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Introduzione
“Il tempo è denaro!”, questo è ciò che pronuncia un famoso aforisma. Questa
dichiarazione semplice ma profonda suggerisce che le organizzazioni che operano
in modo completo potranno godere di maggiori profitti, mentre quelle più lente ne
risentiranno profondamente in termini di costi. La convinzione che il tempo è
denaro ha favorito il moderno accento sulla gestione della supply chain. Una
supply chain è un sistema di persone, attività, informazioni, e risorse coinvolte
nella creazione di un prodotto e dell’offerta dello stesso al cliente. Molte
organizzazioni quindi si gettano nel tentativo di integrare e coordinare
strettamente i vari elementi delle loro supply chain, al fine di migliorarne
l’efficienza.
Tuttavia la concorrenza del 21° secolo richiede un approccio diverso. Innanzitutto,
va evidenziato il ruolo prioritario assunto dal cliente, il quale da soggetto passivo
si trasforma in soggetto attivo, indirizzando le proprie preferenze verso quelle
imprese che si dimostrano maggiormente abili nel soddisfare pienamente le sue
aspettative, non più espressione del solo prezzo, ma anche di altri rilevanti profili
di prestazione (materiali e immateriali). Questa tendenza ha spinto le imprese
verso una maggiore attenzione e personalizzazione della propria offerta, al fine di
incontrare le specifiche aspettative della domanda.
Il quadro diviene ancora più complesso se si considerano altre variabili che hanno
condizionato l’agire aziendale: la globalizzazione dei mercati, i mutamenti delle
condizioni della concorrenza, lo sviluppo scientifico e tecnologico,
l’accorciamento del ciclo di vita dei prodotti, l’ampliamento delle gamme e del
grado di personalizzazione dei prodotti e servizi offerti.
Di fronte, quindi, ad un periodo di grandi trasformazioni come quello attuale,
fortemente condizionato dalla rapida evoluzione delle variabili ambientali, le
imprese hanno cercato in questi ultimi anni di sperimentare nuove soluzioni
organizzative volte ad ottenere quella flessibilità e dinamicità indispensabile per
operare in uno scenario caratterizzato da elevata incertezza.
Ciò che si ha di fronte oggi è quello che viene chiamato “best value” della supply
chain (Ketchen & Hult, 2007). Queste tipologie di catene non si fermano alla
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velocità, o a qualsiasi altra singola metrica, ma si concentrano sul valore aggiunto
totale. Più specificamente, il best value per la supply chain deve mantenere delle
prestazioni target di alta qualità su quattro priorità competitive: velocità, costi,
qualità e flessibilità.
Questi sviluppi hanno causato una profonda revisione delle priorità del business e
della visione strategica. Le aziende hanno capito che in questo clima di profonda
incertezza la caratteristica essenziale per la loro sopravvivenza e per una
concorrenza competitiva è l’agilità. Lee (2004) definisce l’agilità come “la
capacità di rispondere rapidamente alle variazioni della domanda o dell’offerta e
gestire le interruzioni esterne senza problemi”. Si riconosce però che nessuna
società possiede tutte le risorse necessarie per soddisfare ogni occasione; pertanto,
per ottenere una vantaggio competitivo nel mercato globale, le aziende devono
essere allineati con fornitori e clienti per snellire le operazioni e lavorare insieme
per raggiungere un livello di agilità al di là della portata delle singole
organizzazioni.
Tuttavia a ciò si aggiunge un’ulteriore nuova preoccupazione; dalla rivoluzione
industriale ad oggi i problemi ambientali si sono intensificati sempre di più, a
causa della crescita demografica ed economica del mondo globalizzato. Le
imprese si trovano, quindi, a dover fronteggiare pressioni nuove: costi per i
materiali in aumento, domanda di prodotti eco-compatibili in crescita, rischi
socio-ambientali generati in altre fasi della filiera, ecc. Da qui nasce l’esigenza di
gestire la supply chain in ottica ambientale, superando la singola iniziativa
dell’impresa che, in presenza di una rete complessa di fornitori, deve agire su
questi per ottenere il miglior risultato economico-ambientale possibile, attraverso
iniziative strategiche di cooperazione.
Recentemente la Green Supply Chain Management (GSCM) ha ricevuto i
riflettori in molti studi. Secondo Green et al. (1997) GSCM significa gestione
delle innovazioni e degli acquisti green. Zhu e Sarkis (2004) suggeriscono che le
pratiche di GSCM consistono in quattro grandi dimensioni: gestione ambientale
interna, gestione esterna ambientale, il recupero dell'investimento, e eco design.
Tuttavia la definizione più gettonata è quella di Srivastava (2007) secondo cui la
GSCM può essere definita come:
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“l’integrazione del pensiero ambientale nella SCM, comprendendo la
progettazione del prodotto, la selezione e il sourcing del materiale, processi
produttivi, la consegna del prodotto finale ai consumatori, nonché la gestione del
prodotto end-of-life, ovvero il prodotto dopo che abbia esaurito la sua utilità”.
Proprio per le sue caratteristiche è stato scelto il settore del tessile e
dell’abbigliamento; il problema, principale, nel settore è riuscire a garantire un
giusto mix di qualità, velocità, affidabilità, flessibilità e costo; questi sono gli
obiettivi prestazionali che si devono raggiungere attraverso una corretta gestione
della supply chain management. Si parla di “fast fashion” ha sicuramente reso più
facile e meno costoso, per i consumatori, rimanere al passo con le tendenze della
moda, però ha anche aggravato le preoccupazioni a livello ambientale.
Ciò fa si che i governi legiferano adempimenti/direttive obbligatori con diverse
restrizioni sull’uso di determinate sostanze pericolose. Chien e Shih (2007) hanno
sottolineato che notevoli cambiamenti sono stati testimoni di interessi ed azioni
per il concetto di “preservazione e sostegno dell’ambiente” negli ultimi due
decenni. Il passaggio dalla gestione tradizionale della SC alla gestione della
GSCM è influenzato da molti fattori, noti come pressioni, e le aziende devono
essere in grado di adottare le migliori pratiche di GSCM sulla base di queste
pressioni (Zhu e Sarkis 2006).
Diversi, e a volte anche discordanti, sono gli studi che analizzano il rapporto
“pressioni-performance”; Hoejmose, Brammer e Millington (2012) hanno
concluso che l’adozione di una GSCM può migliorare le performance delle
società e la propria posizione competitiva. Porter e Van de Linde (1995)
sostenevano che il vantaggio competitivo e le pressioni normative sono le
principali motivazioni per l’adozione di pratiche green. Uno studio condotto da
Nga J. K. H.(2009) indaga l’influenza della certificazione ISO 14000 sulle misure
di performance finanziarie della società. Le aziende certificate ISO 14000 sono
risultate avere una media maggiore del return on equity, ma non necessariamente
delle vendite e della capitalizzazione.
Nonostante l’aumento delle preoccupazioni circa la gestione green, tuttavia, sono
pochi gli studi che hanno indagato sull’effetto delle pressioni ambientali sulle
prestazioni aziendali. Per le motivazioni fin qui esposte la ricerca è concentrata
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sulla misurazione delle performance della GSCM, considerando anche l’agilità, in
relazione alle pressioni ambientali provenienti da questo nuovo clima di business
“green”. L’indagine è stata condotta su un campione di imprese europee
impegnate nel settore del tessile e dell’abbigliamento e sono state utilizzate tre
tipologie di analisi multivariata:
- la Factor analysis per effettuare un’analisi delle componenti principali e creare
delle variabili latenti utili ed idonee ad effettuare l’analisi oggetto dello studio.
- la regressione multipla per analizzare gli effetti che le pressioni ambientali
(pressione legislativa, pressione dei fornitori e implementazione di pratica
green dell’impresa) hanno sulle performance aziendali (economiche,
ambientali ed operative).
- ed infine una cluster analysis con un esame dei diversi gruppi per osservare se
la presenza o meno di agilità avesse un’influenza sulle performance, ovvero se
il fatto che un’azienda mostri caratteristiche di agilità abbia un impatto sulle
performance aziendali, e se questo sia positivo o negativo.
Lo studio è organizzato come segue. Il primo capitolo si è concentrato sulla
letteratura relativa all’agilità di una SC; nello specifico si è fatto riferimento alla
SC nel suo complesso inquadrando il problema dell’agilità nella situazione attuale
con un accenno ad alcuni strumenti e tecniche utilizzate nella gestione della
stessa, si è fatto poi riferimento alla vulnerabilità e ai diversi rischi che
caratterizzano la SC moderna.
Nel secondo capitolo è stata presentata invece la principale letteratura relativa alla
GSCM, con le sue più importante pratiche e relativi driver e barriere di
implementazione. Sono stati, poi, esposti alcuni dei più importanti studi relativi al
rapporto green-performance aziendali.
Il terzo capitolo delinea il quadro di ricerca, modelli di misurazione e ipotesi.
Questo capitolo descrive come sono stati raccolti i dati, presenta le caratteristiche
del campione.
Nel quarto capitolo, infine sono state testate le ipotesi empiricamente, e sono state
mostrate le diverse analisi effettuate, ed infine sono stati riportati i risultati con
implicazioni, limitazioni e suggerimenti per il futuro.
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CAPITOLO 1
Agilità e Resilienza nella Supply Chain:
driver e obiettivi
“Un affare in cui si guadagna soltanto del denaro
non è un affare”
Henry Ford
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1.1 Definizione ed importanza della Supply Chain
Management
1.1.1 Definizioni
La letteratura accademica che si occupa di “Supply Chain” è molto diversificata e
in rapida crescita. Si possono riscontrare differenti definizioni di tale processo da
cui se ne evidenziano diversi aspetti.
Una prima definizione afferma che una supply chain è l’insieme di organizzazioni
che, attraverso collegamenti a monte e a valle, sono coinvolte nei diversi processi
e attività che producono valore sotto forma di prodotti e servizi al consumatore
finale (Christopher 1992).
La Londe e Master (1994) propongono che una supply chain è “l’insieme delle
aziende che trasformano la materia prima, in semilavorato e poi in prodotto finito
per il cliente finale. Normalmente, più imprese indipendenti sono coinvolte nella
produzione di un prodotto fino alla collocazione dello stesso nelle mani del cliente
finale – produttori di materie prime e componenti, assemblatori, grossisti,
rivenditori e aziende di trasporto sono tutti membri di una supply chain.
Da Mabert e Venkataramanan (1998) è definita come “una serie di unità che
trasformano materie prime in prodotti finiti e fornisce prodotti ai clienti”. Tutte
queste definizioni includono il consumatore finale come parte della SC.
Van der Vorst e Beulens (2002) danno un’altra enunciazione di supply chain,
definendola come “la pianificazione integrata, il coordinamento e il controllo di
tutti i processi di business e le attività per fornire un valore superiore al
consumatore finale ad un minimo costo e soddisfare le esigenze degli altri
stakeholder”.
Date queste definizioni una supply chain (da questo momento SC) può essere
definita in questo lavoro come “un insieme di tre o più entità (organizzazioni o
individui) direttamente coinvolte nei flussi a monte e a valle di prodotti, servizi,
finanze, e informazioni fino al cliente, avente scopo di pianificare, coordinare e
controllare tutti i processi della stessa”.
Accanto al concetto di SC deve essere accostato quello di Supply Chain
Management (ovvero la gestione della SC – SCM). Sebbene anche le definizioni
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di SCM differiscono tra autori il suo ambito è univocamente considerato
funzionale e organizzativo.
L’ambito funzionale della SCM si riferisce alle funzioni aziendali che vengono
incluse o escluse per l’attuazione del processo. Tutte le funzioni aziendali
dovrebbero essere incluse nel processo di SCM, anche se è un concetto nato dalla
letteratura logistica. Secondo Lambert, Stock, e Ellram (1998), tuttavia, esistono
differenze importanti tra la definizione di SCM e quella di logistica. Infatti si è
d’accordo sul fatto che “La logistica è quella parte del processo di SC che
pianifica, implementa e controlla il flusso efficiente e deposito di merci, servizi e
informazioni correlate dal punto di origine al punto di consumo al fine di
soddisfare i clienti”. La SCM è un concetto più complesso così da considerare la
gestione di processi di business multipli, inclusi i processi logistici (Ricerche di
mercato, promozione, vendita, raccolta di informazioni, R&S, produzione,
progettazione, sviluppo di nuovi prodotti).
L’ambito organizzativo della SCM riguarda, invece, i problemi che scaturiscono
nelle relazioni tra le imprese all’interno di una SC, coinvolgendo molteplici e
diverse aziende, attività commerciali complesse e il coordinamento di tali attività;
quindi, sotto questo aspetto, la SCM può essere definita come un coordinamento
sistemico e strategico delle funzioni di business tradizionali e tattiche, tra queste
funzioni aziendali e una particolare impresa e tra le diverse imprese all’interno del
network al fine di migliorarne le prestazioni a lungo termine dei singoli e della SC
nel suo complesso.
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Mentre la proposizione “supply chain management” è oggi ampiamente utilizzata,
si potrebbe sostenere che in realtà il termine “chain” dovrebbe essere sostituito da
“network” poiché vi saranno fornitori e fornitori di fornitori e allo stesso modo
molti clienti e clienti dei clienti da includere nel sistema totale (Christopher M.,
2005). La Figura 1.1.1 illustra questa idea dell’impresa che si trovi al centro di
una rete di fornitori e clienti.
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Mentzer J. T., DeWitt W., Keebler J. S., Min S., Nix N. W., Smith C. D., Zacharia Z. G.,
Defining Supply chain management, Journal of Business Logistics, Vol.22, No. 2, 2001