2
sezione della Critica della ragion pura dedicata alla dottrina dello schematismo,
infatti, che Heidegger rinviene il tentativo kantiano di sviluppare la problematica
della temporalità riconducendola alla determinazione temporale del soggetto: lì il
tempo, inteso come schema dei concetti dell’intelletto, e come ciò che opera da
mediatore nella sussunzione dei fenomeni sotto la categoria
2
, è assunto dunque come
una determinazione essenziale del funzionamento dell’Io penso. Ma, per Heidegger,
questa analisi del tempo «rimane orientata nel senso della comprensione del tempo
ordinaria e tradizionale, il che impedisce a Kant di elaborare il fenomeno della
“determinazione trascendentale del tempo” nella struttura e nella funzione proprie di
esso»
3
. Infatti, secondo Heidegger, due cose impedirono a Kant di giungere alla vera
struttura e funzione della temporalità: «in primo luogo la dimenticanza del problema
dell’essere in generale, e in secondo luogo la conseguente mancanza di un’ontologia
tematica dell’Esserci»
4
. Kant cioè non sviluppa nella sua Critica della ragion pura
un’adeguata analitica del soggetto che possa sostenere e legittimare la sua stessa
determinazione temporale; egli non approfondisce, quindi, l’idea di un soggetto che
proprio in quanto temporalmente condizionato, cioè finito, si determina come
soggetto trascendente, rivolto verso la comprensione del senso dell’essere. Nella
filosofia kantiana manca, per Heidegger, un’adeguata idea dell’essere inteso come
qualcosa coglibile soltanto attraverso la comprensione che di esso ne ha il
“soggetto”: egli scrive infatti in una Vorlesung del 1929 che «poiché alla
2
Cfr. I. Kant, Kritik der reinen Vernunft, Hg. v. W. Weischdel, Insel Verlag, Wiesbaden 1956
(trad. it. a cura di C. Esposito, Critica della ragion pura, Bompiani, Milano 2004, A138-139/B 177-178,
p. 303.
3
M.Heidegger Sein und Zeit (1927), Niemeyer, Tübingen 14 ed. 1977; trad. it. di P. Chiodi:
Essere e Tempo, Longanesi & C., Milano 2002
16
, pp. 42-43.
4
M. Heidegger, Sein und Zeit, cit.; trad. it., p. 42.
3
costituzione essenziale dell’uomo appartiene la comprensione dell’essere, la
questione sull’essere è […] la questione sull’uomo stesso»
5
. Per Heidegger fu
proprio la mancanza di una tale determinazione dell’essere, del soggetto, e della loro
relazione, a costringere Kant ad indietreggiare dinnanzi alla sua scoperta della
determinazione della temporalità, ad arrestarsi a metà del suo percorso di ricerca. Il
filosofo di Königsberg non possedeva l’impostazione di pensiero necessaria a
sostenere e ad argomentare una tale scoperta.
Così le motivazioni di Heidegger, nell’intraprendere un’interpretazione della
filosofia kantiana, vanno comprese non a partire da ciò che lo stesso Kant ha reso
palese, esplicito, bensì a partire dal “non ancora detto”. Scrive, infatti, Heidegger
nel Kant e il problema della metafisica: «per strappare a quel che le parole dicono,
quello che vogliono dire, ogni interpretazione deve necessariamente usar loro
violenza. Ma tale violenza non può esercitarsi a caso, per mero arbitrio.
L’interpretazione dev’essere mossa e guidata dalla forza di un’idea illuminante e
anticipatrice. Soltanto in virtù di tale idea, un’interpretazione può osare l’impresa,
ognora temeraria, di affidarsi al segreto impulso che agisce nell’intimo di un’opera,
per essere aiutata a penetrare il non detto e forzata ad esprimerlo»
6
.
L’interpretazione heideggeriana di Kant, dunque, non è ispirata dal principio
dell’aderenza al testo, bensì da un’idea anticipatrice, quella di dar voce al non detto
di Kant, di portare a compimento la grande intuizione kantiana rimasta inespressa.
Heidegger mette quindi in luce come l’autore della Critica della ragion pura sia
5
M. Heidegger, Metaphysisce Anfangsgründe derLogik im Ausgang von Leibniz,
(Sommersemester 1928) GA Bd. 26, Hg v. K. Held, 2 ed. 1990, trad.it. di G. Moretto: Principi metafisici
della logica, il Melangolo, Genova 1990, p. 32.
6
M. Heidegger, Kant und das problem der Metaphysik, cit.; trad. it., p. 173.
4
stato il primo pensatore dell’epoca moderna ad elaborare non solo il concetto di un
soggetto capace di “pre-determinare” l’oggetto, ma anche l’idea di un oggetto che
trae la sua essenza dalla comprensione che di esso ha il soggetto. In una così stretta
dipendenza tra soggetto e oggetto Heidegger non può non intravedere il
preannunciarsi dello stretto rapporto che nella sua stessa speculazione filosofica
intercorre tra essere ed esserci. Il nostro autore si assume dunque l’incarico di
interpretare le pagine della Critica della ragion pura non come le pagine di un
trattato della conoscenza, ma come un esempio di fondazione di una metafisica
dell’esserci - esito a cui Kant sarebbe giunto se non avesse dimenticato il problema
dell’essere e se avesse sviluppato un’analitica esistenziale come quella che lo stesso
Heidegger presenta in Essere e Tempo.
La mia tesi si articolerà dunque mediante l’analisi delle opere heideggeriane
attraverso cui si sviluppa l’interpretazione della Critica della ragion pura: cioè I
problemi fondamentali della fenomenologia del 1927, il Kant e il problema della
metafisica del 1929, La tesi di Kant sull’essere del 1961 sino ad arrivare a La
questione della cosa. La dottrina kantiana dei principi trascendentali del 1962. Ma,
se in ogni scritto heideggeriano il “non ancora detto” di Kant assumerà forme e
contorni sempre diversi, l’interpretazione del nostro autore correrà costantemente sui
binari che sin da Essere e Tempo egli stesso aveva tracciato: la dimenticanza di Kant
del problema dell’essere e la conseguente assenza, nella sua filosofia, di
“un’ontologia tematica dell’Essere”.
5
Capitolo 1
Dagli scritti giovanili ad Essere e Tempo: l’influenza di Kant ed
Husserl nella filosofia heideggeriana
1.1 Gli scritti giovanili: l’influenza di Kant e del neokantismo
Per comprendere la produzione filosofica di Martin Heidegger è necessario
immaginare la sua filosofia come un punto di raccolta, snodo, rivalutazione e
reinterpretazione sia dell’intera tradizione filosofica precedente, sia delle diverse
correnti culturali a lui contemporanee. Il panorama culturale in cui affonda le radici
la formazione heideggeriana spazia dall’interesse verso la filosofia classica e
medievale, a quello per le strutture di fondo del cristianesimo delle origini, dalla
lettura di Dilthey, Nietzsche, Dostojevskij, Kierkgaard, Rilke e Tralk, a quella di
Franz Brentano, dalla passione per la fenomenologia di Edmund Husserl
all’incontro-scontro con l’incipiente movimento dei neokantisti. E’ interessante
dunque indagare come, colui che ha “osato”reinterpretare la Critica, accollandosi
persino l’appellativo di “usurpatore” da parte di Cassirer, abbia cominciato ad
elaborare il proprio pensiero ispirato dal costante confronto con la filosofia di Kant,
ma sempre sotto l’influenza dell’imperante movimento culturale del neokantismo.
L’essenza di quest’ ultimo, secondo Heidegger va ricondotta al motivo della sua
stessa genesi, all’imbarazzo cioè in cui la filosofia precipitò alla fine del XIX secolo,
quando le scienze dello spirito e quelle della natura sembravano aver monopolizzato
6
la conoscenza della totalità dell’ente e, perciò, non le rimaneva altro che indagare la
conoscenza stessa, sviluppare cioè una conoscenza della scienza. Così Immanuel
Kant, visto come il teorico della conoscenza fisico-matematica, fu assunto come
punto di riferimento e la sua Critica della ragion pura fu interpretata esclusivamente
come il manifesto definitivo della gnoseologia moderna.
L’attenzione heideggeriana fu dunque concentrata sulla filosofia del
pensatore di Königsberg sin dai sui primi studi. Il nostro autore, infatti, indagò con
attenzione non solo le famose tre Critiche, ma approfondì anche il lungo percorso
che condusse Kant alla loro elaborazione attraverso la lettura, ed una successiva
recensione, della sua corposa raccolta epistolare
7
che gli consentì di inquadrare in
profondità la personalità kantiana.
I primissimi scritti heideggeriani, dalla sua “opera prima” fino al testo per il
conseguimento dell’abilitazione universitaria, sono tutti contrassegnati dalla
frenetica e inquieta ricerca dell’essere, quello stesso essere che è ineluttabilmente
precipitato nell’oblio perché considerato dalla storia della filosofia come un concetto
ovvio, indefinibile, generale, come un fumo, un’esalazione e che l’attenta lettura di
Aristotele aveva aiutato Heidegger a interpretare come multiforme e dai molteplici
significati . E il primo modo in cui la sfera dell’essere è indagato è attraverso il
mondo reale. Nel 1912 infatti, Heidegger pubblica Il problema della realtà nella
filosofia moderna, il cui tema centrale, ossia la possibilità di porre e definire come
reali, transoggettivi gli oggetti, suscita necessariamente il confronto con chi, come
Kant, aveva teorizzato la dimensione soggettiva della conoscenza. Il fenomenismo
kantiano, infatti, con la sua rivoluzione copernicana che prevedeva l’adattamento
7
della realtà alle forme trascendentali del soggetto, secondo Heidegger, allontanava
sempre maggiormente la conoscenza dal suo vero e proprio oggetto. Anche per il
nostro autore i fattori soggettivi, l’esperienza e il pensiero, sono fondamentali per il
coglimento del reale ma «il situarsi spazio-temporale degli oggetti d’esperienza, la
loro coesistenza e successione, gli intervalli della percezione, le relazioni dei
contenuti di coscienza non determinabili dal nostro volere, le quali ci si impongono,
manifestano incontestabilmente una “legalità” indipendente dal soggetto
sperimentante»
8
, l’esistenza cioè, di una realtà preesistente ad ogni possibile
percezione e modifica. Heidegger così, schierandosi con il realismo critico di
Osvald Külpe, mette in discussione l’onnipotenza del soggetto kantiano, la sua
posizione dell’arcana “cosa in sé”, mostrando la sua teoria, circa il comportamento
modificante la realtà da parte delle forme soggettive, come una mera ipotesi
dogmatica. Qui dunque sono in ballo non solo la questione della realtà e della
possibilità della sua conoscenza, ma si intravede anche la centralità nell’interesse
heideggeriano verso la fisionomia di quel soggetto che regge la filosofia kantiana,
criticato e rivalutato, che lo porterà a condurre una vera e propria rifondazione della
metafisica proprio a partire da quel “soggetto” in Kant e il problema della metafisica
nel 1929.
Poiché dunque la realtà è possibile coglierla non attraverso la mutevole
processualità psicologica, bensì attraverso la conoscenza logica, il passo successivo
di Heidegger consiste nel cogliere ed esaltare la specificità della logica nelle Recenti
7
Cfr. Kants Briefe in Auswahl, herausgegeben und erläutert von F. Ohmann, Leipzig 1911
8
M. Heidegger, Das Realitätsproblem in der modernen Philosophie, in Frühe Schriften ( 1912-
1916), GA Bd. 1, Hg. F-W. v. Herrmann, 1978; trad. it. Di A. Babolin: Il problema della realtà nella
filosofia moderna,in Scritti filosofici, La Garangola, Padova 1972, p. 144.
8
ricerche sulla logica del 1912. Qui la difesa e il tentativo di definizione della
scienza logica si articola lungo un serrato confronto e distacco dal dilagante
psicologismo che in quegli anni andava contaminando ogni branca del sapere,
psicologismo inteso come il prevalere di principi e modalità di fondazione
psicologiche nella trattazione della logica, ma, così come nell’opera precedente, il
confronto con Kant è ora inevitabile a tal punto che l’antagonismo tra logica e
psicologia viene risolto nel dissidio tra trascendentalismo e psicologismo nella
filosofia del pensatore di Königsberg. Fu di Oskar Ewald, infatti, filosofo kantiano e
storico della filosofia, l’idea che sia il trascendentalismo, quanto lo psicologismo, si
fondassero entrambi nell’essenza della filosofia di Kant, cosicché, se da un canto fu
per lungo tempo predominante l’interpretazione psicologica di Kant fondata da
Schopenhauer, Herbart e Fries, dall’altro gli anni Settanta hanno assistito ad una
rivalutazione dell’interpretazione logico-trascendentale ad opera di Cohen,
Windelband e Rickert, esponenti del neokantismo, secondo i quali «Kant non si è
dunque interrogato nella sua critica circa l’origine psicologica della conoscenza, ma
circa il valore logico della sua validità. Per il problema che ci sta davanti, la detta
interpretazione ed elaborazione logica di Kant è importante in quanto, grazie ad
essa, è stato messo in rilievo il valore proprio dell’elemento logico»
9
. Interpretazione
questa, a cui il nostro autore si è spesso accostato senza mai aderirvi del tutto, ma
che nella recensione al Kant und Aristoteles di Sentroul, mancante appunto
nell’elenco bibliografico degli studi neocriticisti, Heidegger ha ammesso essere una
9
M. Heidegger, Neuere forschungen ϋber logik, in Frühe Schriften (1912-1916), GA Bd. 1, Hg. F-
W. v. Herrmann, 1978; trad. it. di A. Babolin: Recenti ricerche sulla logica, in Scritti filosofici, La
Garangola, Padova 1972, p. 152.
9
«prestazione di valore permanente per tracciare la strada di una esatta comprensione
di Kant». Egli dunque ritiene valida l’impostazione neokantiana nella sua
spasmodica ricerca di una conoscenza oggettiva, nel suo tentativo di evitare ogni
tipo di psicologismo, nel suo riporre l’essenza del pensiero trascendentale
nell’interrogazione come tale, ma la riterrà anche limitante nella sua limitata lettura
della Critica della ragion pura, nella sua esclusiva risoluzione in teoria delle
scienze, dato che per il nostro autore «Kant non voleva affatto dare una teoria della
scienza della natura, ma voleva mettere in luce la problematica della metafisica e,
precisamente, dell’ontologia»
10
.Ma di tutto ciò Heidegger si occuperà in seguito.
E sempre nelle Recenti ricerche sulla logica, anche quando si trova a definire
positivamente l’essenza della logica, Heidegger attinge a piene mani dalla Critica
della ragion pura, convenendo con l’autore circa la centralità rivestita dal giudizio
nella nuova logica, giudizio inteso come la sussunzione del materiale sensibile-
intuitivo sotto i concetti puri dell’intelletto, come il senso extratemporale di ogni
rappresentazione, in pratica come ciò che noi intendiamo. Dal momento che il
giudizio costituisce per Heidegger, come per Kant, l’elemento originario della
logica, la dottrina del giudizio divenne così oggetto specifico della propria tesi di
laurea, pubblicata nel 1914 con il titolo La dottrina del giudizio nello psicologismo,
in cui quest’ultimo è identificato come la posizione di un problema, all’interno della
logica, che misconosce la realtà propria dell’oggetto logico, ovvero il giudizio.
Quest’ultimo è dunque riproposto come il senso (Sinn), il valere, il significato
10
Davos Disputation zwischen Ernst Cassirer und Martin Heidegger, in M. Heidegger, Kant und
das problem der Metaphysik (1929), GA Bd. 3, Hg. v. v. Hermann, Klostermann, Frankfurt a.M. 1973;
trad. it. di M.E. Reina, riv. da V. Verra: Dibattito di Davos tra Ernst Cassirer e Martin Heidegger, in M.
Heidegger, Kant e il problema della metafisica, Laterza, Roma-Bari 1981, pp. 219-220.
10
autentico di una rappresentazione. E lo stesso accadrà nello scritto per la sua
abilitazione universitaria La dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto
del 1916, in cui Heidegger, interpretando filosoficamente la Grammatica
speculativa del Doctor Subtilis, (poi attribuita in verità a Tommaso da Erfurt)
evidenzia come questi abbia elevato la trattazione del giudizio e del significato oltre
il piano della pura logica, dirigendosi verso un’interpretazione metafisico-
teleologica della coscienza del soggetto per cui ha senso l’oggetto, dando vita così
ad uno spirito vivente più complesso, più pregno di significato.
Sempre dello stesso anno è Il concetto di tempo nella scienza della storia,
dove l’influenza rickertiana è palpabile e inizia a maturare da parte di Heidegger
l’idea che il tempo abbia uno spessore e una significatività più profonda di quello
che la scienza e la quotidianità da sempre hanno creduto. Qui, infatti, il tempo della
fisica è separato da quello della storia e quest’ultimo non è esprimibile
matematicamente per mezzo di una successione seriale ma qualitativamente,
concretizzandosi nell’obiettivazione di vita data nella storia. E’interessante notare
come, sebbene le idee di Kant circa l’argomento in questione non siano qui
minimamente menzionate, l’articolo esordisca con un esplicito tentativo di recupero
della dimensione metafisica, di abbandono dei problemi relativi alle varie teorie
della conoscenza per consentire alle questioni finali e finalistiche della filosofia di
elevarsi alla loro importanza immanente, un appello che Heidegger sembra rivolgere
alle teorie neokantiane e che illustra quelli che saranno poi i presupposti con cui
Heidegger affronterà l’interpretazione della Critica della ragion pura nel Kantbuch
del 1929.