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INTRODUZIONE
Il presente lavoro analizza, in ambito di sopravvenienze contrattuali, la
clausola di hardship, sia nel panorama italiano sia in quello internazionale,
con particolare riguardo ad una comparazione tra i sistemi di common law e
civil law.
Il termine inglese hardship è tradotto in italiano come ‹‹disagio››,
‹‹avversità››. Nel linguaggio del commercio internazionale, esso sta ad
indicare quella situazione sopravvenuta o sconosciuta al momento della
conclusione di un contratto, al verificarsi della quale, l’equilibrio economico
dello stesso ne risulta sensibilmente alterato, rendendo una prestazione, non
impossibile, ma particolarmente onerosa rispetto a quanto pattuito ab
origine.
Sotto un profilo più pratico, con l’inserimento di una clausola di hardship in
un documento contrattuale, le parti disciplinano come reagire ad una
situazione in cui l’equilibrio contrattuale è alterato da un fattore esterno,
imprevedibile e straordinario, allo scopo di adattare i loro rapporti alle
nuove circostanze, o attraverso la rinegoziazione delle condizioni
contrattuali, o attraverso l’intervento di un terzo che ristabilisca la parità tra
le rispettive prestazioni, preferendo queste soluzioni ad una risoluzione del
contratto stesso.
L’hardship clause può risultare particolarmente utile quando una delle parti
abbia un interesse preminente alla prosecuzione del contratto, ad esempio in
un rapporto di durata (somministrazione, fornitura, distribuzione). Basta
pensare alla specificità dei contratti che prevedono la suddetta clausola e
operano in settori economici delle grandi opere, dell’industria petrolifera,
della chimica, della siderurgia, delle costruzioni di ingegneria meccanica,
dell’informatica e del settore bancario (soprattutto relativamente ai prestiti
internazionali).
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Sono le parti stesse che, inserendo tale clausola disciplinano il modo in cui
la circostanza di squilibrio contrattuale deve essere accertata, documentata e
comunicata alla controparte per poter dare esecuzione al procedimento di
ristrutturazione del contratto. In genere, si prevede che la parte che denuncia
l’evento di hardship debba provare, da un lato, che la sua prestazione è
diventata eccessivamente onerosa a causa di un evento fuori dal suo
ragionevole controllo, che non poteva essere ragionevolmente previsto al
momento della conclusione del contratto, e che, dall’altro lato, non ha
potuto evitare o superare l’evento o le sue conseguenze sfavorevoli.
La clausola di hardship riveste un ruolo preminente in considerazione anche
delle crisi economiche che sconvolgono l’economia internazionale. Nel
corso degli ultimi decenni si è riscontrata infatti, una notevole crescita della
vita di relazione che ha caratterizzato, in modo particolare, il settore dei
traffici commerciali.
Il primo capitolo sarà, quindi, dedicato ad una breve disamina delle
principali fonti del diritto del commercio internazionale dalla Lex
mercatoria, fonte che fondava la sua efficacia vincolante nella reciproca
accettazione da parte degli operatori commerciali, fino all’emanazione delle
grandi codificazioni del VII e del XIX secolo, allorché gli Stati iniziarono a
prevedere norme specifiche per le attività commerciali e a dare priorità alla
disciplina positiva interna su quella negoziale internazionale. Si prosegue
poi con la Convenzione Roma I, con la quale sono stati previsti criteri
uniformi di scelta della legge applicabile alle obbligazioni contrattuali
internazionali, ed infine ai Regolamenti 593/2008 e 864/2007 quali
evoluzione della Convenzione Roma I. Si affronterà pertanto il problema di
determinazione della disciplina applicabile al contratto del commercio
internazionale in riferimento ad un’analisi dei singoli diritti statali, dei
principi generali e degli sforzi tesi all’uniformazione del diritto in esame. Il
capitolo si conclude con i riferimenti definitori della clausola del commercio
internazionale di nostro interesse.
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Il secondo capitolo analizzerà lo specifico tema delle sopravvenienze
all’interno del sistema di diritto italiano con particolare riguardo al rapporto
tra la clausola dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, ai sensi della quale è
possibile richiedere la risoluzione di un contratto se la prestazione di una
parte è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di un evento
straordinario ed imprevedibile (art. 1647 c.c.), e la clausola di hardship.
L’ordinamento italiano, infatti, è considerato precursore rispetto ad altri
Paesi, dove non è neppure prevista la possibilità di risolvere il contratto per
eccessiva onerosità in virtù delle norme sull’interpretazione ed esecuzione
del contratto secondo buona fede e di quelle sull’integrazione dello stesso.
Dopo aver analizzato il nostro ordinamento si prosegue con una visione
della prassi della maggior parte degli ordinamenti nazionali, nei quali vige il
principio pacta sunt servanda, e quindi vige un principio che, normalmente,
non consente la modificabilità di un accordo contrattuale.
Pertanto, qualora un contratto internazionale sia regolato da una legge
nazionale che di per sé non consente la revisione degli accordi in caso di
mutamento della situazione di fatto, è opportuno e utile che sia
esplicitamente inserita, nel documento contrattuale, una disciplina
dettagliata della hardship in deroga alla rigidità contrattuale.
Infatti, in considerazione degli interessi che coinvolgono i contratti
internazionali, difficilmente questi possono risolversi senza comportare un
ulteriore aggravio finanziario a causa di ragioni economiche e/o politiche,
quindi è preferibile una prosecuzione del contratto piuttosto che una
risoluzione.
Infine l’analisi condotta nel terzo capitolo è riferita ad alcuni ordinamenti,
sia di civil law che di common law, onde evidenziare analogie e differenze
con il nostro ordinamento e valutare come esse interagiscano nell’ambito
della più ampia prospettiva del contratto del commercio internazionale.
Nell’ordinamento inglese le regole generali che disciplinano le
sopravvenienze sono assai sfuggenti, stante il rispetto del principio della
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sancity of the contract, che, tuttavia, subisce alcune mitigazioni ad opera
della doctrine of frustation. Sono poi evidenziate differenze ed analogie
nell’ambito dei sistemi di common law tra il sistema inglese e quello
americano. Altro modello considerato è quello francese nel quale si opera
una bipartizione delle sopravvenienze: da una parte la force majeure, causa
esoneratrice di responsabilità e dall’altra quelle che hanno dato origine alle
teorie dell’imprévision.
Dallo studio svolto emerge una disciplina eterogenea, in parte composta da
figure esplicitamente delineate, in parte da rimedi emersi solo in via
interpretativa o limitati a specifici settori e, talvolta, non ancora definiti con
sicurezza. Le conclusioni alle quali si giunge di conseguenza non sono
univoche: da un lato è inevitabile osservare la portata innovativa del
progetto di unificazione delle clausole del contratto del commercio
internazionale e il tentativo di tipizzazione delle hardship clauses; e
dall’altro si continua a proteggere il principio del pacta sunt servanda
capace di assicurare certezza al diritto e allo specifico rapporto contrattuale.
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Capitolo I
Cenni storici sui contratti internazionali: dalla Lex mercatoria al
contratto del commercio internazionale
1. La crescita della vita di relazione internazionale che ha caratterizzato gli
ultimi decenni ha influenzato particolarmente il settore dei traffici
commerciali. L’enorme sviluppo degli scambi economici tra Paesi differenti
e il conseguente delinearsi di un mercato mondiale prevalentemente basato
sulla libera concorrenza, ha posto in primo piano l’esigenza di specificare
gli elementi caratterizzanti e soprattutto la disciplina giuridica del contratto
internazionale nonché gli istituti che lo interessano.
La stessa individuazione di cosa debba intendersi con il termine ‹‹contratto
internazionale›› risulta problematica. In mancanza di una sua qualificazione
legislativa e di un criterio rigoroso in base al quale determinare
l’internazionalità di un contratto, la ricerca di una definizione del concetto
in parola si basa sull’analisi giurisprudenziale e sull’osservazione della
prassi.
In questa prospettiva si considerano normalmente contratti internazionali
‹‹tutti quei contratti che presentino, da un punto di vista fattuale e sociale,
collegamenti con sfere territoriali sottoposte ad autorità di Stati diversi,
dunque con ambiti entro i quali siano in vigore sistemi giuridici
differenti
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››.
Poiché il contratto internazionale coinvolge per definizione una pluralità di
ordinamenti giuridici differenti, la sua regolamentazione sarà offerta dal
sistema giuridico individuato per mezzo delle norme di diritto internazionale
privato; tuttavia, vi saranno, normalmente più leggi potenzialmente
applicabili allo stesso. Un grosso problema che si pone, pertanto, è quello
della determinazione della disciplina applicabile a tale contratto: per lo più i
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CARBONE-LUZZATO, I contratti del commercio internazionale, in Tratt. Dir. priv. Diretto da
Rescigno, vol. XI, Torino, 1984, pag. 144.