Introduzione
Cosa s’intende, all’interno di un discorso scientifico, per il concetto di “disastro”? In
particolar modo, come si configura quest’ultimo nell’ottica sociologica? Ma ancor prima,
ci si può domandare: che correlazione sussiste tra un’argomentazione legata prettamente
alle scienze naturali e la prospettiva delle scienze sociali? Ebbene, sulla base di simili
questioni, prende lo spunto il presente lavoro, che andrebbe ad inserirsi tra i già numerosi
contributi della Sociologia dell’Ambiente e più dettagliatamente della branca della
Sociologia del disastro. L’intitolazione “Hazard” è legata, non a caso, ad un termine
tecnico della disciplina che nella lingua italiana è traducibile con Pericolo. Pericolo da
cosa? In questo senso, il lavoro si concentra prevalentemente su quelli che nell’ottica
scientifica sono i disastri “naturali”, ossia causati da fenomeni totalmente o
prevalentemente fisici, giacché le esemplificazioni riportate all’interno si rifanno
maggiormente ad eventi geo-fisici quali sismi ed uragani. In sede introduttiva, utilizzando
le parole di un mio brillante docente passato nella spiegazione delle basi sociologiche, è
possibile rispondere al quesito posto sopra: nello “studio delle relazioni sociali all’interno
di” un ambiente fisico connotato da un frame work stra-ordinario e contingente, tanto sul
piano ambientale che sociale. Prima di fare ciò, è però necessario avviare i passi da
un’esamina logico-concettuale della terminologia legata al disastro, al fine conseguente di
delineazione delle maggiori teorie elaborate; di qui l’osservazione procederà verso quelli
che sono stati i contributi della Sociologia italiana al settore: dagli studi pioneristici fino ad
alcune delle più recenti concettualizzazioni teoriche, proseguendo lungo una linea
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cronologica che, parallelamente ai contributi oltreoceano, sfocia nei nuovissimi Indici
Globali del Rischio. Dopo avere esaminato le basi concettuali e tecniche di un oggetto di
studio con forti tratti di interdisciplinarietà, è possibile addentrarsi nel fulcro del lavoro,
inerente le tematiche maggiormente inerenti gli aspetti psico-sociali legati al disastro: e se
già in precedenza fosse emersa la natura sociale del disastro quale costruzione, sono qui
evidenziati ulteriori elementi che confermano analogamente la stessa materia culturale in
tema di paure; con ciò si è fatto riferimento alle maggiori teorie sociologiche sul rischio e
sulla contingenza sistemica, la cui influenza teorica è posta alle basi epistemologiche del
lavoro. In seguito, nell’obiettivo di delineare un’analisi microsociologica, l’analisi si
approfondisce fino a sfociare nella vicina Psicologia, dove le sue branche specifiche
dell’ambiente e dell’emergenza, forniscono elementi di approfondimento interessanti ed
utili per comprendere le successive esemplificazioni poste. L’obiettivo di fondo del lavoro
è quella di un’osservazione complessiva degli studi sul disastro da parte della disciplina
sociologica: si connota pertanto come contributo puramente teorico che si aggiunge agli
studi, articoli e recensioni elaborate all’interno del campo del disastro. Avendo però una
tale connotazione, esso può esclusivamente basarsi sugli studi in passato compiuti e sui
relativi dati forniti; la possibilità di sviluppare autonomamente nuovi dati empirici è
purtroppo mancata, per cause di forza maggiore. Prendendo dunque a riferimento alcuni tra
i più recenti e maggiori studi sociologici, la struttura di analisi prosegue dunque il suo
percorso elencando due fenomeni diacronici, simili per tipologia ed area dell’evento: non
prima di aver esplicitato tuttavia i caratteri politologici ed ancor più comunicativi che
contribuiscono alla costruzione sociale del frame work catastrofico; all’interno dell’analisi
emergerà difatti come questi due stessi concetti arrivino ad intersecarsi tra di loro, con
deficienze dovute a rumori intervenuti nelle comunicazioni intra ed inter-istituzionali, le
quali finiscono coll’impoverire un capitale sociale già intaccato da generali condizioni di
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vulnerabilità, spesso preesistenti all’impatto dell’agente distruttivo esterno. Ma si
noteranno anche le diverse impostazioni della scuola italiana e statunitense, con continui
interscambi concettuali, che hanno comportato diversi approcci al medesimo oggetto di
studio; infine, conseguentemente a ciò si comprenderà come oltre ad impostazioni
prettamente accademiche, si sottenda un background culturale di differente matrice,
maggiormente propenso oltreoceano ad investimenti non soltanto tecnici, quant’anche
sociali che, in concreta risposta ad un evento violento esterno, permettano una risposta di
maggiore efficacia in termini di contenimento del rischio ed in primis di quello relativo alle
vite umane, anche di fronte a quello che è l’ ”Hazard”, ossia il pericolo ineliminabile o
imprevedibile.
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Capitolo I
Il concetto di “disastro”: un’analisi teorico - concettuale
1.1 – Le questioni di base
Quando ci si imbatte in una discussione relativa ad un grande evento, o si hanno notizie
improvvise di questo, dove in molti perdono la vita o vengono feriti a causa della
dirompente forza della natura, il pensiero si rivolge comunemente ed immediatamente ad
un disastro. In genere, la trasformazione dell’evento naturale in evento culturale può
manifestarsi, ancora oggi, con l’uso di espressioni come "sfortuna" o anche " punizione
divina ". Queste interpretazioni sono influenzate da particolari condizioni legate a fattori
sociali e individuali che rendono necessario per chi voglia adottare un approccio
scientifico, in particolare nel suo incipit, superare la vaghezza della visione comune e
tentare la spiegazione di ciò che un disastro è in realtà. Come per l’avvio della Sociologia
quale scienza, la sotto-disciplina della Sociologia del disastro, branca specifica della
Sociologia dell’ambiente, affronta il problema della definizione relativa al suo oggetto di
studio: così, il problema principale in questa nuova disciplina è la ricerca di una
definizione chiara ed univoca. Utilizzando le stesse parole di E. Quarantelli (1998),
professore presso il Centro di ricerca del disastro presso l’Università del Delaware, le
questioni principali da porsi sono le seguenti: che cosa è un disastro? Cosa si può chiamare
“disastro” da una prospettiva sociologica? Fino ad oggi, non vi è alcuna epistemologia alla
quale una tale specifica disciplina può fare riferimento e non sussistono di conseguenza
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definizioni univoche. Pertanto, il primo passo da compiere all’interno di queste pagine è
quello di osservare i principali tentativi di definizione forniti finora dagli autori che hanno
dato avvio alla disciplina, al fine di comprendere l'approccio della sociologia al fenomeno
in questione.
1.2 – Le definizioni del Disastro nello sviluppo disciplinare
Da qualche tempo, i sociologi hanno interpretato i disastri ambientali quali particolari
tipologie di fenomeni sociali, nel loro apparire quali drammatici eventi storici scatenanti
reazioni collettive. Seri tentativi di definizione sono stati avanzati tra i primi da Fritz
(1961). La definizione fornita da Fritz è stata elaborata durante gli studi strategici della
seconda guerra mondiale: l’attenzione ai danni fisici ed ancor prima alla disgregazione
sociale, implica che diversi tipi di eventi generano delle definizioni sociali di questi. Negli
studi teorici compiuti sinora, il concetto di "danneggiamento fisico" risulta molto
frequente: a partire da un approccio sistemico, alcuni ricercatori hanno esaminato la
reazione di alcuni sistemi sociali dopo che un evento si è verificato, altri hanno esaminato
quali strategie adottino i sistemi sociali al fine di aumentare o ridurre il rischio di danni
fisici o di disgregazione sociale prima che un evento si verifichi. In entrambi i casi, i
disastri appaiono “catalizzatori” impliciti o espliciti di azione collettiva. Essi comportano
un danno considerevole per l'ambiente fisico e sociale: si verificano improvvisamente e
sono socialmente definiti come aventi una o più fasi acute. Le catastrofi naturali sono
comuni nella maggior parte delle società ed in quelle più grandi e tecnologicamente
avanzate è più facile che i loro effetti vengano totalmente o parzialmente assorbiti.
Secondo il Nuovo dizionario della lingua americana
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, è un disastro:
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"Qualsiasi avvenimento che causa gravi danni e calamità. Un disastro implica una grande disgrazia
che si traduce in perdita di vite umane, proprietà, ecc. Calamità che portano profondo dolore per la
collettività."
Quest'ultima è una definizione classica di disastro, la quale si collega con la visione
all’inizio citata: in genere, essa varia notevolmente nei dizionari stranieri poiché riflette il
paese così come la cultura e la lingua di ogni nazione. E’ inoltre vero che molte ricerche
utilizzano diversi criteri e una metodologia sostanzialmente predeterminata dal background
professionale. In altri termini, il fenomeno è oggetto di uno studio particolareggiato e le
definizioni elaborate differiscono conseguentemente l'una dall'altra, a volte drasticamente,
rendendo difficile una catalogazione in termini di denominazioni enciclopediche e di
caratterizzazioni distinte. Ad esempio, gli studiosi delle scienze naturali, in primo luogo i
geografi, considerano il disastro come causa dei succesivi disordini sociali, con un concetto
esogeno che designa i disastri causati da agenti fisici solitamente provenienti dalla natura,
quindi trattandoli come prettamente naturali. Diversamente, gli studiosi delle scienze
sociali considerano simili fenomeni come costruzioni sociali, all'interno di una concezione
endogena: il disastro è il risultato di processi sociali che creano o aumentano la
vulnerabilità di un sistema sociale (Pelanda 1982, Quarantelli 1992). La “vulnerabilità” di
un sistema sociale si manifesta in una situazione di stress collettivo; altri studiosi si
focalizzano invece su una combinazione di ragioni (Porfiriev, 1998) fisiche quanto sociali.
Inoltre molti autori, nel tentativo di risposta alla questione "cosa è un disastro", concludono
spesso col sostituire la risposta ad altre questioni quali ad esempio "come le società
agiscono in condizioni di emergenza": una simile delucidazione può essere sì considerata
rilevante, ma di certo non prettamente inerente la domanda iniziale. Come parte di uno
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studio, diviene allora importante esaminare i tentativi di ampliamento della definizione;
utilizzando un approccio sistemico, Porfiriev (1998) ipotizza che il disastro è:
"Una condizione destabilizzante il sistema sociale che si manifesta in un malfunzionamento o
interruzione delle comunicazioni tra i suoi elementi o unità sociali (gruppi sociali e gli individui),
nella distruzione parziale o totale, che rende necessaria la presa di contromisure straordinarie per
riportare la stabilità."
La definizione fornita dallo studioso non riflette ovviamente tutta la complessità delle
attuali situazioni disastrose; tuttavia, è altresì importante nel consentire una delimitazione
da un lato tra ciò che è routine e ciò che è emergenza, mentre dall'altro tra disastro e altre
forme di situazioni straordinarie. In una visione sistemica, la categoria di vulnerabilità è
molto enfatizzata negli studi, ma taluni studiosi la considerano un concetto piuttosto
rilevante nella spiegazione delle cause del disastro e nello sviluppo della situazione, così
rispondendo alla domanda "perché il disastro", invece di che "cosa è il disastro". Un'altra
categoria risulta però importante nel presente capitolo: la categoria della stabilità. Difatti,
essa diventa un connotato fondamentale giacché può essere considerato come un principio
di base per definire le principali caratteristiche di un disastro. Quest’ultime includono in
primis la rottura della routine collettiva da parte dell’unità sociale ed in secundis una spinta
di misure straordinarie per la sopravvivenza, al fine fondamentale di gestire la situazione.
La prima caratteristica contribuisce a distinguere un "disastro" da un’"emergenza":
quest'ultima è generalmente definita come una situazione che richiede un intervento
immediato; in questo caso, come alcuni autori hanno ipotizzato (Dahl 1989, Porfiriev
1998), l'imprevedibilità non è un attributo necessario di un disastro, come lo è invece nella
modalità d’ emergenza. La seconda caratteristica differenzia invece un "disastro" da una
"crisi": con quest’ultimo termine, è possibile catalogare una vasta gamma di situazioni. In
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termini generali, una crisi è comparabile ad un momento difficile e complicato, o un
momento di grande difficoltà con le possibilità di buoni quanto cattivi risultati.
L’esperienza storica, così come gli anni contemporanei della crisi finanziaria, mostrano ad
esempio che una tale situazione può durare per mesi, forse anche anni; diversamente, un
disastro ed una situazione di emergenza richiedono misure urgenti per salvare gli individui
(dalle 24 ore ai pochi giorni). Dal punto di vista sociologico ed antropologico il punto è
fondamentalmente semplice: ogni definizione del disastro implica che anche i peggiori
scenari non sono, in ottica teorica, credibili. Perché, come alcuni autori hanno sostenuto,
tutti i disastri sono difatti costruzioni sociali (Quarantelli 1983, Hewitt 1987): gli eventi
coinvolgono ancor prima le definizioni sociali del danno e delle attività ordinarie nelle
società o dei loro sottosistemi più grandi. In quest’ottica, ogni sistema sociale dovrebbe
allora essere esaminato sia prima sia dopo che un evento si è verificato. Pertanto, un'altra
definizione di disastro è fornita da Kreps (1993):
“gli eventi stra-ordinari nelle società o nei loro sottosistemi più grandi (regioni, contee, ecc) che
comportano danni fisici e disgregazione sociale.”
Lo studioso statunitense non si limita tuttavia a fornire una propria definizione, bensì
provvede ad individuare specifiche “chiavi” con le quali definire successivamente le
proprietà di tali eventi:
- Lunghezza del preavviso (length of forewarning)
- Magnitudo dell’impatto (magnitude of impact)
- Durata dell’impatto (duration of impact)
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