griglia la teorizzazione inerente la funzione Oggetto-Sé del gruppo.La scelta di
questa particolare chiave di lettura è motivata sia dalla valenza terapeutica che tale
funzione sembra avere, come emerge dalla letteratura inerente i fattori terapeutici
attivi nel setting gruppale, sia dall’interesse che la psicoanalisi contemporanea
mostra verso le ricerche che evidenziano il ruolo della relazione oggettuale
Sé/Oggetto-Sé nella regolazione degli stati affettivi, dei processi biologici e
nell’influenza dei fattori psicologici sulla patologia organica, soprattutto in relazione
all’esperienza di frammentazione del Sé che essa può comportare.(Taylor, 1993)
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INTRODUZIONE
La malattia è un’esperienza normale ed ineluttabile nella vita di ogni persona,
tuttavia differente è l’impatto di tale esperienza in relazione a varii fattori: il tipo di
malattia, l’eziopatogenesi, la fenomenologia, il decorso, la prognosi, il tipo di
richiesta e la fase della vita in cui si verifica. La malattia acuta e l’intervento
chirurgico possono turbare l’equilibrio psicologico, ma avendo un decorso rapido
consentono un altrettanto rapido recupero di salute e benessere. Il discorso è
differente, invece, nel caso delle malattie croniche, le quali comportano il confronto
con problematiche quali la morte, l’integrità fisica e l’integrità narcisistica, intesa
come possibilità di investimento rispetto ad un corpo imperfetto e debole, che elicita
un deterioramento del senso di sé e dello schema corporeo.
La malattia cronica determina un vissuto psicologico particolare, caratterizzato dal
riorganizzarsi della vita pulsionale e fantasmatica intorno a tale evento traumatico e
dal determinarsi di una ferita narcisistica che fa emergere sentimenti di mancanza,
colpa, punizione, vergogna del proprio corpo malato e difettoso, depressione. Tutto
ciò assume una valenza particolare nel caso in cui il malato cronico sia un bambino o
un’adolescente, il cui sviluppo narcisistico normale viene alterato. (Braconnier,
Marcelli 1997)
Il concetto di narcisismo e di sviluppo narcisistico è stato elaborato da Freud;
l’autore definisce il narcisismo come investimento libidico sul proprio Io e
completamento della pulsione di autoconservazione presente in ogni essere. Se ne
evidenziano due forme: il narcisismo primario, investimento libidico sull’Io ancora
indifferenziato e il narcisismo secondario, che implica il ritiro della libido dagli
oggetti per riversarla sull’Io. (Freud, 1914)
Successivamente H. Kohut ha proposto un contributo originale rispetto al tema del
narcisismo, concettualizzato come matrice di capacità quali la volontà di
autoaffermazione, la creatività, l’empatìa, il senso dell’umorismo.
Secondo la teorizzazione freudiana lo sviluppo libidico procede da uno stato autistico
primario, al narcisismo primario, come esperienza di un Sé unificato ed investito di
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libido narcisistica, fino all’investimento oggettuale;investimento narcisistico ed
investimento oggettuale differiscono in relazione al bersaglio dell’investimento.
Kohut, invece, afferma che lo sviluppo narcisistico della personalità muove da uno
stato originario di grandiosità ed onnipotenza al narcisismo sano e costruttivo su cui
si fondano l’autostima, le aspirazioni, in cui le caratteristiche primitive sono
dominate e relativizzate, per essere pienamente recuperate quando è necessario.
L’investimento narcisistico e l’investimento oggettuale differiscono in funzione del
modo in cui viene percepito l’oggetto relazionale libidicamente investito: oggetto
separato e distinto da sé oppure estensione di sé su cui è possibile esercitare il
controllo. In questa seconda maniera sono percepiti gli Oggetti-Sé sperimentati come
intimamente connessi con il Sé infantile e come estensioni di esso, svolgenti una
funzione speculare ed idealizzante che struttura il Sé.
Quando si verificano situazioni che causano una offesa narcisistica il Sé ne risulta
frammentato; se tali attacchi al narcisismo avvengono in fasi precoci dello sviluppo
hanno un effetto traumatico che inficia la strutturazione del Sé coesivo adulto e
l’autostima. L’offesa narcisistca primaria, indissolubilmente collegata con
l’esperienza della vergogna, scatena la rabbia narcisistica, una risposta
sproporzionata a tutto ciò che viene recepito come attacco verso il Sé.(Kohut,1976)
La malattia cronica può essere percepita come tale dal bambino o dall’adolescente e
determinare disturbi secondari del narcisismo; nel caso in cui la malattia cronica sia
ereditaria, la rabbia narcisistica si scatena contro i genitori, responsabili della “tara” o
verso se stessi, in quanto la causa della malattia è dentro di sé.
Per questo motivo sembra utile ed opportuno affiancare alle necessarie terapie
mediche, interventi di carattere psicologico.
Nelle strutture sanitarie pubbliche di alcune città italiane sono state realizzate
esperienze di questo tipo di intervento caratterizzate da un aspetto comune:l’uso del
gruppo come strumento preventivo, terapeutico e di supporto per bambini ed
adolescenti con patologie croniche.
Il setting gruppale è stato scelto, in quanto idoneo a perseguire l’obiettivo di fornire
contenimento e permettere l’elaborazione delle emozioni e delle fantasie elicitate da
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una diagnosi di patologia cronica;in più, una vasta letteratura ne attesta le
potenzialità terapeutiche nel caso di pazienti in età evolutiva.
Facendo nuovamente riferimento alla teoria di Kohut (Kohut, 1976) e al ruolo
dell’Oggetto-Sé nella strutturazione del Sé coesivo adulto, è possibile identificare
una delle maggiori valenze terapeutiche del gruppo come strumento di intervento
nella sua funzione di Oggetto-Sé, gemellare, rispecchiante ed idealizzante.(Neri,
1996)
In questo modo la partecipazione ad esso permette ai componenti di realizzare
esperienze quali: il senso di esserci ed essere se stessi; l’appartenenza;la
compartecipazione dell’onnipotenza;il rispecchiamento delle conquiste positive e la
partecipazione rispetto ad esse, che permettono il ricostituirsi di un’immagine
positiva di sé, il miglioramento dell’autostima e l’elaborazione della depressione.
Una seconda accezione del concetto di gruppo come Oggetto-Sé, è quella proposta da
Pines e Al. (1998), maggiormente influenzata dalla teoria dell’intersoggettività,
formulata da Stern, Lichtenberg, Stolorow sulla base dei dati evinti dal filone di
ricerca definito Infant Research;tale approccio evidenzia maggiormente il ruolo del
gruppo Oggetto-Sé come regolatore degli stati affettivi.
La ricerca verte quindi sulla revisione critica delle esperienze cliniche considerate,
utilizzando come chiave di lettura dei resoconti elaborati dai conduttori dei gruppi il
concetto di funzione Oggetto-Sé del gruppo, nella duplice accezione proposta.
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LA MALATTIA
La malattia è un’esperienza comune ad ogni individuo; essa “corrisponde agli
insuccessi o ai disturbi di accrescimento nello sviluppo, delle funzioni e degli
adattamenti dell’organismo nel suo complesso o di un solo apparato” (Engel,1962) e
coinvolge tutti i livelli di organizzazione-biochimico, cellulare, psicologico, sociale-
che possono essere alterati nella morfologia o nella funzionalità e le loro
interrelazioni.
Si tratta di un evento che può qualificarsi come “inizio di morte”, nel senso che una
parte dell’organismo viene minacciata dalla possibilità di morire e quindi l’abituale
equilibrio morte-vita viene alterato. (Majore,1970)
La malattia può verificarsi in due forme: la malattia acuta e la malattia cronica.
Entrambe comportano delle ripercussioni a livello psicologico, che sono però più
lievi in caso di patologia acuta, anche qualora comporti l’ospedalizzazione e
l’intervento chirurgico, poiché la risoluzione è rapida ed il benessere fisico viene
prontamente recuperato; la questione si pone invece in termini differenti, nel caso
della malattia cronica
La malattia cronica
Nel 1956 la National Commission on Chronic Illness (USA) definisce la malattia
cronica come malattia caratterizzata da un lento, progressivo declino delle normali
funzioni fisiologiche, irreversibile, con incidenza in tutte le fasce di età.
Una diagnosi di malattia cronica determina nuove condizioni di vita ed implica un
riadattamento complesso e multidimensionale.
Il narcisismo dell’individuo, inteso quale senso di sé come un tutto indistruttibile,
efficiente, libero di agire, onnipotente e degno di amore, viene profondamente
colpito, con conseguenti vissuti di fallimento e di perdita dell’identità.
La presa di coscienza di un’alterazione che compromette l’integrità corporea
determina un senso di profonda angoscia; particolarmente ansiogena risulta la
rinuncia alle proprie abitudini per conformarsi al regime di vita imposto dai medici.
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Adottare strategie comportamentali innovative, in luogo di quelle abituali, comporta
infatti un notevole dispendio di energia decisionale; le restrizioni e le regole, inoltre,
possono essere vissute come imposizioni o punizioni, causando reazioni di rabbia o
paura e minando la compliance. (Wilson Barnett,1981)
La condizione di infermità fisica, la consapevolezza della sua irreversibilità,
l’esclusione dal gruppo sociale di appartenenza (Lyons e Al.,1995) dovuto ai
mutamenti nello stile di vita, vengono sperimentate psicologicamente come perdite di
oggetto, elicitando reazioni di shock, incredulità, lutto e depressione. (Engel,1962)
A livello psichico, tuttavia, il processo maggiormente implicato nelle malattie
organiche croniche è la separazione dall’immagine corporea, quale si era costituita
nella fase precedente della vita (Bertola,Cori 1989) e quale “riassunto del vissuto
culturale, oggettuale, relazionale di ciascuna persona”. (Neri, Ratini 1980).
Il concetto di schema corporeo è stato elaborato in ambiti diversi, come modello
interpretativo dei segnali che indicano modificazioni della percezione e dell’attività
corporea(Farneti,Carlini 1981); esso può esere considerato come un ponte tra ciò che
Husserl definisce Korper (corpo organico) e ciò che chiama Leib(corpo
vissuto).(Bulgarini,1983)
I primi contributi vengono proposti all’inizio del secolo da Bonnier nella “Rivista di
neurologia”, sulla base di casi di lesione cerebrale con alterata percezione della
forma e della posizione del corpo; tra gli studiosi interessati, Pick afferma che lo
schema corporeo si costituisce attraverso la percezione visiva, tattile, cinestesica;
Head definisce lo schema corporeo come risultato dell’integrazione tra esperienze
sensoriali passate ed attuali a livello dell’ area corticale senso-motoria .
In ambito psichiatrico, Merleau-Ponty sostiene che lo schema corporeo permette
un’associazione di contenuti non casuale, ma organizzata; Fisher e Cleveland invece
cominciano a focalizzarsi sul corpo vissuto, anziché su quello biologico, parlando di
immagine corporea , tramite cui l’individuo percepisce i propri confini.
La psicologia genetica propone teorie esplicative circa la genesi dello schema
corporeo: Wallon, Lacan e Zazzo sono concordi nell’individuare il momento
genetico fondamentale nella fase dello specchio, in cui il corpo è percepito dal
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bambino non più come frammentario, ma come totalità integrata. Piaget ed Inhelder
propongono un’evoluzione dello schema corporeo articolata in stadi, in cui partendo
da un’indifferenziazione tra sé ed oggetto esterno si procede, attraverso esperienze
senso-motorie, verso la distinzione tra di essi fino a giungere alla capacità di
rappresentare il corpo ed usarlo per imitare le azioni altrui.(Daurat, Stambak, Bergès
1981)
L’approccio che sembra avere maggiore valenza esplicativa rispetto alle
problematiche del malato cronico è quello psicoanalitico, che abbandona il concetto
di schema corporeo derivato dalla neurologia,in favore del concetto di immagine del
corpo, per sottolineare l’importanza della funzione simbolica nella rappresentazione
del corpo,cui vengono attribuiti significati diversi e quindi ruoli diversi nelle
relazioni con il mondo esterno. La psicoanalisi non fa riferimento al corpo biologico,
considerato semplicemente come base dell’articolarsi della vita psichica, bensì al
corpo vissuto, erogeno, sede primaria dell’investimento narcisistico e libidico.
Tale investimento viene meno nel momento in cui la malattia rompe il rapporto
d’amore con il corpo e lo trasforma in un rapporto di antagonismo.(Pinkus,1985)
Il malato vive l’esperienza paradossale di “essere senza corpo”, “non abitare il
proprio corpo”, percepito non più come totalità organica ma come frammentazione in
parti, non più oggetto d’amore ma di fantasie angosciose, impossibilitato a svolgere
le funzioni di espressione dell’individualità e di comunicazione con il
mondo.(Valseschini,1982)
Le premesse teoriche alle elaborazioni psicoanalitiche del concetto di
immagine corporea sono fornite da Freud, il quale ne “L’Io e l’Es”(1922) afferma
che “l’Io è innanzitutto un’entità corporea”.Le modalità di formazione dell’Io
corporeo ricalcano le fasi dello sviluppo libidico, per cui esso può essere considerato
come aspetto particolare del sistema dell’Io.
Nella fase orale la coscienza dell’identità corporea si fonda su segnali di tensione
legata al bisogno e rilassamento legato alla soddisfazione;nella fase anale si fonda
sull’acquisizione della gestione volontaria degli sfinteri;nella fase fallica si fonda su
attività fisiche volte ad appropriarsi dello spazio attraverso l’uso del corpo stesso.
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Melanie Klein presuppone l’esistenza di un Io corporeo capace di avere delle
sensazioni primarie;per molti mesi il bambino sperimenta il proprio corpo come
unico oggetto e la relazione primaria con esso pone le basi per i rapporti successivi
con il mondo esterno.
D.W.Winnicott postula una graduale integrazione tra psiche e corpo,sostenuta dal
costituirsi dei confini corporei che si strutturano attraverso il rapporto privilegiato
madre-bambino(Bulgarini,1983)
Schilder (1978) formula il concetto di immagine corporea in modo più ampio,
definendola come immagine tridimensionale che non è semplicemente percezione,
pur giungendo attraverso i sensi e non è semplicemente rappresentazione, pur
comprendendo schemi mentali; essa è in continua evoluzione ed ha una dimensione
sociale, legata al ruolo dell’aspetto estetico nelle relazioni interpersonali.
I diversi contributi presentati costituiscono una chiave di lettura fondamentale, per
capire l’influenza di un’immagine corporea positiva sulla qualità della vita di una
persona e le difficoltà di un malato cronico, che ad una tale immagine di sé deve
ineluttabilmente rinunciare.
La situazione viene inoltre aggravata da evenienze particolari, ad esempio il carattere
ereditario della malattia, che induce vissuti di ansia, impotenza,colpa e vergogna ed
esperienze di ostracismo dovuto
a pregiudizi sociali. .(Saviolo Negrin, Verlato,1980)
Il processo di abbandono e separazione dalla precedente immagine del corpo
conduce all’adozione di particolari strategie e meccanismi difensivi (Bertola, Cori
1989): l’isolamento, cioè la conservazione di una rappresentazione di un evento a
livello conscio, rimovendo l’affetto ad essa collegato; lo spostamento, o
trasferimento di interesse da una rappresentazione ad un’altra ad essa collegata, ma
meno intensa;la rimozione, ossia l’allontanamento di una rappresentazione dalla
coscienza, qualora risulti inaccettabile. Tali meccanismi sono però disfunzionali
perché si estrinsecano in comportamenti disadattivi, quali il vivere come se la
malattia non ci fosse o l’aggredire altre persone in sostituzione dell’impossibile
aggressione alla causa reale della sofferenza.
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Il riadattamento è invece reso possibile da strategie più mature, come
l’intellettualizzazione, un investimento massiccio sull’aspetto scientifico ed obiettivo
della malattia, che porta il paziente ad averne una conoscenza tale da facilitare la
compliance, pur potendo sfociare in fantasie onnipotenti di totale autogestione della
terapia.La regressione (Balint,1961), ossìa il recupero di modalità ed atteggiamenti
di fasi evolutive precedenti tramite i quali si ottiene soddisfazione, può facilitare
l’accettazione della dipendenza dall’assistenza altrui, ma necessita di un intervento di
contenimento volto ad evitare la deresponsabilizzazione e la delega totali. Infine la
negazione, consistente nel negare la rilevanza di un evento di cui si è consapevoli,
può attenuare l’ansia e la depressione, ma può anche esitare in una pericolosa
inosservanza delle terapie, se non elaborata adeguatamente.
La malattia cronica nell’infanzia
Nell’evoluzione di una malattia assume importanza la fase di vita in cui si è
manifestata.
L’incidenza della patologia organica cronica durante l’infanzia, ossìa in quella fascia
di età che va dalla nascita fino ai dieci anni, può interferire negativamente con lo
sviluppo normale del bambino. Ciò dipende ovviamente da molteplici fattori:
l’esordio della malattia, neonatale, nella prima o nella seconda infanzia; la repentinità
della malattia; l’evoluzione psicologica nella fase precedente all’esordio; i rapporti
all’interno della famiglia; il tipo di malattia, il tipo di trattamento che essa impone, la
parte del corpo colpita e la qualità dell’investimento di cui è oggetto, anche in
funzione della fase evolutiva del bambino, considerata in ottica psicodinamica. In
ognuna delle fasi dello sviluppo proposte nella teorizzazione freudiana, il
manifestarsi di una patologia cronica può comportare ripercussioni in diverse
aree:alimentare, motoria, somatica, del sonno, del linguaggio e della socialità.
Nel caso di un esordio neonatale,vi può essere un’alterazione dei processi propri
della fase orale:la fusionalità della relazione madre-bambino viene interrotta
bruscamente e precocemente nei periodi di degenza ospedaliera, con intrusione delle
figure estranee degli operatori sanitari; il vissuto del bambino è di catastrofe, perdita
dell’integrità corporea, frammentazione senza contenimento. Tale esperienza elicita
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