7
1. Storia di Haiti
1.1. Da provincia spagnola a provincia americana
Haiti occupa il terzo occidentale dell’isola Hispaniola. Dopo essere stata
la più ricca colonia francese nel XVIII secolo, attualmente è il paese più
povero dell’America Latina con fortissime diseguaglianze sociali al suo
interno. I vari governi che si sono susseguiti hanno aumentato queste
diseguaglianze e hanno reso il paese ancora più dipendente dagli aiuti esteri
per la mancanza di un reale processo di sviluppo.
L’alternarsi di colonizzatori europei non ha però sradicato nella
popolazione le origini africane, rendendo la cultura haitiana una delle più
affascinanti e con più carattere spirituale tra quelle delle altre colonie
caraibiche.
Per meglio comprendere la situazione attuale, è necessario analizzare i
singoli periodi che hanno lasciato il segno nella società, non solo haitiana ma
anche internazionale.
La Hispaniola è una meraviglia: le catene di monti, le montagne, i terreni
coltivabili, le campagne e le terre così belle ed ampie […]. I porti del mare di
qui sono incredibili se non si vedono e i fiumi sono molto grandi, buone le
acque e la maggior parte di essi porta oro […] ci sono molte spezie e grandi
miniere d’oro e di altri metalli
1
.
Con queste parole Colombo descrisse di fronte alla corte di Madrid
l’isola Hispaniola, attuale Haiti e Repubblica Dominicana. Ma egli era
convinto di aver raggiunto l’Asia e di parlare di un’isola al largo delle coste
cinesi. Vicino alla costa settentrionale di Hispaniola si era incagliata la Santa
Marìa, e proprio con quel legname Colombo fece costruire il primo forte
europeo nelle Americhe. Lo chiamò Navidad e vi lasciò trentanove uomini
1
ZINN, Howard, Storia del popolo americano. Dal 1492 ad oggi, Il Saggiatore, Milano, 2005, p. 11
8
dell’equipaggio col compito di trovare l’oro, mentre egli sarebbe rientrato in
Europa per annunciare la grande scoperta
2
.
L’isola era abitata da gruppi amerindi (arawak, ciboney, taino, caribi)
3
,
in totale 60.000 persone, le quali vennero decimate in pochi decenni a causa
dei massacri e dello sfruttamento da parte degli spagnoli. Inizialmente lo
sfruttamento riguardava solo gli uomini, i quali dovevano lavorare nelle
miniere; ma successivamente anche le donne e i bambini vennero
schiavizzati per il lavoro nelle aree coltivabili. Le condizioni stremanti in cui
lavoravano e la separazione degli uomini dalle donne, portò infine alla
scomparsa della popolazione.
Le cause di questa scomparsa, oltre alle condizioni di lavoro stremanti,
erano anche le malattie che i colonizzatori europei avevano portato nell’isola,
malattie per le quali gli indigeni non avevano gli anticorpi. La maggior parte
dei sopravvissuti si integrò con i colonizzatori, e così in pochi anni
scomparvero completamente delle tribù antichissime
4
.
Lo sterminio delle popolazioni indigene cominciava a pesare ai
colonizzatori, e sotto suggerimento del frate Bartolomé de Las Casas
5
,
conosciuto anche come protettore degli indios, vennero sostituiti con schiavi
di origine africana, considerati più robusti. Inizialmente il frate, nonché uno
dei maggiori storici dell’epoca sull’area caraibica, sostenne e incitò i
colonizzatori a fare lavorare, in alternativa agli indigeni che stavamo
scomparendo, gli schiavi africani. Successivamente fu lui stesso a denunciare
nelle sue opere gli abusi, i maltrattamenti e le condizioni incivili in cui gli
schiavi si trovarono a vivere.
La tratta degli schiavi africani ebbe inizio nel 1503, anche se le prime
navi ne portarono sull’isola soltanto un centinaio. Già nel primo decennio il
numero degli schiavi era aumentato in modo esponenziale, tanto da essere
2
DEL ROIO, Joze Luiz e SOMOZA, Alfredo Luis, Colombo, Clup Guide, Milano, 1991, p.69
3
FIORENTINO, Daniele, L’America Indigena. Popoli e Società prima dell’invasione europea, Giunti,
Firenze, 1992.
4
BARTHELEMY, Gerard, Haiti: la perle nue, Vents d’Allieurs, Fort-de-France, 2002, p.45
5
Bartolomè de Las Casas: frate spagnolo dell’Ordine domenicano che denunciò le atrocità
compiute dagli spagnoli nei confronti degli indigeni. Documenti di testimonianza furono
Brevísima relación de la destrucción de las Indias e Historia de las Indias.
9
sufficiente per le necessità dei lavori in miniera dell’area odierna di Cap
Haitien. Questo settore, infatti, fu il primo ad essere sfruttato, rendendo un
grande profitto ai colonizzatori.
Naturalmente le risorse minerarie andarono ad esaurirsi, questo
accadde già alla metà del XVI secolo. Siccome sull’isola continuavano a
sbarcare 4000 schiavi africani ogni anno, Haiti vantava il maggior numero di
schiavi dell’area caraibica e, con l’esaurirsi dell’oro, questa mano d’opera
venne utilizzata per un lavoro alternativo. Infatti, prendendo atto della
ricchezza del territorio haitiano, i colonizzatori trasformarono tutto il terreno
delle pianure in piantagioni di canna da zucchero. Gli schiavi dovevano
eseguire tutti i lavori, sotto il controllo di degli spagnoli.
Gli schiavi erano riuniti in piccoli villaggi intorno ai campi di canna da
zucchero. Il lavoro nelle piantagioni era molto duro, tanto da “uccidere”
letteralmente molti schiavi, mentre i sopravvissuti riuscivano a lavorarvi per
un massimo di 10 anni nelle piantagioni. Nonostante ciò, alla Spagna
rimanevano un numero molto elevato di schiavi, tanto rendere l’isola la più
prospera di tutte le Americhe.
Tuttavia, la Canna da zucchero non era l’unico prodotto che esportava
Hispaniola; bensì anche caffè, cacao, spezie varie e altri prodotti che
cominciavano ad essere richiesti dagli europei. Insomma, l’isola era
particolarmente prospera, tanto da diventare molto ambita dalle altre
potenze coloniali europee, come ad esempio dai francesi, i quali si
insediarono nell’isola Tortuga nel 1630. Questo fu l’inizio di una vera e
propria occupazione della parte occidentale dell’isola, precisamente di quel
terzo dell’isola che divenne successivamente Haiti.
Dopo essersi espansi illegittimamente all’interno dell’isola di
Hispaniola, dopo lotte e sotterfugi, i francesi ottennero ufficialmente il terzo
occidentale dell’isola dal Trattato di Ryswick nel 1697
6
. Montagne e pianure
si ricoprirono ben presto di piantagioni i cui prodotti alimentarono il
6
Trattato di Ryswick del 1697, dal nome della cittadina di Rijswijk, nei pressi de L’Aia: la
Spagna cedette alla Francia la parte occidentale dell’Isola alla conclusione in Europa della
Guerra della Lega di Augusta, chiamata anche la Guerra delle Grande Alleanza.
10
commercio con la madrepatria. I prodotti della terra di Haiti erano: zucchero,
caffè, cuoio, indaco, ratafià, sciroppo e legname. Appena i francesi presero
possesso dell’odierna Haiti, cominciarono uno sfruttamento economico
massiccio, introducendo 20.000 schiavi all’anno e facendo diventare lo
zucchero il principale prodotto d’esportazione della regione, trasformando
Haiti nel più importante possedimento francese del XVII secolo. Un
commercio talmente florido da procurare a fine Settecento alla Francia il 70%
della ricchezza che essa traeva dalle colonie americane; alimentare più di un
terzo del suo commercio con l’estero; fornire tre quarti della produzione
mondiale di zucchero e costituire, direttamente o indirettamente, la fonte del
reddito di un francese su otto. Un secolo dopo gli schiavi africani erano
480.000, i mulatti e i colored liberi erano 60.000, mentre i proprietari terrieri
europei erano solo 20.000
7
.
Non ci volle molto per definire Haiti “La perla delle Antille”, per le sue
risorse naturali e per le sue bellezze. Una perla misteriosa, essendo terra del
vudù, che celava al contempo un complicato e ambiguo entroterra sociale,
sfruttato su una forte discriminazione razziale ed economica fra i tre gruppi
sociali presenti sull’isola, bianchi, mulatti e schiavi. Così il desiderio di
libertà e di indipendenza dalla madrepatria si fece sentire. A seguito di una
serie di eventi e fattori di portata internazionale, tra cui lo sviluppo
illuminista e la Rivoluzione francese, il 23 agosto 1791 il precario equilibrio
sociale dell’isola vacillò definitivamente. I numerosissimi schiavi dell’isola di
Saint Domingue, infiammati dalle ingiustizie subite per anni e sostenuti dalla
fede negli dei del vudù, cominciarono un’insurrezione che si sarebbe
trasformata in una vera e propria rivoluzione su scala nazionale.
Inizialmente si trattò di uno scontro tra la minoranza di coloni bianchi e
mulatti, e poi diventò generale.
7
AA. VV., Guida del Mondo 2007-2008. Il mondo visto dal sud, New Internationalists
Publications LTD, Oxford, 2005, p. 290
11
La rivolta fu guidata dall’ex schiavo Toussaint Louverture
8
e durò
dodici anni, dal 1791 al 1803. Egli promise “libertà generale per tutti”. Riunì
gli schiavi ribelli (marrons e quilombos) dell’isola di Saint Domingue,
trasformandoli in un esercito disciplinato e ottenne l’abolizione della
schiavitù nel 1794 dalla Convenzione nazionale francese. Diventato generale
dell’esercito e grazie ad una insurrezione generalizzata, portò il paese verso
l’indipendenza. Non vi partecipò però, perché fu catturato e deportato in
Francia, dove morì nel 1803
9
.
Dal 1 gennaio 1804 Haiti divenne il secondo stato indipendente
dell’America ed il primo stato nero al mondo, cioè dal giorno della
proclamazione dell’indipendenza da parte di Jean Jacques Dessalines
10
.
Quest’ultimo insieme a Christophe e Clairveaux fu autore anche della
dichiarazione di indipendenza di Haiti. L’aria di festa per l’indipendenza
durò molto poco; il giovane stato si ritrovò presto in una situazione
economica, socio-politica e nell’ambito internazionale alquanto sfavorevole.
Infatti, subito dopo la dichiarazione dell’indipendenza, Haiti si trovò a
fronteggiare un atteggiamento internazionale ostile, arrivando ad essere
identificata come “un’ombra scura” e una minaccia per molte nazioni, prima
tra tutte gli Stai Uniti.
I presidenti americani che assistettero agli eventi che si verificarono
nell’isola di Saint Domingue – George Washington (1789-1797), Henry Adams
(1797-1801) e Thomas Jefferson (1801-1809) – oscillarono tra una poco celata
ambiguità di pensiero e di azione e un’aperta ostilità. Mentre la popolazione
statunitense si trovo letteralmente travolta dalle conseguenze e dalla eco di
un’inaspettata rivoluzione antischiavista, giunte in un paese
autoproclamatosi paladino della libertà, ma ancora completamente
8
Toussaint Louverture, ex schiavo della parte orientale dell’isola, era stato affrancato e
istruito dal suo padrone. Dopo aver convinto gli schiavi a ribellarsi ai colonizzatori, divenne
nel 1801 governatore di Haiti e portò il paese verso l’indipendenza.
9
JAMES, C.L.R., I giacobini neri, Feltrinelli, Milano, 1968
10
Jean Jacques Dessalines, condusse l’esercito haitiano contro quello francese nella Battaglia
di Vertieres, novembre 1803, e dichiarò l’indipendenza di Haiti nel 1 gennaio 1804.
12
dipendente dal ben radicato sistema schiavista
11
. Quegli stessi eventi furono
al contempo oggetto di grande preoccupazione tra i piantatori del Sud degli
Stati Uniti, che temevano il ripetersi della Rivoluzione Haitiana tra gli schiavi
delle loro piantagioni, e fonte di ispirazione sia per gli antischiavisti del Nord
del paese, sia per le migliaia di afroamericani ancora in catene.
Haiti quindi venne ad incarnare una minaccia per la quiete occidentale,
che si basava sull’equilibrio precario della sottomissione dell’etnia nera a
quella bianca. Infatti, la rivolta degli schiavi africani, rischiò più volte di
espandersi nel continente americano. Gli afroamericani vennero
positivamente influenzati dagli esiti della rivoluzione, tanto da auto
convincersi che l’unico modo possibile per arrivare all’abolizione della
schiavitù fosse quello di organizzarsi in massa contro i padroni schiavisti e
lottare, proprio com’era accaduto nell’isola caraibica. Tre furono le rivolte, o
tentativi di rivolta, antischiaviste più note nella storia degli Stati Uniti, nate
grazie allo spirito ribelle giunto direttamente da Haiti e fomentato dai
racconti di numerosi schiavi haitiani emigrati in America; la rivolta di
Gabriel Prosser a Richmond, Virginia nel 1800; la rivolta di Denmark Vessey
a Charleston, Carolina del Sud nel 1822; la rivolta di Nat Turner a
Southampton, Virginia nel 1831
12
.
Ormai Haiti era considerata dagli Stati Uniti una concreta congiura
rivoluzionaria in grado di rovesciare il potere bianco anche negli Stati Uniti,
e per questo fu osteggiata in ogni modo. La prima mossa da parte del
governo Americano fu l’embargo politico ed economico verso l’isola, nella
speranza che sbarrando quei i confini potesse essere tenuta fuori anche la
minaccia ideologica. All’embargo si sommò presto una legislazione severa
mirante ad una maggiore sottomissione degli schiavi afroamericani. Questo
però non fermò i numerosissimi emigrati haitiani che giunsero nelle coste
statunitensi all’indomani della rivoluzione, i quali diedero inizio ad un
11
JENNINGS, Francis, La creazione dell’America, Einaudi, Torino, 2003, p. 211
12
Cit. Storia del popolo americano, dal 1492 ad oggi, p.120. Gli schiavi passarono in quegli anni
da 500.000 a 4.000.000, portando agli Stati Uniti profitti nell’ambito economico, per questo il
governo americano sosteneva la schiavitù.
13
rapporto stretto e indissolubile nel tempo tra le due nazioni, contribuendo
successivamente in modo determinante alla formazione di una cultura
tipicamente creola negli stati del Sud.
Con la sconfitta di Napoleone e il crollo del sogno dell’imperatore di
ricostruire un impero francese nel Nuovo Mondo, la Rivoluzione haitiana
funse da elemento centrale per il radicale mutamento del territorio
americano, influenzando anche la geografia con la cessione della Louisiana
da parte della Francia a Thomas Jefferson nel 1803
13
. Il dibattito sulla
questione della schiavitù si fece più acceso tra il Sud e il Nord degli Stati
Uniti, portando infine alla Guerra civile americana, considerata da molti
storici la conseguenza indiretta delle ideologie antischiaviste haitiane. In un
certo senso, la Guerra civile americana potrebbe essere considerata il
proseguo della Rivoluzione haitiana.
All’indomani della rivoluzione, la situazione socio-economica dell’isola
caraibica erano disastrose. Quella che era stata la colonia più ricca delle
Americhe, si trovava in uno stato di rovina. Incendi e atti vandalici avevano
devastato l’isola, la sua economia e soprattutto la sua popolazione. Erano
liberi, ma non possedevano più nulla. Con la promulgazione della
Costituzione di Haiti, veniva vietato qualsiasi acquisto di proprietà agli
stranieri, mentre tutti i terreni che una volta erano stati dei colonizzatori
francesi (costretti a lasciare l’isola per salvarsi dall’ira degli schiavi liberi
14
),
furono suddivisi in piccoli appezzamenti e distribuiti alla popolazione.
Questo però significava un blocco alla crescita e ad una eventuale
produzione che potesse mantenere in piedi l’ormai debole economia
haitiana. Questi appezzamenti di terreno erano solo di sussistenza per le
famiglie e non potevano costituire terreni utilizzabili per la produzione e poi
l’esportazione di prodotti locali. Fu l’inizio della lunga crisi economica, e di
13
BERGAMINI, Oliviero, Storia degli Stati Uniti, Laterza, Roma - Bari, 2002, p. 45
14
“Giuriamo di distruggere i bianchi e tutto quello che posseggono: preferiamo morire
piuttosto che non mantenere questa promessa”. JAMES, C.L.R., I giacobini neri, Feltrinelli,
Milano, 1968, p.18
14
quello stato “vegetativo” in cui la prima Repubblica nera al mondo si trova
ancora oggi.
La Francia riconobbe l’indipendenza di Haiti solo nel 1824, ma solo
ottenendo in cambio un forte indennizzo finanziario. Questo rese ancora più
difficile la già grave situazione economica del paese. Nonostante ciò,
l’esercito haitiano restava forte e ben organizzato. Secondo gli haitiani l’isola
doveva tornare ad essere unita; così nel 1822 e fino al 1844, Haiti occupò
anche la parte orientale dell’isola, e come conseguenza derivarono gli scontri
ideologici e le tensioni ancora presenti tra Haiti e la Repubblica Dominicana.
Ormai la parte orientale dell’isola era formata da persone prevalentemente di
cultura e lingua spagnola, mentre la parte occidentale era di cultura e lingua
creolo - francese.
Dal ritiro dell’esercito haitiano dalla parte orientale dell’isola, e fino a
inizio 1900, si susseguirono brigantaggi, insurrezioni, scontri, colpi di stato
militari con presidenti uccisi o esiliati. Per questo motivo tale periodo venne
chiamato da molti storici come “il tempo delle baionette”, essendo state le
armi l’unico mezzo per la conquista del potere.
1.2. Dall’occupazione americana alla dittatura dei Duvalier
Questo capitolo storico sembrò cambiare rotta nel 1915, con
l’occupazione di Haiti da parte degli Stati Uniti. Infatti, in virtù della dottrina
Monroe
15
“l’America agli Americani”, agli inizi del novecento, gli americani
consideravano Haiti un’estensione degli Stati Uniti, e gli haitiani un popolo
inferiore, incapace di governarsi. Dal momento che gli Stati Uniti avevano
già sotto controllo Cuba, Panama e la Repubblica Dominicana, ritenevano di
dover controllare, ed eventualmente annettere, anche Haiti.
15
Dottrina elaborata da John Quincy Adams, ma attribuita a James Monroe nel 1823.
Esprime l'idea che gli Stati Uniti non avrebbero tollerato nessuna interferenza o
intromissione nell'emisfero occidentale da parte delle potenze europee.
15
Sotto il pretesto della “missione umanitaria e civilizzatrice” degli
americani, si nascondevano molti interessi. Primo tra tutti fu il terrore degli
americani che i tedeschi potessero continuare il loro controllo finanziario su
Haiti, com’era successo a inizio secolo, e che potessero approfittare del
susseguirsi di colpi di stato per avere sempre più influenze sul governo. Così
essi sfruttarono l’impiccagione del presidente Guillaume Sam per mano della
folla inferocita, e decisero di intervenire sbarcando a Port-au-Prince. Gli
americani mostravano interessi di tipo economico nella Compagnia elettrica,
nella Compagnia Ferroviaria, nello sfruttamento delle terre coltivabili e nella
Banca nazionale haitiana. In più la posizione di Haiti nel Canale Sopravento,
cioè in quel tratto di mare di importanza strategica come rotta commerciale
che portava dal Canale di Panama alle coste orientali degli Stai Uniti,
rendeva la Repubblica nera ancora più interessante agli occhi degli
americani.
L’America aveva lo stesso significato di impero, come ci dice Carl Van
Goren, professore di letteratura nella University of Columbia, scrittore del
libro “The magic Island”, un capolavoro della letteratura sull’America
imperiale:
Empire is no longer a matter for debate, but rather a simple fact and a point of
pride. Empire was synonymous with America greatness: it is to be
unambiguously embraced.
16
Perciò, considerare l’America un impero, nonostante si trattasse dell’inizio
del XX secolo, risultava evidente e del tutto naturale, non soltanto nelle opere
dello scrittore, ma anche nell’opinione pubblica e nei giornali dell’epoca.
Haiti non era altro che una conquista, un paese da “liberare ed aiutare”, ma
soprattutto da sfruttare. In un certo senso, era un angolo dell’Africa, con tutte
le risorse di un paese caraibico, a due passi dagli Stati Uniti:
16
RENDA, Mary A., Taking Haiti: Military Occupation and the Culture of U.S. Imperialism 1915-
1940, University of North Carolina Press, London, 2001, p. 6
16
Haiti could be only six hundred miles from the Florida Coast, and yet far away
from America. […] It may seem to readers one of the remotest corners of the
world
17
.
Gli americani ritenevano gli haitiani delle persone “semplici”, cioè
molto diversi dagli stessi americani, tanto da considerarli di una categoria
diversa. Van Doren parla infatti di una dicotomia culturale, e pone in forte
contraddizione, il “temperamento scientifico, moderno e razionale” degli
americani, col “modo di vivere antico e alle tipologie di idee irrazionali”
tipiche di Haiti e di altre parti dell’impero americano. Naturalmente egli si
riferiva anche alle idee religiose, in particolare modo alla sensibilità degli
haitiani al vudù e alle irrazionali paure degli spiriti vudù. Oltre a ciò, il modo
di vivere degli haitiani sembrava così strano ai marines, tanto da mettere in
dubbio il fatto che la stessa popolazione fosse riuscita ad ottenere
l’indipendenza del paese, e fosse stato il secondo stato indipendente delle
Americhe, dopo gli stessi Stati Uniti.
Proprio questo discorso di Van Doren porta ad un altro punto ancora
importante da considerare sull’occupazione americana di Haiti, cioè quello
sulla ”Americanità”. La questione cade essenzialmente sulla terminologia,
ossia sull’uso del termine americano. Americano degli Stati Uniti, o
americano delle colonie? Sembra che la differenza fosse sostanziale tra gli uni
e gli altri, tanto da creare un problema anche nell’uso di alcune espressioni
nella saggistica e letteratura statunitense. Lo scrittore John Huston Craige
scrive Black Bagdad e Cannibal Cousins negli anni ’30, usando termini molto
precisi per indicare Haiti e gli haitiani, persino nel titolo. Da una parte viene
usata la parola black con riferimento al colore della pelle degli haitiani, nel
confronto con l’altra colonia americana in medio-oriente, cioè Baghdad.
Dall’altra parte viene usato il termine cannibal per descrivere la differenza
sostanziale tra americani degli Stati Uniti e gli americani delle colonie; il loro
essere indigeni e cannibali come prima della scoperta dell’isola da parte di
Colombo; allo stesso tempo viene sottolineata la vicinanza geografica, la
17
Cit. Taking Haiti: Military Occupation and the Culture of U.S. Imperialism 1915-1940, p. 8.
17
parentela con gli haitiani, con il termine cousins
18
. Molto chiaro il fatto che il
tipo di parentela, è una parentela lontana, non si parla di fratelli, ma di
cugini.
Degli indizi e dei documenti molto importanti per avere una accurata
analisi storica e soprattutto sociale, vengono forniti da Renda
19
. Il suo Taking
Haiti: Military Occupation and the Culture of U.S. Imperialism 1915-1940 ci da
un’interpretazione di Haiti come ”Africa americana” e combina un’analisi
empatica della presenza militare americana con una discussione provocatoria
sull’impatto che il paternalismo interventistico ha sull’identità americana.
L’occupazione di Haiti rese l’imperialismo degli Stati Uniti più elastico, e
contemporaneamente portò ad una destabilizzazione delle forme culturali
centrali, soprattutto sui concetti di razza e di genere
20
. Naturalmente, quando
si parla di Stati Uniti e di americano, si parla in particolar modo degli
americani del nord, poiché gli abitanti degli stati del Sud sono considerati
ugualmente come coloni, quindi di razza diversa. Questo ci da l’idea di
americanità, vista da vari aspetti, sempre più diversa, in un certo senso di
americanità di minor pregio per gli stati che non siano quelli del Nord.
Nel luglio 1915, dopo una interminabile successione di presidenti a
inizio secolo (ben 8 presidenti tra il 1908 e il 1915), conclusasi con l’uccisione
dell’ultimo presidente Vilburn Guillaume Sam da parte della popolazione
della capitale inferocita, i marines americani sbarcarono a Port-au-Prince. Da
qui parte il racconto di Renda, una raccolta di saggi e testimonianze del
comportamento dei marines nei confronti degli haitiani e viceversa. Per la
prima volta questo comportamento non riguarda solo la vita militare, ma
anche quella privata. Come una raccolta di diari di ufficiali dei marines e di
personaggi cha hanno vissuto intensamente l’occupazione haitiana, si
18
John Huston Craige, scrisse Black Bagdad nel 1933, racconta la storia di un capitano della
marina militare ad Haiti durante l’occupazione. Come vengono definite nell’introduzione, le
“avventure notturne stile arabo dei marines”.
19
Mary A. Renda è ricercatrice al Mount Holyoke College, in South Hadley, Massachusetts.
Ha vinto nel 2002 il prestigioso premio di Stuart L. Bernath Book, come migliore libro storico
nel 2002 con “Taking Haiti: Military Occupation and the Culture of U.S. Imperialism 1915-1940”.
20
Dennis E. Showalter, professore di storia al Colorado College dal 1985.
18
trovano spunti anche di carattere sociologico. L’atteggiamento degli
americani nei confronti dei locali, così distaccato e a volte così superiore.
Ritenuti gli haitiani incapaci di gestire lo stato, gli americani si
impadronirono con le armi delle riserve auree del paese; assunsero anche il
controllo delle dogane e delle forze di polizia. Nominarono un presidente
fantoccio, e imposero una nuova costituzione al paese. Dovettero usare la
forza, perché nonostante tutto, la presenza degli americani ad Haiti, non era
bene accetta dalla popolazione dell’isola. Erano considerati estranei, e ancora
di più sottolineavano la differenza culturale e sociale tra le due nazioni. I
marines americani cominciarono direttamente ad edificare alcune strutture
pubbliche, come ospedali, cliniche, scuole e nuove strade asfaltate
(praticamente inesistenti in precedenza ad Haiti, se non nella zona vicino a
Port-au-Prince). Migliorarono i sistemi di semina, modernizzando i
macchinari e permettendo ad alcune società americane di mettere in piedi
alcune fabbriche per la costruzione di macchinari ancora più all’avanguardia.
In realtà le fabbriche non erano soltanto di macchinari agricoli, ma venne a
formarsi una zona franca intorno alla capitale, dove molte imprese americane
impiantarono le loro sedi per la produzione di oggetti vari, sfruttando la
manodopera locale.
L’essersi impadroniti di alcune delle risorse più importanti di Haiti,
portò agli americani ostilità da parte dei locali. I primi ad essersi ribellati,
furono i Cacos
21
, scatenando una vera e propria rivolta, fino a diventare una
vera e propria insurrezione patriottica. Le loro bande furono infatti
denominate “Esercito Rivoluzionario”, ed era condotto da Charlemagne
Péralte. La rivolta fu di una certa rilevanza, ma fu soppressa con violenza. Fu
una grande perdita per entrambe le parti: gli americani dovettero acquistate
armi per rinforzare l’esercito, mentre molti haitiani persero la vita.
Malgrado la resistenza armata fosse stata spezzata dagli americani,
l’opposizione politica e mediatica all’occupazione continuò. Gli americani
21
Contadini non istruiti che erano ancora in armi dal periodo precedente, i quali però
riuscirono a costituire un vero e proprio esercito, cit. Guida del Mondo 2007-2008. Il mondo
visto dal sud, p. 290.
19
trattarono dall’inizio con la classe mulatta, escludendo completamente la
classe media nera dalla vita politica. Questo permise agli americani di
continuare ad avere ingerenze e condizionamenti nella vita politica haitiana
(rendendo possibili i successivi trent’anni di dittatura della famiglia
Duvalier).
Furono quindi anni molto travagliati per la politica haitiana, nonostante
i presidenti e i governi fantocci scelti dagli Stati Uniti. In tutto l’occupazione
americana durò 19 anni, ma negli anni della grande crisi - in particolare dal
crollo della borsa di Wall Street - e depressione, l’atteggiamento degli Stati
Uniti nei confronti di Haiti cambiò decisamente. Da una parte c’erano i
movimenti della sinistra radicale e del pan-africanismo, i quali cominciavano
la loro lotta per i diritti dei neri in America e non solo, e dall’altra c’era la
posizione geografica di Haiti che cominciava a perdere di importanza in una
situazione economica così grave negli Stati Uniti e nell’intera comunità
internazionale. Inoltre Roosevelt aveva mantenuto la politica
dell'isolazionismo, sin dai primi giorni della sua elezione nel 1933. Egli
credeva alla politica del “buon vicinato”, che prevedeva il rispetto e la non
interferenza negli affari degli altri paesi, per questo adottò tale politica nei
rapporti con i paesi del Sud America, tra cui anche Haiti
22
. Perciò nel 1934, i
marines americani, sulla spinta di tutti i fattori sopra elencati, lasciarono
l’isola. Naturalmente sarebbero continuate le ingerenze nella politica
haitiana, sfruttando i rapporti che Washington aveva stretto con la classe
borghese mulatta e non sottovalutando il fatto che l’esercito haitiano fosse
formato da militari addestrati dagli ufficiali americani.
Una causa dell’abbandono di Haiti fu anche l’ostilità crescente da parte
della popolazione. Nonostante la costruzione di alcune infrastrutture,
decisamente migliori di quelle che esistevano 20 anni prima, la popolazione
continuava a vivere in uno stato di degrado. Il governo americano non era
riuscito ad educare la classe media haitiana a creare reddito oltre a quello
22
HOY, Marie e MARRE, Jeremy, La vita e il tempo di Franklin D. Roosvelt 1882-1945, Video
Invest Prop., 1974.
20
minimo di sussistenza. I contadini continuavano ad avere degli
appezzamenti di terreno che fungevano solo da sussistenza, e molto spesso
non erano abbastanza estesi per far sopravvivere l’intera famiglia. Così molti
haitiani senza lavoro furono costretti a fuggire nella Repubblica Dominicana
a coltivare la canna da zucchero
23
.
Anche le condizioni nella Repubblica Dominicana non furono rosee per
gli haitiani. Razzismo, scarsa offerta di lavoro e forte offerta di canna da
zucchero fecero scendere i prezzi. La risposta dei dominicani fu violenta e
portò a uno dei più grandi massacri della storia, con più di 20.000 haitiani
uccisi dalla polizia dominicana su ordine del loro presidente e dittatore
Rafael Leonidas Trujillo
24
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Questo avvenimento viene segnalato raramente nei libri di storia, o
comunque le parole che gli vengono dedicate sono troppo poche in confronto
alla tragedia avvenuta. Violenze che vengono condotte anche oggi, una vera
e propria schiavitù, facendo vivere famiglie intere in condizioni di miseria.
Il fatto ci viene raccontato dalla famosa scrittrice haitiana trapiantata a
New York, Edwige Danticat nel suo romanzo La fattoria delle ossa. Amabelle è
una giovanissima ragazza haitiana a servizio presso la facoltosa famiglia di
un militare. Ha una storia d’amore con Sebastien, tagliatore di canna da
zucchero. I due giovani sognano di sposarsi e di ritornare ad Haiti, ma il
Generale Trujillo, dittatore dominicano, ha in serbo per gli haitiani un
genocidio: le prime avvisaglie si hanno quando il padrone di Amabelle
investe un contadino e lo uccide il giorno della nascita di sua figlia. La
tensione cresce ora dopo ora
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. Viene raccontata la storia di un rapporto
conflittuale tra due paesi: La Repubblica Dominicana e Haiti. Due Paesi che
dividono la stessa isola, uno povero e l’altro poverissimo. Per decenni, gli
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Ancora oggi molti haitiani vivono in villaggi artificiali costruiti intorno alle piantagioni di
canna da zucchero chiamati Batey. Si stimano in circa 800.000, dei quali molti vivono
illegalmente perché non riconosciuti dal governo dominicano. Vedere immagini in
appendice.
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Rafael Leonidas Trujillo, dittatore della Repubblica Dominicana dal 1930 fino al 1961,
quando fu assassinato da un gruppo di benestanti dominicani, gli stessi che lo avevano
appoggiato in precedenza. DIAMOND, Jared., Collasso: come le società scelgono di morire o di
vivere, Einaudi, Torino, 2005, p. 349.
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DANTICAT, Edwige, Fattoria delle ossa, Piemme, Casale Monferrato, 2005
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haitiani fuggirono dalla atroce povertà della loro terra, i Vwayajè, sono stati
impiegati nella coltivazione della canna da zucchero o come domestici in
Repubblica Dominicana. Ma nel 1937 Trujillo decreta lo stermino di tutti gli
haitiani presenti sul suolo della Repubblica Dominicana. Ecco lo sfondo
storico sul quale si muovono i personaggi della Danticat, e che lei descrive
nel suo modo sanguigno e sensuale, tra sogni erotici e massacri senza senso. I
sensi, quindi, e la memoria. Le chiavi di lettura, i simboli antichi che la
scrittrice rigira tra le mani come un ciondolo. Non muori veramente se
qualcuno ricorda il tuo nome, ha scritto qualcuno. E se c’è una cosa che
Amabelle, la protagonista del libro, cerca appassionatamente di fare anche
per superare l’orrore del massacro attorno a lei è ricordare nomi. Perché sa
che se dimenticherà cosa è accaduto al suo popolo la sua vita non avrà senso
né scopo. Quindi ricorderà i nomi dei morti, soprattutto quelli amati.
Ma la cosa che fece inferocire gli haitiani residenti in Haiti fu l’assenza
di una reazione da parte dell’allora presidente di Haiti, Stenio Vincent al
massacro sopra ricordato degli haitiani. Proprio per questo motivo egli
divenne impopolare, tanto da dover cedere il posto a Lescot
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nel 1941.
Lescot non era altro che un dittatore sanguinario e corrotto, il quale gestiva
solo ed esclusivamente i propri interessi, lasciando da parte il popolo e le sue
esigenze. Si trattava anche questa volta di una mulatto, un altro mulatto al
governo. Solo la classe borghese veniva rappresentata, lasciando da parte
l’80% della popolazione, cioè i neri. Per questo motivo fu odiato da quasi
tutta la popolazione, anche perché aggravò decisamente sia la questione
razziale, sottolineando la differenza del colore della pelle, che anche quella
culturale ed economica, poiché la maggior parte dei mulatti erano
intellettuali e borghesi, mentre i neri erano solo contadini o piccolo borghesi.
Un altro motivo per cui si fece odiare, fu la sua “campagna
antisuperstizione”, che oltre a fare terrorismo psicologico, distrusse
fisicamente tutti gli oggetti e i luoghi di culto del vodù. L’unico motivo per il
quale riuscì a governare sul paese per 5 anni, fu il supporto che ebbe dagli
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Elie Lescot fu presidente di Haiti dal 15 maggio 1941 all’11 gennaio 1946.