11
1.2.1. Il concetto giuridico di gruppo: figura a geometria variabile
Prima ancora di provare a ricavare, se esiste, un concetto giuridico di gruppo che abbia valenza
generale, è necessario interrogarsi sulla legittimità del fenomeno così come è stato descritto, sotto
il profilo economico, nel paragrafo precedente. Indubbiamente, dopo la riforma del diritto
societario del 2003, non vi sono dubbi che il gruppo sia una tecnica organizzativa per l’esercizio
dell’attività di impresa accettata dall’ordinamento giuridico: come già accennato, disciplinare i
profili patologici del gruppo (art. 2497 c.c. ss.) significa legittimare il fenomeno purché esercitato
entro i limiti imposti dalle norme di legge.
In dottrina è stato anche rilevato che, in effetti, tale fenomeno potrebbe trovare la propria fonte di
legittimazione primaria nella Costituzione. L’art. 41, sancendo la libertà dell’iniziativa economica,
dovrebbe consentire all’imprenditore di scegliere anche il modello organizzativo attraverso il quale
esercitare l’attività di impresa
23
.
Quindi, se il gruppo è un fenomeno compatibile con l’ordinamento, sorge spontaneo chiedersi se la
legge, più o meno implicitamente, identifichi una definizione generale che consenta di intercettare
questo fatto della realtà economica ampiamente diffuso nella prassi, ai fini dell’assoggettamento a
una specifica disciplina. A tal riguardo, è stato rilevato che, mentre da un punto di vista economico
il gruppo societario ha conseguito pieno riconoscimento e autonomia, sotto il profilo giuridico
costituisce una fattispecie il cui procedimento di sviluppo non può ritenersi ancora completo.
Inoltre, la mancanza di “una regolamentazione completa, nonché di una definizione unica e
omnicomprensiva della fattispecie” è un elemento comune nella maggior parte degli ordinamenti
giuridici dei Paesi sviluppati
24
.
In effetti, l’ordinamento italiano non offre una definizione giuridica di gruppo che possa avere una
qualche valenza generale. Neanche gli artt. 2497 c.c. ss., che sono le norme che più si prestano ad
avere una portata universale, si premurano di definire che cosa esso sia, sebbene ne disciplinino
diversi aspetti. Infatti, presupposto per l’applicabilità di tale disciplina, contenuta nel Codice Civile,
non è il fenomeno di gruppo in quanto tale, bensì l’esercizio della c.d. attività di direzione e
coordinamento
25
, che comunque rappresenta l’elemento essenziale del gruppo stesso
26
. A tal fine
23
R. BRICCHETTI, L. PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, Milano, 2017, p. 86
24
A. DI MAJO, I gruppi di società: Responsabilità e profili concorsuali, Milano, 2012, pp. 4 – 5. L’Autore rileva anche
che l’ordinamento tedesco è uno dei pochi ordinamenti europei ad aver attribuito una normativa organica e compiuta
al tema dei gruppi e come tale debba rappresentare il modello di riferimento per il legislatore comunitario, in vista di
una futura ed eventuale disciplina armonizzata a livello europeo.
25
A. D’ACCÒ, I gruppi di società, in AA. VV., Diritto commerciale, (a cura di) M. CIAN, v. III, Torino, 2017, p. 780
26
A. R. ADIUTORI, Insolvenza e responsabilità nel gruppo, Milano, 2013, p. 19
12
occorre segnalare che l’art. 10 Legge-Delega 3 ottobre 2001, n. 366
27
autorizzava il Governo a
“prevedere una disciplina del gruppo secondo principi di trasparenza e tale da assicurare che
l’attività di direzione e coordinamento contemperi adeguatamente l’interesse del gruppo, delle
società controllate e dei soci di minoranza di quest’ultime”. In sostanza, sembrerebbe che il
legislatore delegante avesse autorizzato il Governo a disciplinare il fenomeno che si sta analizzando,
tuttavia tale delega, in realtà, è rimasta inesercitata, con la conseguenza che la riforma del diritto
societario non ha introdotto una disciplina organica dei gruppi, ma più semplicemente ha
disciplinato le conseguenze di una situazione di fatto data dall’esercizio dell’attività di direzione e
coordinamento, peraltro senza offrire una definizione giuridica di tale attività
28
, che quindi deve
essere ricavata in via interpretativa.
L’ordinamento italiano sembrerebbe quindi disciplinare il gruppo in maniera settoriale, fornendo,
di volta in volta, una definizione del fenomeno che meglio si adatta agli obiettivi che quella specifica
disciplina intende raggiungere. Per questo motivo si è parlato del gruppo come figura a geometria
variabile sia sotto il profilo della morfologia, sia sotto quello della regolamentazione
29
, questo
perché da un lato il legislatore delinea delle definizioni di gruppo non sovrapponibili tra di loro
(morfologia), dall’altro anche la disciplina che trova applicazione al fenomeno così definito è, di volta
in volta, diversa (regolamentazione). Anche la stessa nozione di controllo, delineata dall’art. 2359
c.c., viene spesso ampliata nelle singole disposizioni in cui è richiamata, per meglio delineare i
confini del gruppo in funzione degli obiettivi che la specifica normativa settoriale intende
perseguire.
Senza alcuna pretesa di esaustività, tra gli innumerevoli riferimenti normativi che cercano di
identificare un fenomeno di gruppo, si ricordano: gli artt. 11-12 d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58
30
,
l’art. 26 d.lgs. 9 aprile 1991, n. 127
31
, l’art. 7 l. 10 ottobre 1990, n. 287 (c.d. legge Antitrust), gli artt.
60 – 64 d. lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (c.d. gruppo bancario), l’art. 80 d. lgs. 8 luglio 1999, n. 270,
27
Cioè la legge delega per la riforma del diritto societario.
28
R. BRICCHETTI, L. PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, Milano, 2017, p. 85
29
A. DI MAJO, I gruppi di società: responsabilità e profili concorsuali, Milano, 2012, p. 16
30
L’art. 11 attribuisce alla Banca di Italia il compito di identificare una nozione di gruppo, ai fini del rilascio delle
necessarie autorizzazioni allo svolgimento delle attività di SIM e SGR.
31
Normativa in materia di Bilancio Consolidato. Bisogna rilevare come il legislatore abbia ritenuto insufficiente la
semplice informativa societaria, imponendo alla capogruppo l’onere di redigere il bilancio del gruppo visto come se
fosse un’unica entità economica.
13
anche nel d. l. 23 dicembre 2003, n. 347 si riscontrano diversi riferimenti al gruppo sparsi nel
provvedimento
32
.
Come detto, molte di queste definizioni fanno perno sulla nozione di controllo di cui all’art. 2359
c.c., che tuttavia non deve essere confusa con il concetto di gruppo, che invece si manifesta
attraverso la c.d. direzione unitaria, il cui esercizio è disciplinato dagli artt. 2497 ss. c.c. sotto il nome
di “attività di direzione e coordinamento”.
Non resta che prendere atto del fatto che il legislatore, in luogo di una disciplina unitaria e organica,
ha preferito disciplinare il gruppo in maniera settoriale. Quindi è possibile affermare che nel nostro
ordinamento esistono tante nozioni di gruppo quante volte tale concetto viene delineato dal
legislatore nella normativa settoriale
33
. Di conseguenza, si condivide l’opinione tale per cui è inutile
cercare nel panorama legislativo una definizione giuridica che abbia una qualche valenza generale
34
e che le discipline settoriali, in quanto norme di carattere eccezionale, non sono estensibili al di fuori
dello specifico contesto nel quale esse trovano sede.
Tuttavia, bisogna sottolineare che esiste un elemento qualificante del fenomeno del gruppo, che lo
identifica indipendentemente dal settore di attività nel quale esso si manifesta: La c.d. direzione
unitaria
35
. In altri termini, il gruppo è tale quando all’interno di esso possa riscontrarsi una direzione
e coordinamento che è funzionale al perseguimento di un interesse unitario, cioè l’interesse di
gruppo. Infatti, le definizioni offerte dalla dottrina, per cercare di tradurre in termini giuridici questo
fenomeno della realtà economica, fanno sempre perno sulla direzione unitaria
36
, concetto che trova
espressa previsione normativa nell’art. 90 d. lgs. 8 luglio 1999, n. 270
37
, ma soprattutto negli artt.
2497 c.c. ss. che disciplinano i limiti nell’ambito dei quali essa debba essere esercitata. Quindi
l’intento del legislatore sembrerebbe quello di non voler delineare una definizione giuridica di
32
In particolare, l’art. 1 prevede dei requisiti per l’ammissione alla c.d. procedura di amministrazione straordinaria
“speciale” che possono far riferimento, oltre che alla singola impresa, anche al gruppo; l’art 3 disciplina il
procedimento di estensione della procedura concorsuale alle altre imprese del gruppo, delineando una definizione
che sostanzialmente si basa su quella dettata per l’amministrazione straordinaria comune; l’art. 4-bis in base al quale
la proposta di concordato può essere unica a livello di gruppo; l’art. 5 che evoca concetti come la salvaguardia del
valore economico del gruppo. A parere di chi scrive, questa procedura concorsuale sembra disegnata sul concetto di
gruppo.
33
In tal senso A. DI MAJO, I gruppi di società: responsabilità e profili concorsuali, Milano, 2012, p. 15;
34
R. BRICCHETTI, L. PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, Milano, 2017, p. 86
35
JAEGER, I “gruppi” fra diritto interno e prospettive comunitarie, in Giurisprudenza Commerciale, 1980, p. 916, come
citato da in F. GALGANO, I gruppi nella riforma delle società di capitali, in Contratto e Impresa, 2002, pp. 1015 ss.
36
Si veda la definizione di G.F. CAMPOBASSO illustrata nel paragrafo precedente. Anche la definizione di G. LEMME, il
diritto dei gruppi di società, Bologna, 2013
37
“Nei casi di direzione unitaria delle imprese del gruppo, gli amministratori delle società che hanno abusato di tale
direzione rispondono in solido con gli amministratori della società dichiarata insolvente dei danni da questi cagionati
alla società stessa in conseguenza delle direttive impartite.”
14
gruppo al fine di assoggettare il fenomeno, così unicamente definito, a una disciplina organica
avente portata universale. Ciononostante, le norme citate sembrerebbero presupporre che il
gruppo sia inequivocabilmente caratterizzato da un potere di fatto che un’impresa è in grado di
esercitare su una pluralità di altre imprese. Ed è proprio in presenza dell’esercizio di un tale potere
che il legislatore ritiene necessario fornire una disciplina specifica del fenomeno.
Tuttavia, se dall’ordinamento giuridico non emerge alcuna definizione unitaria, allora non si
comprende quale significato occorra attribuire al termine “gruppo” evocato dall’art. 2634 c.c. terzo
comma
38
, con riferimento al reato di Infedeltà Patrimoniale. A parere di chi scrive, la ragione per la
quale è stato utilizzato questo termine nella disposizione in esame consiste nel fatto che la riforma
dei reati societari, attuata con il d. lgs. 11 aprile 2002, n. 61, è intervenuta prima del d. lgs. 17
gennaio 2003, n. 6. In questo modo il legislatore delegato ha delineato la fattispecie penale di cui
all’art. 2634 c.c. facendo riferimento al “gruppo”, per poi riservarsi di attribuire una definizione a
questo termine in sede di riforma della parte civilistica del diritto societario. Tuttavia, come si ha
avuto modo di constatare, il legislatore ha disciplinato l’attività di direzione e coordinamento,
regolamentando solo indirettamente il fenomeno di gruppo. Di conseguenza si pone un problema
definitorio in ordine al significato da attribuire al termine “gruppo” di cui all’art. 2634 c.c. terzo
comma. In tal senso, la Cassazione
39
ha delineato una definizione ampia del fenomeno,
correttamente basandosi sul concetto di direzione unitaria, che tuttavia, ad avviso della Corte, può
essere esercitata anche da una persona fisica, affinché si possa avere un gruppo nel senso della
norma in esame. In altri termini, secondo la Cassazione, anche una direzione unitaria esercitata da
una persona fisica (c.d. Holding persona fisica) può dar origine a un fenomeno di gruppo ai sensi
dell’art. 2634 c.c. Questa posizione, tuttavia, si “allontana” dall’art. 2497 c.c. il quale individua una
forma di responsabilità nei confronti delle sole “società ed enti” che esercitano attività di direzione
e coordinamento e non anche di persone fisiche.
Queste discrepanze sono le inevitabili conseguenze della mancanza di una nozione di gruppo
unitaria a livello giuridico, che rendono libero l’interprete di identificare i confini del fenomeno in
esame.
A questo punto ci si potrebbe domandare il motivo per il quale il legislatore abbia deciso di non
delineare una nozione unitaria. Nella Relazione Illustrativa al d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 questa
scelta è stata motivata dal fatto che “qualunque nuova nozione si sarebbe dimostrata inadeguata
38
“in ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o
fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo”.
39
Cass. 18 novembre 2004, n. 10688
15
all’incessante evoluzione della realtà sociale, economica e giuridica”. In effetti, a parere di chi scrive,
sarebbe stato difficile fornire una definizione omnicomprensiva della fattispecie, in considerazione
del fatto che il gruppo non è una costruzione legislativa, bensì è frutto dell’inventiva
imprenditoriale
40
. Per lo stesso motivo il legislatore non ha definito cosa sia la Direzione e
Coordinamento, lasciando all’interprete il compito di sussumere a tale concetto le innumerevoli
tipologie di atti che possano essere esplicazione di tale situazione di fatto.
Inoltre, si ritiene che, con una definizione unitaria e omnicomprensiva della fattispecie, si sarebbe
corso il rischio di porre dei fondamenti giuridici per il riconoscimento dell’esistenza di un’unica
impresa di gruppo giuridicamente imputabile alla capogruppo e alle sue controllate, vanificando in
questo modo uno dei principali vantaggi offerti dal gruppo societario e cioè quello di usufruire della
responsabilità limitata delle singole società, al fine della limitazione dei rischi.
1.2.2. Il problema dell’impresa di gruppo e l’autonomia patrimoniale delle singole
società
L’esistenza o meno di un’impresa di gruppo è un tema che stato oggetto di ampio dibattito in
dottrina. Sicuramente è possibile affermare che il gruppo di società in quanto tale non configura un
nuovo centro autonomo di imputazione distinto dalle società che lo compongono
41
. Inoltre, come
sembrerebbe essere orientata la dottrina maggioritaria
42
, si ritiene che non esista un’impresa di
gruppo in senso tecnico, “ma debba invece riconoscersi una pluralità di imprese tra loro collegate
da un nesso di coordinamento unitario che si esprime […] nella direzione unitaria”
43
.
Tuttavia, alcuni autori
44
affermano che l’esercizio di un’impresa unica a livello di gruppo possa
essere effettivamente riconoscibile, non in capo ad un nuovo ipotetico soggetto di diritto, ma
ascrivibile alla capogruppo. Infatti, se l’attività della holding è qualificabile come imprenditoriale,
allora, secondo tale impostazione, l’oggetto di tale attività sarebbe l’esercizio in forma mediata e
indiretta, cioè per il tramite delle società eterodirette, di una complessiva impresa di gruppo. La
40
F. GALGANO, I gruppi nella riforma delle società di capitali, in Contratto e Impresa, 2002, pp. 1015 ss.
41
G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale 2. Diritto delle società, VIII ed., a cura di M. CAMPOBASSO, Torino, 2012, p.
301
42
Oltre agli autori già citati anche G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale 2. Diritto delle società, VII ed., a cura di M.
CAMPOBASSO, Torino, 2012, p. 301
43
P. MONTALENTI, L’attività di direzione e coordinamento: dottrina, prassi, giurisprudenza, in Giurisprudenza
Commerciale, 2016, pp. 111 ss.
44
G. LEMME, Il diritto dei gruppi di società, Bologna, 2013, pp. 24 – 26, che riprende F. GALGANO, ma anche lo stesso
F. GALGANO, I gruppi nella riforma del diritto delle società di capitali, In Contratto e Impresa, 2002, pp. 1043 ss.
16
giurisprudenza sembra ormai pacificamente orientata nel riconoscere la qualità di imprenditore
commerciale della holding con conseguente assoggettabilità al fallimento della stessa
45
, tuttavia
non si ritiene che questa impostazione consenta di superare lo schermo della distinta soggettività e
responsabilità limitata delle singole società del gruppo. In altri termini, non sembrerebbe che la
capogruppo possa in alcun modo essere chiamata a rispondere delle obbligazioni contratte dalle
proprie controllate. Infatti, riconoscere l’esistenza di un’unica impresa di gruppo ascrivibile alla
capogruppo, con conseguente responsabilità patrimoniale della stessa, significherebbe venir contro
al principio fondamentale di cui all’art. 1705 c.c., da cui si ricava che l’impresa debba essere
giuridicamente imputata secondo il criterio formale della “spendita del nome”
46
. Di conseguenza,
l’attività imprenditoriale esercitata in nome delle singole società del gruppo potrà essere
giuridicamente imputata solo a loro, e non anche alla capogruppo. Quindi, il riconoscimento della
qualità imprenditoriale dell’attività esercitata dalla holding e conseguente assoggettabilità al
fallimento di quest’ultima, non incide sull’autonomia delle singole società del gruppo
47
.
Anche la giurisprudenza di legittimità, se da un lato riconosce la qualità di impresa commerciale
dell’attività svolta dalla capogruppo, dall’altro rimane ferma nell’affermare “il principio per cui nei
gruppi ogni società mantiene la propria autonomia patrimoniale, senza che vi possa essere
confusione tra i patrimoni”
48
. Questo principio emerge fortemente nel caso in cui il gruppo versi in
una situazione di difficoltà economico-finanziaria: la Corte ha ritenuto che “ai fini della dichiarazione
di fallimento di una società, che sia inserita in un gruppo […] l’accertamento dello stato di insolvenza
deve essere effettuato con esclusivo riferimento alla situazione economica della società medesima,
poiché […] ciascuna di dette società conserva propria personalità giuridica e autonoma qualità di
imprenditore, rispondendo con il proprio patrimonio soltanto dei propri debiti”
49
.
Quindi la posizione della Cassazione e della dottrina maggioritaria mantiene integra la possibilità di
usufruire della responsabilità limitata al fine della limitazione dei rischi all’interno di un gruppo
societario.
45
Si veda Cass. 26 febbraio 1990, n. 1439, in Il fallimento, 1990, pp. 495 ss., con nota di F. LAMANNA, La holding quale
impresa commerciale (anche individuale) e il dogma della personalità giuridica.
46
C. TRENTINI, Assoggettabilità al fallimento della holding, in il fallimento, 2003, pp. 609 ss.
47
L. SALVATO, Accertamento dell’insolvenza di società di capitali facente parte di un “gruppo”, in Il fallimento, 2011, p.
1177
48
Cass. 17 aprile 2007, n. 9143, in Il fallimento, 2008, pp. 559, con nota di C. BLATTI, La revocabilità dei pagamenti
infragruppo e l’autonomia delle società controllate.
49
Cass. 18 novembre 2010 n. 23344, principio ripreso anche in Cass. 21 aprile 2011, n. 9260, in il fallimento, 2011, pp.
1163 ss., con nota L. SALVATO, Accertamento dell’insolvenza di società di capitali facente parte di un “gruppo”.
17
Rimane il problema, da alcuni lamentato, relativo all’abuso della responsabilità limitata e della
autonomia patrimoniale che il gruppo societario sembrerebbe consentire. Un’interessante teoria
orientata a porre rimedio a questa insoddisfazione è quella della c.d. “supersocietà di fatto”. Con
questa espressione si intende “la società di fatto o occulta tra società di capitali o tra persone fisiche
e società di capitali”
50
. In base a questa idea, lo svolgimento dell’attività di gruppo potrebbe
configurare, per comportamento concludente, un rapporto sociale ex art. 2247 c.c. tra le diverse
società che lo compongono. L’assunzione di partecipazioni in società di persone da parte di società
di capitali, a seguito della riforma del diritto societario, è oramai ritenuta ammissibile ai sensi
dell’art. 2361 c.c. secondo comma
51
, anche se la stessa norma richiede, a tal fine, una delibera
assembleare. Quindi l’assunzione di partecipazioni in una società di fatto sarebbe comunque posta
in essere in violazione di tale disposizione, tuttavia la Giurisprudenza di legittimità ritiene che ciò
non incida sulla validità ed efficacia della partecipazione assunta
52
.
Si ritiene che questa non sia la sede opportuna per approfondire il tema delle conseguenze della
violazione di cui all’art. 2361 c.c., quello che qui interessa rilevare è che questa teoria, se corretta,
consentirebbe di superare lo schermo della personalità giuridica e dell’autonomia patrimoniale
all’interno dei gruppi di societari. Infatti, la ritenuta configurabilità di una supersocietà finirebbe per
riassumere l’intero gruppo societario in essa
53
, e se si riuscisse ad arrivare alla dichiarazione di
fallimento di tale società di fatto, questa procedura concorsuale si estenderebbe, ex art. 147 primo
comma della L. Fall.
54
, a tutte le società del gruppo nei confronti delle quali venga accertato il
rapporto sociale.
È ovvio che affinché vi sia società (e quindi anche supersocietà) ex art. 2247 c.c., è necessaria la
presenza di conferimenti da parte dei soci per il perseguimento di uno scopo lucrativo, un fine
sociale e la sussistenza della c.d. affectio societatis, cioè la volontà di essere soci. A tal fine è stato
rilevato che le specifiche attività di impresa svolte dalle singole società del gruppo andrebbero a
costituire anche l’attività di impresa svolta dalla supersocietà e che l’attività di direzione e
50
I. PAGNI, Supersocietà di fatto, in Le Società, 2018, pp. 786 ss.
51
“L’assunzione di partecipazioni in altre imprese comportante una responsabilità illimitata per le obbligazioni delle
medesime deve essere deliberata dall’assemblea; di tali partecipazioni gli amministratori danno specifica informazione
nella nota integrativa del bilancio”.
52
Cass. 21 gennaio 2016, n. 1095, in Il Corriere Giuridico, 2017, pp. 55 ss., con nota di P. GHIONNI CRIVELLI VISCONTI,
La c.d. supersocietà tra società di capitali al primo (parziale) vaglio della Cassazione.
53
L. SALVATO, Accertamento dell’insolvenza di società di capitali facente parte di un “gruppo”, in Il Fallimento, 2011,
pp. 1173 ss.
54
“La sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del
titolo V del libro quinto del codice civile, produce il fallimento anche dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente
responsabili”.
18
coordinamento della capogruppo, insieme alle relazioni infragruppo, possono assumere la valenza
di conferimenti. Lo scopo di lucro sarebbe integrato dalla teoria dei vantaggi compensativi, che
presuppone la percezione di utilità patrimoniali altrimenti non perseguibili. Infine, il complessivo
disegno imprenditoriale unitario realizzato attraverso il gruppo, integrerebbero un fine sociale
comune e l’affctio societatis delle singole società del gruppo
55
. Quindi, sembrerebbe proprio che la
logica di gruppo possa effettivamente dar origine a una società ex art. 2247 c.c. per comportamento
concludente, anche se è dubbio che l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento societaria
integri affectio societatis tra la capogruppo e le società eterodirette, di modo che sia proprio la
mancanza della volontà dei soci a separare la fattispecie della supersocietà di fatto dal fenomeno
del gruppo societario
56
.
Un altro ostacolo che si frappone al superamento dell’autonomia patrimoniale delle singole società
del gruppo, seppur in sede fallimentare, è l’art. 147, comma quinto L. Fall.
57
. Se il creditore di una
società del gruppo dichiarata fallita volesse estendere la procedura fallimentare alle altre società
del gruppo, dovrebbe in qualche modo arrivare al fallimento della supersocietà di fatto. A tal fine
sarebbe necessaria un’applicazione analogica della norma in commento, il cui tenore letterale,
invece, consente di arrivare al fallimento di una società (occulta), di cui risulta che il fallito sia socio
illimitatamente responsabile (sempre che l’impresa sia riferibile alla società), solamente se
quest’ultimo è un imprenditore individuale, non un ente societario. Se si riconoscesse una valenza
meramente eccezionale della norma, non sarebbe chiaramente possibile arrivare al fallimento della
supersocietà. Al contrario, se si individuasse una valenza generale nella disposizione in esame, con
conseguente possibile applicazione analogica, significherebbe anche riconoscere un criterio di
imputazione giuridica dell’attività di impresa di tipo sostanziale in luogo di quello formale della
spendita del nome
58
.
55
Sul tema supersocietà in guisa di gruppo si veda L. ABETE, l’insolvenza nel gruppo e del gruppo, in Il Fallimento,
2009, pp. 1111 ss.
56
A. BASSI, L’apparenza come criterio di imputazione della responsabilità per l’esercizio dell’impresa, In Giurisprudenza
Commerciale, 2016, pp. 751 ss.
57
“Allo stesso modo si procede, qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che
l’impresa è riferibile ad una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile”.
58
Sul punto L. ABETE, Insolvenza nel gruppo e del gruppo, In Il Fallimento, 2009, pp. 1111 ss. il quale rileva come “a
seguito e per effetto della dichiarazione di fallimento ex art. 147, quinto comma l. fall. della società di fatto occulta alla
medesima società di fatto vengono ascritti gli effetti dell’imprenditore individuale fallito antecedentemente, ancorché
costui abbia speso il proprio nome e non già quello della società di cui si è ex post acclarata la sua veste di socio”
19
Si tratta di un problema di notevole complessità che esula dagli obiettivi del presente elaborato, si
ritiene comunque necessario evidenziare che la posizione assunta dalla Cassazione, circa
l’interpretazione estensiva dell’art. 147, quinto comma l. fall., è in tal senso permissiva
59
.
Gli ostacoli che questa teoria incontra per raggiungere il fine dell’estensione della procedura di
fallimento a tutto il gruppo, sono molteplici. In primo luogo, vi è il problema dell’effettivo
accertamento dell’esistenza di una supersocietà, la quale deve essere dimostrata. In secondo luogo,
affinché tale società possa essere dichiarata fallita deve trovarsi in stato di insolvenza, posto che
l’accertamento di tale condizione in capo al socio illimitatamente responsabile non implica
necessariamente la sussistenza di tale stato in capo alla società occulta
60
.
Inoltre, bisogna rilevare che il riconoscimento di una supersocietà di fatto all’interno di un
fenomeno di gruppo è stata ritenuta possibile, dalla dottrina e della giurisprudenza di legittimità,
essenzialmente nei c.d. gruppi orizzontali (o paritetici) e non anche nei gruppi organizzati
verticalmente, nei quali l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento rende più difficile
l’individuazione di un fine sociale comune
61
.
Tutti questi elementi portano a ritenere che, secondo il nostro ordinamento, nei gruppi societari
generalmente ciascuna società mantenga la propria personalità giuridica e autonomia patrimoniale.
Inoltre, si ritiene che la responsabilità posta dall’art. 2497 c.c., insieme alla teoria dei vantaggi
compensativi, siano di per sé sufficienti a contrastare gli eventuali pregiudizi che tale tecnica di
esercizio dell’attività di impresa può arrecare ai creditori di una società del gruppo, senza che sia
necessario arrivare ad affermare una responsabilità patrimoniale della capogruppo per le
obbligazioni delle società eterodirette
62
.
59
Si veda Cass. 10 maggio 2016, n. 10507, la quale mette in evidenza come un’interpretazione meramente letterale
della norma sarebbe contrario al principio di eguaglianza di cui all’art 3 cost.
60
A. NIGRO, D. VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese: le procedure concorsuali, IV ed., Bologna, 2017, p. 324;
rilevato anche dalla Giurisprudenza di legittimità in Cass. 10 maggio 2016, n. 10507
61
Si veda a tal fine L. ABETE, L’insolvenza nel gruppo e del gruppo, in Il Fallimento, 2009, pp. 1111 ss., ma anche le già
citata sentenza Cass. 10 maggio 2016, n. 10507 nella quale si rileva che la prova dell’esistenza supersocietà di fatto
deve essere fornita attraverso la dimostrazione del comune intento sociale perseguito e che il fatto che le singole
società perseguono l’interesse delle persone fisiche che hanno il controllo costituisce, piuttosto, prova contraria
dell’esistenza della supersocietà.
62
Di questo avviso anche L. SALVATO, Accertamento dell’insolvenza di società di capitali facente parte di un “gruppo”,
in Il Fallimento, 2011, pp. 1173