2
1. Introduzione
1.1 Introduzione
Nel corso delle ultime decadi, l‟uso di strumenti finanziari derivati ha conosciuto
un incremento esponenziale. Secondo le stime della Bank of International
Settlement (BIS), il valore nozionale dei contratti derivati complessivamente in
essere nei paesi del G10
1
è passato da circa 80mila a oltre 600mila miliardi di
dollari nel periodo 1998-2010.
La responsabilità di questo aumento ricade in gran parte sulle istituzioni
finanziarie; tuttavia i dati mostrano un chiaro trend anche per quanto riguarda le
istituzioni non finanziarie, come evidenziato dal grafico in figura 1.1
2
.
Figura 1.1-Andamento del valore nozionale dei contratti derivati sottoscritti da istituzioni non finanziarie nei
mercati OTC. Valori in centinaia di miliardi di dollari. Dati da www.bis.org
1
Germania, Belgio, Canada, USA, Francia, Italia, Giappone, Olanda, Regno Unito, Svezia, Svizzera.
2
Si tenga presente che il valore nozionale calcolato dalla BIS risulta in un certo senso gonfiato, poiché
considera anche i nuovi contratti aperti per chiudere posizioni preesistenti (Stulz 2004)
0
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150
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450
500
Interesse
Cambio
3
A fare da traino sono stati prevalentemente i derivati su tassi di interesse, la cui
crescita incessante ha conosciuto uno stop soltanto in occasione della recente
crisi economica.
Nell‟ambito nazionale, dalle periodiche indagini della Banca d‟Italia risulta che
la quota del valore nozionale dei contratti in essere presso le banche italiane è
pari soltanto all‟1,6% di quanto rilevato per i paesi del G-10. Tuttavia anche qui
si registra un trend in netto aumento per le istituzioni non finanziarie, con un
valore nominale di derivati sottoscritti pressoché quadruplicato negli ultimi 9
anni.
Da giugno 2002 a giugno 2011 il nozionale dei contratti su tassi di cambio è
infatti passato da 40,5 a 112,4 miliardi di dollari, mentre per i tassi di interesse
l‟aumento è da 107,7 a 491,2. I dati restano comunque notevolmente più alti per
le istituzioni finanziarie, che fanno da controparte in oltre il 90% dei casi
3
.
Categoria di Rischio Istituzioni finanziarie Istituzioni non finanziarie
Importo ($ mld) Quota Importo ($ mld) Quota
Cambi 978,8 89,7% 112,4 10,3%
Tassi di interesse 9220,1 94,9% 491,2 5,1%
Figura 1.2 Tabella riepilogativa dati Banca d’Italia al giugno 2011
L‟accresciuta volatilità delle principali variabili economiche e l‟incess ante
sofisticazione finanziaria hanno dunque spinto un numero sempre maggiore di
imprese a considerare gli strumenti derivati come un fondamentale strumento di
gestione del rischio; e in effetti un sistema di risk management efficace ed
efficiente appare un elemento imprescindibile in un ambiente competitivo ed in
continua trasformazione come quello attuale.
Parallelamente alla crescita della popolarità dei derivati, si è venuta a sviluppare
una vasta letteratura riguardante il loro utilizzo da parte delle imprese.
3
Dati da “Banca d’Italia: Rilevazione sui prodotti derivati over-the-counter a fine giugno 2011”
4
Al riguardo possono essere distinti due filoni principali: il primo si è occupato di
stabilire le modalità attraverso le quali l‟utilizzo dei derivati possa contribuire ad
un incremento del valore di impresa, e di analizzare le caratteristiche economiche
comuni per le imprese hedgers.
Il secondo filone comprende invece gli studi che, in diverse aree geografiche e
settori industriali, hanno cercato di verificare empiricamente l‟esistenza di una
correlazione positiva tra valore delle imprese e utilizzo di strumenti derivati.
In entrambi i filoni non sempre sono giunti risultati conclusivi. Se le ragioni
teoriche per cui l‟uso di derivati può incrementare il valore dell‟impresa sono
sostanzialmente condivise
4
, dal punto di vista empirico si sono ottenuti spesso
risultati contraddittori. E questo vale sia per quanto riguarda l‟identificazione di
caratteristiche comuni che spingano le imprese a fare uso di derivati, sia
soprattutto per gli studi ascrivibili al secondo filone, che hanno mostrato
alternativamente una capacità di contribuzione al valore dell‟impresa da parte dei
derivati positiva, negativa o nulla.
Mentre le ricerche precedenti hanno riguardato per la maggior parte gli Stati
Uniti, l‟obiettivo del seguente lavoro è di verificare l‟esistenza e l‟estensione di
tale capacità di contribuzione nel contesto delle società non finanziarie italiane
quotate in borsa, nonché la presenza di caratteristiche comuni alle imprese
hedgers che possano illustrare le maggiori determinanti dell‟utilizzo di derivati.
Dopo una rapida panoramica sui rischi fronteggiati dalle imprese e sui relativi
strumenti di copertura utilizzabili, nella prima parte si esaminano quelle che la
letteratura ha definito come principali ragioni alla base dell‟hedging.
Si tratta della attenuazione di una serie di imperfezioni esistenti sul mercato,
relative ai costi legati al dissesto finanziario e alla bancarotta, alle asimmetrie
fiscali, al problema dell‟underinvestment, ai conflitti di interesse tra
4
Esiste tuttavia una parte di letteratura secondo la quale i beneficiari dell’hedging non sarebbero gli
azionisti, ma esclusivamente il management, che lo sfrutterebbe a fini personali, sebbene non
necessariamente in contrasto con gli interessi degli shareholders. L’argomento è approfondito nel
capitolo successivo.
5
management, azionisti e creditori, alle asimmetrie informative e all‟avversità al
rischio dei manager.
Nella seconda parte si procede alla verifica dell‟ipotesi di massimizzazione del
valore prendendo come campione le imprese italiane quotate e tenute alla
redazione del bilancio consolidato presenti nei database AIDA e Osiris prodotti
da Bureau Van Dijk Electronic Publishing e per cui sia presente il bilancio chiuso
il 31/12/2010. Il campione finale consta di 168 imprese.
La regressione è impostata usando come variabile dipendente il valore
dell‟impresa, approssimato dalla q di Tobin, e come variabile indipendente il
rapporto tra valore nozionale dei derivati utilizzati e valore totale dell‟attivo.
Si prendono in esame esclusivamente i derivati su tassi di cambio e su tassi di
interesse, escludendo, a causa della scarsità dei dati disponibili, gli strumenti di
copertura dalla variazione dei prezzi delle commodities.
Inoltre vengono considerate diverse variabili di controllo già utilizzate in
letteratura: dimensione, leverage, profittabilità, diversificazione geografica e
industriale, liquidità e prospettive di crescita.
I risultati dell‟analisi non supportano le teorie di massimizzazione del valore
tramite hedging, offrendo anzi indicazioni nel senso opposto.
1.2 Rischio di mercato
Il tema del risk management è esploso soprattutto negli ultimi due decenni,
alimentato dalla crescente instabilità del contesto economico in cui le imprese si
trovano ad operare.
Il rischio può essere definito come la distribuzione dei possibili scostamenti dai
risultati attesi- sia in positivo che in negativo- per effetto di eventi di incerta
manifestazione. Inevitabilmente, ogni impresa è esposta al rischio, in quanto
soggetta al variare di fattori esterni esogeni al suo comportamento.
Una gestione efficace dei rischi è dunque un aspetto cruciale per le imprese in
qualunque settore che mirino ad acquisire un vantaggio competitivo.
6
In letteratura esistono numerose modalità di classificazione dei rischi cui è
soggetta un‟impresa, a seconda dell‟area interessata, dall‟origine del rischio, del
legame con l‟andamento economico generale
5
o della distribuzione probabilistica
dei risultati possibili
6
.
Ad ogni modo, ad interessare in questa sede non è la definizione dell‟intero
spettro dei rischi d‟impresa, bensì soltanto di quelli abitualmente coperti dalle
imprese non finanziarie attraverso l‟attuazione di strategie di investimento sul
mercato dei derivati, rientranti nella categoria dei rischi di mercato.
L‟IFRS 7, il principio contabile che dal 2007 regola l‟informativa di bilancio per
gli strumenti finanziari, definisce il rischio di mercato come “il rischio che il fair
value o i flussi di cassa di uno strumento finanziario varino a causa di un
cambiamento nei prezzi di mercato. Il rischio di mercato riflette il rischio di tasso
di interesse, il rischio di cambio e altri rischi di prezzo
7
”.
Il rischio di tasso di interesse può essere definito come la possibilità che
variazioni inaspettate dei tassi di mercato portino ad un‟alterazione del fair value
o dei flussi di cassa di uno strumento finanziario detenuto dall‟impresa.
Le variazioni possono interessare i flussi di cassa generati o assorbiti ed il valore
sia delle passività che della attività, a seconda del senso di variazione dei tassi, e
della tipologia di finanziamento o investimento in questione.
In particolare, un‟impresa con finanziamenti a tasso variabile o investimenti
remunerati a tasso fisso si troverà penalizzata in uno scenario di crescita dei tassi;
al contrario, finanziamenti a tasso fisso e investimenti a tasso variabile
risentiranno negativamente di una diminuzione dei tassi
8
.
Il rischio di cambio si riferisce alla probabilità che variazioni dei tassi di
5
Rischi sistematici e diversificabili
6
Rischi speculativi e rischi puri
7
Da IFRS 7-Appendix A
8
Il tasso fisso, pur evitando la possibile variazione immediata dei costi (rendimenti), comporta
ugualmente la sopportazione di un rischio di tasso generando un costo-opportunità nel caso in
cui le variazioni successive dei tassi offrano un costo (rendimento) minore (maggiore) per
l’impresa.
7
cambio generino effetti imprevisti sul cash flow atteso o sul fair value di attività
o passività.
Se ne possono individuare quattro tipologie: rischio transattivo, traslativo,
economico e competitivo.
Il rischio transattivo prevede l‟esistenza di un intervallo di tempo tra la
stipulazione e la conclusione di un contratto denominato in valuta estera, ed
indica la possibilità che variazioni del tasso che avvengano durante l‟intervallo
abbiano un impatto sul valore atteso dei futuri incassi o pagamenti.
Il rischio traslativo è l‟effetto legato alla conversione delle poste in divisa dello
stato patrimoniale nella valuta nazionale alla data di chiusura dell‟esercizio;
solitamente riguarda il consolidamento di consociate o partecipate estere. Il
rischio economico si concretizza nella possibilità che variazioni del tasso di
cambio modifichino il valore atteso di investimenti effettuati all‟estero.
Infine, il rischio competitivo è dato dall‟impatto della variazione dei tassi
sull‟intero contesto in cui l‟azienda opera e sul modo di rapportarsi con le diverse
forze competitive. Si tratta di un rischio difficilmente quantificabile, che pertanto
non è solitamente soggetto ad una copertura diretta tramite strumenti derivati; le
strategie di hedging messe in atto nel campione di imprese analizzato tendono
invece a focalizzarsi principalmente sul rischio transattivo.
Il rischio di prezzo è il rischio connesso alla volatilità dei prezzi di mercato,
per cause esterne alle variazioni di tassi di interesse e di cambio, di strumenti
finanziari detenuti e di commodities ed alle eventuali ripercussioni sul valore di
attività, passività e flussi di cassa attesi. Poiché soltanto un numero estremamente
limitato di imprese nel campione esaminato ha scelto di coprirsi dal rischio di
prezzo, questo non verrà ulteriormente preso in considerazione nel prosieguo
dell‟analisi.