IX
Introduzione
―A Beirut non c‘è la verità, ma solo
versioni‖.
Bill Farrell, ex corrispondente in
Medio Oriente del New York Times
1
Quando noi occidentali pensiamo a Hezbollah, le immagini corrono subito
agli attentati suicidi, ai rapimenti di stranieri e ai dirottamenti aerei degli anni
Ottanta, oppure alla guerriglia contro Israele nel sud del Libano, ed in particolare
alla guerra dell‟estate 2006.
Sin dalla sua incerta fondazione all‟inizio degli anni Ottanta (variamente
collocabile tra il 1982 ed il 1984, ma secondo alcuni studiosi addirittura al 1978),
Hezbollah è stato etichettato in molti modi: milizia, movimento della resistenza
islamica, organizzazione terroristica, ente assistenziale e, da ultimo, partito politico.
Hezbollah, dal canto suo, non si è mai curato troppo delle etichette che gli vengono
attribuite, semmai ha sempre saputo sfruttarle a proprio vantaggio a seconda delle
diverse contingenze storiche. Ma la percezione che il Partito di Dio ha di se stesso è
rimasta immutata negli anni. Per contro, i numerosi autori che hanno tentato, da
diverse angolature, di penetrare questa realtà monolitica, e poliedrica al contempo,
sono appena riusciti a scalfirla, spesso rimanendo prigionieri di quelle stesse
etichette da loro create, così facili da affibbiare, così difficili da rimuovere.
In effetti, gli studi su Hezbollah si possono dividere in due grandi categorie.
Quelli che si concentrano sugli aspetti più “rivoluzionari” e “bellici” del
movimento, sul suo essere organizzazione terroristica, milizia armata o movimento
resistenziale (in realtà si tratterebbe di tre aspetti ben distinti, ma che vengono
spesso fusi assieme quali diverse estrinsecazioni di un‟unica forma di violenza
politica), nonché sui suoi legami con Siria ed Iran, di cui Hezbollah sarebbe poco
più che un agente. E quelli che si concentrano invece sulle trasformazioni politiche
attraverso cui è passato il Partito di Dio nel corso degli anni – soprattutto a cavallo
tra gli anni Ottanta e Novanta (morte di Khomeini, fine della Guerra Fredda, prima
Guerra del Golfo, partecipazione alle elezioni politiche del „92) e poi dal 2000
1
Citato da FRIEDMAN Thomas L., Da Beirut a Gerusalemme, Mondadori, Milano, 1990, pag. 46.
X
(ritiro di Israele dal Sud del Libano, ingresso nel governo nel 2005) – che ne
avrebbero alterato il fervore ideologico iniziale, preconizzandone un ineluttabile
processo di secolarizzazione-istituzionalizzazione.
Il primo approccio, soprattutto in voga negli anni Ottanta, ha ritrovato
nuovo vigore in seguito agli attentati dell‟11 settembre allorché Hezbollah e i vari
movimenti riconducibili alla galassia qaedista furono messi in un unico calderone
politico-mediatico, con buona pace delle profonde differenze storiche, ideologiche
e culturali che sussistono tra le due realtà. Ciò ha contribuito non poco a
confondere, a far perdere loro tipicità ai già scarsi elementi di conoscenza sul
Partito di Dio. Peraltro, in questo esercizio di mistificazione storico-culturale si
sono cimentati un po‟ tutti: giornalisti, politici e studiosi più o meno interessati.
La rilettura delle dichiarazioni/analisi di quel periodo ce ne offre un
paradigma piuttosto evidente. Già all‟indomani dei fatti dell‟11 settembre, un
gruppo di 41 eminenti studiosi di ispirazione neocon, capitanati da William Kristol,
scriveva in una lettera aperta al presidente George W. Bush che “Hezbollah è una
delle principali organizzazioni terroristiche al mondo (…) chiaramente ricade nella
categoria citata dal Segretario Powell di quei gruppi ‗che non hanno buone
intenzioni nei nostri confronti‘ e ‗che hanno precedentemente condotto attacchi
contro personale americano, interessi americani e nostri alleati‘. Pertanto,
qualsiasi guerra al terrorismo deve prendere di mira Hezbollah”
2
. La risposta non
si fece attendere: Hezbollah, che inizialmente non era stato incluso nel famoso
Executive Order 13224, firmato da Bush il 23 settembre 2001 per combattere al-
Qaeda ed i suoi affiliati nel mondo
3
, venne “ripescato” con un emendamento il
successivo 31 ottobre e classificato dal Dipartimento del Tesoro come uno
Specially Designated Global Terrorist (SDGT) in virtù della sua “portata globale”
(global reach)
4
. Pochi mesi dopo, nel “Discorso sullo Stato dell‟Unione” del
2
“Letter to President Bush on the War on Terrorism”, 20 settembre 2001, consultabile sul sito del
Project for the New American Century, (http://www.newamericancentury.org/Bushletter.htm). Tra i
sottoscrittori della lettera aperta vi erano studiosi del calibro di Robert Kagan, Francis Fukuyama e
Richard Perle.
3
“Executive Order 13224”, United States Department of State, Office of the Coordinator for
Counterterrorism, 23 settembre 2001 (http://www.state.gov/s/ct/rls/other/des/122570.htm).
4
In realtà, già in seguito all‟Executive Order 12947, firmato il 25 gennaio 1995 dal presidente
Clinton, Hezbollah era stato classificato come uno Specially Designated Terrorist (SDT) dal
Dipartimento del Tesoro e successivamente, nel 1997, come una Foreign Terrorist Organization
XI
gennaio 2002 – il primo della sua “Guerra al Terrore” – Bush citò esplicitamente
Hezbollah, Hamas, il Jihad Islamico ed altri, includendoli in un “mondo del
terrorismo” (terrorist underworld)
5
che minaccia le fondamenta stesse della
democrazia americana. Ancora, nel settembre 2002, il sottosegretario alla Difesa
americano Richard Armitage definiva Hezbollah la “prima squadra” (A-Team) del
terrorismo internazionale, laddove al-Qaeda era solo la seconda (B-Team)
6
. Pochi
mesi dopo il sen. Bob Graham, presidente della Commissione sui Servizi di
Intelligence del Senato americano, vagheggiava di campi di addestramento di
Hezbollah nella Valle della Beka‟a, “dove una nuova generazione di terroristi viene
formata”, e di “operativi che sono stati ora introdotti nel nostro paese, attendendo
istruzioni per entrare in azione”
7
. A sua volta, l‟ex Direttore della CIA, George
Tenet, riferiva al Congresso nel 2003 che “Hezbollah, in quanto organizzazione con
un potenziale ed una presenza su scala mondiale, è uguale [ad al-Qaeda], se non
addirittura superiore. In effetti, credo che sia un gradino sopra in molti rispetti”
8
.
Valutazioni riprese dal suo successore, Porter J. Goss, che, in un‟audizione al
Senato del 2005, dichiarava che “[Hezbollah] potrebbe rapidamente condurre
attacchi contro interessi americani, se solo lo decidesse. Stimiamo che ne abbia la
capacità”
9
. L‟anno successivo, fonti di intelligence citate dal New York Times,
rigorosamente under condition of anonimity, riferivano che Hezbollah stesse
addestrando membri dell‟Esercito del Mahdi iracheno nella Valle della Beka‟a, il
(FTO) dal Dipartimento di Stato. Quello che rileva qui è l‟aggiunta dell‟aggettivo global a rimarcare
la capacità di Hezbollah di colpire in qualsiasi parte del mondo.
5
BUSH George W., “Address before a Joint Session of the Congress on the State of the Union”,
Washington D.C., 29 gennaio 2002, consultabile sul sito della Casa Bianca (http://georgewbush-
whitehouse.archives.gov/news/releases/2002/01/20020129-11.html). Sul punto si veda anche United
States Department of State, “Patterns of Global Terrorism 2001”, Maggio 2002, pag. 57
(http://www.state.gov/s/ct/rls/crt/).
6
Aggiungeva poi che l‟Iran ne era il proprietario e la Siria l‟allenatore. Riportato da Reuters, 9
settembre 2002.
7
GRAHAM Bob, “Collateral Damage: Iraq and the Future of US-Syrian Relations”, Council on
Foreign Relations, Washington D.C., 24 aprile 2003.
(http://www.cfr.org/publication/5909/collateral_damage.html).
8
Citato da BYMAN Daniel, “Should Hezbollah Be Next?”, Foreign Affairs, November-December
2003, pag. 12.
9
“Statement of the Honorable Porter J. Goss, Director of Central Intelligence”, Current and
Projected National Security Threats to the United States, Hearing before the Select Committee on
Intelligence United States Senate, 16 febbraio 2005, consultabile sul sito della Select Committee on
Intelligence (http://intelligence.senate.gov/threats.pdf).
XII
tutto con il beneplacito dell‟Iran
10
. Per non essere da meno, l‟ex capo del
Dipartimento della Homeland Security, Michael Chertoff, riprendendo il paragone
calcistico di Armitage, dichiarava durante una conferenza a Gerusalemme che “ad
essere onesti, [Hezbollah] fa sembrare al-Qaida una squadretta‖ e ―pone la più
grande minaccia alla sicurezza nazionale”
11
. Infine, una menzione speciale merita
il rapporto finale della 9/11 Commission che in più punti – il Partito di Dio vi è
citato ben 22 volte – parla dei collegamenti esistenti da tempo tra Hezbollah ed al-
Qaeda, ed in particolare del fatto che alcuni degli attentatori dell‟11 settembre
avrebbero ricevuto sostegno logistico dall‟Iran e dallo stesso Hezbollah
12
.
Diversi stati, sulla base delle suddette analisi, hanno etichettato Hezbollah,
in tutto o in parte, come un‟organizzazione terroristica. A parte, ovviamente,
Israele, il Partito di Dio è nella black list di Stati Uniti
13
, Australia
14
, Canada
15
,
Olanda
16
e Regno Unito
17
. L‟Unione Europea, dal canto suo, non ha una posizione
univoca (ma questa non è una novità), sebbene vi siano alcune dichiarazioni (non
vincolanti) del Parlamento Europeo che andrebbero nella direzione di un‟inclusione
di Hezbollah tra le organizzazioni terroristiche
18
.
Ma etichettare Hezbollah come un‟organizzazione terroristica si è rivelata
un‟operazione piuttosto fallimentare da un punto di vista epistemologico in quanto
basata, nel migliore dei casi, su fonti aneddotiche, indiziarie o di parte (cioè
israeliane), peraltro del tutto decontestualizzate da un punto di vista storico e
10
GORDON Michael; FILKINS Dexter, “Hezbollah Said to Help Shiite Army in Iraq”, New York
Times, 28 novembre 2006.
11
“Chertoff: Hezbollah Makes Al Qaeda Look „Minor League‟”, Fox News, 29 maggio 2008.
12
“The 9/11 Commission Report. Final Report of the National Commission on Terrorist Attacks
upon the United States”, National Commission on Terrorist Attacks upon the United States,
Washington D.C., July 22, 2004, pagg. 61, 85, 128, 240, 257-258, (http://www.9-
11commission.gov/report/911Report.pdf).
13
Si veda la lista delle Foreign Terrorist Organizations (FTO), pubblicata annualmente dal
Dipartimento di Stato (http://www.state.gov/s/ct/rls/other/des/123085.htm).
14
“Listing of terrorist organisations”, Australian National Security, 29 novembre 2010
(http://www.nationalsecurity.gov.au/agd/WWW/NAtionalSecurity.nsf/Page/What_Governments_are
_doingListing_of_Terrorism_Organisations).
15
“Listed Entities”, Public Safety Canada, 2 gennaio 2011
(http://www.publicsafety.gc.ca/prg/ns/le/cle-eng.aspx).
16
“Annual Report 2004”, General Intelligence and Security Service, 21 agosto 2005.
(http://english.minbzk.nl/general/advanced-search?Zoe=hezbollah&ZoeSitIdt=103).
17
“Proscribed terrorist groups”, Home Office, 7 maggio 2010
(http://www.homeoffice.gov.uk/publications/counter-terrorism/proscribed-terror-groups/proscribed-
groups?view=Binary). È da notare, tuttavia, che Australia e Regno Unito considerano come
organizzazione terroristica solo l‟ala militare del partito e non l‟intera organizzazione.
18
ALIC-TRACY Jennifer, “Defining Hizbollah”, ISN Security Watch, 21 febbraio 2005.
XIII
geografico. La produzione di conoscenza che ne è derivata è stata inevitabilmente
scarsa e poco affidabile. Ciò, peraltro, è il portato di un modo di procedere ormai
diffuso in materia di studi sul terrorismo, tanto negli ambienti dell‟intelligence che
dell‟accademia, che ritiene di poter fare a meno dell‟onere della prova e di tutto ciò
che ne consegue sul piano metodologico. In realtà, il fatto stesso che si sappia
ancora così poco di Hezbollah, sarebbe per taluni la prova regina della sua
pericolosità. Conseguentemente, a parte qualche elemento (tutto da verificare) sul
potenziale bellico e sull‟organigramma di Hezbollah, questi studi ci hanno detto
ben poco sulla sua base sociale, sulla sua rete di welfare, sulle sue evoluzioni
storiche, sulla sua ideologia e sulla sua piattaforma politica.
Seppur in assenza di prove irrefutabili risultasse innegabile un ruolo di
Hezbollah in alcuni sanguinosi attentati terroristici – tra tutti quelli del 23 ottobre
1983 alle caserme dei marines americani e dei parà francesi che causarono
rispettivamente 241 e 59 morti – sarebbe altrettanto innegabile che Hezbollah non
ricorre più a tali forme di violenza politica da almeno quindici anni. Peraltro,
mentre tutti i suddetti attentati recano una chiara firma iraniana, ben più
controverso tra gli studiosi è il ruolo svolto da Hezbollah, soprattutto per quanto
riguarda quelli avvenuti fuori dal Libano (ad esempio, i due attentati del 1992 e del
1994 in Argentina e quello del 1996 alle Khobar Towers in Arabia Saudita). Né vi
sono evidenze credibili che colleghino Hezbollah ai vari attentati compiuti dal
network di al-Qaeda nell‟ultimo decennio. E non bisogna dimenticare che
Hezbollah ha sempre negato ogni coinvolgimento in questo genere di atti, mentre
ha sempre rivendicato con orgoglio le proprie “operazioni di martirio” contro le
forze di occupazione israeliane in Libano.
Questi studi, inoltre, non tengono conto che mentre i movimenti qaedisti o
salafiti propugnano una visione apologetica dell‟Islam, statica ed immutabile nella
sua perfezione (il ritorno ad una mitica “età dell‟oro” dell‟Islam attraverso la
restaurazione del Califfato), Hezbollah, al contrario, è dotato di una notevole
duttilità, non solo a livello tattico, ma anche strategico, forte anche di un apparato
ideologico-dottrinale ben più sofisticato delle rudimentali analisi dei seguaci di bin
Laden. Ciò è in parte ascrivibile all‟adozione da parte di Hezbollah della versione
khomeinista della dottrina del “vicariato del giureconsulto” (wilayat al-faqih) – il
XIV
“giurista vicario” (wali al-faqih) del Dodicesimo Imam, cui il Partito ha giurato
obbedienza, può infatti nella sua infinita saggezza variare il proprio orizzonte
strategico a seconda delle diverse circostanze storiche – ed in parte alla particolare
instabilità interna del Libano, nonché alla sua porosità alle influenze esterne, fattori
questi che richiedono la capacità di sapersi adattare rapidamente ad un quadro
nazionale e regionale in perenne mutazione. Infine, sebbene Hezbollah si richiami
certamente ai valori del panislamismo, non è un movimento jihadista globale. Al
contrario, la sua agenda islamista è stata sempre compenetrata da una peculiare
forma di nazionalismo. La priorità di Hezbollah rimane infatti il fronte interno:
liberare il Libano dall‟occupazione israeliana (con un occhio, eventualmente, a
Gerusalemme e alla Palestina) e migliorare la condizione della comunità sciita
all‟interno del paese. Insomma, un movimento islamo-nazionalista poco interessato
a compiere operazioni al di fuori del suo ambiente circostante (il “global reach” di
Hezbollah, se esiste, è molto poco sfruttato).
Al riguardo, a differenza di molti altri movimenti armati di tipo
insurrezionale-rivoluzionario-resistenziale e/o terroristico che, al termine di un
processo di riconciliazione nazionale spesso conseguente ad una guerra civile,
hanno deposto le armi e “contrattato” con i loro rispettivi avversari una qualche
forma di legittimazione politica (è il caso, ad esempio, dell‟Irish Revolutionary
Army [IRA], dell‟African National Congress [ANC], del Front de Libération
Nationale [FLN] o della stessa OLP), Hezbollah è riuscito a compiere un piccolo
capolavoro: non solo è entrato nel mainstream politico senza deporre le proprie
armi (mentre tutte le altre milizie lo facevano, ad eccezione dei palestinesi,
naturalmente), ma, almeno fino al 2000 (data del ritiro dell‟esercito israeliano dal
Sud del Libano), e forse anche oltre, è riuscito a “nazionalizzare” il proprio braccio
armato, a “venderlo” ai libanesi, compresi molti non musulmani, come un grande
movimento di liberazione nazionale. Di più, a proporlo come una sorta di “corpo
ausiliario” dell‟esercito libanese, un “esercito di popolo” a difesa della nazione
libanese.
Per quanto riguarda le attività socio-assistenziali di Hezbollah, gli studi sul
terrorismo tendono ad ignorarle o a considerarle un aspetto secondario rispetto alle
ben più preminenti attività militari del Partito di Dio. Questi studi dimenticano che
XV
la formidabile rete di welfare di Hezbollah, lungi dal costituire un‟attività residuale,
si è sviluppata contestualmente al suo apparato militare e, in qualche caso, lo ha
addirittura anticipato. Questi due aspetti sono talmente complementari che l‟uno
integra l‟altro. L‟apparato socio-assistenziale di Hezbollah non si limita infatti a
fornire alle masse diseredate sciite dei servizi primari sostitutivi o alternativi
rispetto a quelli ben più scarsi elargiti dallo stato, ma, al pari dell‟apparato militare,
crea un insieme di significati individuali e collettivi attraverso cui mobilita le
proprie constituencies e le dota di un comune senso di appartenenza.
Queste constituencies, infine, non sono solo costituite da masse di giovani
diseredati, manipolati dalla propaganda di Hezbollah, come vorrebbero gli studi sul
terrorismo, ma costituiscono un gruppo ben più stratificato ed eterogeneo di cui
fanno parte anche settori delle classi medie ed intellettuali. Né questo approccio
fornisce una spiegazione dell‟alleanza tra Hezbollah ed i cristiani del generale
Aoun…
Altrettanto inadeguati sono risultati i tentativi di descrivere il processo di
“libanizzazione” imboccato da Hezbollah agli inizi degli anni Novanta, un processo
che avrebbe condotto il Partito di Dio, una volta entrato nell‟alveo dei partiti
mainstream, ad un processo irreversibile di normalizzazione e di
istituzionalizzazione. Questo processo segnerebbe una nuova fase nella vita di
Hezbollah, contraddistinta dalla rinuncia alla violenza politica (in tutte le sue varie
espressioni) e dall‟adozione di forme di pragmatismo politico che relegano
l‟ideologia religiosa e la rivoluzione islamica in secondo piano.
Questi studi, benché abbiano l‟indubbio merito di aver fornito preziosi
elementi di conoscenza sulla base sociale di Hezbollah e sulle sue attività politiche
e socio-assistenziali, manifestano però il limite di mantenere distinto l‟ambito
militare da quello sociale e politico, di non coglierne le interazioni. Data per
scontata la svolta di Hezbollah verso una qualche forma di pragmatismo politico,
questi studi si preoccupano quasi esclusivamente del futuro del Partito e del
“dilemma strategico” in cui questo si troverebbe a seguito del ritiro degli israeliani
dal Sud del Libano e del suo progressivo “accomodamento” in un sistema politico
che ha condannato per anni come corrotto, indegno e inadeguato.
XVI
È quasi paradossale osservare come nello stesso periodo Hezbollah sia stato
descritto come un‟organizzazione terroristica, meritevole di essere inclusa nell‟Axis
of Evil, e al contempo come un Rebel without a cause
19
, un movimento che persa la
sua spinta rivoluzionaria era destinato ad un ineluttabile processo di
secolarizzazione all‟interno del sistema istituzionale libanese. Com‟è possibile che
si sia giunti a conclusioni così opposte su Hezbollah? Com‟è possibile che
Hezbollah sia considerato nella maggior parte del mondo arabo, compreso quello
sunnita, come un movimento politico pienamente legittimo, mentre in gran parte
dell‟Occidente sia considerato poco meno che un‟organizzazione terroristica? È da
questa constatazione che ci siamo mossi all‟inizio della nostra ricerca, convinti che
su Hezbollah vi fosse in realtà ancora moltissimo da dire, una volta sgombrato il
campo da una coltre di analisi unidimensionali e monodirezionali (e da tanti luoghi
comuni).
Né l‟approccio basato sul terrorismo né quello basato sulla “libanizzazione”
sono infatti riusciti a spiegare come abbia fatto Hezbollah a trasformarsi in un
partito politico che siede addirittura al governo (almeno fino alle recentissime
dimissioni del 25 gennaio), pur mantenendo un forte apparato militare che prosegue
una propria guerra di liberazione nei confronti di Israele.
Singoli studi hanno affrontato mirabilmente alcuni aspetti della storia,
dell‟ideologia o dell‟organizzazione di Hezbollah, e ad essi siamo largamente
debitori, ma nessuno (o quasi) si è cimentato nel tentativo di presentare una lettura
integrale – full spectrum, per usare un termine caro a noi analisti – che ci
presentasse il Partito di Dio nella sua complessità di movimento-partito, ovvero di
un‟organizzazione (armata) che è riuscita a trasformarsi in un partito politico (di
governo) senza perdere la propria caratura rivoluzionaria. Ciò che cercavamo, in
effetti, non era una chiave di lettura per interpretare i diversi cambiamenti che
avrebbero contraddistinto l‟evoluzione di Hezbollah – organizzazione terroristica,
movimento di liberazione, partito politico, ecc. – bensì piuttosto un “cifrario a
griglia” che ci aiutasse a decrittare veramente questi cambiamenti come parti di un
unico processo. In altre parole, ritenevamo che Hezbollah si fosse trasformato in
partito per far meglio la resistenza e che grazie alla resistenza fosse diventato un
19
International Crisis Group (ICG), “Hizbollah: Rebel Without a Cause?”, Middle East Briefing
Paper (30 July 2003).
XVII
partito più forte e credibile degli altri. Volevamo pertanto dimostrare che non di
trasformazioni si trattava, bensì di qualcosa di assimilabile ad un cambiamento di
stato fisico, ad un passaggio della stessa sostanza da uno stato all‟altro in funzione
dei cambiamenti termici; ad esempio, l‟acqua che diventa ghiaccio o vapore. Fuor
di metafora, siamo convinti che Hezbollah sia rimasto fondamentalmente lo stesso,
ma che abbia invece mutato “stato fisico” per adeguarsi ai cambiamenti “termici”
dell‟ambiente circostante.
Per fare ciò abbiamo dovuto “resettare” quanto era stato scritto finora e
ripartire ab imis, rileggere le fonti, sottoporle ad una rigorosa esegesi, eliminare
quelle spurie, sgombrare il campo da tanta paccottiglia spacciata per intelligence,
contestualizzare ogni accadimento nel più vasto contesto regionale e internazionale.
La nostra ricerca è diventata molto simile ad una puntata del noto serial americano
“Cold Case”.
Un doveroso accenno va dedicato brevemente al metodo utilizzato nel
nostro percorso analitico ed alle difficoltà con cui si siamo confrontati.
Dopo aver tratteggiato nel Capitolo 1 le cause remote, lo sfondo
dell‟oggetto della nostra ricerca, abbiamo dedicato il Capitolo 2 ai fatti storici nella
loro semplice ed immediata efficacia, per dotarci di una cronologia ragionata di
eventi che potessero fungere da costante riferimento – ma anche da chiave di lettura
“in sé” – del fenomeno Hezbollah. Mentre i primi due sono, ovviamente, a
vocazione generale (di qui anche la loro maggiore estensione), i successivi Capitoli
(3, 4 e 5) risultano piuttosto specialistici, ma non avrebbero alcuna valenza a sé ove
venissero disgiunti dai primi due, che, invece, assolvono alla funzione di necessaria
premessa e di altrettanto necessario framework.
Ci si è subito, peraltro, imbattuti in due tipi di problemi. Il primo, lo
potremmo senz‟altro definire di “messa a fuoco”. Si è reso, infatti, necessario
adeguare la nostra lente ottica di osservazione all‟ottimizzazione del giusto rilievo
da attribuire all‟oggetto della ricerca, data la sua scala di grandezza, rispetto ai
fenomeni circostanti, di qualsiasi genere, con cui si è trovato ad interagire.
Un‟analisi eccessivamente ravvicinata avrebbe rischiato di non lasciar intravedere,
di tali correlazioni, quelle a più ampio spettro e, forse, di farci attribuire un erroneo
valore relativo al nostro fenomeno. Al contrario, un‟analisi eccessivamente
XVIII
allargata avrebbe potuto addirittura sbiadire, sfocare, il contorno del microcosmo
Hezbollah, oscurandolo sotto una montagna di avvenimenti concomitanti, ma non
“strettamente” necessari, al nostro “dipanare la matassa”.
Il secondo problema, intimamente collegato al primo, consiste nel
cosiddetto “nesso causa-effetto” nel rapporto esistente tra due o più fatti storici. Al
riguardo, abbiamo fatto tesoro di un‟affermazione, che suona quasi come un
monito, di Alexander Haig (“in Medio Oriente tutto è collegato a tutto”), mentre
abbiamo mutuato da una recente opera di Sergio Romano (Con gli occhi dell‘Islam,
pag. 20) una semplice eppure fondamentale constatazione: “la tesi secondo cui il
«Partito di Dio» sarebbe semplicemente un‟organizzazione terroristica è troppo
schematica (…) il giudizio dipende dall‟orizzonte temporale (…) Nel caso del
Libano è utile tornare alla grande crisi del Libano negli anni Settanta e Ottanta”.
Abbiamo quindi cercato in quell‟orizzonte temporale il “bandolo” della matassa che
ci proponevamo di dipanare, ben consci, peraltro, delle difficoltà cui accennava il
generale, già Segretario di Stato americano.
È vero che la storia non si fa con i “se”. Ma lo studioso ha comunque il
dovere di cercare anche al di là di ciò che appare immediatamente evidente alla sua
rilevazione, e un‟ipotesi da corroborare con ulteriori ricerche, e forse anche con una
diversa “disposizione” dei fatti, non può che cominciare con un “se…”. È questo il
motivo che ci ha indotto ad introdurre a più riprese, soprattutto nei primi due
Capitoli, alcuni avvenimenti, su scala regionale o internazionale, che, pur non
avendo un diretto ed immediato nesso causale con Hezbollah, cionondimeno
potrebbero aver contribuito alle scelte, alle azioni (nella loro distonica varietà),
effettuate dal movimento-partito sciita; o che, quale ipotesi minimale, hanno
senz‟altro offerto un contributo caratterizzante all‟atmosfera in cui si svolgevano i
fatti per noi rilevanti. Peraltro, per delle ovvie ragioni, l‟ultimo periodo della nostra
ricerca (2006-gennaio 2011) ha dovuto servirsi quasi unicamente di fonti
giornalistiche e di qualche (rara) buona analisi elaborata dai think tank (su tutti, ci
piace ricordare l‟International Crisis Group per l‟indipendenza e la lucidità di
giudizio che lo contraddistingue). Ciò avveniva di pari passo all‟ingigantirsi del
volume delle informazioni rese disponibili per effetto dello sviluppo della
tecnologia e della cosiddetta globalizzazione.
XIX
Nello stesso periodo, il potere di chi detiene, modella/manipola e diffonde
l‟informazione, a sua volta, è cresciuto in forma esponenziale. Potendo trasformare
dei rumours in news e delle news in rumours, o peggio, decidendo di omettere una
notizia dalla diffusione o di relegarla in un angolo, i “santoni” dell‟informazione
partecipano anch‟essi attivamente all‟accadimento: un fatto di cui non si sa niente è
un non-fatto, si dà per non avvenuto.
Sul versante opposto, quello dell‟enorme messe di dati disponibili, invece, il
problema diveniva piuttosto quello di pervenire alla collimazione tra avvenimenti
connessi. Le fonti, una volta divenute più numerose, si dimostravano più ripetitive,
prolisse e superficiali, ma – e quel che è peggio – anche meno pregnanti ed
affidabili.
Da parte nostra, lungi dal sensazionalismo di alcuni analisti – malattia
invece tipica (e per qualche verso giustificabile) dei media che, a volte, hanno
ovviato con termini che suscitano curiosità alla mancanza di nuovi elementi
d‟informazione o (peggio) alla mancanza di idee e di vision sulla lettura di quelli –
abbiamo letto e vagliato gli eventi senza ricette preconcette. Qualche volta li
abbiamo ricomposti in modo logico e cronologico, in modo che apparisse evidente
il loro effettivo dipanarsi; ma abbiamo accuratamente evitato le dietrologie e i
“teoremi”. In alcuni passaggi, è vero, abbiamo sopperito alla mancanza di
informazioni collegando elementi che, a rigor di logica, erano collegabili solo
attraverso il loro comune dna, ma siamo rimasti sempre con i piedi per terra.
Questa tesi non pretende di svelare verità fondamentali, ma solo di aver
mantenuto la verità come stella polare della propria rotta, e di essersi focalizzata su
eventi veridici, verificati e confrontati. Se giunge a dimostrare qualcosa è che
quello di “demonizzare”, così come, per converso, quello di “divinizzare”, risulta
un mestiere alla lunga rischioso. Tra queste due ipotesi, a scanso d‟equivoci, è
sempre meglio la verità (o lo sforzo verso di essa).
Il risultato, frutto di quattro anni d‟impegno, è racchiuso nelle successive
pagine.
1
CAPITOLO 1
IL LIBANO TRA PRESENTE E PASSATO
Tutto scorre in questo luogo,
per mezzo di un altro che viene da fuori.
Adonis, Beirut. La non-città
1.1 PRESENTAZIONE DEL PAESE
Il Libano odierno (Lubnan in Arabo), situato lungo la costa mediterranea
orientale, tra lo Stato di Israele a sud e la Siria ad est e a nord
1
, è un piccolo paese
del Vicino Oriente la cui superficie è di appena 10.452 kmq (poco meno
dell‟Abruzzo, volendo rapportarla ad una realtà italiana), estendendosi da nord a
sud per 217 km e da est ad ovest per 80 km nel suo punto più largo
2
. La
configurazione del territorio è prevalentemente montuosa, ad eccezione della stretta
pianura costiera e dell‟altipiano della Beka‟a che separa i Monti del Libano da
quelli dell‟Antilibano, lungo la frontiera con la Siria. Morfologicamente si può
quindi dividere il paese in quattro fasce che si estendono parallelamente da nord-est
a sud-ovest e che, come vedremo (infra, §1.8), hanno avuto un‟evoluzione storica e
sociale piuttosto diversa tra loro: la pianura costiera, molto stretta e discontinua
(salvo allargarsi al nord dove prende il nome di Pianura dell‟Akkar), si estende per
circa 220 km, interessando le principali città del Libano (Beirut, Sidone, Tiro e
Tripoli); i Monti del Libano (Jabal Lubnan), generalmente noti come catena del
Monte Libano, occupano circa metà del paese e corrono paralleli alla pianura
costiera, raggiungendo i 3.000 m. di altezza (la vetta più alta è il Qurnet as-Sawda,
3.083 m., a nord, alle cui pendici crescono i rinomati cedri, simbolo del paese); la
piana della Beka‟a (al-Biq‘a, in arabo “valle”), un fertile bacino intermontano sito
ad 800 m. sul livello del mare, si estende per circa 180 km in lunghezza e per 20 in
1
La frontiera con Israele si estende per 79 km, mentre quella con la Siria per 375 km. Il confine con
le alture del Golan, a sud-est (de jure in Siria, ma occupate da Israele fin dal 1967), è contestato dal
Libano in una piccola area chiamata Fattorie di Shebaa (Shebaa Farms), nonostante l‟ONU ne abbia
sancito l‟appartenenza alla Siria. Su questa complessa vicenda, nella quale Hezbollah gioca un ruolo
fondamentale, torneremo ancora nel Capitolo 2.
2
Una prima serie di informazioni di carattere generale sul paese possono essere trovate sul sito del
governo libanese (http://www.informs.gov.lb). Per la cartografia, cfr. Appendici, Tavole I e II.
2
larghezza, confluendo a sud nell‟alta Valle del Giordano ai piedi del monte Hermon
(Jabal al-Shaykh); le aride montagne dell‟Antilibano (al-Jabal ash-Sharqi), meno
elevate e più discontinue rispetto al Monte Libano (la vetta maggiore è costituita
dal Monte Hermon, Jabal ash-Shaykh, 2.814 m.), costituiscono il confine naturale
con la Siria. Grazie alla sua montuosità il Libano dispone di buone risorse d‟acqua,
caso unico nel Vicino Oriente: il Litani (Nahr al-Litani) scorre per 170 km a sud,
interamente in territorio libanese, prima di sfociare nel Mediterraneo a nord di Tiro,
mentre l‟Oronte (Nahr al-Assi) scorre a nord e prosegue in Siria ed in Turchia
3
.
Insieme ai minori corsi d‟acqua Awali, Hasbani, Wazani
4
ed alle numerose falde
freatiche alimentate dallo scioglimento annuale delle nevi e dalle abbondanti
precipitazioni, i due fiumi costituiscono una delle principali riserve idriche della
regione. Il Litani, inoltre, grazie alla costruzione della diga di Karaoun negli anni
Sessanta, costituisce oggi una delle principali fonti di energia idroelettrica del
3
Esiste tutta una letteratura sugli appetiti di Israele nei confronti delle risorse idriche libanesi. Basti
pensare che il Litani, in particolare, arriva a sfiorare i confini israeliani, scorrendo in alcuni tratti ad
appena 4 km dalla frontiera. Il fiume scarica a mare circa 580 milioni di metri cubi d‟acqua per
anno, meno del Giordano, ma di qualità nettamente superiore (il livello salino del Litani è di 20 parti
per un milione contro le 250-200 parti per milione del mar di Galilea). È possibile trovare già nelle
memorie di Theodor Herzl, fondatore del movimento sionista, ampi riferimenti alle acque del Litani.
Nel 1919 un altro dirigente del movimento, Chaim Weizmann, in una corrispondenza con il primo
ministro britannico Lloyd Gorge, dichiarava che “l‘approvvigionamento d‘acqua del popolo ebraico
deve essenzialmente provenire dalle falde del monte Hermon, dalle fonti del Giordano e dal fiume
Litani (…) Riteniamo che sia essenziale che la frontiera settentrionale della Palestina includa la
valle del Litani fino a quasi 25 miglia a monte del gomito, nonché i versanti ovest e sud del monte
Hermon”. Al congresso di Versailles, il 3 febbraio 1919, la delegazione sionista presentò una mappa
dettagliata con il tracciato dei confini del futuro Stato ebraico nel quale si precisava che “la frontiera
comincia dalle rive del Mediterraneo, vicino alla città di Sidone, segue i corsi d‘acqua fino alle
colline della catena del Monte Libano, arriva fino al ponte Qa‘ron per poi scendere verso El Bireh”.
Nel 1941 Ben Gurion sosteneva che per consolidare lo Stato ebraico fosse necessario inglobare al
suo interno le acque del Giordano e del Litani. Per una dettagliata ricostruzione storica di queste
vicende si veda CHESNOT Christian, La Battaille de l‘eau au Proche-Orient, L‟Harmattan, Paris,
1993. Si vedano anche LOWI Miriam R., Water and Power: The Politics of a Scarce Resource in
the Jordan River Basin, Cambridge University Press, Cambridge, 1995; e WOLF Aaron T.,
Hydropolitics along the Jordan River: The Impact of Scarce Water Resources on the Arab–Israeli
Conflict, United Nations University Press, New York, 1995.
4
Il Wazani è oggetto di un annoso contenzioso con Israele: il fiume nasce in territorio libanese,
scorre per qualche chilometro, poi confluisce nell‟Hasbani che scorre verso sud, supera la frontiera e
si getta nel Giordano, partecipando alla sua capacità per circa il 25%. Il Giordano defluisce nel Mar
di Galilea che è la principale fonte di acqua potabile di Israele. Nel 2001 il Ministero libanese
dell‟Energia e dell‟Acqua ha elaborato un piano idrico che prevede la costruzione di una rete di
derivazione, lunga 16 chilometri, che servirà a pompare 10 milioni di metri cubi d‟acqua all‟anno
dal Wazani e trasportarli ad una ventina di villaggi limitrofi (quegli stessi villaggi che durante
l‟occupazione erano costretti a comprare l‟acqua dagli occupanti, nonostante scorresse nel loro
territorio. Si veda SERPELLINI Veronica, “Libano: La Questione Idrica”, Equilibri, 19 aprile 2006
(http://www.equilibri.net/articolo/3991/Libano_la_questione_idrica).
3
paese
5
. Altre risorse naturali, benché non particolarmente rilevanti, sono le saline,
la pietra calcarea e, in misura minore, i minerali ferrosi.
Secondo una ricostruzione etimologica molto diffusa, il Libano deriverebbe
il proprio nome dalla radice semitica lbn, che in diverse lingue mediorientali è
collegata a significati simili come “bianco” e “latte”, con probabile riferimento alle
cime innevate del Monte Libano
6
. Il nome è anche riportato nelle scritture
dell‟antico Egitto come Rmnn, laddove la “R” era l‟equivalente della lettera “L” per
i fenici
7
.
1.2 POPOLAZIONE
La popolazione libanese è composta da un insieme eterogeneo di diversi
gruppi etnici (arabi, armeni, assiri, ebrei, curdi) e religiosi (musulmani, cristiani,
ebrei) che si è stratificato nel corso di oltre 6.000 anni di storia. La sua
conformazione aspra e montuosa, in particolare, ha favorito nei secoli
l‟insediamento di quanti cercavano asilo dalle persecuzioni, fossero essi cristiani
maroniti, musulmani sciiti o drusi
8
. Come vedremo, questa particolare evoluzione
5
Il Litani fornisce da solo circa il 35% dell‟energia idroelettrica del paese. La guerra civile ha,
tuttavia, causato un grave inquinamento delle acque poiché, durante le ostilità, l‟intero sistema di
raccolta e di trattamento dei rifiuti cessò di funzionare.
6
Ad esempio, la parola luban in aramaico ed in ebraico significa “bianco”, mentre ancor oggi in
arabo significa “latte”. ROOM Adrian, Placenames of the World: Origins and Meanings of the
Names for 6,600 Countries, Cities, Territories, Natural Features and Historic Sites, McFarland
Press, Jefferson, 2006, pagg. 214–215.
7
Il nome è citato una settantina di volte anche nell‟Antico Testamento, nell‟Epopea di Gilgamesh ed
in tre delle dodici tavole della biblioteca di Ebla (III millennio A.C.). Si veda BIENKOWSKI Piotr;
MILLARD Alan Ralph, Dictionary of the Ancient Near East, University of Pennsylvania Press,
Philadelphia, 2000, pag. 178.
8
L‘Asile du Liban, come lo definì il celebre orientalista Lammens ad esaltarne la funzione di rifugio
per tutte le minoranze cristiane e musulmane in fuga dalla tirannide sunnita, espressa dapprima dagli
Abassidi e poi dai Mamelucchi e dagli Ottomani. LAMMENS Henri, La Syrie, Précis Historique,
Imprimerie Catholique, Beirut, 1921. Questa tesi, peraltro, è contestata da Salibi il quale, ha
ridimensionato il ruolo di mountain refuge del Libano. Secondo l‟autore, infatti, i maroniti si
rifugiarono nel Monte Libano, provenienti dal nord della Siria, intorno all‟anno Mille per fuggire
alle persecuzioni dei bizantini, e non dei sunniti. Peraltro, all‟epoca, l‟odierno Libano era già abitato
da comunità maronite. Per quanto riguarda i drusi delle montagne dello Chouf libanese, non vi
arrivarono come fuggitivi da altre regioni, ma furono convertiti in loco da predicatori giunti
dall‟Egitto nell‟XI secolo (vedi anche infra, § 1.5). Né vi sono evidenze di esodi massicci
nell‟attuale Libano di sciiti, ismailiti o alawiti. Al contrario, vi sono prove che ismailiti ed alawiti
fossero un tempo numerosi in alcune aree del Libano dove oggi non sono più presenti. I greco-
cattolici della regione di Aleppo si rifugiarono invece nel Monte Libano dopo l‟unione con la Chiesa
di Roma nel 1724 per fuggire alle persecuzioni dei greco-ortodossi, e non dei sunniti.
Analogamente, gli armeno-cattolici della Cilicia si rifugiarono nella regione libanese del Kisrawan
dopo l‟unione del 1740 con la Chiesa di Roma per fuggire alle persecuzioni degli armeno-ortodossi