Donatella D’Anniballe Tesi Magistrale
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Introduzione
“Writing. Love is writing.”
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“H. D. Imagiste” è lo pseudonimo con cui Ezra Pound designa la scrittrice nord-
americana Hilda Doolittle (1886-1961). Stella del firmamento imagista, H. D. per molti
critici letterari rimane ancorata ai confini dell’Imagismo, movimento letterario dei primi
decenni del Novecento che richiedeva un approccio diretto al soggetto della propria poesia,
un utilizzo minimo di aggettivi, un ritmo individuale per creare frasi musicali e un’incisiva
e dinamica forma d’espressione (Flint 199-200). Dopo la Prima Guerra Mondiale, H. D. è
vittima di una tormentosa crisi personale esacerbata da un travagliato silenzio che segnerà
tutti i suoi anni trenta e la combatterà grazie a numerose sessioni di psicanalisi con Freud
(1932-1933). Sarà grazie al padre della psicanalisi che Hilda entrerà a contatto con la
tecnica della traduzione dei geroglifici della mente, simboli misteriosi della memoria che si
presentavano ripetutamente nei suoi sogni e nelle sue allucinazioni. Tracciando e
traducendo il geroglifico dell'inconscio, Freud diagnostica in Hilda un irrisolto e
problematico rapporto con sua madre alla quale aveva il desiderio di riunire sé stessa,con
lo scopo di ricreare il periodo dell’infanzia in cui si costruisce l’identità sessuale.
Ad opinione dell’analista in H. D. predominava il lato sessuale maschile che
l’aveva portata a privilegiare l’amore paterno a quello materno. Ricongiungersi con la
madre Helen Wolle, archetipo dell’arte nella famiglia Doolittle, l’emblema della
femminilità autentica e del potere creativo della donna, vuol dire ricongiungersi alla figura
a priori imprescindibile della madre, della Grande Madre, prima deadatrice e nutritrice di
vita e per estensione agli stadi primi-tivi della società non affetta da costruzioni patriarcali
precostituite su pregiudizi sessuali che inferiorizzano la donna e la riducono a mero
strumento di piacere e soddisfazione dei desideri dell’uomo.
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H. D., Her 149.
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Il primi-tivismo, secondo H. D., è da ricercare e revisionare, al fine di filtrare la
presenza del femminile dalle pagine di stampo maschile, tra quelle materie che Hilda aveva
profondamente studiato: gli antichi geroglifici egizi, nei testi pre-cristiani e cristiani e nelle
culture esoterico-sincretiche. L’alchimia esoterica gioca un ruolo prezioso e fondamentale
nella poetica doolittleiana poiché è mezzo imprescindibile per la ri-scrittura della donna
denudata delle canoniche immagini della cultura misogina d’inizio Novecento,
partecipante alla resurrezione della madre-dea che conduce H. D., attraverso un atto
creativo di auto-identificazione liberatoria nella scrittura poetica e della ri-scrittura dei
geroglifici egizi. Hilda pertanto si ri-unisce con Helen Wolle, sua madre, e per analogia
con l’altra Helen, Elena di Troia. Guardando in retrospettiva, questi step ideologico-
personali si riveleranno essere degli autentici precursori dell’intera poetica, revisionista,
mitopoietica ed epica, preludio della scrittura di un nuovo genere di poesia e in ottica
femminile di H. D. con la donna, a dispetto della tradizione omerica centrata sull’uomo
eroe, come eroina del nuovo secolo e nucleo narrativo impreteribile e semanticamente
costante.
Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale il profilo poundiano di “H. D.
imagista” subisce un profondo cambiamento letterario, sfociando in un periodo di
gestazione che contribuisce alla nascita di una vera e propria epica: Helen in Egypt (1952-
1955) è il magistrale poema epico al femminile doolittleiano, il primo su scala letteraria e
secondo, dopo Trilogy (1944-1946). Tra le composizioni di H. D. ed entrambi
costituiscono tappe imprescindibili della personal quest dell’autrice, un percorso di
radicale cambiamento culturale e di ricerca revisionista dell’identità femminile.
Helen in Egypt non è la prima sede in cui si affronta una riscrittura di forse uno dei
più famosi miti greci della cultura occidentale, anzi Stesicoro di Sicilia è il primo che lo
rivisita, dichiarando che la vera Elena era stata trasportata in Egitto, quando tra gli scrittori
modernisti vigeva la tendenza alla mitopoiesi, per la riscrittura del mito. Egli sarà seguito
da Euripide, Gorgia e autori minori quali Erodoto ed Isocrate, sebbene in tempi più recenti
Elena sia stata ripresa anche ad esempio da Goethe ed Edgar Allan Poe. Nella sua
mitopoiesi modernista H. D. ritorna alle radici delle tradizionali costruzioni omeriche della
donna nella figura di Elena di Troia, incarnazione stereotipata di tutte le donne, con
valenza binaria della femme fatale e donna angelicata, di cui la poetessa epica scompone e
decifra il geroglifico del suo nome e delle immagini liriche patriarcali a lei attribuite. Ma
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chi è l’Elena in Egitto? L’introduzione alla prima poesia del poema Helen in Egypt in
“Pallinode” indica le sue origini:
[w]e all know the story of Helen of Troy but few of us have followed her to Egypt. How did she get
there? Stesichorus of Sicily in his Pallinode was the first to tell us. […] According to the Pallinode, Helen
was never in Troy. She had been transposed or translated into Egypt. Helen of Troy was a phantom,
substituted for the real Helen. […] The Greeks and the Trojan alike fought for an illusion(1).
“Pallinode” deriva dal greco palinoidia composto di “palin”, ancora, indietro, e
“oide”, canzone. In sostanza è un’ode o una canzone che ricanta o ritratta qualcuno o
qualcosa appartenente ad un poema precedente e, di fatto, in Helen in Egypt compone il
primo libro dell’intero poema epico doolittleiano nel quale l’Elena in Egitto è a tutti gli
effetti l’Elena che noi tutti conosciamo con l’epiteto Elena di Troia, con la differenza che
la più bella donna del mondo del mito tradizionale di Elena è un fantasma, mentre quella
che viene trasportata in Egitto è la Elena reale. E allora chi è H. D.?
Queste sono le due domande che mi hanno ossessionata durante la prima lezione
tenuta dalla Professoressa Camboni su Hilda Doolittle dell’ottobre del 2014, mentre
guardavo la copertina di Helen in Egypt raffigurante il ritratto di Velia Velcha, una
nobildonna etrusca nella tomba dell’Orco di Tarquinia. Ritrovarsi dopo più di dieci anni a
riprendere e ristudiare il mito di Elena, che tanto mi aveva appassionata quando avevo
poco più di dieci anni, aveva quel je ne sais quoi di attraente, stimolato dal misterioso e
sorprendentemente intrigante profilo di H. D. imagista e prima scrittrice modernista
femminista. Un’autrice, H. D., un periodo letterario, il Modernismo e un movimento
artistico, l’Imagismo dei primi decenni del Novecento mai conosciuti prima hanno portato
il mio crescente interesse a conoscere, leggere e studiare sempre più questa donna
straordinariamente ineguagliabile, in particolar modo sotto il profilo revisionista. Sapere
che nella storia una donna ha deciso di andare contro tutte le tradizionali costruzioni socio-
culturali della società occidentale per re-visionare, ri-definire e ri-scrivere l’identità della
donna soppressa da secoli dietro il peso dell’egemonia patriarcale, facendo uso dell’icona
femminile per eccellenza, la bella Elena di Troia, ha fatto sì che io mi addentrassi negli
abissi più profondi e più intimi di H. D., per scorgere i più sottili e penetranti aspetti della
sua ideologia poetica che mi aiutassero al meglio ad interpretare la sua epica al femminile.
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Alla luce di tutto ciò l’obiettivo che questo lavoro si prefissa di raggiungere è
presentare una prima proposta di traduzione in italiano di Helen in Egypt, oltre alla
preesistente versione francese Hélène en Egypt, tradotta ed introdotta da Jean-Paul
Auxeméry nel 1992. Tuttavia, trattandosi di ben venti sezioni composte ognuna da otto
poesie e divise in tre libri, “Pallinode”, “Leuké” e “Eidolon”, si presterà principalmente
attenzione alla prima raccolta di poesie “Pallinode” e si inserirà la traduzione dei suoi
primi cinque libri, comprensivi di note esplicative e note di traduzione.
Trattandosi di un autentico poema epico in cui le parole chiavi sono mitopoiesi
femminile, si rivela sopra ogni altra cosa necessaria una meticolosa contestualizzazione
della poliedrica autrice Hilda Doolittle, fornendo un saldo background generale riguardo
alla vita di H. D., al suo percorso di decodifica e riflessione sul suo essere donna e sulla
donna in toto attraverso la psicanalisi freudiana nel primo capitolo, dopo aver illustrato e
citato alcune delle sue opere più significative.
Utilizzare poi i componimenti doolittleiani come prova concreta della messa in
pratica dei precetti teorici esposti permettarà di procedere verso il secondo capitolo, il
quale illustra il processo di crescita letteraria e poetica dell’artista attraverso Imagismo,
Classicismo e Re-visionismo. Nel paragrafo dell’Imagismo si presenterà la relazione che
H. D. stabilisce con Ezra Pound e Richard Aldington, mentori imagisti e sagge guide che
conducono Hilda verso il principio di un appassionato viaggio indietro nel tempo nel
paragrafo “H. D. e il Classicismo”, sede in cui sottolineo la spessa rilevanza che i classici,
in special modo Saffo ed Euripide e la traduzione per mano di H. D. dei due, hanno
occupato nella poetica doolittleiana, saggiata nel componimento Sea Garden, eccellente
esempio poetico che riscrive la lirica greca classica in termini modernisti, revisionisti e con
sfumature femministe. Questi caratteri si propagheranno nel paragrafo riservato al Re-
visionismo, nel quale citerò il processo di formazione dell’identità revisionista di H. D. che
parte dalla rilettura delle tradizioni esoteriche, dell’astronomia e astrologia, fino ad
approdare ad una vera e propria re-visione come “the act of looking back, of seeing with
fresh eyes, of entering an old text from a new critical direction” (Rich, Re-Vision 18).
Ripercorrendo l’evoluzione del Female Principle incarnato nelle vesti bianche delle
divinità sincretiche Iside, Teti, Afrodite, e per analogia Elena, la “everywoman”
doolittleiana, H. D. indaga sulla tradizione mitica patriarcale e la riscrive e ridefinisce con
lenti imagiste mitopoietiche. Passando attraverso i miti omerici e per quelli religiosi,
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storici, Hilda si ricongiungerà ai miti psicanalitici della maternità femminilità e sintetizzerà
il risultato evolutivo nella scrittura di una nuova, innovativa mitologia femminile con al
centro una nuova eroina, Elena.
H. D. si dimostrerò una figura emblematica per i futuri movimenti femministi degli
anni ’70 grazie alla ri-creazione del mito di Elena di Troia, chiamata da alcuni critici
“revisionist mythmaking” ed introdotta dal paragrafo “Eurydice”, prima poesia revisionista
di Hilda Doolittle che riscrive il mito di Orfeo ed Euridice. Euridice, secolarmente donna
passiva e ammutolita dal marito Orfeo che la condanna ad una seconda morte eterna negli
Inferi, viene riscritta come donna dalla voce sovversiva, piena di ira, che rimprovera Orfeo
per la sua arroganza e spietatezza nel lasciarla alla morte.
Questa sorta di monologo teatrale di Euridice servirà ad approntare il lettore di
questo lavoro ai termini mitopoietici della riscrittura del mito di Elena che di fatto verrà
presentata nel terzo capitolo, esordendo con la poesia “Helen”. In questa sede H. D. attacca
le norme convenzionali della società maschile dominante ed il topos della bellezza
femminile di Elena con l’unico scopo di mettere in discussione la costante oggettificazione
e spersonalizzazione della donna. Come Euridice, Elena è una statua, vittima ammutolita
dalle costruzioni mitiche socio-culturali egemoniche dell’uomo, esplicitamente
rappresentate nella poesia di comparazione “To Helen” di Edgar Allan Poe.
Riprendendo Stesicoro, Euripide, Gorgia, Isocrate, ma anche Goethe e Poe, H. D.
intraprenderà un viaggio tra i templi e le sabbie d’Egitto alla riscoperta del suo io più
intimo di donna-icona-delle-donne che si riflette complessivamente nel mito di Elena di
Troia, specchio della madre Helen Wolle, e per analogia della Grande Dea Madre, nella
sua “Pallinode”, ovvero “a defense, explanation or apology” nei confronti di Elena ed in
senso lato verso tutte le donne(HiE 1). Di “Pallinode” nel quarto capitolo mostrerò una
meticolosa analisi riguardo all’intreccio, alla struttura, al linguaggio, al cast e al genere
poetico, includendo anche un excursus storico riguardo alle preesistenti palinodie e alle
riscritture del mito più significative nella poetica di Hilda Doolittle. Per addentrarsi nelle
traduzioni, alla fine di questo capitolo ho provveduto a presentare alcuni dei più importanti
aspetti della teoria della traduzione di cui ho tenuto conto nell’atto traduttivo, allo scopo di
poter esplicare e/o giustificare delle scelte traduttologiche da me fatte.
Tutta l’impalcatura di questi quattro capitoli brevemente esposti mira a fondare
solide basi teoriche che agevolino la comprensione della traduzione integrale, inserita nel
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quinto capito, dei primi cinque libri di “Pallinode” e l’interpretazione degli ermetici
messaggi celati tra le terzine delle loro relative quaranta poesie.
In sostanza, in Helen in Egypt H. D. dichiara guerra al tradizionale mito di Elena,
invadendo i territori patriarcali canonici con un primo attacco denominato “Eurydice” e
con un secondo intitolato “Helen”, vincendo la guerrain Egitto, in cui Elena si libera della
prigione marmorea in cui è stata reclusa e comincia a svelare sé stessa attraverso processi
psicanalitici ed introspettivi, re-visionando e ri-scrivendo le imperative costruzioni
dell’egemonia maschile.
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CAPITOLO PRIMO
H(ilda) D(oolittle)
“All her paths led to Greece.”
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1.1.Vita come emblema d’identità
Il 1886 è un anno segnato dalla Seconda rivoluzione industriale, anno ricco di
scoperte, invenzioni ed eventi che può essere delineato dalla seguente citazione tratta dagli
Actes préparatoires de l'Exposition universelle de 1900:
La fin du XIXe siècle est une période qui couronne un siècle de prodigieux efforts scientifiques et
économiques, ère nouvelle dont les savants et les philosophes prophétisent la grandeur, dont les réalités
dépasseront nos rêves et nos imaginations.
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È l’anno in cui viene inaugurata la Statua della Libertà a New York, viene abolita la
schiavitù a Cuba, in cui Antonio Meucci acquisisce la priorità come inventore del telefono
ed allo stesso tempo Thomas Alva Edison brevetta il microfono a carbone, viene
pubblicatoThe Strange Case of Dr. Jekyll and of Mr. Hydedi Robert Louis Stevenson,
Cuore di Edmondo De Amicis, I ragazzi di Jo di Louisa May Alcott. In questo stesso anno
il 10 settembre a Bethlehem, Pennsylvania nasceHilda Doolittle, unica figlia femmina
diCharles Leander Doolittle, professore di astronomia di famiglia puritana inglese, e
diHelen Wolle, discendente dal nucleo di fondatori della comunità locale dei Fratelli
Moravi. Le connotazioni genitoriali si rifletteranno tanto sulla persona di Hilda quanto su
tutta la sua opera giacché ella vedrà gli anni più significativi della sua infanzia segnati dal
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Barbara, Guest, 48.
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Dagli Atti preparatori dell'Esposizione universale del 1900: “la fine del XIX secolo è un periodo che
corona un secolo di prodigiosi sforzi scientifici ed economici, una nuova era di cui gli scienziati e i filosofi
profetizzano la grandezza, nella quale la realtà supererà i nostri sogni e fantasie”.
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vivere in seno alla comunità morava guidata da un ordine mistico di derivazione ussita
chiamato Unitas Fratrum (United Brethren) e fondato negli Stati Uniti dal Conte
Zinzendorf. I Moravi avevano sposato come credo religioso la pace universale, la
tolleranza razziale, la pacifica e comprensiva convivenza con le culture altre, quali ad
esempio quella dei Nativi Americani, ed inoltre riconoscevano Dio come essenza e fonte
d’amore, di purezza e semplicità da far conoscere a tutti i popoli. Vivere nel mondo
moravo di eredità materna, come afferma Jane Augustine, diede ad Hilda la propensione
per “[a] strong re-involvement with the image, memory, and influence of her mother.”
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Nel 1895 il padre andò a dirigere il Flower Astronomical Observatory alla
University of Pennsylvania, fatto che comportò il conseguente trasferimento di tutta la
famiglia Doolittle in un sobborgo di Philadelphia, nel quale Hilda frequenterà la quacchera
Friends’ Central High School. In seguito all’abbandono delle amicizie e della vita
altamente socializzata del suo luogo di nascita, durante la sua adolescenza, Hilda si
abbandona alla contemplazione della meravigliosa natura dei paesaggi rurali circostanti ed
in lei si pianta il seme di un cristianesimo riformato che contribuì notevolmente ad
affermare componenti introspettive ed etiche che investiranno tutta la sua poetica (La
donna 21).
Nel 1905 Hilda decide di iscriversi alla Bryn Mawr University, dove conosce
Marianne Moore, ma dopo tre semestri la abbandonerà per via di problemi di salute e
deludenti insuccessi accademici.Tuttavia, secondo Barbara Guest “the truth was that she
was facing dual worlds: an authoritarian institute of learning, and an equally authoritarian
poet”, il poeta Ezra Pound, colpevole di aver allontanato Hilda dai suoi studi.Alla pari di
Gertrude Stein, Hilda fallì i test nelle materie scientifiche come anche in lingua inglese,
sebbene fosse una fervente appassionata della sua letteratura.Il collega universitario
William Carlos Williams non manca però di descrivere Hilda definendola “a bizarre beauty
[with] strange jaw, light hair, and blue eyes”.SecondoGuest, tuttavia, Hilda era “a day
pupil [that] thought of herself as separated from her classmates with their shared activities
that took place after she had left for home”con una personalità caratterizzata da tratti
essenziali: “her bizarre beauty, her attraction to danger, and the need for a rescuer”. La cara
amica Marianne Moore, in aggiunta, nel 1921 scrive in una lettera:
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The Gift, 5.