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Cap. I° Inghilterra romana: dalla preistoria alla storia.
<<Il primo dunque ad approdare nella Britannia con l’esercito fu il divo Giulio
Cesare…>>
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Sita oltre i limiti estremi del mondo conosciuto, la Britannia appariva alle legioni
romane come una terra lontanissima e sperduta, avvolta da nebbie perenni e
circondata dall' oceano, ultimo avamposto prima del vuoto, del terribile niente. Erano
le colonne d'Ercole dell'estremo settentrione, dove solo giganti e mostri di ogni
genere avevano asilo. Abituati al cabotaggio relativamente sicuro e accessibile nel
"mare nostrum" in cui Roma vinse e sottomise Cartagine facendone un mare privato,
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i mari furiosi di settentrione si presentavano loro inaccessibili e preclusi alle troppo
leggere unità navali romane. Sappiamo bene quanto i legionari fossero terrorizzati e
allo stesso tempo ossessionati da questo limite temutissimo se, poco prima della
prima spedizione di Cesare (55 a.C.), alcune legioni rifiutarono di imbarcarsi per
percorrere quei maledetti 50 chilometri di mare e solo dopo mille esortazioni si riuscì
a convincerli.
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Cesare non sottomise l’isola, ritenendo opportuno accettare la resa di potenti e ricchi
sovrani con un cospicuo pagamento di tributi. Ne spianò comunque la strada alla
conquista stabile. Seppure Tiberio (14-37 d.C.) rinunciò all'impresa stabilendo una
politica di non intervento fuori dei confini
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-certo la terribile disfatta
delle truppe del suo generale Varo nei meandri del bosco di Teutoburgo (9 d.C.)
costituì un fortissimo deterrente- e, se il successore Gaio minacciò la spedizione con
tanto di preparativi rinunciando all'ultimo momento,
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spettò a Claudio ratificarne il
dominio (43 d.C) con la formazione della provincia di “Britannia”. Alla compagine di
piccoli clans dispersi e disuniti che le legioni incontrarono (la confederazione di
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Tacito, “Agricola”, a cura di Mario Stefanoni, 1991, Milano, ed. Garzanti cap. XIII, pag. 19 .
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Roma combatté tre guerre contro Cartagine. La prima dal 264 al 241 a.C. La seconda dal 218 al 202. La terza dal 149
al 146, con la conseguente distruzione di Cartagine.
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Kenneth O. Morgan, Storia dell’Inghiterra. Oxford University Press, 1984, cap. 1, pag 22.
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La politica di non intervento fuori dai confini dell’impero fu con Tiberio (14-37 d.C.), un fermo principio, in netta
opposizione con la prassi augustea precedente. (Kenneth O. Morgan, cit. pag. 19).
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M.Grant, Gli Imperatori Romani, Roma 1996, ed. Newton Compton. Cap. 1, pag. 23
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britanni guidata da Cassivellauno costituì un eccezione) si sostituì la formazione di
piccoli potentati "clienti" dell'impero. Presto gli inglesi dovettero accorgersi che la
pressione di Roma non era solo nominale e liquidabile facilmente con il pagamento
del tributo annuo. Del resto è interessante rilevare quanta valenza abbia avuto per i
romani l'impresa. Se Augusto non riuscì a portare il "limes" fino all'Elba, la
conseguente cristallizzazione dei confini dovette dare un ulteriore impulso alla
creazione di una nuova provincia. A Roma stessa la Britannia era oggetto di grande
interesse. Se ne parlava ai fori, al senato, alle terme o nelle locande dove, magari
accompagnati da un buon vino caldo, si parlava dei suoi spazi sconfinati, dei suoi
abitanti misteriosi e di quanto sarebbe stata utile all'Urbe una sua eventuale conquista.
La Britannia catalizzava l'interesse di tutti i cittadini e i romani non ammettevano
certo limiti al proprio diritto di conquista . La presa dell'isola dell'oceano si
auspicava, si pretendeva. Quale migliore occasione sarebbe stata per un generale in
carriera la conquista di nuovi territori? Ma non solo propaganda; la Britannia sarebbe
stata di grande aiuto economico per le truppe ormai stanziate permanentemente sul
Reno (si immagini quanto pesantemente dovesse incidere sul bilancio imperiale il
mantenimento delle truppe nella Belgica e in Frisia) ma sottoposte regolarmente alle
ribellioni locali di una Gallia non ancora saldamente controllata (da lì a due anni il
disastro ad Alesia) e non certo rassegnata a perdere le proprie autonomie. Un focolaio
che Roma non poteva permettersi di sottovalutare. L'isola offriva stagno argentifero,
ferro, argento e tanto grano; tutte materie indispensabili per la permanenza delle
truppe da una parte all'altra della Manica. I collegamenti col continente dovettero
essere già normalmente assicurati da quei popoli (Belgi) che poco prima di Cesare
invasero l'isola passando dallo stretto che collegava l'odierna Boulogne alle coste
della Canzia (Kent) .
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Cesare ben sapeva dei rapporti stretti che univano alcune
popolazioni della Gallia del nord e l'isola dell'oceano e giustificò le proprie mire con
la necessaria esigenza di spezzare i legami tra le tribù inglesi e quelle galliche,
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La punta sud orientale dell’Isola con capitale Canterbury, prima sede metropolitana inglese. Essa fu fondata nel 597da
Agostino, evangelizzatore della Britannia col beneplacito di re Ethelbert del Kent.
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specialmente i Veneti.
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Sapeva che britanni e galli facevano vicendevole spola tra le
due coste della Manica e che non mancavano di fornire i propri guerrieri contro il
nemico comune. L'impresa imperiale diede ulteriore impulso alla formazione di
piccoli potentati federati o, se vogliamo, regni che, profittando opportunamente della
protezione romana, assicurarono l'avvenire strutturale della monarchia più potente
d'Europa, specie con la fondazione di case reali imparentate con quelle continentali.
Del resto ne avrebbero giovato sia i dominatori che i dominati: i britanni, limitandosi
a pagare il tributo, sarebbero stati protetti da eventuali disordini interni, specialmente
dalle popolazioni celtiche del Galles e della Cornovaglia che, imbelli e turbolente,
continuavano a creare disordini e a rifiutare con ostinazione le ingerenze romane. I
romani poi, come si è detto, avevano tutto da guadagnare dalla nuova piazzaforte
insulare che ridisegnava ancora una volta ( con importanti esiti sociali e
propagandistici ) la geografia dell'impero. Cesare continuò la politica dei suoi
predecessori permettendo agli autoctoni delle regioni conquistate di autogovernarsi. E
così fu per la tribù dei Trinovantes dell'Essex, per i quali, dopo loro richiesta, agevolò
l'insediamento al trono di un giovane principe, Mandubracio
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il padre del quale fu
ucciso dal re Cassivellauno. Ed è proprio la casa dei cattuvellauni che durante il
periodo tra Cesare e Claudio (41-54 d.C.) non cessò mai di rafforzarsi. Roma creò
così una signoria che aveva il dovere di pagare i tributi e usufruire del privilegio di
protezione se mai fossero stati importunati dai regnicoli vicini. Gli aristocratici
inglesi - spesso galli trasferitisi nell'isola - erano certo ben compiaciuti delle
importazioni dall'impero e a loro volta incrementarono le esportazioni di prodotti e
merci utili non solo alle truppe di stanza al nord ma anche agli stessi signorotti della
Roma abbiente. Schiavi, pellami, oro, argento e i richiestissimi cani da caccia inglesi
erano il capriccio e la moda del momento nell'Urbe.
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I Veneti risiedevano nell’attuale Bretagna. Uno dei motivi dello sbarco di Cesare in Britannia è, come egli stesso
indica, impedire i contatti tra il continente e l’isola di queste sediziose tribù britanne e galliche.
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G.Cesare, De bello gallico, a cura di Andrea Barbino, Milano 1989, ed. Garzanti. libro V, 20-22. D’ora in poi De
bello gall.
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Pare che a Roma girasse la voce che Cesare fosse particolarmente interessato alla produzione inglese di talune ostriche
che producevano delle perle di colore opaco, dalle quali fu singolarmente attratto. Tacito( Agricola 10 ) adducce la tesi
e Svetonio ( Vita di Cesare 47 ) sostiene che furono proprio queste perle ad attirare Cesare in Britannia.
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Le origini della Britannia sono certo anteriori alle visite di "cortesia" di Roma.
Sappiamo che già a partire dal 1300 a.C. aveva preso forma quel tipo di società tipico
della successiva età del ferro: tra foreste sterminate cominciarono a prendere forma le
colline fortificate (hills-forts)
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che caratterizzarono fortemente gli insediamenti
successivi e che fattorie isolate di medie o piccole dimensioni costituivano oramai
unità attorno alle quali ruotava la vita degli autoctoni. Frequenti varianti insulari non
impedirono inoltre lo sviluppo parallelo di manifatture ( armi, gioielli, utensili in
genere ) in cui c'era tutta l'impronta del generale sviluppo estetico-funzionale
continentale. Non completamente isolata e sconosciuta quindi, anche se lo stesso
Cesare <<non riuscì a sapere quanto estesa fosse l'isola, quali e quanti popoli
l'abitassero, che tecniche di combattimento usassero, che genere di istituzioni
avessero e quali fossero i porti in grado di accogliere una flotta navale di stazza
superiore>> .
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Colline artificiali fortificate tipiche dell’età del ferro continentale. Esse erano dei tumuli o terrapieni alti coronati da
una primitiva recinzione fatta di pali aguzzi atte a proteggere efficacemente gli occupanti dai continui attacchi dei
nemici.
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G.Cesare, De bello gall..., cit. Libro IV,20
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Cap. 2°. 55 e 54 a.C. Le due spedizioni di Cesare in Britannia.
Probabilmente Cesare progettò una spedizione in Britannia già nel 56 a.C., anno in
cui gli Armorici della costa della Bretagna (attuale penisola Armorica) si ribellarono
ai Romani con l'appoggio di alcune tribù della Britannia meridionale. L'operazione
non andò in porto a causa dei combattimenti contro Morini e Menapi, tribù belgiche
che controllavano lo stretto di Dover.
Il grande condottiero romano, da prudente calcolatore qual era ( “abbi fretta con
calma”) non lasciò nulla al caso e non si espose prima di aver recepito il maggior
numero di informazioni possibili rivolgendosi ad emissari e spie. Dopotutto egli
sapeva che non sarebbe stata una spedizione di routine e priva di pericoli. Si trattava
di un’impresa di tipo nuovo: isola sconosciuta, genti sconosciute e, soprattutto, mare
sconosciuto e pericolosissimo. Un braccio di mare che sarà per secoli ossessione e
velleità, incubo e mania, traguardo di feroci e memorabili imprese. Non si
dimentichino i gravi problemi logistici di attraversata che subirono i vari
conquistatori nei secoli: innanzitutto Cesare che, come vedremo, subirà gravi perdite
durante le sue due spedizioni; Guglielmo il bastardo che dovrà aspettare almeno due
mesi prima che il vento da nord si affievolisca permettendogli finalmente di tirare su
l’àncora e issare le vele delle sue pur agili imbarcazioni. L’invincibile armata di
Filippo II pagherà cara (inizio del declino di un impero colossale) la temerarietà
spagnola (1588) e, in ultimo, la gigantesca flotta di 2700 corazzate alleate anglo-
americane che, neanche 60 anni fa ,
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dovrà attendere per molto tempo la bonaccia
prima di sbarcare nelle coste di Normandia occupate dalla fanteria pesante del terzo
impero tedesco.
Forse Cesare non riuscì ad ottenere informazioni dai locali per il fatto che la
Britannia fosse considerata sacra e inviolabile dalle popolazioni Celtiche. D’altra
parte i romani stessi nutrivano per i misteriosi sacerdoti Celti timore e riverenza…
Quindi, prima di salpare mandò in avanscoperta una nave agli ordini di suo ufficiale,
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Le truppe alleate anglo-americane sbarcarono in Normandia la notte tra il 5 e il 6 giugno 1944. (D. Day).
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C.Voluseno, che <<dato che non volle correre il rischio di sbarcare>>
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dopo una
perlustrazione di quattro giorni tornò al campo riferendo l’esito della ricognizione.
Intanto Cesare muove con le sue legioni in cerca di un porto adatto alla partenza
garantendosi la fedeltà delle popolazioni locali…. Come egli stesso riferì, alcune
popolazioni britanne vennero a sapere delle sue intenzioni e non persero tempo a
rendergli omaggio mandando messi che promisero sottomissione totale al <<dominio
del popolo romano>>.
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Si scelse come base di partenza Portus Itius ( Porto Izio, latinizzazione del celtico
‘icht’, canale ) che con ogni verosimiglianza è da individuare con Boulogne sur mer ,
il tratto più breve dalle bianche scogliere di Dover. Dovendo fare i conti con un
mare sconosciuto, soggetto alle repentine variazioni delle maree, che in nessun luogo
più che lì mostravano tutta la loro pericolosità, e con le correnti che ostinatamente
portavano alla deriva, Cesare pensò di adeguare la sua flotta alle caratteristiche
mutevoli e ingannevoli del canale. Ora, con la massima celerità fece approntare dalle
sue legioni nuovi tipi di scafi, realizzati con un ampio bacino di carenaggio ( si
dovevano trasportare due legioni, quindi circa 10000 uomini più vettovaglie,
macchine, utensili e tutto ciò che sarebbe stato indispensabile all’impresa ) e con la
chiglia bassa per evitare le secche e non farsi tradire dalle fluttuazioni delle maree:
<<circa 80 navi da carico leggere (actuariae), numero che giudicava sufficiente per il
trasporto delle legioni vennero radunate. […] A esse si aggiungevano altre 18 navi da
carico (le hippogogae, per i cavalli), che erano a otto miglia di distanza e non
riuscivano a raggiungere il porto per via del vento>>.
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Circa 30 miglia fino all’approdo di Deal, nel Kent, probabilmente nell’attuale tratto
di costa nei pressi di Walmer Castle , spiaggia rocciosa e ciottolosa poco distante dai
vertiginosi bastioni calcarei di Dover. Era l’estate del 55 a.C . Cesare dovette
attendere che il vento si placasse prima di salpare. Finalmente, la notte del 26 agosto
(era circa mezzanotte), la bonaccia permise alla flotta di mollare gli ormeggi. Nel
mentre la cavalleria avrebbe seguito la scia della flotta ammiraglia ma
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Cesare, De bello gall…, cit., IV, 21
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Cesare, De bello gall…, cit., IV, 21
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Cesare, De bello gall…, cit., IV, 21. Vento di nord ovest. Cfr. Aulo Gallio II 22,12 che lo chiama Caurus.