II
annullando ogni distanza, riducendo a zero (o quasi) la separazione.
Sono i mass media, la cui più influente emanazione è lo Schermo.
2
Siamo circondati, pervasi, integrati da schermi, siano essi stabili,
come quelli televisivi; portatili, come quelli dei cellulari; piazzati,
come quelli cittadini; interattivi, come quelli dei computer.
Cosa c’è al di là dello schermo? Ci sono persone, luoghi, realtà...
storie.
E che cos’è lo schermo se non “ una pura interfaccia,
tridimensionale ma priva di profondità, che invita a superare la
distanza tra l’osservatore e la scena per immergersi al suo
interno”?
3
Lo schermo, in particolare quello televisivo, assorbe il corpo e
l’esistenza dell’individuo - che diventa spettatore - ne ingloba la vita,
facendo dei pezzi della sua realtà l’ossatura dei programmi televisivi,
il cuore delle storie mediali.
Non solo. E’ lo stesso individuo-spettatore che organizza attorno allo
schermo gran parte della sua esperienza individuale e collettiva. “Il
significato stesso della nostra vita è qualcosa che sempre di più
interpretiamo a partire da procedure narrative e discorsive che
provengono soprattutto dal piccolo schermo”.
4
Storie mediali, dunque. Mondi possibili nei quali entriamo e usciamo
con facilità, ma che entrano sempre di più dentro di noi. Diventano
2 Codeluppi V. (2007), La vetrinizzazione sociale. Il processo di spettacolarizzazione degli
individui e della società, Bollati Boringhieri, Torino.
3 Baudrillard J. (1987), L’ America, Feltrinelli, Milano.
4 Demaria, Grosso e Spaziante (2002), Reality tv. La televisione ai confini della realtà, Rai Eri,
Roma
III
parte della nostra realtà. Della nostra identità. Definiscono i contorni
del nostro rapporto col mondo e con gli altri.
C’è un genere televisivo che più di ogni altro si plasma su queste
considerazioni: il telefilm.
Perché? Che cosa, all’interno di un programma costretto nei limiti di
un formato e con vincoli dovuti a sponsorizzazioni pubblicitarie o
peggio, può dirci anche solo lontanamente ciò che siamo o
potremmo essere o non saremo mai? (Non è certo casuale il pay-off
del canale satellitare FoxLife - “casa” di molti dei telefilm più
popolari: “La vita come la vedi”). Cercheremo di capirlo, prima
tratteggiando le linee fondamentali del genere e della sua evoluzione
storica, poi analizzandone le dinamiche di fruizione, in particolare il
ruolo di Internet nel modificare il rapporto tra telefilm e spettatore,
tra mondo possibile e individuo, avvicinandoli ancora di più
attraverso l’interattività.
Un telefilm in particolare guiderà la nostra indagine: Grey’s
Anatomy. La scelta è dovuta, oltre che all’ovvia passione personale,
alle vicende narrate, che toccano corde universali della natura
umana; al modo in cui sono narrate, che facilita l’identificazione;
alla costruzione dei personaggi, che intensifica l’immedesimazione;
e, non ultimo, alle strategie di coinvolgimento dello spettatore,
incluse (fra le più incisive) quelle via Internet.
La società, la contemporaneità con tutti i suoi dei e demoni,
l’immaginario collettivo passano sempre più attraverso i telefilm
IV
piuttosto che nella finta verità dei reality show o negli stessi
telegiornali.
5
Resta da capire se lo schermo televisivo può trasformarsi in nuovo
“Stargate”, se e quanto si lascia o si lascerà effettivamente
attraversare da folle di insaziabili cacciatori di emozioni, di affetti, di
mondi, di storie.
Un ultimo grado resiste, quindi. Un bel passo avanti rispetto a sei.
Chissà che ne direbbe Karinthy. Fatto sta che della sua teoria si è
fatto un telefilm.
6
5 Considerazioni simili, in maniera più approfondita, in Freccero C.”La filosofia di Dr. House,
diagnostica dell’immaginario collettivo” , intervento su Link. Idee per la televisione. Giugno 2007.
Rti edizioni.
6. Six degrees (Six Degrees), (2006-07), Metzner R., Zickerman S. (creatori), Abc, USA. Tra i
produttori esecutivi il geniale J.J Abrams, la cui creatura più famosa è Lost.
1
CAPITOLO PRIMO
Cenni sulla serialità U.S.A. in Italia
1.1 Cantastorie mediali
Voi siete le vostre storie.
Siete il prodotto di tutte le storie
che avete ascoltato e vissuto, e delle tante che
non avete sentito mai.
Hanno modellato la visione di voi stessi, del mondo
e del posto che in esso occupate.
Daniel Taylor
Tanto tempo fa, mille e più notti fa, nel lontano Oriente dei tappeti
volanti, dei geni e delle lampade magiche viveva un re, di nome
Shahriyàr
1
. Dopo aver scoperto il tradimento della propria moglie,
furioso contro tutto il genere femminile, il re decise di soffocare il
suo dolore nel corpo di ogni fanciulla del regno, mettendola a morte
dopo averla posseduta. Per ogni luna splendente, una vita
scompariva.
Fino a che la coraggiosa Shahrazàd, figlia del visir, giovane donna di
straordinaria cultura, escogitò un piano per salvare sé stessa e le
1
Da le mille e una notte,(1972), Torino, Einaudi, in Buonanno M. (1999), Indigeni si diventa.
Locale e globale nella serialità televisiva, R.C.S. libri, Milano.
2
sventurate fanciulle: affascinare il sovrano con una storia, notte dopo
notte, tanto da indurlo a renderle salva la vita. E così gli straordinari
racconti di Shahrazàd, ora incatenati l’uno all’altro, ora rinchiusi
l’uno nell’altro, proseguirono per mille notti, finché, perso nella sua
voce soave, o in mezzo a uno dei quaranta ladroni, Shahriyàr
dimenticò gli insani intenti di vendetta, si riconciliò con le donne e
sposò la sua bella narratrice.
Morale: le storie salvano la vita. Se doveste trovarvi nei guai nella
terra dei cammelli, sapete cosa fare.
La vita passa attraverso le storie, da quelle raccontate intorno a
fuochi tribali, a quelle fissate sulle pagine di libri ingiallite dal
tempo, a quelle dipinte sugli affreschi, per confluire in quelle
elettrificate nelle onde televisive.
Ripercorrere questo lungo viaggio..., beh, sarebbe una storia davvero
troppo lunga.
3
E’ interessante però notare come le storie mediali abbiano acquisito
gli stessi caratteri e funzioni di quelle orali e scritte, e come la tv, e
la fiction televisiva seriale in particolare, siano diventate cantastorie
mediali dei nostri tempi, bardi della contemporaneità
2
.
Teseo e il Minotauro, Gulliver e i suoi viaggi, Jack, Rose e il Titanic,
Meredith & co. e la specializzazione in chirurgia hanno in comune
qualcosa, sono legati da qualcosa.
Parlano a noi, parlano di noi. I racconti offrono da sempre tracce di
un passato scomparso, danno forma al disordine delle esperienze
3
,
attribuiscono e trasmettono significati circa gli eventi umani,
forniscono percorsi di vita, paradigmi comportamentali o universi
valoriali cui fare riferimento nella costruzione dell’identità
personale.
Possono aiutare a “decifrare valori, attese, miti, visioni del mondo
che , in un momento dato, popolano e compongono l’universo
simbolico di una società”
4
. Hanno valore pedagogico (basti pensare
a fiabe e favole), sono matrici della cultura e della formazione (una
delle prime esperienze del bambino sono le “storie della culla”).
Svolgono persino un ruolo terapeutico, e di rassicurazione, di
dominio del senso contrapposto alla paura della precarietà e
dell’ignoto. Infine, parlano direttamente all‘inconscio, all’io
profondo, o meglio interpretano l’“inconscio collettivo” come pure
le matrici culturali della collettività.
2
De Blasio E.-Sorice M. (2004), Cantastorie Mediali. La fiction come story teller della società
italiana, Dino Audino editore, Roma.
3
Eco U. (1993), Sei passeggiate nei boschi narrativi, Bompiani, Milano.
4
Buonanno M. (1996), Leggere la fiction.”Narrami o diva” rivisitata, Liguori, Napoli.
4
Si potrebbe concludere che narrare è un bisogno potente della psiche
e della cultura umana
5
.
Tutte queste funzioni e altre ancora si raccolgono oggi dentro la
scatola parlante.
Suona familiare la considerazione di Monteleone: “La funzione della
fiction è rappresentare il vissuto, la società e la cultura di una
comunità cui essa si rivolge e dalla quale tanto più avrà una
risposta di partecipazione e consenso quanto più sarà in grado di
dare voce al caleidoscopio delle correnti di pensiero, degli stili di
vita, dei costumi e dei valori che la caratterizzano…”
6
.
Attenzione però. Le storie narrate dalla televisione non rispecchiano
né deformano la realtà, piuttosto la riscrivono e la commentano,
offrendosi come pratiche interpretative del vivere. “La fiction è
realistica: nei termini di quel realismo emozionale
7
e simbolico che
non restituisce un’ immagine speculare e fedele della realtà fattuale,
ma allarga l’ orizzonte delle esperienze a sfere di elaborazione,
identificazione, proiezione fantastica, che sono ormai parte del
vivere quotidiano e, perciò stesso, pezzi significativi, e attivatori di
effetti, di realtà”
8
. I mondi finzionali raccontano la realtà quotidiana,
ma servendosi di meccanismi di enunciazione artificiali e “costruiti”,
5
Considerazioni simili, che sembrano valide anche per le storie in generale , sono espresse a
proposito della fiaba in particolare da Cambi F. (1999), Struttura e funzione della fiaba, in Cambi F,
(a cura di) (1999), Itinerari nella fiaba: autori, testi, figure, Ets, Pisa.
6
Monteleone F. (a cura di),(2005), Cult series, Dino Audino Editore, Roma.
7
Ang. I. (1985), Watching Dallas. Soap opera and the melodramatic imagination, Routledge,
London.
8
Buonanno M. (1996),Leggere la fiction. “Narrami o diva” rivisitata, Liguori, Napoli, op. cit.
5
nonché di strategie di rappresentazione chiaramente sbilanciate sul
versante dell’ evasione e dell’ emotività.
Quattro sono le principali funzioni associate alla televisione
9
(e alle
serie televisive):
ξ Funzione affabulatoria: la tv soddisfa il bisogno di evasione,
di abbandono al flusso del racconto, la sete di storie che
facciano vibrare corde emotive;
ξ Funzione ritualizzante: la tv scandisce la quotidianità a
partire dalle logiche dei palinsesti, che nutrono un’esigenza di
continuità;
ξ Funzione modellizzante: la tv costruisce rappresentazioni
semplificate della realtà;e last, but not least,
ξ Funzione bardica: la televisione si pone come mediatrice di
linguaggi e attivatrice di narrazioni sociali. La fiction
costituisce uno dei mondi possibili in cui raccontarsi e su cui
raccontare
10
.
Concentriamoci su quest’ ultima. Il primo a parlare di “funzione
bardica” è stato John Fiske
11
, riferendosi all’intera esperienza
televisiva, di cui la fiction sembra aver assunto alcune caratteristiche
fondamentali. Ovvero: “ la fiction si pone come processo dinamico che
gioca un ruolo nell’ aggregazione collettiva di un immaginario
9
De Blasio. E. Sorice M. Cantastorie Mediali,(2004), Dino Audino editore, Roma,op. cit.
10
ibidem.
11
Fiske J, Hartley J. (1978), Reading television, Methuen, London .