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sviluppi economici e sociali in modo da garantire al popolo i diritti
fondamentali e non la semplice partecipazione alle votazioni pubbliche.
Certo, questo è un processo di lungo termine e nel caso della RDC ci si può
“accontentare” di vedere il popolo congolese fare file chilometriche per
arrivare a bagnarsi il dito nell’inchiostro e apporre un marchio sulla “loro
libera scelta”.
Costruire la democrazia è un processo molto più complesso dell’avviare
la transizione. La regolarità delle elezioni rappresenta un buon fattore di
avanzamento dei Paesi africani verso pratiche democratiche, ma la
costruzione e il consolidamento della democrazia richiedono attenzione alla
qualità delle elezioni.
Pur nella grande diversità delle specifiche esperienze nazionali, gli oltre
cinquanta Stati presenti sul continente sono stati e continuano ad essere
accomunati da livelli complessivamente bassi di vita democratica e
soprattutto da esperienze democratiche solo formali. Non appena
applichiamo la parola democrazia alle nazioni in via di sviluppo il confine
tra democrazia e non-democrazia non è chiaramente definito.
Al di là delle esperienze multipartitiche, limitate nel tempo e nello
spazio, la gran parte dei regimi subsahariani indipendenti è stata
caratterizzata da netti tratti non democratici, in particolare dal ruolo politico
frequentemente svolto dall’esercito e dalla presenza di un partito unico. Nel
caso della Repubblica Democratica del Congo, non c’è stata neanche
un’esperienza di tipo solo formale di democrazia fino al luglio 2006, quando
un processo elettorale, sostenuto a livello internazionale, ha reso possibile
l’elezione del presidente, del parlamento e delle assemblee provinciali
ponendo fine al processo di transizione politica. Nonostante ciò, le elezioni
non porteranno la democrazia in Congo se una nuova cultura politica non
sostituirà il sistema di governo patrimoniale che ha regnato per
quarant’anni.
8
La realtà della RD del Congo è talmente multiforme che è difficile
individuare processi omogenei di pacificazione e di democratizzazione,
meccanismi validi per l’intero paese. Non esistono testi davvero esaustivi
sul “gigante” dei Grandi Laghi, ma una miriade di scritti che trattano da
diversi punti di vista la storia convulsa di questo Paese, dominato, fin
dall’accesso all’indipendenza, da instabilità, conflitto e crisi politica. Fattori
e agenti che interagiscono fanno del Paese il “ventre molle dell’Africa”.
Nel primo capitolo tratterò del processo di evoluzione,
dall’indipendenza alla dittatura. Sono gli anni della liberazione dal dominio
coloniale belga, gli anni di Patrice Lumumba, il leader indipendentista
assassinato il 17 gennaio 1961 dal suo nemico Tshombe con la
collaborazione dei belgi e della CIA. L’assassinio di Lumumba marca la
radicalizzazione della lotta per il controllo del potere che durerà quattro
anni, fino al colpo di stato, nel 1965, che porrà il Paese nelle mani del
“dinosauro” Mobutu per quarant’anni. Le regioni più ricche, dotate di
risorse minerarie appetibili come il Katanga, il Kasaï o la Provincia
Orientale, cadono uno ad uno nelle mani di leader secessionisti (Tshombe,
Kalonji, Gizenga), sovente beneficiando di divisioni etniche fortemente
politicizzate. Dal 1965, il Paese è governato dal regime detto cleptocratico
di Mobutu, che si basa sulla spartizione delle risorse naturali strategiche tra
le élite congolesi e le potenze occidentali. Il mobutismo si distingue per
l’assenza d’iniziativa in materia di infrastrutture, di amministrazione
pubblica e di sviluppo. Ribattezzato Zaire, il paese subisce una grave
recessione dal 1974. La decadenza delle strutture dello Stato è tale che il
paese diviene un caso studio di «fallimento dello Stato». Tenuto in vita dal
meccanismo di corruzione delle élite, il regime perdura fino alla fine della
Guerra Fredda.
Nel secondo capitolo ho cercato di individuare le origini dei conflitti
nella regione dei Grandi Laghi fino al collasso del regime di Mobutu; il
genocidio e l’afflusso di rifugiati rwandesi nel Kivu e il conflitto interetnico
che dal 1996 ha lacerato il paese. I rifugiati divengono presto delle pedine
9
nelle mani dei miliziani hutu che vogliono riconquistare il potere e del
governo rwandese che teme il ritorno dell’“hutu power”. In tutta questa
situazione, Mobutu attua una manipolazione delle relazioni difficili
plasmando e rompendo le alleanze a suo piacimento. Oltre alla questione
etnica, ad infuocare le rivalità vi è la questione della nazionalità e quindi
della cittadinanza fondamentale per avere accesso al potere, alla terra, alle
risorse. L’esodo degli hutu a seguito della presa del potere dell’FPR causa
sconvolgimenti negli equilibri (demografici, politici, ecologici) dell’area.
Nel 1996, Rwanda e Uganda decidono di mettere fine alle minacce dell’hutu
power che lancia attacchi dal confine congolese e lo fanno sostenendo
Laurent Désiré Kabila. Il conflitto che scoppia nel 1996 nello Zaire ha le sue
radici nel genocidio che si consuma in Rwanda nel 1994. Estremisti Hutu
fuggono nello Zaire da dove riprendono la loro lotta per la conquista del
potere a Kigali. Il Rwanda, il Burundi e l’Uganda ricorrono alla complicità
dei Tutsi residenti nello Zaire che stanno vivendo la minaccia costante di
attacchi sia da parte degli autoctoni sia da parte degli estremisti hutu,
nonché le politiche di un paese che sostiene i rifugiati hutu e dal 1995, con
una risoluzione dell’Alto Consiglio della Repubblica-Parlamento di
Transizione (HCR-PT), gli nega la nazionalità. Quello di Mobutu ormai è un
regime in declino, non gode più del sostegno dell’America e si ritrova
immerso in una crisi regionale. La guerra congolese si scompone: una
spartizione del territorio avviene ad opera dei diversi gruppi ribelli. La
guerra diviene un affare, una vera e propria economia che offre occasioni di
accesso al potere ma anche di sopravvivenza. In questa situazione di caos si
creano forti legami di lealtà tra le vittime e i carnefici. I signori della guerra,
imprenditori politico-militari, cercano di ampliare le loro basi popolari e
militari.
Nel maggio del 1997, Kabila diviene il Presidente e il paese riprende il
nome Congo (Repubblica Democratica). Sostenuti dall’Uganda e dal
Rwanda, i ribelli dell’Alliance des Forces démocratiques pour la libération
du Congo (AFDL), marciano sul paese a partire dal Kivu in quella che
10
diventerà una guerra di liberazione contro il regime mobutista. Un secondo
conflitto scoppia un anno più tardi tra Kabila e i suoi ex alleati. È questa la
“prima guerra mondiale africana” che coinvolge sette paesi. Durante il 1998,
tuttavia, l’alleanza rwando-ugandese si lacera e i due Paesi si scontrano per
il controllo di Kisangani. Il Rassemblement Congolais pour la Démocratie
(RCD), movimento politico pro-rwandese, si scinde in fazioni alleate al
Rwanda e all’Uganda. L’Uganda crea anche un proprio movimento ribelle,
il Mouvement de libération du Congo (MLC) diretto da Jean Pierre Bemba.
Nel terzo capitolo parlerò dell’avvio del processo di pace, degli Accordi
di Lusaka (1999) e della Missione delle Nazioni Unite nella RD del Congo
(MONUC). Nel 2001, L. D. Kabila, viene assassinato e gli succede suo
figlio, Joseph Kabila. L’evento suscita la reazione positiva di tutta la
comunità internazionale soddisfatta dell'uscita di scena di un uomo che era
ormai diventato un ostacolo non solo all'applicazione degli Accordi di
Lusaka ma anche alla normalizzazione dell'area. Inizia finalmente il
processo di pace con l’apertura del Dialogo Inter-Congolese (DIC) che si
conclude con la firma di un accordo a Pretoria tra il governo e i gruppi
ribelli. L'intesa stabilisce, in primo luogo l'istituzione di un governo
transitorio di unità nazionale destinato a traghettare il paese alle prime
elezioni generali dopo quelle che avevano consacrato l'indipendenza del
Congo belga dal Belgio del 1960. L'accordo prevede anche che il Presidente
Joseph Kabila resti Presidente della Repubblica democratica del Congo, ma
assistito da quattro vice presidenti, emanazioni dirette delle quattro
principali fazioni che hanno partecipato alle trattative di pace: il governo, i
due principali movimenti ribelli, e cioè il MLC, sostenuto dall'Uganda, e il
RCD, sostenuto dal Rwanda, l'opposizione non armata e la società civile.
Tutto il processo di transizione è stato sostenuto dalla Comunità
internazionale politicamente, militarmente, economicamente.
Nel quarto capitolo cercherò di illustrare il ruolo della comunità
internazionale durante il processo elettorale e il panorama politico durante le
prime elezioni democratiche del 2006. Il pilastro dell’architettura politico-
11
giuridica durante la Transizione è costituito dall’Accord global et Inclusif la
cui traduzione formale è la Costituzione. Tale accordo è il frutto della
Comunità internazionale, che si è attribuita peraltro la missione di
accompagnare il processo di transizione attraverso il CIAT, ossia il Comité
International d’accompagnement de la transition. Sul piano della sicurezza
la comunità internazionale agisce principalmente attraverso la MONUC.
Anche l’Unione Europea assiste il processo di pace sin dall’inizio lanciando
quattro missioni: due operazioni militari (ARTEMIS e EUFOR RD Congo)
e due missioni civili (EUPOL-Kinshasa e EUSEC RDC).
Joseph Kabila è stato eletto Presidente durante il ballottaggio alle
elezioni presidenziali del 29 ottobre. La comunità internazionale ha riposto
così tanta fiducia in questo processo che ha fissato il ritiro delle forze ONU
al 30 ottobre 2006. Invece le elezioni non hanno portato stabilità: gli scontri,
che hanno caratterizzato il periodo elettorale, si sono amplificati alla
chiusura delle urne tra le forze fedeli al candidato sconfitto e quelle del
vincitore. Per di più, è rimasta irrisolta la questione nel Congo orientale.
Un Paese sconvolto da trent’anni di dittatura, due guerre con milioni di
vittime, un flusso di rifugiati e sfollati che ha rotto tutti gli equilibri sociali e
ambientali, con una storia di sfruttamento sistematico e sistemico da parte
dei signori della guerra a capo di veri e propri eserciti del business, è
arrivato alle urne già con la sua persistente instabilità.
12
Cap. I
Il processo di evoluzione:
dall’indipendenza alla dittatura
13
1.1 La prima Indipendenza (1960)
Il primo periodo di indipendenza della Repubblica democratica del
Congo rappresenta un esempio di instabilità, conflitto e crisi politica: «Dai
primi giorni della sua indipendenza, lo Zaire è stato trascinato in una lunga
spirale di violenza politica, che ha condotto alcuni analisti a forgiare,
all’inizio degli anni Sessanta, il neologismo di congolisation»
1
. Quello che
caratterizza la Repubblica democratica del Congo e lo rende un caso
particolare, è l’esistenza di più fattori e agenti che interagiscono. Il Paese
sviluppa fin dall'inizio una complessa conflittualità, diventando il territorio
più instabile del continente, altrimenti conosciuto come "Il ventre molle
dell'Africa". L’ostilità già caratterizza il passaggio di potere tra lo Stato
coloniale e il nuovo Stato indipendente. Le affermazioni di Patrice
Lumumba, Primo Ministro, nel discorso pronunciato il 30 giugno 1960
2
, in
occasione dell’indipendenza del Congo, vennero considerate un affronto al
Re belga e, negli ambienti politici belgi, si parlò di allontanarlo dall’arena
politica
3
. Furono parole che gettarono nello sgomento chi aveva creduto di
poter assistere ad un cerimoniale piuttosto scontato di formale passaggio
delle consegne. Nella mitigata cornice di una “colonia modello”, in un clima
psicologico di spaventata rimozione delle avvisaglie di ciò che stava per
accadere, una politica di congelamento dei fermenti per l’indipendenza era
del tutto coerente con l’assetto che il governo e la monarchia belga avevano
1
Jean Marc Balencie e Arnaud de la Grance, Mondes rebelles, Michalon, Paris, 1996. Tra i
principali conflitti ci sono: l’ammutinamento della Forza pubblica nel 1960, la secessione
katanghese dal 1960 al 1963, l’insurrezione mulelista nel Kwilu nel 1964, la ribellione dei
simba nel Kivu dal 1964 al 1968, le guerriglie lumumbiste durante gli anni Settanta nell’Est
del Paese, le offensive dei gendarmi katanghesi nel 1977 e 1978 nello Shaba (ex-Katanga),
la lotta del 1996-1997 lanciata dall’AFDL, la lotta contro il regime Kabila (1998-2001).
2
Vedere estratti in Hubert Galle e Yannis Thanassekos, Le Congo, ed. J.-M. Collet,
Bruxelles, 1983, p. 109 e in Jacques de Launay, Les Grandes Controverses du Temps
présent (1945-1965), ed. Rencontre, Lausanne, 1967, pp. 422-423. Si legga Fweley
Diangitukwa, Pouvoir et clientelisme au Congo-Zaire-RDC, Points de vue Concrets,
L’Harmattan, Paris, 2001.
3
P. Lumumba, presidente del Consiglio congolese, il 3 luglio, viene accusato per le sue
“violenza oratoria” durante il discorso tenuto il 30 giugno 1960.
14
inteso dare a quello che, per oltre vent’anni, dopo la Conferenza di Berlino
del 1885, altro non fu che un feudo personale del re Leopoldo II. Il Congo
non doveva diventare una colonia di popolamento, destinata a integrare un
composito melting pot di coloni stranieri e africani, ma doveva restare
piuttosto una semplice colonia di sfruttamento intensivo delle risorse, sotto
il diretto controllo di Bruxelles e al riparo dalle possibili ingerenze di
interessi e potenze straniere.
Nel mese di luglio del 1960, in una tragica sequenza, seguirono
l’ammutinamento dei soldati congolesi della Force Publique contro gli
ufficiali belgi e contro i loro comandi di Léopoldville
4
; le violenze sulle
persone e sulle proprietà dei bianchi; gli attacchi preventivi delle truppe
belghe, pretestuosamente camuffati da interventi a difesa dei coloni; le faide
tra le diverse comunità senza risparmio alcuno di crudeltà ed efferatezze.
Ma dall’11 luglio gli eventi addirittura precipitarono: la secessione del
Katanga, proclamata da Moïse Tshombe grazie al sostegno del governo e
dei parà belgi, affiancati dai mercenari bianchi; l’immediata richiesta di
aiuto all’ONU, avanzata da Lumumba e Kasa-Vubu
5
contro una “palese
aggressione esterna”; la rinuncia dell’ONU a inviare prontamente i Caschi
blu per ripristinare l’autorità del governo legittimo; la clamorosa rottura, due
settimane più tardi, dei rapporti tra Lumumba e il segretario delle Nazioni
Unite, Dag Hammarskjöld, destinato di lì a pochi mesi a morire per un
sabotaggio del suo aereo proprio quando si apprestava a un tardivo tentativo
di mediazione; l’assassinio dello stesso Lumumba; il primo colpo di Stato
ad opera del maresciallo Mobutu. Tutti questi avvenimenti affideranno il
4
Il 5 luglio 1960, appena cinque giorni dopo la concessione dell’indipendenza, la Force
publique insorge. I soldati rivendicano l’africanizzazione dell’esercito: chiedono che il
potere venga gestito da comandanti africani rifiutando la sottomissione agli ex comandanti
belgi mantenuti alla testa dell’esercito. L’11 luglio 1960 le truppe belghe intervengono in
Congo. Per maggiori dettagli, leggere Vanderlinden, La crise congolaise, ed. Complexe,
Bruxelles, 1985 e J.-C. Willame, Patrice Lumumba. La crise congolaise revisitée, Karthala,
Paris, 1990.
5
Joseph Kasa-Vubu, leader del Movimento dell’ABAKO (Alliance des Bakongo), venne
nominato primo Presidente della Repubblica Democratica del Congo il 30 giugno 1960 e
rimase in carica fino al 1965.
15
Congo ad un destino incerto e ad un risorgere continuo dei conflitti per la
conquista del potere.
Quando il Ministro belga responsabile del Congo, De Schryver,
concesse l’indipendenza precipitosamente, non introdusse nessuna delle
riforme suggerite da Van Bilsen.
6
Il fine ultimo era di accordare
un’indipendenza solo fittizia e nominale affinché il Belgio continuasse ad
avere il controllo sulla gestione del Congo. Al momento dell’indipendenza,
c’erano pochissimi uomini preparati a prendere in mano il futuro del Paese.
Con incredibile insipienza politica, il Belgio e la sua amministrazione
coloniale in Congo non fecero nulla per far crescere una classe dirigente
locale e per accreditare un’élite capace di guidare in modo competente e
responsabile la difficile fase di transizione verso l’indipendenza e
l’autogoverno. Come Lumumba, anche i primi protagonisti di quella
vicenda, da Bolikango
7
a Kasa-Vubu, da Ileo ad Adoula, poi seguiti da
Tshombe e Mobutu, Gizenga e tanti altri, provenivano tutti dai bassi ranghi
dell’amministrazione ed erano necessariamente degli autodidatti. I futuri
leader e governanti erano maestri, impiegati o modesti graduati della Force
Publique ai quali erano precluse - non solo per ragioni economiche - le
università, i centri di cultura e le accademie militari. Fino alla metà degli
anni Cinquanta, perfino la possibilità di compiere un viaggio di istruzione a
Bruxelles era ai più impedita. Un limitato esercizio dei diritti civili era
consentito unicamente nelle associazioni degli ex allievi delle scuole
cattoliche o protestanti, ma anche queste erano sottoposte ad un rigido
controllo di polizia sui contenuti delle loro attività di promozione culturale.
È questo il primo aspetto del dramma del Congo indipendente: la carenza di
uomini competenti.
6
Il professor Van Bilsen, dell’Istituto universitario dei Territori di Oltremare con sede ad
Anversa, pubblicò un piano trentennale per l’emancipazione dell’Africa belga. Il piano
parlava soltanto di autonomia e non di indipendenza, ma negli ambienti coloniali fu
ugualmente accolto con indignato stupore.
7
Jean Bolikango (1909-1982), intellettuale cattolico, l'educatore e il politico considerato tra
i padri fondatori della Repubblica Democratica del Congo.
16
All’indipendenza il paese adottò una struttura di tipo federale,
bicamerale e bicefala. Il potere fu diviso tra le autorità centrali e provinciali,
tra una Camera e un Senato, e tra il capo dello Stato chiamato a regnare
senza governare e il Primo Ministro, capo del governo. Ma se il capo dello
Stato non aveva l’autorità per governare, egli aveva però il potere di
destituire il Primo ministro e di sceglierne un altro. Questa struttura del
nuovo Stato fu suggerita dal Belgio e, alla Tavola Rotonda
8
, ottenne
l’approvazione dei delegati congolesi, che temevano l’instaurazione di un
potere forte nel caso in cui avessero optato per una forma di Stato
centralizzata. Quindi, i leader congolesi incoraggiarono delle strutture
federali al fine di non essere vittime di un regime forte che avrebbe
soffocato le loro ambizioni. Il fatto di riconoscere alle sei province, nate
dalla vecchia colonia, le stesse prerogative che normalmente spettano allo
Stato centrale o al governo federale, preparava il Congo, senza esperienza,
al caos. Nella tavola rotonda il governo belga si impegnò a concedere
l'indipendenza entro il 30 giugno 1960 e in sedici risoluzioni furono inoltre
fissate le direttrici per scrivere una carta costituzionale e per disegnare
l’assetto istituzionale della futura Repubblica del Congo.
Le elezioni svoltesi nel mese di maggio del 1960 videro un successo
relativo dei partiti nazionalisti e unitaristi, in particolare il MNC
(Mouvement National Congolais) di Lumumba
9
, il PSA (Parti Solidaire
8
Il 20 gennaio 1960 venne indetta a Bruxellles una Tavola rotonda, cui furono invitati i
principali partiti congolesi secondo una proporzione che le prime elezioni avrebbero però
rivelata infondata: 11 rappresentanti al cartello di Kasa-Vubu, di cui faceva ormai parte
anche il Partito della Solidarietà africana di Antoine Gizenga, e ancora 11 ad un sedicente
Partito Nazionale del Progresso, formazione di comodo voluta dai belgi per contrapporla
alla coalizione di Kasavubu. All’MNC di Lumumba, che pure si avviava ad essere il partito
più forte, erano assegnati solo tre seggi e due al Conakat (Confédération des Associations
du Katanga) di un ancora sconosciuto contabile del Katanga, Moïse Tshombe. I sostenitori
del Conakat si definivano “autentici katanghesi” ed erano essenzialmente Lunda e Yeke del
Katanga meridionale, i più ostili alla presenza dei Luba immigrati dal Kasai, soprattutto dal
1957, quando questi “stranieri” vinsero le elezioni del amministrative.
9
Il 10 ottobre 1958 il cattolico Joseph Ileo e il socialista Cyrille Adula decisero di fondare
una nuova formazione, il Mouvement National Congolais (MNC), destinato da subito a
competere per la leadership del paese con l’Abako di Kasavubu. A presiedere la nuova
formazione, forse anche per bilanciare le due componenti maggioritarie (cattolica e
socialista), venne chiamato un liberale - quantomeno di nome - che fu facilmente
individuato in Patrice Lumumba. Lumumba riuscì, alla fine del 1958, a partecipare alla
17
Africain) di Gizenga, il CEREA (Centre de regroupement africain) di
Kashamura e il cartello di Balubakat
10
. Lumumba, nominato Primo
ministro, dispose di una piccola maggioranza nelle due Camere e formò il
primo governo sulla base di una coalizione fortemente eterogenea.
L’incarico di capo dello Stato fu affidato a Kasa-Vubu
11
, presidente
dell’ABAKO (Alliance des Bakongo), visto che il Belgio temeva il
separatismo delle popolazioni kongo. Tutta la politica si decideva non a
Kinshasa, ma a partire dalle capitali occidentali (Bruxelles, Parigi,
Washington).
1.1.1 La secessione del Katanga
L’11 luglio 1960, mentre il Belgio interveniva militarmente in Congo,
Moïse Tshombe proclamò la secessione del Katanga
12
. Questa secessione
provocò la rottura delle relazioni tra il Congo e il Belgio. Nel Paese scoppiò
il caos: i proventi delle estrazioni nella provincia del sud-est garantivano il
50 per cento degli introiti del governo centrale. La situazione divenne
ingovernabile. Rispondendo all’appello di Tshombe, l’8 agosto Albert
Kalonji
13
proclamò, la secessione del Sud-Kasaï. Proprio nel momento in
prima conferenza panafricana indetta in Ghana dal prestigioso leader Nkrumah, dove
davanti ai delegati dell'intero continente si presentò come l’unica e autentica voce
rappresentativa del Congo nella battaglia per l’indipendenza. E proprio ad Accra egli ebbe
modo di conoscere tutti i grandi padri della liberazione dell'Africa rivelandosi, davanti
all'opinione pubblica mondiale, come uno dei più appassionati leader del panafricanismo,
del neutralismo positivo e della lotta anticoloniale e antimperialista.
10
Balubakat, Associazione dei Baluba del Katanga, organizzazione politica costituita da
Luba del Katanga settentrionale, guidata da Jason Sendwe. Rivale del Conakat, presto entrò
nell’alleanza con il ramo dell’MNC di Lumumba.
11
Per divenire capo dello Stato Kasa-Vubu beneficiò dell’appoggio di Lumumba, a
detrimento di Jean Bolikango a cui Lumumba aveva precedentemente promesso il suo
appoggio. Egli finì con il dare sostegno a Kasa-Vubu temendo di vedere i Bas-Congo
entrare in secessione.
12
A riguardo, leggere J. Gérard-Libois, Sécession au Katanga, CRISP, Bruxelles, 1963.
13
Albert Kalonji, un capo Luba, era il leader (con Joseph Ileo) della fazione moderata
dell’MNC del Primo ministro Lumumba. L’8 agosto 1960, dichiarò l’indipendenza della
ricca provincia diamantifera del Sud-Kasaï, attribuendosi il titolo di Chef Suprême du
Peuple Muluba et Protecteur Incontesté des Tribus Associées.