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Introduzione
Il presente lavoro si pone l’obiettivo di mettere a confronto
alcune traduzioni italiane di poesie tratte da Alcools e
Calligrammes di Guillaume Apollinaire. Si tratta delle
traduzioni di Giorgio Luti e Francesco Mazzoni, Paolo
Sanfiore, Giorgio Caproni, Clemente Fusero, Mario Pasi,
Euralio De Michelis e Vittorio Sereni.
Si è innanzitutto proceduto ad una ricerca bibliografica delle
varie versioni; tutto questo è stato facilitato grazie al libro di
Pasquale Aniel Jannini La fortuna di Apollinaire in Italia.
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In seguito si riterrà opportuno illustrare, attraverso le opinioni
di Umberto Eco, Susan Bassnnett, Franco Buffoni e alcuni
Ovviamente, non ci si può affidare ad alcune ricostruzioni
filologiche, però il lavoro di Jannini è parso attendibile per
poter avere un ordine cronologico delle varie traduzioni.
Si procederà prima con una ricostruzione del rapporto tra
Apollinaire e l’Italia, con le amicizie influenti strette nel paese
che ne hanno agevolato la fama.
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Jannini, Pia. Warnier, R.. La fortuna di Apollinaire in Italia; con nuovi testi di Apollinaire presentati da R. Warnier,
Milano, Istituto editoriale cisalpino, 1965.
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traduttori e poeti-traduttori, come sia difficoltoso cimentarsi
con la traduzione poetica.
Successivamente si passerà alle analisi delle varie versioni,
confrontandole sia con il testo originale che con i lavori di altri
traduttori. I commenti verteranno principalmente su scelte che
hanno modificato, a volte minimamente a volte pesantemente,
o la metrica della poesia o il livello semantico. Interessante
sarà notare il diverso atteggiamento di poeti-traduttori come
Caproni, Sereni e De Michelis, e di quelli più tecnici come
Fusero e Pasi. Si leggerà poi di casi più estremi come quelli di
Luti e Mazzoni, di De Michelis e Sanfiore, che hanno fatto
propri i componimenti, facendo sentire la loro presenza.
La scelta delle poesie analizzate non è casuale. Innanzitutto si
sono volute prendere in considerazione soprattutto quelle
tradotte da tutti e sette, o almeno da cinque dei traduttori.
Infatti, non tutte le loro opere di traduzione sono integrali.
Tuttavia, le quattro liriche presentate contengono tematiche
chiavi nella vita di Apollinaire. “Le pont Mirabeau” e “C’est
Lou que l’on nommait” affrontano il tema dell’amore sofferto.
“Toujours” tratta il tema della allora dibattuta questione tra
ordine e avventura, nella fase in cui Apollinaire era ancora
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proiettato verso il futuro. “La jolie rousse” rappresenta il
testamento poetico del poeta.
In ogni capitolo verranno confrontate le diverse scelte dei
traduttori, con lo scopo di trovare una traduzione più vicina
agli intenti del poeta e familiare ad un futuro lettore non
madrelingua.
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Breve resoconto sul rapporto tra Apollinaire e
l’Italia.
Il rapporto tra Apollinaire e l’Italia inizia con la nascita del
poeta. Guillaume Apollinaire nasce a Roma nel 1880 dove
rimane con la madre e il fratello minore, prima di spostarsi a
Bologna. In seguito la famiglia si trasferisce in Francia e, nella
sua nuova patria, Apollinaire si forma come poeta. Si avvicina
principalmente a due movimenti: il simbolismo e il dadaismo.
Tuttavia non può restare indifferente ad una nuova corrente
che sta prendendo vita in Italia: il futurismo. Proprio grazie al
movimento artistico-letterario fondato da Marinetti,
Apollinaire rientra in contatto con l’Italia per intrattenere delle
collaborazioni con gli esponenti più in voga, sia nel campo
dell’arte che in quello della letteratura.
Il rapporto con il Futurismo è inizialmente controverso,
poiché in un primo tempo Apollinaire ignora il Manifesto
pubblicato da Marinetti sul “Figaro” il 20 febbraio 1909. Egli,
infatti, non si mostra convinto dell’estetica futurista e propone
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quattro anni dopo un manifesto, l’ Antitradition futuriste, nel
quale riprende quasi tutti i punti proposti da Marinetti,
esponendoli però in maniera così estrema da renderli
paradossali.
Apollinaire si dimostra inizialmente sostenitore di un’idea
della guerra moderna non distante dalla glorificazione futurista
legata alla nascita del mito della “guerra bella”. Per quanto
riguarda poi il nuovo stile letterario, Apollinaire esprime
opinioni positive sull’idea di una scrittura libera, senza
punteggiatura, con la grammatica vista come prigione per la
produzione poetica.
L’interesse di Apollinaire per l’Italia si svilupperà poi con
collaborazioni a riviste che renderanno note alcune sue poesie.
Apollinaire partecipa alla rivista “Poesia” di Marinetti e in
seguito a “Lacerba”, tramite Ardengo Soffici, al quale dedica
una poesia, “A l’Italie”, uscita poi nel 1915. In seguito, grazie
a “Avanscoperta” di Luciano Folgore, nel 1917 sarà pubblicata
un’altra poesia dedicata all’Italia, sempre dal titolo “A
l’Italie”.
Incerte poi altre due collaborazioni, con le riviste “La Brigata”,
che si pubblicava a Bologna tra il 1916 e il 1919, sulla quale
viene riportata “Le Voyage du Kabyle”, e “Il Centone” di
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Firenze. Tuttavia quest’ultima partecipazione resta incerta per
il fatto che il supposto numero sul quale comparirebbe il nome
di Apollinaire non è mai uscito.
Altri testi sono poi pubblicati verso la fine della seconda
guerra mondiale, tra i quali alcuni brani della Ghirlande de
Lou, ancora in originale.
La critica italiana si è però occupata di Apollinaire solo dopo
la prima guerra mondiale. Questo atteggiamento non è limitato
ai nostri critici, perché Apollinaire fu a lungo sottovalutato
anche in Francia.
Un primo articolo di giornale è scritto da Adolfo Franci, il
primo gennaio 1924, uscito sul “Corriere Italiano”, in
occasione del quinto anniversario della morte del poeta. Franci
stesso ammette che il talento di Apollinaire fu scoperto man
mano che ci si allontanava dal suo tempo. La sua vita, la
partecipazione alla guerra, le sofferte vicende d’amore, la sua
morte così precoce contribuirono alla nascita di sentimenti di
elogio e rimpianto per il poeta.
Per la critica italiana, Apollinaire è inizialmente classificato
come un poeta d’avanguardia cubista. Così lo definisce
Roberto Palmarocchi nel 1927 su un volumetto, apparso per le
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edizioni de “La Voce”, dedicato alla letteratura francese
contemporanea.
Tuttavia, proprio come aveva profetizzato Franci, Apollinaire
fu apprezzato con il tempo. Si legga, infatti, il giudizio che nel
1939 Glauco Natoli rivolge al poeta:
…moriva vent’anni or sono , il 9 Novembre, Guillaume Apollinaire, e
non sul campo di battaglia come egli avrebbe preferito, di quella ferita
che gli bendò per lunghi mesi il capo d’un vasto turbante, ma di grippe
crudele in una clinica parigina…
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Non sempre però i critici italiani si sono esposti con così tanti
elogi per Apollinaire. E’ il caso di Carlo Bo, che lo giudica
come un poeta privo di mistero, di poetica e di estetica, con
una poesia gratuita e priva di reale significato. Bo ritiene poi
che intorno ad Apollinaire si siano create troppe leggende e
pone in discussione la facilità con la quale sono state
pubblicate le sue opere. Riconosce però il ruolo che il poeta ha
avuto nel trovare uno sbocco alla poesia francese. Tuttavia,
Commovente è la descrizione che ne propone sul quindicinale
“Campo di Marte”, diretto da Enrico Vallecchi. Egli mette in
luce la doppia personalità di Apollinaire come erede della
lunga tradizione lirica francese ma al tempo stesso con uno
sguardo sempre proteso verso l’avvenire.
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Jannini, Pia. Warnier, R.. La fortuna di Apollinaire in Italia; con nuovi testi di Apollinaire presentati da R. Warnier,
Milano, Istituto editoriale cisalpino, 1965, p. 103.
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con il tempo Carlo Bo cambierà opinione su Apollinaire,
soprattutto dopo aver letto Ombre de mon amour.
Sulla stessa scia sarà poi la critica di Mario Luzi, in Gloria di
Apollinaire e l’ Esprit Nouveau. Anch’egli torna sul problema
dell’influenza che la sua vita controversa, enigmatica e
confusionaria ha prodotto per la nascita di un poeta osannato.
Altri critici si sono occupati in seguito di Apollinaire:
Siciliano, Bonfantini e Montale.
Il primo lo definisce come un innovatore ma anche come erede
della tradizione lirica francese. Egli osanna la poesia di
Apollinaire anche se si mostra diffidente nel momento in cui la
sua poetica assume dei tratti surrealistici.
Bonfantini, in un articolo pubblicato sulla rivista “Occidente”
si occupa principalmente di Alcools e del richiamo alla
tradizione. Egli è il primo a sottolineare l’attività di erudito di
Apollinaire.
Montale si sofferma sulle lettere di Apollinaire per Madeleine
e scrive un articolo per il “Corriere della Sera” in cui rievoca
questo sfortunato amore. In generale, Montale esalta la sua
lirica come fresca ma che al tempo stesso
invecchia bene come un nobile vino, come uno strumento di qualità che il
tempo rende più gagliarda e preziosa…
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E. Montale, Dai cassetti di Madeleine escono le lettere di Apollinaire, in “Corriere della sera”, 26 agosto 1952, p.3.
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Com’è noto, Montale non è l’unico poeta italiano a esprimersi
su Apollinaire. Giuseppe Ungaretti scopre tramite il poeta
francese una poesia piena di temi d’avventura e d’azzardo e
soprattutto tutta proiettata verso la scoperta del nuovo.
Per concludere con questa sintetica rassegna dei critici
italiani, si ritiene doveroso citare il saggio pubblicato da
Sergio Solmi come prefazione del volume di traduzioni di
Mario Pasi. Solmi mette a fuoco tutta la poetica di Apollinaire,
definendolo
..come il banditore dell’arte e della poesia nuove…
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S. Solmi, Prefazione a Poesie di Apollinaire nella traduzione di Mario Pasi, Parma, Guanda, 1960, p.7.
Ancora per quanto riguarda il rapporto tra Apollinaire e
l’Italia, è importante sottolineare che fu anche grazie a
amicizie che strinse con importanti esponenti letterari del
periodo che egli fu letto e scoperto.
Come già accennato in precedenza, Apollinaire fu grande
amico di Ungaretti. Egli lo considerava come uno dei letterati
italiani più assetati di rinnovamento e l’interesse per il poeta
italiano si fece sempre più profondo. Allo stesso modo,
Ungaretti si ispirò ai componimenti di Apollinaire per le sue
poesie.
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Fu poi Gigi Cavalli a scrivere in dettaglio dei rapporti tra i due
poeti in un saggio apparso nella rivista “Letteratura” nel 1953
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ripreso poi in Ungaretti nel 1958
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Tra questi, Vittorio Sereni si mostra tra coloro che
maggiormente ne hanno subito il fascino. Sereni sperimenterà
quell’abbandono al canto, senza retorica ma pieno di
sentimenti che è una delle caratteristiche principali di
Apollinaire. Il bisogno di evasione verso sconfinati orizzonti è
.
Non meno scontato poi si presenta un altro dettaglio che lega i
due poeti, vale a dire la partecipazione diretta al fronte durante
la prima guerra mondiale, esperienza che riversarono nelle loro
opere.
Altra amicizia rilevante è poi quella con Ardengo Soffici. Egli
è il primo ad occuparsi da un punto di vista critico di Alcools
nel 1913. In seguito, lo citerà tra i più grandi poeti europei
dopo Baudelaire e Leopardi. Soffici si abbandona anche a
testimonianze personali su Apollinaire, definendolo timido,
ingenuo e sentimentale.
L’eco di Apollinaire e la sua influenza proseguiranno poi nei
decenni a venire. Molti poeti italiani seguiranno il suo stile e le
sue tematiche.
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G. cavalli, Nota su Ungaretti e Apollinaire, in “Letteratura”, 5-6 sett.dic., 1953.
6
G. Cavalli, Ungaretti, Milano, Fabbri, 1958.