
.
Il rapporto tra Catt e Mussolini
Ma questo futuro nei giorni del congresso non era ancora prevedibile. Tuttavia, già il
presente aveva una caratura negativa: l’Italia usciva da una serie di violenze, per lo più perpetrate
dalle camicie nere, che avevano attraversato l’intera Penisola, con aggressioni squadriste a sedi e a
personalità politiche, sindacali, giornalistiche e intellettuali. Carrie Chapman Catt fu testimone
7
Aderivano alla coalizione il Partito popolare, il Partito liberale, nazionalisti e indipendenti
8
R. De Felice, Le Interpretazioni del Fascismo, Roma, Laterza, 1969, p. 22
9
J. Maritain, Humanisme Intégral (cit. in, R. De Felice, Le Interpretazioni del Fascismo, p. 77)
10
R. De Felice, Le Interpretazioni del Fascismo, p. 29
13
oculare della Marcia su Roma: la visione della violenza e del disordine l’avevano convinta che non
fosse il caso di organizzare un congresso internazionale nella Città Eterna, dopo quello di Ginevra
del 1920 e da molte parti (specialmente da parte sua), si sarebbe preferito optare per Parigi.
Invece, grazie anche all’impegno della rappresentante italiana nel comitato esecutivo dell’Iwsa
Margherita Ancona e di molte altre suffragiste italiane che lavorarono per costituire un “ponte”
tra Catt e Mussolini, Roma fu infine scelta come luogo deputato a questa festa internazionale del
suffragismo. Ancona, la quale era animata da convinzioni liberali e perciò guardò con sospetto al
fascismo ben prima di altre, esortò infatti l’Alleanza a venire nella capitale italiana, perché ciò che
«può essere fatto sul piano internazionale [può] impedire che le cose peggiorino»
11
. Non tutte le
emancipazioniste italiane vedevano con spirito critico al fascismo, possiamo anzi dire che si
verificò esattamente il contrario: diverse femministe, attratte dal suo Capo, videro nel movimento
fascista la possibilità di superare l’immobilismo e l’endemica debolezza del liberalismo italiano. Nei
giorni dalla Marcia su Roma, come già accennato, Catt si trovava nella capitale d’Italia per degli
incontri con le suffragiste italiane (fu a Roma dal 22 al 31 ottobre), proprio al fine di preparare il
congresso di maggio. Negli scritti pubblici su questi eventi, Catt parlò della crescente ostilità
fascista verso le donne che lavorano e dell’anti-femminismo caratteriale di Mussolini. Il 28 ottobre
1922 Catt scriveva nel suo diario:
Le linee ferroviarie sono controllate dai militari, la città è sotto assedio. No, non è guerra, solo
politica all’italiana. [...] Questa mattina tutti i giornali nelle edicole sono stati presi e bruciati. In
questo modo la democrazia in travaglio sta provando a formare un nuovo governo. Quando ci sarà
un nuovo Premier tutto andrà bene di nuovo. Alla gente non importa. È abituata a simili
manifestazioni. È una commedia qui, ma ci hanno avvertito che ci possiamo trovare bloccate da
qualche parte e che può diventare una tragedia
12
.
L’International Woman Suffrage Alliance e l’Italia
L ‘International Woman Suffrage Alliance era costituita, come le altre organizzazioni
internazionali femminili, da una serie di società nazionali ad essa affiliate. In Italia troviamo la
Federazione Italiana Pro-Suffragio Femminile (nota anche semplicemente come Pro-Suffragio),
fondata nel 1905. Tra i suoi membri di spicco figurava Margherita Ancona, la più rispettata tra le
italiane all’interno dell’Alleanza per il fatto di essere membro del comitato esecutivo. Il rispetto le
proveniva anche dalle sue competenze linguistiche e grazie alle sue idee liberali prossime a quelle
dell’Iwsa. Ancona era la principale traduttrice, interprete e mediatrice linguistica fra le femministe
italiane e l’Iwsa. Nacque nel 1882 a Palermo insieme alla sorella gemella, anch’ella
emancipazionista, Luisa. Presto la famiglia si trasferì al Nord, ma Ancona fu sempre attenta alle
istanze delle donne del Meridione
13
.
11
E.C. DuBois, Roma 1923: il Congresso della International Woman Suffrage Alliance, Genesis, VIII / 2, 2009,
p. 29
12
C. Chapman Catt, Diary of Tour of Europe, October to November 1922, pp. 18-19 (cit. in, D. Rossini Dal
sociale al politico: donne e suffragio a Roma tra il 1914 e il 1923, in P. Carusi (a cura di) La Capitale della
Nazione, p. 309)
13
E.C. DuBois, Roma 1923: il Congresso della International Woman Suffrage Alliance, Genesis, VIII / 2, 2009,
p. 26