2
In alcune esperienze di tirocinio ho avuto a che fare con insegnanti che credevano 
nell’importanza della comunicazione con le famiglie: ad esempio, alle pareti di una 
sezione, ho visto dei cartelloni in cui si notava che l’intento degli insegnanti e dei 
bambini era spiegare agli altri il proprio lavoro, raccontando il processo attraverso il 
quale erano giunti a quelle conclusioni e non solo il prodotto finale. Inoltre, ho 
partecipato a colloqui in cui l’avvio della discussione da parte delle insegnanti non era 
“Suo figlio è…” ma “Mi racconti il suo bambino… Che cosa ha notato di nuovo in lui?” 
per poi continuare con le proprie osservazioni, giustificate da dati tangibili e rimesse in 
discussione alla luce di quanto affermato dai genitori. 
Queste esperienze hanno rafforzato la mia convinzione dell’importanza dei rapporti tra 
la scuola e le famiglie, tuttavia,  mi sono trovata anche in contesti in cui i contatti con i 
genitori erano vissuti come normali routines da svolgere obbligatoriamente. 
Per quanto riguarda la documentazione, per esempio, mi è capitato di visionare elaborati 
esteticamente ineccepibili ma che non comunicavano nulla a chi era estraneo riguardo a 
ciò di cui si parlava.  
Nella sezione in cui ho svolto l’ultima parte del periodo di tirocinio ho, invece, notato 
nelle insegnanti un continuo tentativo di avvicinare le famiglie sia nelle assemblee 
collettive, sia nei colloqui individuali. Ciò, a mio parere, è avvenuto attraverso un 
atteggiamento molto schietto ma anche aperto al confronto e alla condivisione con i 
genitori di esperienze, sensazioni e difficoltà. 
Il rapporto scuola-famiglia è molto complesso e varia notevolmente a seconda delle 
scelte che le scuole e i singoli insegnanti fanno al riguardo; mi sento anche di dire che si 
differenzia molto da un ordine scolastico all’altro. 
Il coinvolgimento emotivo e pratico delle famiglie, infatti, è tanto più forte quanto più 
sono piccoli i figli; inoltre, la possibilità che la Scuola dell’Infanzia offre di far entrare a 
scuola quotidianamente il genitore che accompagna e viene a riprendere il proprio 
bambino, facilita la conoscenza reciproca tra l’insegnante e le famiglie, conoscenza da 
cui può nascere una proficua condivisione e collaborazione. 
 3
2. LA SCUOLA E LA FAMIGLIA SI INCONTRANO 
 
“Noi dobbiamo essere una scuola che è fisicamente attaccata al suolo ma, come 
immagine, deve essere una nave che va.  
Il che vuol dire che i genitori saranno sempre imbarcati con noi per vedere paesaggi 
diversi, trasformazioni, fenomeni, ecc. quello che si vede quando si seguono i bambini. 
 Devono avere l’idea di una scuola in movimento perché si muovono i bambini,  
si muove la socialità, la lingua dei bambini.” 
(Loris Malaguzzi)
 1
 
 
Questa frase di Malaguzzi mi ha sempre affascinato, in quanto riassume lo spirito a cui, 
a mio parere, dovrebbero ispirarsi le relazioni tra la scuola e la famiglia: collaborazione, 
cooperazione e fiducia, in vista dell’obiettivo comune che è lo sviluppo e la crescita 
sana e serena del bambino. 
Durante le esperienze di tirocinio che ho affrontato in questi anni, mi sono resa conto 
che tale argomento è vivamente sentito sia dai genitori, che giorno dopo giorno 
accompagnano i loro bambini a scuola, sia dagli insegnanti che in essa lavorano. 
Per questo motivo ritengo che sia utile riflettere su quali siano gli atteggiamenti e gli 
strumenti che permettono l’instaurarsi di una buona relazione tra la scuola e le famiglie 
e che facilitano la comunicazione fra queste ultime. 
 
Le Raccomandazioni per l’attuazione delle Indicazioni Nazionali per la Scuola 
dell’Infanzia affermano:  
 
“La domanda di educazione può essere soddisfatta in maniera soddisfacente 
quando la famiglia, la scuola e le altre realtà formative cooperano 
costruttivamente fra loro in un rapporto di integrazione e di continuità.” 
2
 
                                                 
1
 Edwards, Gandini, Forman (a cura di), I cento linguaggi dei bambini,  Bergamo, Junior, 1995, p.243. 
 4
 
La collaborazione e la cooperazione sono un obiettivo di non facile realizzazione, 
pertanto non è sufficiente auspicare che ciò si verifichi, ma si rende necessario riflettere 
su quali siano le condizioni affinché ciò si verifichi. 
Purtroppo spesso succede che le relazioni con le famiglie non siano affatto positive o 
efficaci come dovrebbero e credo che ciò accada per svariati motivi, il primo dei quali 
potrebbe essere la difficoltà che sia la scuola sia i genitori hanno nel regolare i confini 
dei propri ruoli nelle relazioni che instaurano.  
La situazione si potrebbe visualizzare su un continuum che va da relazioni inesistenti in 
cui fra la scuola e la famiglia non esiste condivisione di esperienze, idee e metodi, a 
situazioni in cui la relazione è così forte che non si distingue più il confine dato dai 
diversi ruoli che famiglia e scuola hanno nei confronti dei bambini. Quest’ultima 
situazione risulta negativa soprattutto per i bambini stessi, che perdono così la 
possibilità di vivere situazioni ed esperienze diversificate che arricchiscono e aiutano a 
costruire nella loro mente l’idea che in contesti diversi esistono diverse relazioni, 
esperienze e diverse “regole”. 
La famiglia deve, invece, offrire al bambino un ambiente diverso da quello che offre la 
scuola, così come la scuola non deve tendere ad assomigliare sempre più alla  famiglia.  
 
Gli Orientamenti del ’91 sostengono al riguardo che:  
 
“La distinzione dei compiti, sulla base del comune riconoscimento del diritto del 
bambino all’educazione, è la condizione necessaria per stabilire produttivi 
rapporti fra le diverse agenzie educative. Vanno in ogni modo evitate le situazioni 
di ambiguità, prevaricazione ed indebita supplenza…”
3
 
 
                                                                                                                                               
2
 Raccomandazioni per l’attuazione dei Piani Personalizzati delle Attività Educative nelle 
Scuole dell’Infanzia  (allegato al D.M. 100/18 sett. 2002). 
 
3
 Orientamenti per la Scuola Materna D.M. 3-6-1991.  
 
 5
 “…A tale scopo, la scuola crea un clima di dialogo, di confronto e di aiuto 
reciproco, coinvolge i genitori nella progettazione educativa, valorizza e potenzia 
la partecipazione responsabile…”
4
 
 
Avere chiari quali siano questi confini permette il nascere di relazioni più dirette e 
trasparenti, in vista del benessere del bambino di cui ci si occupa giorno dopo giorno.  
La situazione è comunque complessa e molto delicata, perché coinvolge i vissuti di tutti 
i protagonisti, così come le aspettative di ognuno e le rappresentazioni mentali che si 
hanno di “scuola efficace”, di “buona educazione” e di “bambino”. 
Credo che sia importante, soprattutto da parte degli insegnanti, prendere atto del fatto 
che le famiglie dei bambini di cui ci si prende cura ogni giorno non sono un ostacolo, 
ma un elemento imprescindibile del proprio lavoro. Questo sia perché la famiglia è il 
primo luogo di vita e di apprendimento del bambino, sia perché insegnanti e genitori si 
prendono cura di uno stesso bambino, che non è scindibile in due esseri separati, 
“figlio” ed “alunno”.  
Pertanto abbiamo in comune l’obiettivo della crescita e del benessere del bambino e 
questo rende necessaria una collaborazione e una condivisione.  
 
Le Raccomandazioni per la Scuola dell’infanzia sostengono, al riguardo:  
 
“ La famiglia e la Scuola dell’Infanzia, in questo senso, se tra loro connesse, 
comunicanti e capaci di comprendersi, potenziano il senso dell’identità, delle 
competenze e della progressiva autonomia dei bambini” 
5
 
 
                                                 
4
 Id., ibidem. 
 
5
 Raccomandazioni per l’attuazione dei Piani Personalizzati delle Attività Educative nelle 
Scuole dell’Infanzia  (allegato al D.M. 100/ 18 sett. 2002). 
 
 6
È auspicabile che la scuola e la famiglia esplicitino l’una all’altra quali obiettivi si 
pongono, quale immagine di adulto desiderano offrire al bambino e quale futuro 
immaginano per  il bambino di cui si prendono cura.  
In particolare la scuola ha il dovere di dichiarare quali sono i presupposti pedagogici del 
suo agire, e le Indicazioni Nazionali per la Scuola dell’Infanzia su questo aspetto sono 
molto chiare:  
 
“[…] ogni scuola autonoma e ogni docente deve assumersi la responsabilità di 
‘rendere conto’ delle scelte fatte e di porre gli allievi, le famiglie e il territorio 
nella condizione di conoscerle e condividerle” 
6
 
 
Anche gli Orientamenti prendono posizione su ciò che riguarda il ruolo della famiglia 
nelle prime esperienze dei bambini:  
 
“La famiglia rappresenta il contesto primario nel quale il bambino, apprendendo 
ad ordinare e distinguere le esperienze quotidiane e ad attribuire loro significato, 
acquisisce gradualmente i criteri per interpretare la realtà, struttura categorie 
logiche ed affettive, si orienta nella valutazione dei rapporti umani e viene avviato 
alla conquista e alla condivisione delle regole e dei modelli delle relazioni 
interpersonali, attraverso l’interiorizzazione delle norme di comportamento e la 
loro progressiva strutturazione in un sistema di valori personali e sociali.” 
7
 
 
Io credo che nella scuola debba svilupparsi una cultura del prendersi cura del bambino e 
della sua famiglia: accogliere le famiglie significa aiutarle a sentirsi parte della vita 
scolastica dei propri bambini; da qui può nascere una proficua collaborazione poiché il 
genitore responsabilizzato è maggiormente coinvolto. 
                                                 
6
 D.L. 59/ 19 febbraio 2004, All. A: Indicazioni Nazionali per i Piani Personalizzati delle 
Attività Educative nelle Scuole dell’Infanzia. 
 
7
  Orientamenti per la Scuola Materna D.M. 3-6-1991.  
 
 7
La famiglia va aiutata a svolgere al meglio il suo ruolo, potenziando le competenze e le 
componenti positive; un’attenzione particolare va riservata alle famiglie che presentano 
difficoltà di vario genere. Nigris, nel testo I conflitti a scuola, si sofferma molto sulle 
condizioni attuali delle famiglie, ed evidenzia come: 
 
“Il paradosso e la contraddizione delle nuova funzione genitoriale – affettiva e 
quindi non solo più unicamente normativa- consistono nella difficoltà di coniugare 
la capacità di identificazione/comprensione dei bisogni, sentimenti ed emozioni dei 
bambini, con la capacità di contenimento delle loro pulsioni e della loro 
aggressività di fronte alla frustrazione.”
8
 
 
Per questi motivi, si rende necessario per la scuola conoscere e comprendere le 
caratteristiche materiali, sociali, culturali, relazionali dei singoli nuclei familiari con cui 
ha a che fare quotidianamente, utilizzando, se opportuno, strumenti e tecniche utili a 
rilevare dati di conoscenza il più possibile oggettivi e significativi.  
Tali dati possono essere rilevati attraverso l’utilizzo di svariati strumenti (più o meno 
strutturati), ma perché questi strumenti siano efficaci sono necessari, da subito, 
l’osservazione e l’ascolto sincero delle singole famiglie. 
I nuovi Documenti Ministeriali sostengono, a questo proposito, che è la scuola la prima 
ad essere coinvolta nell’accogliere situazioni assai diversificate:  
 
“La coesistenza di scenari così profondamente diversificati […] impegna quindi la 
scuola a svolgere un ruolo di presenza critica, in collaborazione ed in armonia con 
la famiglia” 
9
  
 
                                                 
8
 E. Nigris, I conflitti a scuola. La mediazione pedagogico-didattica, Milano, B.Mondadori, 
2002, p. 197. 
 
9
 Raccomandazioni per l’attuazione dei Piani Personalizzati delle Attività Educative nelle 
Scuole dell’Infanzia  (allegato al D.M. 100/ 18 sett. 2002). 
 
 8
Le stesse Raccomandazioni riflettono sull’opportunità di considerare la scuola un 
supporto nei casi di famiglie in difficoltà:  
 
“Questo ruolo attivo e critico può portare, in alcuni casi, ad un’interazione tra 
Scuola dell’Infanzia e famiglia che non si sviluppa, come invece dovrebbe sempre 
essere, su un piano paritario e cooperativo, bensì incline verso forme che possono 
essere di tipo suppletivo ed integrativo […] la scuola dell’infanzia, in questi casi, 
può, da un lato, proporsi come supporto organizzativo […], d’altro canto, far 
vivere al bambino un’esperienza di serenità e di gratuità educativa.” 
10
 
 
Quindi, concludendo, ci si auspica che tra la scuola e le famiglie si crei un rapporto di 
collaborazione efficace e che, eventualmente, la scuola sappia aiutare le famiglie in 
difficoltà sia fornendo sostegno e aiuto, sia offrendo ai bambini buone occasioni 
educative.  
Credo che sia importante sottolineare che la scuola non deve comunque mai sostituirsi 
alle famiglie o ritenersi “superiore” ai genitori con cui ha a che fare, perché con questi 
presupposti i rapporti non potranno mai essere equilibrati. Quindi siamo favorevoli ad 
una scuola che aiuti, ma che sappia anche ricalibrare il proprio aiuto in funzione delle 
evoluzioni delle famiglie con cui si relaziona, senza mai pensare di poter diventare per 
un bambino l’unica agenzia educativa. 
                                                 
10
 Raccomandazioni per l’attuazione dei Piani Personalizzati delle Attività Educative nelle   
Scuole dell’Infanzia  (allegato al D.M. 100/ 18 sett. 2002). 
 9
3. ATTEGGIAMENTI E  STRUMENTI CHE FACILITANO LA  
COMUNICAZIONE CON LE FAMIGLIE 
 
Dopo una riflessione teorica sui motivi per i quali è importante che scuola e famiglie 
abbiano una buona relazione, credo che sia necessario riflettere sulle condizioni che 
fanno sì che ciò avvenga e che quindi facilitano gli scambi comunicativi e permettono 
una buona cooperazione.  
In particolare ci occuperemo di atteggiamenti e strumenti che la scuola può mettere in 
atto per raggiungere questo obiettivo. 
Credo che in primo luogo ci si debba occupare degli atteggiamenti: come sostiene 
Malaguzzi, l’impegno per favorire la partecipazione dei genitori innanzitutto richiede da 
parte degli insegnanti  
 
“Una pluralità di adeguamenti: un consapevole ridimensionamento delle loro 
certezze, una crescita delle loro sensibilità e disponibilità umane ed interpersonali, 
l’assunzione di uno stile di ricerca critica, una visione aggiornata e problematica 
dei bambini, una valutazione arricchita dei ruoli parentali, un desiderio di 
apprendere come si parla, di cosa si parla e di come si discute coi genitori, come li 
si ascolta, quanto si impar.a”
11
  
 
Quindi: sapersi mettere in dubbio; empatia; saper mettere in dubbio le proprie 
conoscenze, assumendo un atteggiamento di apertura verso la scoperta, nella 
consapevolezza che si ha ancora molto da imparare, soprattutto nel rapporto con i 
bambini e le loro famiglie.  
Non è certo lavoro da poco. 
Tutto ciò implica un lavoro di auto-riflessione complesso ed impegnativo, che 
coinvolge profondamente gli insegnanti, chiedendo loro di mettersi in gioco e di mettere 
                                                 
11
 Edwards, Gandini, Forman (a cura di), I cento linguaggi dei bambini,  Bergamo, Junior, 1995, p. 76. 
 
 10
in discussione le loro aspettative e i loro stereotipi, così come le idee implicite che 
guidano il loro lavoro; questi, però, sono i cambiamenti necessari affinché si crei 
alleanza educativa con le famiglie. 
Se i genitori colgono di avere a che fare con una persona autenticamente interessata a 
loro e al loro piccolo, sicuramente si accostano al mondo della scuola e agli insegnanti 
con cui hanno a che fare con un atteggiamento più positivo e fiducioso. Fondamentale, 
quindi, si rivela un buon approccio alle famiglie. 
 
Per quanto riguarda le pratiche educative, la prima condizione necessaria affinché la 
comunicazione con le famiglie sia efficace, è che queste pratiche siano il più possibile 
esplicite e condivise. 
Ciò significa progettare alcuni strumenti (come ad esempio il portfolio o la 
documentazione) che permettano uno scambio continuativo e concreto con le famiglie. 
Genitori e bambini apprezzano ciò che permette loro di comunicare più agevolmente su 
ciò che i piccoli vivono a scuola.  
Nell’insieme degli strumenti che permettono un’agevole comunicazione con le famiglie, 
oltre alle assemblee, ai colloqui individuali e ai vari incontri che si snodano durante 
l’anno, un posto di riguardo spetta decisamente alla documentazione e, all’interno di 
essa, allo strumento portfolio che vedremo in seguito. 
Per documentazione si può intendere il “costruire per i bambini e gli adulti memoria del 
fare e del pensare scolastico”, o, più esplicitamente, come afferma Maviglia nel suo 
testo: 
 
“Possiamo intendere la documentazione come strumento di verifica del lavoro 
stesso; accanto all’osservazione, infatti, la documentazione è momento di rilettura, 
riflessione e ridefinizione di quanto è avvenuto e sta avvenendo nella situazione 
scolastica.”
12
 
 
                                                 
12
 M. Maviglia, Progettualità e didattica nella Scuola dell'Infanzia, Bergamo, Junior, 2000, p. 41.