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INTRODUZIONE
Il fenomeno degli hikikomori, i cosiddetti “ragazzi-tartaruga” che si
autorecludono per lungo tempo nelle loro stanze sta affiorando nelle
cronache di attualità come più come tendenza-moda giovanile che non
come vera e propria sindrome comportamentale. Nonostante i primi casi
siano sorti in Giappone già a partire dai primi anni ‟90 è scarsa la
bibliografia al riguardo, infatti ad oggi sono due soltanto gli autori che se
ne sono occupati nello specifico ad Occidente: l‟antropologa Carla Ricci
e il giornalista Michael Zielenzieger. Due approcci diversi a questa
problematica che ho cercato di integrare nella stesura di questa tesi. Il
primo rivolto strettamente alla ricerca dei nessi psicologico-culturali
tramite esperienza diretta, il secondo offre invece una panoramica
decisamente più ampia e contestualizza la sindrome nel complesso
quadro geo-politico e storico-economico del Sol Levante.
Entrambi questi autori pongono l‟enfasi sulla particolarità della cultura
giapponese in molti aspetti così diversa da quella occidentale. In realtà
hikikomori afferisce alle problematiche dell‟adattamento che in altre
società sono i medesimi, quello che cambia sono probabilmente le
risposte che un ragazzo occidentale può fornire. Si può entrare in una
gang, si può diventare "gotici" o diventare parte di qualche altra
subcultura. In Giappone invece, dove l‟uniformità è ancora la norma e la
reputazione e le apparenze esteriori sono importantissime, la ribellione si
trasforma in forme mute come l‟hikikomori. Quello che in altre culture si
esplica con l‟abuso di sostanze o altri fenomeni “rumorosi”, in Giappone
si tramuta in apatia e in altre "proteste silenziose".
I giapponesi hanno attribuito la causa a diversi fattori che vanno dalla
forte dipendenza che scaturisce da un particolare rapporto madre-figlio,
all‟assenza di un padre assorbito dal superlavoro che rimane tuttavia una
figura autoritaria ed alla pressione sociale che si fa forte di una marcata
forma di categorizzazione dei ruoli a scuola così come sul lavoro ed
anche in famiglia.
Partendo dalla descrizione del disagio hikikomori tale e quale si presenta
attualmente in Giappone ho cercato di mettere insieme quelle che sono
le varie correnti di pensiero al riguardo, le opinioni su probabili cause e i
criteri eterogenei con i quali viene affrontata questa che in Giappone è
divenuta una vera e propria emergenza, per lasciare poi spazio a quelle
che per ora sono solo ipotesi sull‟espansione oltre i confini nipponici di
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quello che è un vero e proprio disagio della civiltà moderna e da cui
nessun Paese economicamente avanzato può ritenersi immune.
Apporto fondamentale a questa tesi è stato lo scambio e-epistolare1 con
l‟antropologa Carla Ricci che attualmente vive e lavora a Tokyo come
ricercatrice presso il Dipartimento di Psicologia Clinica dell‟omonima
università, la quale mi ha indicato un testo essenziale di Takeo Doi per la
comprensione.
1 Tramite e-mail, Carla Ricci vive in Giappone, anche un‟intervista telefonica sarebbe stata di
difficile se non di impossibile attuazione.
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1. I RAGAZZI DELL’AUTOCLAUSURA
“Da un lungo periodo di tempo stavo rannicchiato,
senza muovermi, dolorante in un angolo della stanza”
(HIRANO, 2003)
Letteralmente Hikikomori (ひきこもり o 引き篭りsignifica «stare in
disparte, isolarsi» è un termine giapponese che sta ad indicare un
fenomeno comportamentale riguardante gli adolescenti e i giovani post-
adolescenti in cui si rigetta la vita pubblica e si tende ad evitare qualsiasi
coinvolgimento sociale. Quindi ci si isola chiudendosi nella propria
stanza e interrompendo volontariamente ogni genere di rapporto con gli
altri.
Il termine fu coniato dallo psichiatra giapponese Saitō Tamaki, che
all‟inizio degli anni ‟80 individuò in Giappone un numero sempre
crescente di giovani, che per motivi spesso legati ad una forma di apatia
scolastica, interrompevano le comunicazioni con il mondo sociale e si
rifugiavano nella propria stanza rimanendovi ininterrottamente per
lunghi periodi. Venne individuato come parametro per definire lo stato
di hikikomori un periodo di autoreclusione superiore ai 6 mesi.
Oggi secondo i dati ufficiali ottenuti dai centri di supporto Npo2 gli
adolescenti che in Giappone praticano hikikomori sono attualmente più
di un milione, (il 2%dei giovani e l‟1% dell‟intera popolazione) di cui
oltre il 90% di sesso maschile, di estrazione sociale medio-alta, cioè con
entrambi i genitori conviventi laureati, padre occupante posizioni
dirigenziali e la madre solitamente casalinga.
Rispetto ai dati ufficiali del numero dei casi hikikomori, ci sono altre
fonti come quella dell‟associazione dei genitori HKJ, che denunciano un
numero ben più elevato, pari cioè a circa 1.600.0003. Questo sarebbe
giustificato anche dal fatto che i genitori vergognandosi per ciò che sta
avvenendo in famiglia, a meno che non si presentino condizioni
2 Non Profit Organization, centri di supporto sovvenzionati dal Ministero della Salute, Sanità
e Lavoro. Giapponese.
3 “Hikikomori Giovani in volontaria reclusione”(vd.bibliografia)Dato apparso su un articolo
del quotidiano più accreditato in Giappone, Asashi Shimbun, 22.05.06.
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insostenibili, non interpellano il medico e non ne parlano con nessuno
cosicché i casi non vengono censiti.
Contrariamente a ciò cui sono pervenuti i medici, l‟opinione pubblica e i
massmedia promuovono la tendenza a considerare hikikomori una
malattia, poiché non è concepibile che una persona in buona salute
voglia allontanarsi, anche fisicamente dal proprio gruppo, primo fra tutti
la famiglia.
Per quanto riguarda l'uso della tecnologia di internet Ricci fa un
distinguo importante. Contrariamente a ciò che si pensa e spesso viene
detto, scritto sui quotidiani, si associa hikikomori con l‟uso/abuso della
tecnologia di internet e della comunicazione multimediale a discapito dei
rapporti vis-à-vis. In realtà l'hikikomori rifiuta la comunicazione in toto,
quindi rifiuta la società. Per questo motivo ad esempio i Neets, i Freeters
e persino gli Otaku godono di maggiore tolleranza rispetto all'hikikomori
che invece è oggetto di disprezzo da parte dell‟opinione pubblica.
CHIUDERE FUORI L‟ALTRO
Ma chi è l'hikikomori? Un ragazzo giapponese tra 12 e 30 anni,
prevalentemente maschio, che improvvisamente, si sottrae alla vita
sociale. Si allontana dalla scuola, dagli amici e dai familiari e tende a
vivere al contrario: dormendo di giorno e svegliandosi al tramonto, per
trascorrere la notte svegli, leggendo, meditando. Alcuni si recludono nella
cucina o nella soffitta, adottano una parte della casa come proprio
territorio rendendolo inaccessibile ai familiari a costo di difenderlo con la
violenza. Anni fa i giornali parlarono a lungo della storia del «ragazzo
nella cucina»: Akio era tornato da scuola una mattina e vi si era rinchiuso,
aggredendo i genitori ogni volta che tentavano di accedervi.
Il ritiro in hikikomori avviene quasi sempre dopo un periodo più o meno
prolungato di assenza scolastica; i dati riferiscono che il 90% dei soggetti
hikikomori l‟ha praticata; le ragioni che giustificano questa assenza non
sempre sono evidenti; a volte l‟abbassamento del rendimento oppure in
seguito ad una bocciatura. La severità degli esami per le selezioni di
accesso alle scuole e alle Università in Giappone è cosa nota anche in
Occidente. La preparazione è lunga ed estenuante, si trasforma in una
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vera ossessione per i ragazzi tanto che quando fallisce, non è raro il
verificarsi di casi suicidio.
Sono molti i racconti autobiografici che sia l‟antropologa italiana Carla
Ricci4 nel suo lavoro di ricerca in Giappone, sia il giornalista americano
Michael Zielnzieger nel suo saggio5 riportano come testimonianza e
descrizione del ritiro sofferente di questi ragazzi. Questi ultimi però, una
volta usciti dalle loro stanze dopo anni di isolamento, faticano a parlarne.
Ricci asserisce che durante i colloqui con alcuni di loro era praticamente
impossibile avere una conversazione spontanea su questo argomento se
non ponendo la domanda diretta, cosa che sarebbe stata a suo dire
l‟equivalente di un atto di arroganza, una violenza. Rappresenta
un‟eccezione il caso di coloro i quali, una volta usciti da hikikomori,
decidono spontaneamente di raccontare la loro storia, ed è il caso di
“Metamorfosi”6 di Hirano, bibliografia di un giovane uomo giapponese
che narra il suo hikikomori e a partire dalla quale l‟antropologa Ricci
inizia il suo percorso di ricerca:
“Attraverso la storia di Hirano, la sua tristezza e l‟uso di parole chiave
come trasformazione, identità, il vero sé, ruolo che emergono
costantemente in ogni capitolo, ho percepito che hikikomori non poteva
essere considerato solo una forma di depressione personale ma
un‟espressione di sofferenza sociale […]”
Anche il regista Katsumi Sakaguchi ha voluto raccontare hikikomori7
affidando il ruolo dell'attore protagonista ad un vero ex hikikomori. Egli è
Yusuke Nakamura, che nel film (come nella sua trascorsa vita reale) si
rinchiude a chiave nella sua stanza, lasciando fuori l'intero universo.
4 Carla Ricci antropologa e ricercatrice presso il Dipartimento di Psicologia dell‟Università di
Tokyo. Da anni svolge ricerca sul campo in Giappone dove si è specializzata in tematiche
psico-sociali.
5 Michael Zielenzieger è giornalista e ricercatore all‟Università di Berkley in California, si
occupa di rapporti socio-economci tra Oriente e Occidente. Dal 1990 al 2003 è stato
corrispondente da Tokyo per la Knight Ridder Newspaper. Il suo sito ufficiale è
www.shuttingoutthrsun.com.
6 “Metamorfosi”, Hirano, 2003.
7 Il suo film "Ao no to", "La torre blu" (anno 2000). "Blu" che, nella lingua inglese (blue),
non indica solo il colore azzurro o turchino, ma anche uno stato psicologico di malinconia e
depressione.