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INTRODUZIONE
Il presente elaborato nasce dalla volontà di studiare la prima fase della carriera letteraria di
Hanif Kureishi, scrittore inglese nato il 5 dicembre 1954 a Bromley, nel sud-est di Londra,
da padre pakistano e madre inglese.
Il punto di partenza della Tesi (lontano a dire il vero anche dal pensiero della stessa) è stato
la lettura del primo romanzo di Hanif Kureishi, svolta in vista di un esame di Letteratura
Inglese del Professore Giovanni Luciani.
Il romanzo in questione, The Buddha of Suburbia, pubblicato nel 1990, segnò il confine tra
la prima e la seconda fase della carriera di Kureishi, perché il libro fu tradotto in oltre venti
lingue e distribuito (con grandissimo successo) in tutto il mondo.
La domanda dalla quale si è partiti per la stesura dell’elaborato è stata perciò la seguente:
quali opere aveva pubblicato Hanif Kureishi prima di The Buddha of Suburbia?
Per scoprirlo, si è compiuto un viaggio a ritroso nella carriera di Kureishi, iniziata con la
scrittura di testi teatrali: al di là, infatti, di alcune esperienze precedenti (nei primi anni ’70
Kureishi ha scritto anche racconti pornografici, di cui si sono perse le tracce), l’esordio di
Kureishi come scrittore è datato 1976, con la lettura nella ‘domenica notte’ del Royal
Court Theatre del suo primo dramma, Soaking the Heat.
La Tesi, che è stata suddivisa in quattro capitoli, ha un’ulteriore divisione al suo interno,
con due capitoli sul teatro e due sul cinema, secondo quanto segue: il primo capitolo, una
breve disamina sul teatro inglese dagli anni ’50 agli anni ’70, si concentra sugli autori (e
sulle ‘rivoluzioni’ teatrali) che più hanno influito sulle opere di Hanif Kureishi, sia per
quanto riguarda i temi, sia per quanto riguarda le scelte stilistiche e artistiche.
Il secondo capitolo prende in esame invece tutta la prima produzione drammaturgica di
Kureishi, analizzandone a fondo le implicazioni sociali e politiche, senza tralasciare i
riferimenti alla biografia dello scrittore, quest’ultimi sempre presenti in tutti i testi della
prima fase della carriera di Kureishi.
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Buchanan (: 39) afferma che il lavoro di Kureishi sembra essere in primo luogo autobiografico, più che di
denuncia sociale o politica, dato che ha vissuto in prima persona la problematicità delle relazioni interrazziali
di cui egli stesso parla.
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Il terzo capitolo, che apre la seconda parte della Tesi, si sofferma in primo luogo sulla
decisione dell’autore di lasciare da parte la scrittura drammaturgica, e di concentrarsi su un
nuovo tipo di linguaggio, quello cinematografico. Prima di esaminare le sceneggiature si
cercherà di capire perché l’autore, alla metà degli anni ‘80, abbia deciso di abbandonare,
almeno temporaneamente, il teatro e abbracciare il mondo della settima arte.
Il capitolo continuerà con le due sceneggiature (Laundrette e Sammy & Rosie) di Kureishi,
occasione per lo scrittore di far ‘esplodere’ sulla carta (e poi sullo schermo) alcuni temi che
aveva già iniziato a trattare con i testi teatrali.
Alla fine del terzo capitolo, infatti, si renderà chiaro come i primi sei testi dell’autore (le
quattro plays e le due sceneggiature) dialoghino in continuazione, con innumerevoli
rimandi da un’opera all’altra. Personaggi, battute, (alcune volte frasi identiche vengono
pronunciate solo in contesti differenti) luoghi,
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tematiche, vengono ripresi e sviluppati,
dando la sensazione di trovarsi di fronte ad una grande opera unitaria, che veicola le idee di
Kureishi riguardo a temi come famiglia, matrimonio combinato, libertà sessuale, droghe,
cultura pop, rock, immigrazione e identità ibride, lotta delle minoranze, razzismo, politica,
vita nelle periferie, e ancora si potrebbe continuare a elencarne.
La Tesi si concluderà con il quarto capitolo, incentrato sull’analisi del film di una delle
due sceneggiature descritte nel precedente, My Beautiful Laundrette.
L’ultimo capitolo partirà, sulla stregua di come era impostato il primo, con il rapporto che
Laundrette ha intrattenuto con le produzioni cinematografiche britanniche che lo hanno
preceduto; infine, nel terzo paragrafo, si darà un’interpretazione dettagliata di alcune
sequenze tratte da My Beautiful Laundrette. La scelta di prendere in esame le sequenze di
My Beautiful Laundrette, e quindi di non fermarsi all’analisi della sceneggiatura, deriva
innanzitutto da alcune differenze evidenti tra il testo di Kureishi e il film.
Vi è però un’altra motivazione, ben più importante, alla base di questa scelta: esaminare il
film ha permesso di cogliere le scelte registiche di Stephen Frears e Hanif Kureishi, che
rendono manifesto il messaggio autoriale dietro le varie inquadrature di Laundrette.
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Si consideri, ad esempio, che tutte le opere che verranno analizzate in questa Tesi sono ambientate a
Londra, con un particolare occhio di riguardo verso la periferia sud-est della capitale (dove è nato appunto lo
scrittore), che trova maggior spazio rispetto ad altri luoghi della città. Se ne parlerà ampiamente nel corso
dell’elaborato.
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Kureishi, che all’uscita di The Buddha of Suburbia
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si consacrò come uno degli autori più
importanti del secondo Novecento inglese, è stato spesso definito dai critici e dagli studiosi
attraverso varie etichette (oppure inquadrato all’interno di categorie), tra cui quella di
scrittore portavoce delle minoranze, siano esse etniche o di orientamento sessuale.
Il presente elaborato non si è concentrato su questo aspetto:
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l’obiettivo è stato studiare la
prima fase della carriera di Kureishi, innanzitutto perché non sono tanti i casi di scrittori
contemporanei che riescono a passare da un genere letterario all’altro ottenendo sempre il
successo (commerciale e di critica) che si desidera; ciò conferma la trasversalità incredibile
di Kureishi, che riesce a adattarsi subito alle forme di un nuovo canone.
In secondo luogo perché la quantità di temi che Kureishi tratta contemporaneamente nei
suoi testi è qualità innegabile, e certo non comune, se si pensa che ad essi viene riservata
sempre un’indubbia profondità.
Per tali motivi Kureishi non verrà inquadrato in nessuna categoria, ma verrà analizzato per
ciò che ha scritto, e in base a questo, si rimanderà alle sue esperienze personali e si traccerà
la sua visione sui vari temi che tratta.
Anche perché, come affermò lo stesso Kureishi nel 1986,
[a] decent piece of literature doesn’t bother with categories. It’s absurd to talk
about Proust as a gay writer, or of Naipaul as a black writer, or Whitman as a
gay writer. There’s no such thing as a gay or black sensibility. I don’t think
being black or female so pervades a writer’s mind that all experience is
different from that of whites or men. […]
Generally, writers who put themselves into categories aren’t very talented and
are published because they’re gay, or feminist, or black. […] If you call
yourself a black or gay writer, it might inhibit you from entering lives of
characters unlike yourself. I’m not gay but I write about gay characters. I make
it up. That’s my job. If I fail, it’s not a failure of sex or sexual preference. It’s a
failure of imagination (in Pally: 55).
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The Buddha of Suburbia che, come detto, chiude la prima fase della carriera di Hanif Kureishi (si potrebbe
pensare anche che il romanzo ne apra una nuova, ma non è rilevante in questo contesto) è la conferma di
quanto scritto nella nostra introduzione riguardo al continuo dialogo tra i primi testi di Kureishi. Quando
venne pubblicato il romanzo, infatti, le plays e le sceneggiature si presentarono, per gli studiosi, come un
lungo lavoro preparatorio che aveva preceduto quel romanzo magma (si prende in prestito un termine di Asor
Rosa riferito ad altra narrativa) che ancora oggi rimane l’opera più famosa di Kureishi.
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Autori infinitamente più autorevoli del sottoscritto hanno trattato la questione (si pensi solo alla prima
biografia di Kureishi, curata da Kenneth C. Kaleta, Hanif Kureishi. Postcolonial Storyteller, del 1998, usata
peraltro come riferimento per la stesura della presente Tesi).
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1. Il teatro inglese agli albori della carriera di Kureishi
Al fine di comprendere la prima produzione drammaturgica di Hanif Kureishi è opportuno
partire da un excursus sul teatro inglese a lui contemporaneo. La breve disamina, che non
si pone come obiettivo quello di descrivere in maniera esaustiva tutto il teatro inglese del
Secondo Dopoguerra, si concentrerà sugli autori (e sulle ‘rivoluzioni’ teatrali) che più
hanno influito sulle opere di Hanif Kureishi, sia per quanto riguarda i temi, sia per quanto
riguarda le scelte stilistiche e artistiche.
Il teatro inglese, proprio negli anni dell’infanzia di Kureishi
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, visse infatti una sorta di
rinascimento culturale. Il nuovo impeto del teatro britannico derivò da una
combination of factors. The 1955 premiere of Beckett’s Waiting for Godot had
introduced the dramaturgy and philosophical vision of European ‘absurd’
drama; the opening of Osborne’s Look Back in Anger (1956) announced the
vigourous renaissance of social realism in the form of ‘kitchen-sink’ drama;
and the visit of Brecht’s Berliner Ensemble in the same year introduced British
theatre to a radically new set of production techniques, harnessed to an
uncompromising socialist politics (Moore Gilbert: 34).
1.1 The Theatre of the Absurd in Inghilterra: tre protagonisti
Il teatro inglese della seconda metà degli anni ’50 era stato ‘sconvolto’ dalla premiere di
un’opera di un autore che inglese non era, e che restò quasi del tutto estraneo alle vicende
della scena inglese del suo tempo. E che rappresentò tuttavia, da lì in poi soprattutto, un
punto di riferimento obbligato per tutto il teatro del secondo Novecento, compreso quello
inglese. L’autore dell’opera in questione, Samuel Beckett (1906-1989), nato a Dublino,
visse per gran parte della sua vita in Francia, e adottò il francese come lingua di alcuni dei
suoi capolavori.
Waiting for Godot, scritto appunto in francese nell’inverno ’48-49 e rappresentato in Gran
Bretagna per la prima volta all’Arts Theatre
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nell’agosto 1955, affermò pienamente l’idea
di teatro dell’autore irlandese, “che prese in prestito la forma dominante sin da fine
Ottocento (quella che Peter Szondi chiama ‘dramma conversazione’) per svuotarla dal suo
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Come scritto nell’introduzione, Hanif Kureishi è nato a Bromley, nel sud-est di Londra, il 5 dicembre 1954.
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L’Arts Theatre è un teatro del West End di Londra che sin dalla sua apertura come club privato, nel 1927, si
era assunto grandi rischi artistici producendo una vasta gamma di spettacoli nuovi e sperimentali, o spettacoli
che si pensava non fossero vendibili e perciò rappresentabili nel West End più convenzionale.
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interno, riducendo la conversazione a un dialogo fine a sé stesso e privo della sua funzione
significante” (Bertinetti: 110). La conversazione si dichiara come un vuoto conversare, un
succedersi di frasi per passare il tempo che i due protagonisti, Vladimir ed Estragon, si
scambiano per ingannare l’attesa in cui consiste l’essenza del dramma stesso. Poiché
Beckett pone al centro della pièce l’atto dell’attendere, l’attesa di qualcuno che non verrà
diventa la forma attraverso cui si rivela il significato dell’esistenza umana. Il dialogo dei
protagonisti è fatto di salti logici, (caratteristica del testo di Beckett che Kureishi riprenderà
soprattutto in The King and Me e Outskirts) di domande che non presuppongono una
risposta e, aspetto non secondario, di battute che svelano la finzione teatrale.
Il teatro di Beckett, che nel linguaggio e nelle sue caratteristiche si rivelò fondamentale per
l’ambientazione, i dialoghi e i personaggi delle prime plays di Kureishi,
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è stato spesso
spiegato con l’etichetta del giornalista e scrittore Martin Esslin theatre of the absurd, una
definizione che si poteva applicare, secondo lo studioso ungherese, a tutti quei testi del
Novecento in cui vi era una svalutazione radicale del linguaggio. Esslin coniò il termine
nel suo saggio del 1960, intitolato appunto, The Theatre of the Absurd, e prese come
esempio le opere di Beckett, Adamov e Ionesco. Esslin affermò nel suo saggio che le loro
commedie avevano un denominatore comune: ‘l'assurdo’, una parola che Esslin chiariva
con una citazione di Ionesco: “absurd is that which has not purpose, or goal, or objective”
(Esslin: 4).
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Tolto lo scalpore della prima rappresentazione di Wating for Godot, tuttavia,
nel teatro britannico, la tradizione del teatro dell’assurdo
brought an essentially non-political content, [....], and a succession of small
cast and cheaply staged pieces which proved a temptation to even the most
timid commercial managements. For audiences, absurdism offered the thrill of
the new and the continental within a recognisably middle-class setting. Its
initial attraction was that it offered a theatrical entry to a world increasingly
hostile to the conventions of realist drama, but which established agreement on
the grounds on which disagreement could take place. […] [ad esempio, il teatro
di Ionesco] made it attractive to a British theatre audience dedicated to a non-
progressive political perspective. Absurdist theatre certainly influenced British
drama, but by striking a responsive chord in a theatre already moving in its
direction. (Bull in Kershaw: 337)
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Hanif Kureishi ha spesso citato Beckett come uno dei modelli teatrali maggiormente ammirati. Kureishi ha
anche conosciuto personalmente Beckett si veda (Kureishi 1999: vii). Per i riferimenti al teatro di Beckett nei
testi di Kureishi si veda anche (Moore-Gilbert: 58).
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Per una trattazione dettagliata sul theatre of the absurd, si veda (Esslin: 3-15).
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Per Harold Pinter (1930-2008), drammaturgo britannico Premio Nobel per la letteratura nel
2005, il punto di partenza è stato proprio il teatro dell’assurdo e, in particolare, la scrittura
di Beckett
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che, come accennato, mostrava l’illogicità della conversazione quotidiana nei
dialoghi dei suoi personaggi senza storia e senza patria.
“La differenza, e quindi il contributo originale di Pinter, discende dal fatto che i suoi
personaggi hanno invece una collocazione molto specifica e determinata: sono inglesi e
contemporanei, e il linguaggio che parlano è quello dell’inglese di tutti i giorni” (Bertinetti:
118). Ciò che rimane identico è invece la scoperta della presenza dell’illogicità nella
conversazione quotidiana, quell’illogicità che c’è nella realtà ma che invece il realismo non
ha sottolineato mai.
È questo il primo e il principale paradosso di un teatro che si colloca fuori dell’ambito
realistico e che si propone invece di giungere alla realtà ricorrendo a immagini e situazioni
le cui valenze simboliche (che Pinter, come Beckett, ha sempre rifiutato di riconoscere)
costituiscono un aspetto decisivo della materia drammatica stessa. Queste e molte altre
caratteristiche della sua scrittura (così come il fatto che molti drammi di Pinter si svolgono
in una sola stanza) confluiscono nella sua opera più famosa, messa in scena per la prima
volta nel 1960, “The Caretaker, which transferred from the Arts Theatre to the Duchess
Theatre in the West End,
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to universal critical acclaim” (Bull in Kershaw: 338).
The Caretaker, che ebbe un successo di pubblico e di critica clamoroso, (fu apprezzata
molto da Kureishi, ed infatti l’opera di Pinter influenzò notevolmente Birds of Passage) ha
una trama costruita intorno a tre soli personaggi; all’opera sono stati attribuiti dai critici i
significati piú svariati: quello della lotta tra giovani e vecchi, della difesa del territorio,
della ricerca d’identità. E non è difficile scorgervi l’accusa di Pinter verso i meccanismi di
aggressione, l’emarginazione, l’intolleranza e la repressione dei diversi.
“In the second half of the 1960s Tom Stoppard garnered success similar to Pinter’s when,
in 1967, Rosencrantz and Guildenstern are Dead had its first professional production, by
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Pinter had seen Waiting for Godot in 1955 and at least one of Ionesco’s plays by the time The Birthday
Party was premièred in 1958 (Bull in Kershaw: 338).
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Come The Caretaker, anche Waiting for Godot era stato spostato dopo la sua prima rappresentazione
dall’Arts Theatre (nel suo caso al Criterion Theatre) secondo un’usanza in voga nel Regno Unito del secondo
Dopoguerra, che trasferiva le nuove commedie, come quelle di Godot e Pinter, “more challenging” (Bull in
Kershaw: 332) “from small club theatres” verso teatri più grandi, o “commercial” (come appunto il Duchess,
il Criterion e il Globe). Sul perché di questi spostamenti degli spettacoli si veda (Bull in Kershaw: 332-333).
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the National Theatre Company
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at the Old Vic” (Bull in Kershaw: 338-339).
L’opera è una commedia metateatrale che ha come protagonisti i due compagni di studi di
Amleto che passano il tempo a chiacchierare, come Vladimiro ed Estragone, “mentre
procede la vicenda che li porterà alla morte, e che è tutta costruita sul riferimento costante
alle battute di Amleto, di cui vengono inseriti interi brani” (Bertinetti: 124).
Il gioco nel teatro e sul teatro, insieme al gioco linguistico, sono i pilastri su cui regge
l’opera drammatica di Tom Stoppard, interessante anche da un altro punto di vista:
that Stoppard should draw from an historically classic text and ally it with a
play already established as a classic of the contemporary avant-garde is a
perfect example of the way in which the mainstream reconfigures itself in order
to survive, guaranteeing intellectual credibility to what had started life almost
as an undergraduate revue piece […] and it is not surprising that in 1967
Charles Marowitz could describe Rosencrantz and Guildenstern are Dead as
an ‘existential comedy whose ur-text like The Caretaker is En Attendant
Godot’.
The overnight success of Stoppard’s play was in no small part due to
the pioneering work of Pinter, for it was staged in a mainstream theatre whose
audiences were fully primed to expect and savour permutations of absurdism.
(Bull in Kershaw: 339).
Tom Stoppard
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è stato, inoltre, “creatore di un linguaggio drammatico originale e
immediatamente riconoscibile” (Bertinetti:126), ed ha rinnovato, con altri autori inglesi
contemporanei, lo charme e la vitalità dell’inglesissima arte della commedia (ibidem).
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Le proposte per un teatro nazionale furono fatte per la prima volta nel 1848. Il 23 aprile 1913 fu presentato
alla Camera dei Comuni un disegno di legge a favore dell'istituzione di un teatro nazionale.
Tuttavia, il National Theatre Act non fu presentato al Parlamento fino al 1949, quando passò “uncontested in
Parliament, the then chancellor of the exchequer, Sir Stafford Cripps, having committed the government to
up to £1 million towards its building” (Godwin: 9).
Dopo l’approvazione della legge però, “the commercial theatres of the West End were unanimous in their
opposition to a subsidized national theatre, believing that, as John Pick points out, ‘any state intervention in
the theatre would inevitably run counter to the interests of the West End establishment’ (: 147). Despite
various campaigns for a start to the project, it was not until after the Royal Shakespeare Company staged the
first of its London winter seasons, in 1960, that the National Theatre Company finally opened under Olivier
at the Old Vic Theatre in 1963. And the National Theatre itself was not built until 1976”
(Bull in Kershaw: 332).
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Anche Tom Stoppard era un autore apprezzato da Kureishi; si veda a riguardo l’episodio raccontato da
Kureishi in (1999: viii).