6
della sottotitolazione, dalle prime forme di trasposizione linguistica per gli
audiovisivi agli albori del cinema sonoro, sino alle prospettive future che vedono la
diffusione a livello capillare di innumerevoli possibilità linguistiche accessibili
attraverso la televisione digitale e l’applicazione della sottotitolazione ad ambiti
diversi da quello cinematografico e televisivo. Segue la suddivisione dei sottotitoli
per tipi in base a criteri linguistici e funzionali: si evidenziano in particolare le
caratteristiche distintive della sottotitolazione per sordi e l’utilità della
sottotitolazione nell’apprendimento delle lingue straniere. Infine si passa alla
valutazione degli aspetti salienti del sottotitolaggio: la componente polisemiotica, le
limitazioni spazio-temporali, le regole di punteggiatura e le convenzioni tipografiche
principali.
Nel terzo capitolo la sottotitolazione è descritta nel dettaglio da una
prospettiva linguistica e traduttiva. Vengono analizzate le tre fasi di realizzazione dei
sottotitoli (riduzione testuale, trasformazione diamesica e traduzione attraverso
strategie specifiche), che non costituiscono stadi distinti e gerarchicamente ordinati,
ma operazioni equipollenti e simultanee che agiscono in ugual modo sulla resa finale.
Le tre operazioni sono illustrate da esempi tratti da film diversi, che rendono più
immediatamente comprensibile la natura e la complessità dei procedimenti
analizzati, nonché la loro interdipendenza.
La seconda parte della tesi contiene la proposta di sottotitolazione di un
episodio della serie televisiva inglese Hetty Wainthropp Investigates, andata in onda
sulla BBC dal 1996 al 1999. La traduzione, preceduta da una breve presentazione del
tv-show e dalla sintesi dell’episodio, è integrata da un commento finale, in cui
vengono esposte le principali difficoltà traduttive incontrate. L’obiettivo è di dare
una dimostrazione pratica della complessità della traduzione filmica per sottotitoli,
esemplificando le nozioni teoriche affrontate nella prima parte.
7
PARTE I
LA SOTTOTITOLAZIONE COME FORMA DI TRADUZIONE
AUDIOVISIVA: ASPETTI TEORICI E PRATICI
1
1
Schermata di selezione sottotitoli del film in DVD Il paradiso all’Improvviso (Leonardo Pieraccioni,
2003).
8
1. LA TRADUZIONE AUDIOVISIVA
1.1. DEFINIZIONE E PRECISAZIONI TERMINOLOGICHE
Con il termine traduzione audiovisiva si intende l’insieme delle modalità di
trasferimento linguistico che si propongono di tradurre i dialoghi originali di prodotti
audiovisivi (che impiegano contemporaneamente il canale acustico e quello visivo),
allo scopo di renderli comprensibili ad un pubblico più vasto.
Sembra opportuno precisare che, nell’ambito degli studi sulla traduzione, la
terminologia utilizzata per parlare di traduzione audiovisiva è abbastanza ricca: in
passato si è parlato e tuttora si parla di traduzione filmica, traduzione per lo schermo,
trasferimento linguistico, traduzione multimediale.
Prendiamo in esame le varie denominazioni.
L’etichetta “traduzione filmica” (film translation), nata nel periodo in cui la
televisione non era ancora molto diffusa, evidenzia l’oggetto della traduzione, cioè il
dialogo del film, escludendo altri prodotti audiovisivi, quali i documentari, i video
commerciali, i messaggi pubblicitari, i video-clip, i programmi televisivi, i cartoni
animati.
Il termine “traduzione per lo schermo” (screen translation) appare di più
ampio respiro in quanto fa riferimento al mezzo di distribuzione dei prodotti
trasmessi – lo schermo televisivo, cinematografico o quello del computer.
L’espressione “trasferimento o trasposizione linguistica” (language transfer),
sottolinea che, nel momento in cui si traduce un prodotto audiovisivo, si interviene
solo sulla componente linguistica, seppur tenendo conto dei suoni e delle immagini
che integrano gli elementi verbali.
La designazione “traduzione multimediale” indica la traduzione di testi
inseriti in un contesto multimediale, ossia, come afferma Heiss (1996:14), "la
traduzione di componenti linguistiche appartenenti ad un ‘pacchetto’ di informazioni
percepite contemporaneamente in maniera complessa”. Attualmente una definizione
del genere non sembra adeguata, dato che il termine multimediale, piuttosto generico
(anche i fumetti sono testi multimediali), è usato principalmente in riferimento al
mondo dell’informatica e quindi si distanzia dai concetti di testo e di traduzione.
9
L’etichetta “traduzione audiovisiva” (audiovisual translation, indicata spesso
con l’acronimo inglese AVT o con quello italiano TAV) sembra essere la più
esauriente, poiché si riferisce alla dimensione multisemiotica di tutte le opere
cinematografiche e televisive i cui dialoghi vengono tradotti. Potremmo definirla
etichetta “contenitore” dal momento che “contiene” le altre (mi riferisco in
particolare alle etichette “traduzione filmica” e “traduzione per lo schermo”)
mettendone in evidenza il tratto comune della dimensione audiovisiva in cui si
inserisce il testo da tradurre. Il termine audiovisivo non indica dunque una particolare
modalità di trasferimento linguistico, ma piuttosto il contesto multisemiotico in cui
si colloca il materiale linguistico da tradurre, contesto costituito da più canali che
agiscono simultaneamente contribuendo a determinare il significato del prodotto in
questione. La designazione “traduzione audiovisiva” è utilizzata per ragioni
economiche con lo scopo di fare riferimento al processo di traduzione del testo
verbale di prodotti audiovisivi2.
Considerando che, nel corso di questo lavoro, mi concentrerò solo sulla
traduzione di film e telefilm, impiegherò le espressioni “traduzione audiovisiva” e
“traduzione filmica” in maniera intercambiabile.
1.2. I VINCOLI DELLA TRADUZIONE AUDIOVISIVA
È stato evidenziato che l’esistenza di una traduzione completamente libera da
vincoli è del tutto improbabile (Patrick Zabalbeascoa, 1997, p. 330): ciascuna
operazione di trasferimento linguistico è sottoposta a determinate restrizioni e la
traduzione filmica non fa eccezione. Quali sono dunque i vincoli che condizionano la
traduzione per gli audiovisivi? Per rispondere a questa domanda è necessario in
primo luogo capire che cosa si intende per testo audiovisivo.
Il testo audiovisivo rappresenta una tipologia testuale a sé stante,
caratterizzata dalla combinazione di segni verbali acustici (i dialoghi) e visivi (testi
scritti, lettere, giornali, insegne, manifesti, didascalie, etc.) e di segni non- verbali
acustici (musica, rumori, suoni, etc.) e visivi ( immagini, colori, luci, mimica,
movimenti che accompagnano il parlato). Le informazioni veicolate dal canale
audio-orale e da quello visivo sono interdipendenti e vengono percepite dallo
2
Una denominazione precisa e onnicomprensiva, ma non ugualmente “economica” sarebbe
“Trasposizione linguistica per prodotti audiovisivi”.
10
spettatore in maniera simultanea. Un testo audiovisivo, quindi, è contraddistinto dalla
presenza della lingua all’interno di un linguaggio più vasto fatto di forme di
espressione di tipo non linguistico, che partecipano a pieno titolo al processo di
significazione audiovisiva. Con questo non si vuole affermare che il materiale
linguistico, rappresentando solo una delle diverse componenti costitutive, assuma un
valore prettamente sussidiario: è ovvio che il linguaggio verbale è il principale
veicolo di comunicazione attraverso il quale vengono scambiati i significati. Come
asserisce Cipolloni “Nel cinema la lingua è situata dentro a un altro linguaggio, ma in
una posizione capace di modificare il processo di significazione da cui dipende la
nostra percezione di quel linguaggio” (Cipolloni 1996: 43). Pur rivestendo un ruolo
centrale, la componente verbale risulta sempre e comunque strettamente
interconnessa alla sfera sonora e visiva del testo audiovisivo e, molte volte, tra i due
codici (verbale e non verbale) si instaura un rapporto di interdipendenza.
La traduzione del testo audiovisivo presenta pertanto una serie di
problematiche legate alla compresenza di più canali e più codici: la trasposizione in
una lingua diversa da quella originale richiede operazioni che tengano conto di
questa pluralità di variabili e delle loro diverse intersezioni.
Abbiamo detto all’inizio che il traduttore audiovisivo interviene sulla
componente verbale di un testo multicodice: gli elementi iconografici e sonori
rimangono invariati e sono accompagnati da un testo in una lingua diversa da quella
in cui sono stati originariamente codificati. Nel caso del film, la componente verbale
da tradurre è rappresentata dai dialoghi filmici. Di solito il traduttore lavora solo sul
testo parlato, ma a volte è necessario che intervenga anche sui segni verbali visivi,
per permettere agli spettatori stranieri di avere accesso a tutte le informazioni
contenute nel film, informazioni che in alcuni casi sono di vitale importanza. Per fare
un esempio, durante la proiezione di un film, può capitare che venga inquadrato il
testo di una lettera, la cui lettura è demandata allo spettatore: chiunque non conosca
la lingua in cui è stato girato il film non sarà in grado di decifrare il testo della lettera,
pertanto è necessario che la traduzione di quest’ultimo sia visualizzata sullo schermo
sottoforma di sottotitoli. Si tratta comunque di un caso abbastanza raro: di norma
l’intervento del traduttore interessa esclusivamente il dialogo, che riveste un ruolo
11
centrale nel film: attraverso di esso si sviluppa la trama e sono comunicati gli
atteggiamenti, gli stati d’animo, il carattere dei personaggi.
Chiarito il concetto di testo audiovisivo e stabilito l’oggetto della traduzione
(il dialogo filmico), tenteremo di dare una risposta alla domanda iniziale che
chiedeva quali sono i vincoli che condizionano la traduzione filmica.
La trasposizione linguistica per audiovisivi a differenza della traduzione
scritta di testi scritti3 è sottoposta a restrizioni legate alla natura multimediale del
testo filmico: se nella traduzione tradizionale si devono fare i conti con la sola
dimensione scritta, verbale, nella traduzione audio-visiva si ha a che fare con altre
due dimensioni, quella sonora e quella iconica, sulle quali non si può intervenire. Il
traduttore di un film si trova di fronte ad un’opera predeterminata, in cui le
performance degli attori, i luoghi, i suoni, i gesti sono immutabili; l’unico codice che
gli è concesso di manipolare è quello verbale, che, essendo ben integrato con i canali
audio-orale e visivo, insieme ai quali produce il senso complessivo dell’opera, non
può e non deve essere tradotto in isolamento, pena la perdita di coerenza tra parole
ed immagini, e quindi lo stravolgimento dell’opera nel suo insieme. In altre parole la
traduzione audiovisiva è vincolata principalmente all’immutabilità di immagini e
suoni: le strategie traduttive impiegate sono subordinate al codice visivo, dato che
questo non si può modificare. Se una traduzione fedele al testo verbale originale non
si sposa bene con gli elementi non verbali del film, il traduttore deve intervenire sul
testo parlato, modificandolo radicalmente se necessario, a patto che la traduzione
risulti in sincronia con i codici non verbali e sortisca nel pubblico straniero lo stesso
effetto che il testo originale produce nel pubblico di partenza. A volte i codici non
verbali richiedono al traduttore delle vere e proprie “acrobazie verbali” (Pavesi,
2005). È il caso di espressioni che rimandano obbligatoriamente a immagini che
compaiono sullo schermo e giochi di parole che diventano anche giochi di immagini,
al fine di suscitare ilarità. Il meccanismo del gioco di parole con intenti umoristici si
basa su ambiguità semantiche derivanti da omofonia o polisemia tra parole della
lingua di partenza che difficilmente trovano un equivalente nella lingua di arrivo. Per
fare un esempio, prendiamo in considerazione la traduzione di Sergio Jacquier per la
scena del film Horse Feathers – I fratelli Marx al college (1932, N. Z. McLeod,
3
Fatta eccezione per i fumetti che, essendo costituiti da componenti verbali e iconografiche,
presentano problematiche traduttive molto simili a quelle relative alla traduzione filmica.
12
Horse Feathers)4, in cui il rettore di un college davanti a un documento ufficiale
sprovvisto di sigillo chiede perentoriamente Where’s the seal? (dov’è il sigillo?), e si
vede portare una foca. La comicità della scena è data dall’omonimia in inglese tra
seal ‘sigillo’ e seal ‘foca’, omonimia evidentemente irriproducibile in italiano.
L’impasse nel rendere la battuta umoristica vincolata alla presenza ingombrante del
mammifero nella scena è stata brillantemente risolta attraverso una riscrittura in
italiano che, pur con uno spostamento semantico, ripropone un gioco di parole
centrato sulla stringa di suoni di foca: “Eh un momento. Qua c’è un punto che va
focalizzato. Focalizziamo”. In casi come questo, in cui le immagini contribuiscono,
insieme alle battute che le accompagnano, a generare effetti umoristici, è spesso
necessario intervenire drasticamente sull’unica parte modificabile dell’opera, il testo
verbale. Al traduttore di film è richiesta una grande creatività verbale per ricreare
battute che mantengano la coerenza ad un livello testuale superiore, rispettando le
funzioni e le motivazioni dell’originale.
Altre espressioni la cui traduzione presenta notevoli difficoltà sono le forme
idiomatiche, i proverbi e le forme con più livelli di significato, uno letterale e altri
traslati, che trovano un correlato nell’immagine sullo schermo. To be in somebody’s
shoes ha in italiano un equivalente, “essere o mettersi nei panni di qualcuno”, che si
presta nella maggioranza dei casi a fornire un’ottima traduzione. In un contesto
audiovisivo l’equivalenza può tuttavia essere problematica se, per esempio,
contemporaneamente all’enunciazione della frase fatta sullo schermo, compare un
bambino che effettivamente indossa le scarpe del padre5.
Concluderei il discorso con una citazione di Candace Whitman-Linsen (1992,
p. 103)6:
La traduzione va scolpita e cesellata affinché aderisca in modo convincente
all’immagine visuale e stimoli al contempo l’impressione di autenticità. Pertanto,
richiede acrobazie complesse sul contenuto semantico […], e deve costantemente
arrendersi a banali costrizioni imposte dal mezzo stesso.
4
Pavesi, 2005, p. 17-18.
5
Ibidem, p. 18.
6
Riportata in Perego, 2005, p. 40.
13
1.3. UNA TRADUZIONE TARGET-ORIENTED
Gli studiosi sono concordi nel definire la TAV come una traduzione target-
oriented. Il termine fu coniato nel 1813 da Schleiermacher, il quale teorizzò
l’opposizione fra una traduzione orientata al testo di partenza (source-oriented) e una
traduzione orientata al pubblico d’arrivo7 (target-oriented), sostenendo
l’inconciliabilità delle due vie.
Una traduzione orientata al testo di partenza mira all’equivalenza formale,
cioè alla riproduzione naturalmente più vicina della forma (stile, sintassi, morfologia,
lessico, etc.) e del contenuto (significato) del testo di partenza, mentre l’obiettivo di
una traduzione orientata al pubblico d’arrivo è l’equivalenza dinamica8, basata sul
principio dell’effetto equivalente del testo di arrivo sul fruitore: ciò che conta è la
relazione tra messaggio e ricevente e, in particolare la risposta del ricevente al
messaggio, che deve uguagliare quella originariamente suscitata dal messaggio nel
ricevente originale. Per raggiungere tale scopo è necessario conferire al testo di
arrivo totale naturalezza di espressione, prescindendo in alcuni casi completamente
dalla forma linguistica impiegata.
La traduzione source-oriented dà più importanza alla lingua e alla cultura di
partenza, mentre la traduzione target-oriented mette al primo posto il destinatario del
testo di arrivo, e quindi la sua lingua e la sua cultura. Visti in questa prospettiva, i
concetti di source-orientedness e di target-orientedness non si discostano troppo
dalle nozioni di straniamento ed omologazione (o addomesticamento) di cui parla
Lawrence Venuti. Vediamo subito perché. Mirando a risvegliare nel destinatario il
senso di lontananza, specificità ed estraneità del testo tradotto e della cultura che esso
rappresenta, lo straniamento privilegia la cultura e la lingua di partenza, enfatizzando
la natura esotica del TP9. L’addomesticamento, essendo finalizzato a neutralizzare
l’estraneità culturale del TP straniero allo scopo di renderlo il più possibile familiare
al destinatario, predilige la lingua e la cultura di arrivo. Lo straniamento è un metodo
traduttivo che, come dice Venuti, “porta il lettore all’estero”, cioè lo immerge in una
7
Per definizione, tutte le operazioni di trasferimento linguistico sono orientate al pubblico di arrivo: la
traduzione nasce per agevolare un pubblico di persone di lingua X che non sono in grado di
comprendere la lingua in cui il testo di partenza è stato codificato. I due metodi si differenziano
semplicemente perché agevolano il lettore in misura diversa.
8
Detta anche equivalenza comunicativa, funzionale, situazionale.
9
TP sta per “testo di partenza”, mentre TA sta per “testo di arrivo”.
14
realtà diversa dalla sua, evitando che si affermi il dominio ideologico della cultura di
arrivo. L’omologazione , al contrario, avvicina il testo di partenza alla cultura di
arrivo, con un effetto normalizzante e neutralizzante, privando i produttori del testo
di partenza della loro voce e riformulando i valori culturali stranieri in funzione di
ciò che è familiare per la cultura dominante. Lawrence Venuti esprime un chiaro
giudizio di valore su entrambi gli approcci. In questa sede ci limitiamo a esporre i
tratti essenziali dei due metodi, senza schierarci a favore dell’uno o dell’altro, dal
momento che il nostro intento è puramente descrittivo.
Tornando al discorso sulla traduzione filmica, sorge spontaneo domandarsi
perché il traduttore debba tassativamente venire incontro alle esigenze del pubblico
di arrivo. La risposta è semplice: i film si contraddistinguono per la loro
immediatezza e per la monodirezionalità della situazione comunicativa che non
permette richieste di correzioni o di riformulazioni in itinere, né dà allo spettatore la
possibilità di fermarsi a riflettere sul significato di un qualsiasi enunciato, dal
momento che le immagini continuano a scorrere inesorabilmente sullo schermo. Se il
film tradotto presenta troppi elementi sconosciuti al pubblico di arrivo e non è
comprensibile, è compromesso per sempre: il destinatario non riuscirà mai a godere
appieno dell’opera, dato che sarà impegnato a chiedersi in continuazione se è lui a
non capire o se è il traduttore ad aver “sbagliato”. Il primo obiettivo del traduttore di
film deve essere l’equifunzionalità: i dialoghi tradotti devono funzionare allo stesso
modo dei dialoghi originali. Un prodotto che sia del tutto efficace ed accettabile per
il pubblico di arrivo contribuisce all’impressione di realtà, crea e rafforza il
coinvolgimento degli spettatori, che non sono disturbati dalla presenza di elementi
che farebbero chiaramente percepire la natura non originale del testo tradotto. Una
traduzione efficace e credibile, che tenga primariamente conto delle esigenze e delle
difficoltà di ricezione del pubblico di arrivo, richiede un adattamento del TP. Con
questo termine si evidenzia la libertà del traduttore (chiamato tecnicamente
dialogista-adattatore) a ricercare le soluzioni più idonee nella lingua di arrivo, con
l’obiettivo di raggiungere nel pubblico di destinazione lo stesso effetto che si era
ottenuto sul pubblico di partenza. Il dialogista-adattatore cerca di capire quello per
cui la gente ride, piange, si commuove, ha paura; non si ferma a pensare a come è
stato tradito l’originale. Come afferma Cipolloni (1997: 23), bisogna saper essere
15
linguisticamente infedeli, per poter essere cinematograficamente (o televisivamente)
fedeli, cioè efficaci e credibili. Un esempio di traduzione linguisticamente infedele e
cinematograficamente efficace lo troviamo nel film Notting Hill (1999, R. Michell,
Notting Hill)10. William, il protagonista, nella scena finge di essere un cameriere e
riceve un’ordinazione da Jeff, il fidanzato dell’attrice di cui William è innamorato:
JEFF
WILLIAM
JEFF
WILLIAM
JEFF
WILLIAM
JEFF
Oh great. If you don’t mind.
I would like something too.
Could you bring me up some
really, really cold water?
I’ll see what I can do.
Still, not sparkling.
Absolutely. Ice cold still water.
Unless, of course, it’s illegal in
the UK to serve beverages
below room temperature. I
wouldn’t want you going to jail
to satisfy my whim now.
No, I’m sure it’s fine.
Thank you.
Ah, fantastico. Se non ti
dispiace vorrei qualcosa
anch’io. Puoi portarmi un
bicchiere di latte con dentro
due uova?
Vedrò che posso fare.
Agitato, non mescolato.
Non si preoccupi. Un bicchiere
di latte con due uova.
Certo, sarebbe meglio se
fossero appena sfornate dalla
gallina, ma non posso
pretendere l’impossibile. Non
posso mandarti in un pollaio
per soddisfare un mio
capriccio.
Prenderemo le più fresche.
Grazie.
In questo caso l’adattatore ha probabilmente ritenuto che, per un pubblico
italiano, la richiesta di acqua minerale naturale ghiacciata non fosse né
sufficientemente stravagante, né stereotipicamente americana. La situazione subisce
così una modificazione radicale: la scontata (in un contesto italiano) acqua ghiacciata
diventa l’improbabile bicchiere di latte con due uova. Lo stereotipo è quindi
recuperato sia dal bicchiere di latte, sia dall’espressione ormai famosa “agitato… non
mescolato” che rimanda ai film di James Bond.
L’esempio appena citato dimostra che, talvolta, una traduzione comunicativa
porta alla riproduzione dell’effetto delle battute originali, a scapito di una resa vicina
a quella letterale.
10
L’esempio è tratto da Pavesi (2005, p. 23-24).
16
Da un punto di vista pratico, la tendenza a fornire un testo che sia accettabile
e facilmente comprensibile per la comunità di arrivo implica spesso un livellamento
rispetto ai significati e alle variazioni dell’originale. I primi elementi che subiscono
un certo grado di neutralizzazione sono la differenziazione sociale e geografica, il
livello di informalità e la lingua parlata dei film di partenza. Un deciso appiattimento
si verifica poi nella traduzione dei termini culturali, poco trasparenti per il pubblico
di destinazione: dato che il fluire incessante delle scene non permette elaborate
spiegazioni o rimandi, né sopporta un’alta densità di forestierismi culturali, il
traduttore sceglie spesso la via della neutralizzazione. In pratica, le espressioni che
designano aspetti della vita quotidiana (cibi, bevande, unità di misura,…), delle
istituzioni, delle ricorrenze, dei luoghi e delle personalità, in breve della tradizione
materiale ed intellettuale del paese di ambientazione del film, subiscono nella
traduzione una desemantizzazione e vengono sostituite con espressioni più diffuse e
più facilmente comprensibili. Si avranno così iperonimi per iponimi culturali, come
“fiume” che sostituisce il Tamigi e “vino” che sostituisce Saint-Pourcain, oppure
rese descrittive, come “istruttore di golf” in luogo di un nome proprio, Arnold
Palmer, famoso golfista americano. In altri casi, termini che rimandano a specifiche
consuetudini straniere sono sostituiti con termini più ampi, facenti parte dello stesso
campo semantico. Ad esempio la richiesta Can I have a little more cream?, che
indica l’abitudine americana di macchiare il caffè con la panna, potrebbe essere
adattata alle consuetudini italiane e tradotta con “Scusa, mi puoi passare il latte?”. Si
ha adattamento completo quando a un’espressione radicata nelle tradizioni e nelle
abitudini del paese straniero si sostituisce un’espressione che rimanda a consuetudini
del paese ricevente.
La neutralizzazione dei riferimenti culturali si manifesta anche in vere e
proprie cancellazioni. Nella maggior parte dei casi, tali omissioni sono compensate
da spiegazioni o chiarimenti che garantiscono la trasmissione delle informazioni
essenziali.
Abbiamo sinora analizzato le principali procedure adottate dal dialogista-
adattatore al fine di rendere la traduzione efficace per il pubblico di destinazione. Qui
di seguito vedremo quali sono le considerazioni ed i parametri che influiscono sul
17
processo decisionale del traduttore e lo guidano nella scelta delle strategie da
utilizzare.
Per confezionare un prodotto accettabile, il traduttore deve prima di tutto
tarare il TP, inquadrare il pubblico di arrivo e prendere in considerazione il tipo di
programma da tradurre. Tarare un testo vuol dire capirlo, analizzarlo, evidenziarne
gli aspetti generali e determinare il suo grado di originalità grammaticale e semantica
al fine di riprodurne l’effetto originale anche in traduzione. Inquadrare il pubblico di
destinazione significa fare delle ipotesi, chiedersi a quale fascia di età e a quale strato
sociale appartiene, qual è il suo livello di cultura, quali sono le sue abitudini
linguistiche e le sue conoscenze in merito al contenuto del prodotto audiovisivo in
questione. Oltre alle caratteristiche linguistiche, sociali, culturali, cognitive e
generazionali del pubblico bisogna vagliare il tipo di programma da tradurre.
Facciamo alcuni esempi: in un notiziario si prediligerà il contenuto generale delle
notizie; in una commedia si tenderà a riprodurre le battute umoristiche, i giochi di
parole; in un programma per bambini, si prenderanno in considerazione i tempi di
lettura più lunghi e la limitata conoscenza della cultura di partenza, che implicano
una notevole riduzione del testo e precisi criteri di riscrittura (attenta scelta del
vocabolario, esplicitazione del soggetto, rispetto dell’ordine soggetto-predicato-
oggetto, riduzione nell’uso dei tempi e dei modi del verbo11); un film tratto da
un’opera letteraria molto famosa avrà un pubblico di livello culturale elevato, quindi
la traduzione potrà essere più ricca di parole e di espressioni letterarie.
A conclusione del discorso sulla target-orientedness della TAV, diremo che
nonostante l’adattamento del testo originale sia considerevole, lo spettatore si trova
sempre e comunque di fronte ad un prodotto la cui alterità culturale è costantemente
ribadita dalle immagini e dai suoni. Di conseguenza nella traduzione filmica si hanno
contemporaneamente ed inevitabilmente addomesticamento e straniamento, fermo
restando che il primo prevale nettamente sul secondo.
1.4. LE VARIE FORME DI TRADUZIONE AUDIOVISIVA
Tra i principali metodi di trasferimento e adattamento linguistico utilizzati da
cinema e televisione segnaliamo il doppiaggio, la sottotitolazione, il voice-over e
11
www.studiocalabria.com
18
altri tipi di conversione linguistica più impegnativi e difficoltosi come la traduzione
simultanea, la sottotitolazione in tempo reale e la descrizione audiovisiva per ciechi.
Qui di seguito illustreremo brevemente i metodi citati, con lo scopo di fornire
un quadro più completo del vasto panorama della traduzione audiovisiva.
Il doppiaggio (dubbing o lip-synchronisation) è il metodo di conversione
linguistica più diffuso in Italia. Consiste nella sostituzione della colonna sonora
originale di un film con una nuova colonna sonora provvista di dialoghi tradotti nella
lingua dei fruitori. Il prototesto12 verbale è dunque completamente soppresso con lo
scopo di essere sostituito da dialoghi comprensibili al pubblico di arrivo. Il
doppiaggio si articola in quattro fasi:
1. la traduzione dei dialoghi, realizzata per iscritto dal dialoghista;
2. l’adattamento di questa prima traduzione da parte di un adattatore
che, dopo aver esaminato attentamente le immagini del film, rimodella i dialoghi
tradotti in modo che il testo udito nella lingua della traduzione e i movimenti labiali
degli attori coincidano il più possibile per dare allo spettatore l’impressione che gli
attori stiano parlando nella sua lingua;
3. l’intervento del direttore del doppiaggio che, oltre a guidare la
recitazione degli attori doppiatori, interviene per migliorare la funzionalità e
recitabilità dei dialoghi e opera talvolta evidenti manipolazioni;
4. la sincronizzazione con macchinari altamente avanzati che
perfezionano la sincronia di voci e immagini.
Sul piano linguistico bisogna essere in grado di risolvere situazioni difficili e
adattarle a un’adeguata sincronizzazione: tradurre termini culturalmente connotati;
adattare le traduzioni alle immagini ( cfr. PAR. 1.2); tradurre giochi di parole;
veicolare adeguatamente l’umorismo; trasporre opportunamente il turpiloquio e le
forme allocutive; riprodurre le varianti sociolinguistiche salienti (geoletti, dialetti,
idioletti).
La sottotitolazione (subtitling), diffusa soprattutto nei paesi scandinavi,
consiste nel proporre una traduzione condensata dei dialoghi originali di un film o di
un qualsiasi programma televisivo attraverso un testo scritto situato nella parte bassa
dello schermo. Il testo tradotto viene presentato sincronicamente al dialogo o alla
12
Il prototesto va inteso come il testo filmico di partenza, il metatesto è il testo tradotto.
19
narrazione nella lingua di partenza. Il traduttore deve essere capace di operare una
selezione per trasformare un messaggio orale, il cui ascolto richiede un tempo
ridotto, in un messaggio scritto, per leggere il quale è indispensabile più tempo. La
principale difficoltà del sottotitolaggio risiede pertanto nel passaggio dall’oralità (e
dall’ascolto) alla scrittura (e lettura): la lingua orale si avvale dell’intonazione,
dell’accento, delle componenti del dialetto, del socioletto, dell’etnoletto che danno
informazioni sulla provenienza e sul ceto sociale del parlante; la lingua scritta,
invece, non possiede tutti questi elementi (cfr. PAR: 3.3.1). Poiché ogni sottotitolo
permane sullo schermo pochi secondi, il traduttore deve riuscire, riducendo il numero
delle parole, a ricostruire come può le informazioni contenute nell’enunciato di
riferimento. Dato che la traduzione è offerta contemporaneamente alla versione in
lingua originale e dato che lo spettatore ha accesso simultaneamente a entrambe, la
sottotitolazione ha acquisito l’etichetta di “modalità di traduzione trasparente”.
Esistono diversi tipi di sottotitolaggio, ma di questo parleremo più avanti (PAR. 2.3).
Il voice-over (o voce fuori campo) consiste nella sovrapposizione di una voce
in LA13 senza l’eliminazione del parlato del TP. Ciò consente solo un accesso
parziale alla versione originale che non è mai udita nella sua integrità: il volume è
infatti ridotto o mantenuto a un livello minimo per facilitare la ricezione della
versione tradotta da parte del pubblico. La traduzione dei dialoghi, eseguita da un
dialogista e rivista dagli adattatori, non viene recitata, me letta secondo regole
precise (poca enfasi e dominante monotonia tonale): nella lettura di solito
intervengono due attori, uno per coprire le voci maschili e l’altra quelle femminili; in
certi casi la voce è una sola per tutti i personaggi. Alcuni considerano il voice-over
molto vicino all’interpretazione simultanea poiché la traduzione è emessa in
sincronia con l’originale. Va però precisato che la corrispondenza tra dialoghi letti e
dialoghi recitati è piuttosto approssimativa e che il prodotto audiovisivo non
mantiene una totale naturalezza. La versione in voice-over è normalmente usata per
mandare in onda notizie, documentari o interviste provviste di una traduzione
simultanea al dialogo originale. Questa pratica si è affermata nell’URSS di fine anni
Ottanta. In epoca sovietica la tradizione del doppiaggio era eccellente, ma, in
mancanza dei fondi statali bloccati dalla crisi degli anni Novanta, non c’erano mezzi
13
LA sta per lingua di arrivo; LP sta per lingua di partenza.