5
PARTE 1
1
L’iter che porta dall’evento morboso all’handicap è il punto concettuale cruciale per comprendere la
natura dell’handicap. Tale comprensione è a sua volta imprescindibile per definire gli interventi, le
competenze e in ultima analisi per operare a favore dell’integrazione.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha elaborato nel 2001 uno strumento di classificazione che
analizza e descrive la disabilità come esperienza umana che tutti possono sperimentare. Tale
strumento, denominato ICF, propone un approccio all’individuo diversamente abile dalla portata
innovativa e multidisciplinare. In questo capitolo si vuole delineare brevemente le principali
caratteristiche relative alle classificazioni che hanno preceduto l’ICF, analizzando gli aspetti
innovativi della stessa. Tale strumento, poco conosciuto e utilizzato in ambito educativo,
rappresenta una fonte importante di analisi relativa al mondo della disabilità.
A partire dalla seconda metà del secolo scorso l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha
elaborato differenti strumenti di classificazione inerenti l’osservazione e l’analisi delle patologie
organiche, psichiche e comportamentali delle popolazioni, al fine di migliorare la qualità della
diagnosi di tali patologie. La prima classificazione elaborata dall’OMS, “La Classificazione
Internazionale delle malattie” (ICD, 1970) risponde all’esigenza di cogliere la causa delle
patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche
cliniche ed indicazioni diagnostiche. L’ICD si delinea quindi come una classificazione causale,
focalizzando l’attenzione sull’aspetto eziologico della patologia. Le diagnosi delle malattie vengono
tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati.
EZIOLOGIA Æ PATOLOGIA Æ MANIFESTAZIONE CLINICA
L’ICD rivela ben presto vari limiti di applicazione e ciò induce l’OMS ad elaborare un nuovo
manuale di classificazione, in grado di focalizzare l’attenzione non solo sulla causa delle patologie,
ma anche sulle loro conseguenze: “la Classificazione Internazionale delle menomazioni, delle
disabilità e degli handicap” (ICIDH, 1980). L’ICIDH non coglie la causa della patologia, ma
l’importanza e l’influenza che il contesto ambientale esercita sullo stato di salute delle popolazioni.
Con l’ICIDH non si parte più dal concetto di malattia inteso come menomazione, ma dal concetto di
salute, inteso come benessere fisico, mentale, relazionale e sociale che riguarda l’individuo, la sua
globalità e l’interazione con l’ambiente.
L’OMS dichiara l’importanza di utilizzare l’ICD
2
e l’ICIDH in modo complementare, favorendo
l’analisi e la comprensione delle condizioni di salute dell’individuo in una prospettiva più ampia, in
quanto i dati eziologici vengono integrati dall’analisi dell’impatto che quella patologia può avere
sull’individuo e sul contesto ambientale in cui è inserito.
1
OMS, Decima Revisione della Classificazione Internazionale delle sindromi e dei disturbi psichici e comportamentali
(ICD-10), Masson, Milano, 1992.
- OMS, Classificazione Internazionale delle menomazioni, disabilità e degli handicap (ICIDH), Cles, 1980.
- OMS, Classificazione Internazionale del funzionamento e delle disabilità, ICIDH-2, Bozza Beta-2, versione integrale,
Erickson, Trento, 1999.
- OMS, Classificazione internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF), Erickson, Trento,
2001.
2
In Italia si fa riferimento alla versione 10 del 1992
I MOLTEPLICI ASPETTI DELLA DISABILITA’
1.1 LE CLASSIFICAZIONI INTERNAZIONALI ELABORATE
DALL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ: ICD E ICIDH
6
L’ICIDH è caratterizzato da tre componenti fondamentali, attraverso le quali vengono analizzate a
valutate le conseguenze delle malattie:
1)la menomazione, come danno organico e/o funzionale;
2)la disabilità, come perdita di capacità operative subentrate nella persona a causa della
menomazione;
3)svantaggio (handicap), come difficoltà che l’individuo incontra nell’ambiente circostante a causa
della menomazione.
MALATTIA O DISTURBO Æ MENOMAZIONI Æ DISABILITA’ Æ HANDICAP
La presenza di limiti concettuali insiti nella classificazione ICIDH ha portato l’OMS ad elaborare
un’ulteriore strumento, “La Classificazione Internazionale del funzionamento e delle disabilità”
(ICIDH-2, 1999), che rappresenta l’embrione del modello concettuale che sarà sviluppato
nell’ultima classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: “La Classificazione
Internazionale del funzionamento,disabilità e salute (ICF, 2001).
Il 22 maggio 2001 L’Organizzazione Mondiale della Sanità perviene alla stesura di uno strumento
di classificazione innovativo, multidisciplinare e dall’approccio universale: “La Classificazione
Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute”, denominato ICF.
All’elaborazione di tale classificazione hanno partecipato 192 governi che compongono
l’Assemblea Mondiale della Sanità, tra cui l’Italia, che ha offerto un significativo contributo tramite
una rete collaborativa informale denominata Disability Italian Network (DIN), costituita da 25
centri dislocati sul territorio nazionale e coordinata dall’Agenzia regionale della Sanità del Friuli
Venezia Giulia. Scopo principale del DIN risulta essere la diffusione degli strumenti elaborati
dall’OMS e la formazione di operatori che si occupano di inserimento lavorativo dei diversamente
abili, in collaborazione con il Ministero del lavoro e delle politiche Sociali.
Ma cosa è l’ICF?
L’ICF si delinea come una classificazione che vuole descrivere lo stato di salute delle persone in
relazione ai loro ambiti esistenziali (sociale, familiare, lavorativo) al fine di cogliere le difficoltà che
nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare disabilità. Tramite l’ICF si vuole quindi
descrivere non le persone, ma le loro situazioni di vita quotidiana in relazione al loro contesto
ambientale e sottolineare l’individuo non solo come persona avente malattie o disabilità, ma
soprattutto evidenziarne l’unicità e la globalità.Lo strumento descrive tali situazioni adottando un
linguaggio standard ed unificato, cercando di evitare fraintendimenti semantici e facilitando la
comunicazione fra i vari utilizzatori in tutto il mondo.
Tra gli aspetti innovativi si possono distinguere:
1) A differenza delle precedenti classificazioni (ICD e ICIDH), dove veniva dato ampio spazio
alla descrizione delle malattie dell’individuo, ricorrendo a termini quali malattia,
menomazione ed handicap
3
nell’ultima classificazione l’OMS fa riferimento a termini che
analizzano la salute dell’individuo in chiave positiva (funzionamento e salute).
2) L’ICF vuole fornire un’ampia analisi dello stato di salute degli individui ponendo la
correlazione fra salute e ambiente, arrivando alla definizione di disabilità, intesa come una
condizione di salute in un ambiente sfavorevole.
3
usati prevalentemente in accezione negativa, con riferimento a situazioni di deficit
1.2 LA CLASSIFICAZIONE INTERNAZIONALE DEL FUNZIONAMENTO,
DISABILITÀ E SALUTE
7
3) L’analisi delle varie dimensioni esistenziali dell’individuo porta a evidenziare non solo
come le persone convivono con la loro patologia, ma anche cosa è possibile fare per
migliorare la qualità della loro vita.
4) Il concetto di disabilità introduce ulteriori elementi che evidenziano la valenza innovativa
della classificazione:
- universalismo;
- approccio integrato;
- modello multidimensionale del funzionamento e della disabilità.
L’applicazione universale dell’ICF emerge nella misura in cui la disabilità non viene considerata un
problema di un gruppo minoritario all’interno di una comunità, ma un’esperienza che tutti, nell’arco
della vita, possono sperimentare. L’OMS, attraverso l’ICF, propone un modello di disabilità
universale, applicabile a qualsiasi persona, _ettino_a__ o diversamente abile.
L’approccio integrato della classificazione si esprime tramite l’analisi dettagliata di tutte le
dimensioni esistenziali dell’individuo, poste sullo stesso piano, senza distinzioni sulle possibili
cause.
Il concetto di disabilità preso in considerazione dall’Organizzazione Mondiale della Sanità vuole
evidenziare non i deficit e gli handicap che rendono precarie le condizioni di vita delle persone, ma
vuole essere un concetto inserito in un continuum multidimensionale. Ognuno di noi può trovarsi in
un contesto ambientale precario e ciò può causare disabilità. E’ in tale ambito che l’ICF si pone
come classificatore della salute, prendendo in considerazione gli aspetti sociali della disabilità: se,
ad esempio, una persona ha difficoltà in ambito lavorativo, ha poca importanza se la causa del suo
disagio è di natura fisica, psichica o sensoriale. Ciò che importa è intervenire sul contesto sociale
costruendo reti di servizi significativi che riducano la disabilità.
Gli scopi principali dell’ICF sono:
-fornire una base scientifica per la comprensione e lo studio della salute, delle condizioni,
conseguenze e cause determinanti ad essa correlate;
-stabilire un linguaggio standard ed univoco per la descrizione della salute delle popolazioni allo
scopo di migliorare la comunicazione fra i diversi utlizzatori, tra cui operatori sanitari, ricercatori,
esponenti politici e la popolazione, incluse le persone con disabilità;
-rendere possibile il confronto fra i dati relativi allo stato di salute delle popolazioni raccolti in Paesi
diversi in momenti differenti;
-fornire uno schema di codifica sistematico per i sistemi informativi sanitari.
L’utilizzazione dell’ICF non solo consente di reperire informazioni sulla mortalità delle
popolazioni, sulla morbilità, sugli esiti non fatali delle malattie e di comparare dati sulle condizioni
di salute di una popolazione in momenti diversi e tra differenti popolazioni, ma anche di favorire
interventi in campo socio-sanitario in grado di migliorare la qualità della vita delle persone.
A tal proposito, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, tramite l’opera di diffusione
dell’ICF portata avanti dal Disability Italian Network (DIN), si propone di coordinare i sistemi
nazionali e regionali, al fine di sperimentare metodologie uniformi per avere un’analisi dettagliata
della disabilità in Italia.
Come è strutturato l’ICF?
Le informazioni raccolte dall’ICF descrivono situazioni relative al funzionamento umano e alle sue
restrizioni. La classificazione organizza queste informazioni in due parti, in modo interrelato e
facilmente accessibile. La prima parte si occupa di Funzionamento e Disabilità, mentre la seconda
riguarda i Fattori Contestuali.
9
5
5
ibidem
10
Si osservi innanzitutto come si costituisce la situazione di handicap:
Questo schema è valido per tutte le malattie.
ξ EVENTO MORBOSO:qualsiasi cosa che alteri lo stato di SALUTE
(trauma,malattia,alterazione genetica).
o SALUTE, cioè l’assenza di malattia o meglio lo stato di completo benessere fisico,
psichico e sociale.
ξ L’evento morboso provoca una LESIONE o DANNO cioè un alterazione a livello d’organo
che comporta un’anormalità o una perdita di strutture o funzioni (fisiologiche e/o
psicologiche ).
Perdita e anormalità possono essere congenite o acquisite,temporanee o permanenti, fisiche
o psichiche, percepite dall’individuo oppure no ma in ogni caso percepibili dagli altri e,
soprattutto, possono essere presenti anche quando l’evento morboso si è esaurito (parliamo
infatti di esiti)
ξ La lesione non si manifesta in quanto tale ma per la presenza di SEGNI e di SINTOMI.
I SEGNI sono quelli riscontrabili all’esame medico – clinico ( riflessi, palpazione) o
attraverso indagini strumentali ( radiografia).
I SINTOMI sono quelli riferiti dal paziente, soggettivi (dolore).
ξ La lesione PRIMARIA può dare origine a lesioni SECONDARIE, anch’esse riconoscibili
tramite segni e sintomi.
6
Una lesione secondaria è una lesione che consegue alla primaria e
si manifesta anch’essa con segni e sintomi.
ξ LA DISABILITA’ non è da identificare con la lesione, bensì con le sue manifestazioni, cioè
dipende dall’importanza dei segni e dei sintomi.
La disabilità viene definita infatti come la riduzione o l’assenza della capacità di eseguire
un’attività nei modi e nei tempi definiti normali per persone con le stesse
caratteristiche di età, sesso e cultura
7
.
Dunque la disabilità riguarda le attività integrate della persona nel suo insieme: compiti,
comportamenti, abilità.
Generalmente le disabilità vengono descritte con un verbo: non poter parlare non poter
vedere, non poter camminare. La disabilità ,è pertanto un’alterazione a livello della persona
8
.
ξ Le BARRIERE sono costituite da un lato dalle difficoltà dell’ambiente fisico, quasi sempre
frutto dell’organizzazione sociale, e dall’altro dall’atteggiamento dei non handicappati nei
confronti della disabilità
Le une e le altre sono all’origine dei processi di emarginazione.
Quando parliamo di barriere ci riferiamo pertanto sia alle barriere dell’ambiente fisico, più
note come barriere architettoniche, sia a quelle di tipo psicologico e sociale. L’insieme delle
reazioni alla disabilità da parte dell’individuo stesso nei diversi momenti più o meno critici
della sua esistenza, da parte dei suoi familiari, degli operatori socio – sanitari, degli
insegnanti,del gruppo dei pari, sono importanti elementi nel determinare gli esiti del deficit
iniziale e possono costituire elementi di barriera psicologica, o viceversa di sostegno
6
Per esempio: una frattura = lesione al gomito può dare come segno l’impossibilità a muovere il braccio, prima per il
dolore, poi fino alla rimozione del gesso; non muovendolo mai, si può creare un edema, una retrazione muscolare e/o un
blocco articolare; questi sono tutti segni di una lesione conseguente alla prima, quindi secondaria.
7
Se un bambino di 1 anno si muove gattonando, non si pensa a una disabilità; a 10 anni invece sì. Se una bambina
Kurda a 10 anni non ha ancora imparato a leggere e scrivere non per forza è disabile, ma potrebbe essere profuga e aver
dovuto lasciare la scuola, o i genitori potrebbero aver fatto studiare solo il fratello
8
Alla disabilità concorrono sia la lesione primaria che la lesione secondaria
1.3 LA NATURA DELL’HANDICAP
11
psicologico. Le barriere sociali sono invece relative al clima culturale ( istituti – scuole
differenziali – scuola di tutti) prevalente in una determinata epoca e allo stato socio –
economico dei soggetti ( per esempio: una condizione di deprivazione culturale aggrava
fortemente un ritardo mentale).
Dunque l’handicap nasce quando la disabilità si scontra con le BARRIERE, tanto che
l’entità dell’handicap non dipende solo dalla natura e dall’entità della disabilità ma anche
dalla natura e dall’entità delle barriere.
♦All’handicap concorrono accanto alla disabilità i processi di EMARGINAZIONE sociale,
ovvero i limiti nel partecipare alla vita sociale. Questi limiti che chiamiamo barriere sono
definiti anche dalla Costituzione Italiana come gli impedimenti alla vita di relazione del
minorato.
ξ L’HANDICAP è uno svantaggio che risulta da danno a cui consegue disabilità quando
questi limitano o impediscono totalmente lo svolgimento di un ruolo normale per il singolo
individuo.
Quindi l’handicap è il risvolto sociale di lesione e disabilità; è l’impossibilità o la difficoltà
di una persona a coprire il suo ruolo all’interno della società. E’una discordanza fra lo stato e
l’attività del singolo e le attese del gruppo di cui è membro. E’ dunque un fenomeno sociale,
è la socializzazione della disabilità. Mentre il danno e la disabilità sono oggettivi e legati
all’individuo colpito dall’evento morboso, l’handicap è relativo all’ambiente soprattutto
culturale e quindi all’organizzazione istituzionale della società.
Questa distinzione fra Handicap e Disabilità proposta dall’OMS, congruente con la
Costituzione e con l’esperienza dei riabilitatori corregge la diffusa ed erronea abitudine di
identificare l’handicap con il danno e l’handicappato con la persona disabile. Handicappato
non è un aggettivo bensì un participio passato : Giovanni, disabile in seguito ad un danno
prodotto da un evento morboso, è handicappato da particolari circostanze in cui viene a
trovarsi svantaggiato, nei confronti dei propri simili, dal punto di vista della “norma
sociale”.
Non è cioè possibile definire l’handicap riferendoci soltanto al danno di partenza, alle
funzioni integre e alle funzioni lese: l’handicap va definito anche in relazione al contesto di
vita, all’ambiente culturale e sociale.
Dall’altro lato l’handicap non va confuso con il cosiddetto svantaggio socio – culturale o
disadattamento, cioè con una situazione che deriva prettamente da fattori socio – culturali.
L’handicap ha una doppia connotazione, biologica e sociale . A determinarne la gravità
concorrono fattori che non sono desumibili direttamente dal tipo e dalla gravità del danno di
partenza, ma dall’insieme degli elementi personali e contestuali che gravitano intorno alla
persona disabile.
Fare diagnosi nel campo dell’handicap significa eseguire valutazioni cliniche che si
estendono e si modificano nel tempo, che coinvolgono più figure professionali, che oltre a
far luce sul tipo di danno ed eventualmente sulle sue cause, comportano un’analisi
dettagliata dei livelli di deficit e di abilità presenti.
E’ ormai diventato di uso comune riferirsi a tale approccio diagnostico con il termine di
diagnosi funzionale o valutazione funzionale e/o, in ambito didattico, profilo dinamico
funzionale (P.D.F.).
Tutti termini che vogliono sottolineare:
1.4 CARATTERISTICHE DELLA DIAGNOSI FUNZIONALE (D.F.)
12
a) l’obiettivo di analizzare in modo dialettico e dinamico il bilancio del deficit e del
potenziale residuo finalizzato alla compilazione di un piano _ettino_a__ e/o
educativo individualizzato.
b) l’idea che una diagnosi di questo tipo sia l’anello ineliminabile per una corretta
integrazione.
Per riassumere si può dire che la
Diagnosi Funzionale
ξ è uno strumento interdisciplinare e non solo medico
ξ considera l’individuo per come funziona in un certo ambiente, è pertanto contestuale
ξ è dinamica e quindi soggetta a modifiche periodiche
ξ mette in luce le aree di potenzialità e non solo i danni
ξ ha l’obiettivo di dare risposta ai bisogni
ξ suggerisce modalità e tecniche di intervento insieme al piano dinamico funzionale (P.D.F.).
Le situazioni di handicap sono diverse per tipologia, per gravità del danno, per le caratteristiche
individuali, familiari e socio – economiche, ma tutte richiedono vari tipi di intervento.
L’intervento medico è necessario nei casi in cui sia possibile prevenire l’estensione del danno
iniziale
9
o per prevenire la formazione di danni secondari (immobilizzazione); è inoltre
indispensabile in presenza di forme morbose croniche che necessitano l’uso dei farmaci (es.
epilessia).
L’intervento psicologico è necessario nel caso in cui i problemi relazionali e/o comportamentali di
una certa entità si associno alla situazione di handicap
10
. E’ frequentemente utile un supporto
psicologico alle famiglie nella fase iniziale e nei momenti più critici dello sviluppo del ragazzo.
Intervento educativo. La scuola, i corsi professionalizzanti, i centri socio – educativi, i centri per
gravi, assolvono funzioni importantissime nel campo della socializzazione, dell’acquisizione dei
comportamenti adattivi, dell’apprendimento .
L’intervento riabilitativo ha lo scopo di attivare o migliorare funzioni e competenze in modo da
consentire al soggetto di utilizzare al meglio le proprie potenzialità all’interno di un contesto sociale
il più ampio possibile. Può essere centrata su una funzione piuttosto che su un’altra (movimento,
linguaggio, apprendimento) in base al tipo di deficit prevalente e in base ai punti di forza
dell’individuo. Deve essere riferita ad una lettura attenta dei bisogni dell’individuo perché se
prescinde da ciò determina una riduzione soltanto apparente dell’handicap o rischia addirittura di
crearne dei nuovi
11
.
9
Per esempio. antibiotici nel caso di un’infezione che ha provocato danni di un organo sensoriale.
10
Bassa autostima, scarsa consapevolezza delle proprie capacità e dei propri limiti, vere e proprie forme di
psicopatologia.
11
Come nel caso in cui un lavoro individualizzato quotidiano di molte ore ostacoli la normale vita della famiglia e i
processi di socializzazione ripercuotendosi negativamente sul soggetto stesso
1.5 I VARI TIPI DI INTERVENTO
13
Gli ingredienti indispensabili per qualsiasi intervento o progetto sull’handicap sono:
1) la storicità ogni progetto deve essere strettamente collegato alla diagnosi, tenere conto dei
percorsi terapeutici, riabilitativi ed educativi precedenti e di ciascun progetto deve esistere
una traccia leggibile che serve per le scelte future;
2) la globalità la presa in carico, riabilitativa od educativa che sia, coinvolge sempre l’intera
persona, negli aspetti cognitivi come in quelli affettivi anche se può essere
preferenzialmente mirato in un senso o nell’altro. (è stato messo ampiamente in luce negli
ultimi anni come ai problemi di apprendimento anche specifici si associno spesso importanti
difficoltà psicologiche fino a vere e proprie forme di depressione; è inoltre frequente che ad
importanti limitazioni funzionali si associno disinvestimenti profondi sulle attività mentali.
E questo è il motivo per cui rieducazioni tecnicamente ineccepibili possono produrre scarsi
risultati.
3) la partecipazione attiva del soggetto e della sua famiglia al progetto. I successi e i
fallimenti sono connessi alla motivazione e al grado di adesione al compito. Per riuscire il
bambino deve essere il soggetto attivo dei propri apprendimenti, sia in ambito riabilitativo
che educativo, affinché questi siano efficaci, soprattutto quando richiedono impegno e fatica
nel corso degli anni. La diagnosi va restituita al bambino. In alcune situazioni, come nei casi
molto gravi o nei bambini molto piccoli, ciò non è possibile; è comunque necessario
lavorare cercando un’adesione emotiva anche inconsapevole e non trascurare mai i momenti
di rifiuto che spesso non sono sintomi di cattiva volontà ma segnali di disagio che bisogna
saper leggere qualunque sia il nostro ruolo o compito. Per quanto riguarda la famiglia molte
ricerche hanno messo in luce il ruolo fondamentale che essa svolge nella riuscita
dell’intervento: conoscere scegliere partecipare all’intervento come elemento motivazionale
esteso che si ripercuote positivamente sul bambino.
La partecipazione a gruppi di genitori o ad interventi di sostegno psicologico per la famiglia
è benefica solo quando la famiglia o alcuni suoi componenti avvertono questo bisogno e ne
fanno in qualche modo richiesta.
la finalità principale dell’intervento è migliorare la qualità della vita. Dunque non
semplicemente rieducare una funzione lesa o facilitare un apprendimento difficile ma
promuovere il più possibile il benessere psicofisico dell’individuo nel suo contesto.
Per far ciò è necessario fare
1. un bilancio dei deficit e delle potenzialità,
2. un’analisi dei bisogni terapeutici, educativi e psicologici,
3. una valutazione delle risorse presenti intorno a lui, siano esse umane (coetanei e
persone che più o meno da vicino condividono momenti di vita con il soggetto,
tecniche (operatori sociosanitari, tecnici della riabilitazione, insegnanti) e materiali (
ausili, strumenti per l’apprendimento e la comunicazione);
5)la programmazione puntuale :perché un intervento sia efficace è necessario che si ispiri ad
un modello teorico fondato; è necessario avere degli obiettivi a lungo e a breve termine
realisticamente raggiungibili, metodologie e strumenti di lavoro adeguati, possibilità di
verifica dei risultati raggiunti. Tenendo sempre bene in mente che la scarsa efficacia di un
intervento legata ad un’impostazione poco rigorosa rafforza e consolida nei soggetti disabili
l’idea dell’immodificabilità della propria situazione e li spinge spesso a sottostimare il
valore del proprio impegno (passivizzazione).
14
Questi temi culturali si sono reificati nei passaggi che scuola e servizi devono compiere in
collaborazione reciproca quando un alunno con handicap entra nella scuola o cambia il ciclo
scolastico.
L’accordo di programma è uno strumento di negoziazione interistituzionale dove gli enti e i soggetti
competenti (Sanità, Scuola, Ente Locale) stabiliscono, nel quadro della normativa nazionale e
regionale, i compiti di ciascuno e assumono impegni vincolanti.
La diagnosi funzionale delinea la complessità dei bisogni e della realtà del soggetto, i limiti e le
potenzialità, da mettere ‘in rete ’ con le potenzialità dell’intervento scolastico per consolidare
l’identità e gli apprendimenti secondo ritmi e modalità personali.
Il profilo dinamico-funzionale è il momento dello scambio di conoscenze, informazioni e ipotesi fra
famiglia, scuola e servizi, sul bambino e sulle sue caratteristiche per potere poi costruire gli
strumenti operativi.
Il piano educativo personalizzato/individualizzato e la programmazione educativo – didattica
personalizzata sono gli strumenti del Pdf :
il primo (Pep/PEI) è frutto del raccordo degli interventi sanitari, riabilitativi , pedagogici, familiari
che si intendono effettuare a favore dell’alunno con handicap e coinvolge genitori, capo d’Istituto,
referente dei servizi dell’Asl, rappresentante dell’Ente Locale, rappresentanti dei docenti e del
personale ausiliario.
Attraverso la programmazione educativo – didattica personalizzata, che è la fase applicativa delle
fasi di lavoro precedenti, dove il gruppo dei docenti e il personale della scuola intervengono
direttamente con la propria specificità personale per realizzare all’interno della programmazione
della classe gli obiettivi e le attività previste dal Pep/PEI.
1.6 STRUMENTI DELL’INTEGRAZIONE
15
CAPITOLO 2
L’approssimazione terminologica, purtroppo ancora oggi esistente, ha determinato una commistione
di immagini concettuali, di servizi d’assistenza e di sostegno sociale per i soggetti portatori di
handicap mentale (insufficienti o disabili mentali) e per soggetti malati (disturbati) di mente. Anche
se, talvolta, l’insufficienza mentale e la malattia mentale si presentano associate nello stesso
soggetto è, tecnicamente e socialmente, opportuno separare le due distinte realtà.
ξ L’INSUFFICIENZA MENTALE: il soggetto insufficiente mentale è “abilitabile” in
rapporto alle sue residue attitudini e capacità (potremmo definire improprio parlare di
riabilitazione e recupero).
LA MALATTIA MENTALE, generalmente, presentando vari tipi e gradi di sviluppo del
comportamento, si tratta più di “devianza dalla norma” che di incapacità di adattamento sociale. Il
malato di mente è funzionalmente “disadatto” ma è teoricamente recuperabile e riabilitabile, mentre
l’insufficiente mentale è “ inadattato” adattabile.
2.2.1 EZIOLOGIA -SU BASE ORGANICA- DEL RITARDO MENTALE
Solo il 20% dei casi di ritardo mentale è dovuto a fattori organici ad eziologia dimostrata, che
possono essere raggruppati, secondo la cronologia, in tre categorie:
2.2.2 FATTORI PRENATALI
1. SINDROMI MALFORMATIVE CRANIO-ENCEFALICHE
Rientrano in questa categoria diagnostica tutte quelle patologie legate a malformazioni encefaliche,
craniche e cranio- facciali.
Alcuni esempi:
ξ le microcefalie: quando l’indice cranio-cefalico è inferiore a 77 (rapporto tra diametro
trasversale e antero-posteriore X 100).
La deformazione cranica è direttamente proporzionale alla diminuzione del peso del
cervello, quando questo é inferiore a1000 gr.;
ξ le idrocefalie : l’anomalo accumulo di liquido cefalorachidiano sia nei ventricoli
(idrocefalia interna) che negli spazi sub-aracnoidei (idrocefalia esterna). Importante
chiarire che di per sé non è una malattia ma è l’espressione sintomatologica di differenti
condizioni morbose sia congenite che acquisite, dovute, ad esempio, anche a:
infiammazioni, infezioni (es.: la toxoplasmosi connatale = trasmessa al feto dalla madre ),
tumori.
2. LE INFEZIONI VIRALI:
Infezioni virali quali:
♦ embriopatie da rosolia ed
♦ encefalopatia da toxoplasma.
2.1 RITARDO MENTALE E MALATTIA MENTALE
GUIDA ALLE PRINCIPALI PATOLOGIE
16
3. ENZIMOPATIE EREDITARIE
Sono caratterizzate da un difetto enzimatico che comporta lesioni del sistema nervoso del bambino
il cui cervello, al momento della nascita è ancora in evoluzione. Sono spesso accompagnate da
danni epatici, splenici, cardiaci, vascolari, ossei, cutanei e da lesioni oculari.
Tra le alterazioni del metabolismo degli aminoacidi (aminoacidurie dismetaboliche) la più
conosciuta è:
♦ FENILCHETONURIA o MALATTIA DI FOLLING anche se rara, la sua precocità di
reperimento che consente di evitarne gli esiti negativi a livello mentale, l’ha resa famosa. Il
bambino alla nascita è normale. Il ritardo può essere evitato se la terapia farmacologica e
dietologica interviene entro le prime settimane di vita. E’ dovuta alla non trasformazione
della fenilalanina in tiroxina e all’accumulo dei precursori (iperfenilalaninemia).
4. ABERRAZIONI CROMOSOMICHE
Le aberrazioni cromosomiche sono dovute ad errori che si manifestano nel corso della prima o delle
prime divisioni dello zigote. Le alterazioni della meiosi possono determinare sia variazioni del
numero dei cromosomi (alterazioni quantitative) che della loro struttura (alterazioni qualitative).
Quelle numeriche sono dovute, generalmente, ad una non-disgiunzione dei cromosomi. Le
aberrazioni di struttura sono dovute a rotture di uno o più cromosomi e assenza del normale
processo riparatore.
Alcuni esempi:
• aberrazioni numeriche autosomiche = sindrome di Down;
• aberrazioni di struttura =
ξ SINDROME DELL’X FRAGILE (l’estremità del braccio lungo del
cromosoma X appare stirata);
ξ SINDROME DEL VERSO DEL GATTO o “cri du chat” (delezione
di metà circa delle braccia corte del cromosoma 5 determina una
malformazione della laringe che provoca il grido che ricorda il
miagolio del gatto. Caratterizzata da ritardo mentale grave,
microcefalia, malformazioni cardiache.
ξ
5. EMBRIO-FETOPATIE (=affezioni materne trasmesse al feto)
Oltre alle già citate aggressioni infettive vi sono quelle di origine
tossica quali:
• tossiemia gravidica (nefrite ipertensiva della madre);
• fetopatie alcoliche, tabagiche, da farmaci (es.talidomide).
2.2.3 FATTORI PERINATALI
1. la sofferenza fetale perinatale generalmente insorge per complicazioni da parto, per trauma
fisico, ma più spesso per anossia dovuta non solo a cause meccaniche (es.: cordone ombelicale
legato attorno al collo) ma anche a cause cardiache e polmonari.
2. incompatibilità sanguigna feto-materna: fenomeno di isoimmunizzazione in una madre con
(fattore Rhesus) Rh- incinta di un bimbo Rh+.
2.2.4FATTORI POST-NATALI
1. infettivi: esempio: encefaliti acute convulsivanti, meningoencefaliti batteriche o virali. Un
esempio è costituito dall’erpete (= simile al virus citomegalico per quanto concerne gli
effetti sul feto, acquisito spesso al momento del parto, provoca meningo-encefalite con
cianosi, febbre, vomito, epatomegalia, coma, convulsioni; l’evoluzione è molto grave.).
2. post-vaccinali
3. metabolici: ittero nucleare o encefalopatia bilirubinica. Molteplici cause possono
determinare l’aumento della bilirubina libera che oltrepassa la barriera ematoencefalica e si
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localizza nei gangli della base, nel midollo allungato, nella corteccia cerebrale. L’ittero non
trattato provoca in seguito spasticità extrapiramidale con sintomatologia coreoatetosica,
oligofrenia (microcefalia), ipoacusia.
2.2.5 LO SVILUPPO DEI SOGGETTI CON HANDICAP MENTALE
Soprattutto nei ritardi di moderata entità ci si trova spesso di fronte ad un cocktail di disturbi e
competenze tale per cui alcune competenze sembrano vicine alla norma attesa in base all’età
mentale, altre sembrano addirittura avvicinarsi a prestazioni medie, mentre per altre ci si trova di
fronte ad un funzionamento molto deficitario.
Sviluppo cognitivo e linguistico
Le caratteristiche del pensiero che sembrano contraddistinguere i soggetti con handicap mentale e
vengono attualmente considerate le principali fonti del ritardo di sviluppo sono:
1. Innanzitutto la concretezza ovvero l’incapacità di raggiungere il pensiero astratto,
l’impossibilità di superare lo stadio delle operazioni concrete. Il soggetto rimane centrato su
una sola dimensione del problema, è incapace di rappresentarsi mentalmente un’azione e il
suo opposto (irreversibilità del pensiero) con conseguente incapacità di cogliere relazioni di
somiglianza su base categoriale e concomitante trascuratezza nei confronti di evidenti
differenze.(esempio: topo-elefante troppo diversi per potere essere considerati simili in
qualche aspetto)
2. Un’altra caratteristica del pensiero di questi soggetti è la rigidità, strettamente collegata alla
concretezza,ostacola l’estensione di una conoscenza a situazioni diverse da quella di
acquisizione. Le diverse regioni mentali del soggetto appaiono come chiuse e non
comunicanti; per questo ,per esempio, il bambino con insufficienza mentale appare spesso
incapace di perseguire due obiettivi diversi e tende a perseguirne uno con pedanteria e
ostinazione : un atteggiamento “tutto o niente” che lo porta a eseguire il proprio compito
fino in fondo con impegno o ad abbandonarlo del tutto. La rigidità di pensiero comporta
l’incapacità di cambiare il proprio assetto quando la situazione lo richiede e quindi una
sostanziale incapacità ad adattarsi al mondo del reale.
3. Il pensiero dei soggetti con handicap mentale è inoltre limitato rispetto la capacità di
pianificare e rispetto le attività creative e immaginative. Altre caratteristiche
tradizionalmente citate come tipiche, quali la viscosità del pensiero, la tendenza a regredire a
forme di pensiero tipiche di età precedenti, la passività
Attualmente gli studi si sono focalizzati su aspetti più specifici del pensiero, quindi sulle singole
fasi della codifica e dell’elaborazione delle informazioni.
In questo ambito sono state messe in luce alcune peculiarità, quali innanzitutto l’esperienza
percettiva, che sembra essere caratterizzata da maggior lentezza e imprecisione e sincretismo
(ovvero scarsa attenzione ai particolari); le capacità attentive e di concentrazione dove si
evidenziano minori risposte corrette e tempi di reazione maggiori rispetto ai soggetti normodotati in
misura tanto maggiore quanto minore è il QI; la memoria appare spesso più limitata, soprattutto
quella a breve termine, così da influire sulla capacità di acquisire nuove informazioni utilizzando
strategie di reiterazione.
Le abilità linguistiche sono variamente compromesse nei diversi individui: possono essere
compromesse sia la comprensione che l’espressione verbale, si può riscontrare povertà lessicale,
semplicità e/o scorrettezza nella struttura sintattica, difficoltà a livello pragmatico
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, difficoltà a
livello fonologico e articolatorio.
Per quanto riguarda le competenze comunicative gli studi che sono stati fatti sui Down evidenziano
un certo parallelismo di evoluzione rispetto i normodotati,
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Sia nel senso di usare il linguaggio in modo adeguato rispetto i diversi contesti sia rispetto il fare presupposizioni
corrette rispetto le conoscenze e le aspettative dell’interlocutore.
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anche se le singole tappe vengono raggiunte con maggior lentezza. Infine rispetto gli apprendimenti
scolastici negli ultimi anni sono state riconsiderate le possibilità dei soggetti con insufficienza
mentale al di là delle limitazioni attese sulla base dello sviluppo della prima e seconda infanzia: si è
visto infatti che un’istruzione formale spesso consente, almeno ai soggetti non gravi, di imparare a
leggere, scrivere e fare semplici calcoli.
Per quanto riguarda le autonomie sociali generalmente viene raggiunto un buon livello nella cura e
nell’igiene personale, così come l’autonomia negli spostamenti brevi e nella scelta delle attività
ricreative; maggiori difficoltà s’incontrano nell’uso funzionale della lettura, nella lettura
dell’orologio e nell’uso del denaro, vi è infatti una globale difficoltà ad applicare le nozioni apprese
alle situazioni in cui sono necessarie.
2.2.6 L’INTERVENTO
Rispetto la presa in carico dell’insufficiente mentale esistono alcune linee generali di
comportamento.
1. L’approccio comportamentale
Nell’ambito di questo approccio esistono varie tecniche e metodi che sono state ampiamente
utilizzate in ambito educativo e per la gestione del comportamento dei bambini insufficienti.
Gli scopi di questi metodi sono:
- insegnare delle abilità
- favorire i comportamenti adattivi
- ridurre i comportamenti devianti.
In base a dei dati empirici e occupandosi del solo comportamento manifesto vengono messe a punto
delle liste in cui le varie abilità vengono scomposte e si addestrano i bambini attraverso un sistema
di ricompense e punizioni dei comportamenti rispettivamente desiderabili e non. Le ricompense
possono essere sociali come le lodi o materiali come le caramelle e le punizioni vanno dal semplice
ignorare il comportamento non voluto a vere e proprie punizioni. Si tratta di forme di intervento
molto strutturate che:
1. richiedono una specifica formazione di operatori e terapeuti
2. rischiano, per la loro necessaria sistematicità, di essere rigidi sul piano
terapeutico
3. fanno riferimento ad una visione riduzionista e semplificata dei processi di
apprendimento.
2. L’approccio metacognitivo
Gli interventi si propongono di comprendere quale livello di conoscenza del proprio funzionamento
mentale possiede il soggetto e come utilizza questa conoscenza per affrontare compiti di vario tipo
mettendo in atto delle strategie e dei processi di controllo.
Nei soggetti con ritardo sono proprio le capacità di usare strategie e di generalizzare le competenze
acquisite che sono deficitarie.
L’intervento educativo e riabilitativo si sposta dall’insegnare delle singole abilità (che fra l’altro
vengono spesso rapidamente dimenticate ad esempio il calcolo) all’insegnamento di strategie, al
mantenimento di tali strategie nel tempo e alla loro applicazione pratica (esempio: soluzione di
problemi).
Va tenuto presente che una strategia non va insegnata a tutti i costi ma solo se è disponibile e non
viene spontaneamente utilizzata dal soggetto; in caso contrario si ripiega su delle strategie più
semplici, pena il fallimento dell’intervento e la grave
caduta dell’autostima del soggetto. Questo tipo di approccio è molto distante dal mero
addestramento di singole abilità attraverso un sistema di premi e punizioni. Qui il soggetto disabile
diventa protagonista del suo apprendimento e l’impegno dell’educatore è quello di restituirgli il
feedback delle proprie prestazioni non in termini di premio ma in termini di consapevolezza delle
proprie azioni.