7
1
Introduzione
«C‟è un‟arma fumante, il profitto; c‟è
un‟intera categoria indiziata, i manager;
c‟è un movente, l‟avidità. Tutto troppo
facile, come nei gialli in cui il principale
sospetto è il maggiordomo»
1
“No loan again, naturally!”
Immaginate di voler comprare un computer pur non sapendo assolutamente
nulla d‘informatica. Immaginate di entrare in un negozio specializzato e di esser
subito convinti dal commesso ad acquistare l‘ultimo modello, talmente
sviluppato da essere ―quello utilizzato dagli astronauti per gestire le toilette‖.
Immaginate che la cifra segnata sul cartellino del prezzo del computer sia
talmente alta da indurvi a cercare con lo sguardo il più vicino bicchiere di caffè
per berlo e poi sputarlo per l‘incredulità. Immaginate che il commesso vi
suggerisca che, per risolvere la questione senza eccessive preoccupazioni, basta
utilizzare l‘atto di proprietà della vostra casa (e nel frattempo vi mostri un
macchinario simile a quello utilizzato per pagare con le carte di credito).
Immaginate che, dopo aver ―strisciato‖ l‘atto, dalla macchina una voce annunci
che ―siete al vostro quinto mutuo‖, con la sola parola ―quinto‖ scandita da una
voce maschile piuttosto autoritaria. Immaginate l‘imbarazzo. Immaginate che
però, nonostante tutto, il computer venga via con voi, senza ulteriori procedure.
1
Marco Onado, I nodi al pettine. La crisi finanziaria e le cose non scritte, Laterza, Bari-Roma 2009, p. 101.
8
In altre parole: l‘avete acquistato ipotecando la casa, sebbene ci fossero almeno
altre quattro ipoteche in sospeso. Vi sembra assurdo? Forse lo è, dato che quello
che vi abbiamo appena descritto è contenuto in una puntata della celebre serie
cartoon ―The Simpsons‖, andata in onda negli Stati Uniti il 3 dicembre del
2000
2
. Ma, come molti di voi in realtà già sapranno, i Simpson non sono affatto
un semplice cartoon, quanto piuttosto una delle più apprezzate analisi critiche
degli usi e costumi americani. Ecco allora come proprio l‘episodio raccontato
qualche riga fa sintetizza al meglio quella che per interi decenni è stata una delle
abitudini americane per eccellenza, ovvero quella di spendere molto più di quel
che si ha, il più delle volte utilizzando proprio la casa come garanzia del debito.
In più, è utile sottolineare come la riconosciuta capacità del cartoon di Matt
Groening di raccontare con ironia la realtà americana trovi un ulteriore e forse
più valido sviluppo quando quella stessa realtà è protagonista di un periodo di
forte cambiamento: a prova di ciò, l‘8 marzo 2009 viene mandata in onda una
puntata dove ad esser protagonista è ancora una volta l‘abitudine di spendere a
debito utilizzando la casa come garanzia, ma in questo caso l‘azione, del tutto
simile a quella dell‘episodio raccontato poche righe fa, provocherà pesanti
conseguenze, come preannunciato già nel titolo della puntata, ―No loan again,
naturally!‖
3
. Anche stavolta è il capofamiglia Homer a mostrarci com‘è facile
spendere utilizzando la casa come garanzia; in una battuta iniziale, infatti, egli
rivela d‘avere ―una cosa magica che si chiama prestito di partecipazione della
casa: io prendo in prestito tutti i soldi che voglio ma è la casa che si ritrova con
il conto!‖. Ma, naturalmente, non passa molto tempo perchè quest‘affermazione
venga smentita dalle pressanti richieste della banca di rinegoziare il mutuo, cosa
che ovviamente si traduce in una nuova rata mensile troppo alta per le economie
2
Titolo originale della puntata: The computer wore menace shoes (CABF02), dodicesima serie, trasmessa la
prima volta negli Usa il 3 dicembre 2000.
3
Titolo originale della puntata: No loan again, naturally! (LABF03), ventesima serie, trasmessa la prima volta
negli Usa l’8 marzo 2008.
9
della famiglia giallo-canarino. L‘epilogo della vicenda è che la casa viene messa
all‘asta, ma non prima che proprio Homer possa accusare il broker titolare della
pratica: ―quando mi hai dato quei soldi hai detto che non avrei dovuto pagarli
fino al futuro. Questo non è il futuro, questo è il pidocchiosissimo presente‖.
Sono passati solo nove anni da una puntata all‘altra, eppure il modo in cui sono
sviluppati casi dalle caratteristiche indubbiamente simili è praticamente opposto:
da una parte, la questione si conclude lì, quasi nell‘indifferenza, con il primo
episodio che non ha alcuna conseguenza sul resto della puntata; dall‘altra, il
comportamento viene prima stigmatizzato dalla battuta di Homer (―io prendo in
prestito tutti i soldi che voglio ma è la casa che si ritrova con il conto!‖), per poi
provocare direttamente la dolorosa vendita della casa, nonchè le disavventure
che si sviluppano nel corso dell‘intera puntata. In altre parole, a distanza di nove
anni, a quel comportamento che prima era stato raccontato nella quasi totale
indifferenza, come un normale cappello introduttivo e nulla più, ora sono state
associate conseguenze prima inimmaginabili. Motivo di tutto ciò, sembra quasi
scontato dirlo, è quello che è accaduto nei nove anni di distanza tra una puntata e
l‘altra: nel 2000 l‘economia americana era in pieno trend positivo, anche se
stava per esser messa alla prova dalla bolla dei titoli informatici, una prova che
avrebbe superato nel migliore dei modi e dalla quale sarebbe uscita con la
consapevolezza, o forse la semplice illusione, di essere più forte di prima. Anzi,
più forte che mai. La aspettavano, infatti, anni di crescita florida e di dividendi
milionari, di spese folli (sempre, naturalmente, a debito) e guadagni incredibili.
I protagonisti, nel bene e nel male
Se si fosse chiesto all‘opinione pubblica d‘indicare gli artefici di quel periodo di
crescita così lussureggiante, essa di sicuro avrebbe chiamato in causa i
banchieri: ci sarebbero stati Richard Fuld (capace di guadagnare proprio nel
periodo 2000-2008 ben 540 milioni di dollari tra stipendio, azioni e, soprattutto,
10
bonus) e Lloyd Blankfein (63 milioni di dollari nel solo 2008), ma ci sarebbe
stato anche Alan Greenspan, vale a dire colui che più di ogni altro aveva preso
per mano l‘economia a stelle e strisce, conducendola proprio in quella fase
d‘incredibile prosperità, e con loro ci sarebbero stati pressochè tutti i
protagonisti del mondo del credito, tutti accomunati da stipendi a sei e più zeri,
ma attenzione: quest‘ultimo particolare non costituiva affatto un problema per
l‘opinione pubblica, incline a pensare che quegli uomini stavano permettendo al
mondo intero di guadagnare soldi, e quindi era giusto che essi ne ricevessero un
po‘ più degli altri. ―Non penso di aver guadagnato troppo. Se si guarda alla
media annuale, circa 60 milioni di dollari, ero ampiamente nei parametri del
settore. E poi il nostro comitato remunerazioni si è sempre preoccupato di
garantire l'allineamento tra le retribuzioni dei manager e l'interesse degli
azionisti‖. Non a caso, questa è stata la risposta di Richard Fuld quando una
speciale commissione di deputati del Congresso americano gli ha chiesto se gli
sembrava di aver guadagnato troppo negli anni che avevano preceduto il
fallimento di Lehman Brothers. Si, perchè la creatura di Fuld, la banca che più
di ogni altra era stata considerata come una vera e propria macchina per fare
soldi, è fallita miseramente nel 2008. E prima di lei ne erano fallite altre. E dopo
di lei ne falliranno altre ancora. Felix Rohatyn, illustre banchiere da tempo in
pensione, racconta a Massimo Gaggi che ―in poche settimane è andata distrutta
una quantità di ricchezza pari a quella svanita nell‟intero secolo precedente:
più che nelle due guerre mondiali messe assieme”
4
. E questo perchè tutte le
famiglie americane si erano comportate esattamente come la famiglia Simpson,
fondando il proprio benessere sul debito, mentre le banche, proprio su quella
propensione ad indebitarsi, talvolta favorita persino con mezzi palesemente
illegali, avevano fondato il loro fragile successo. Ma a pagare le conseguenze di
questo comportamento dissennato non saranno solamente gli istituti di credito:
4
Massimo Gaggi, La valanga. Dalla crisi americana alla recessione mondiale, Laterza, Bari-Roma 2009, p. IX.
11
pagheranno anche le banche centrali, costrette a supportare le banche d‘affari in
difficoltà, ma soprattutto pagheranno anche gli stessi contribuenti, le cui finanze
saranno presto stritolate da una crisi economica pari solo a quella del ‘29. Anzi,
forse addirittura più grave di quella del ‘29. Naturale, quindi, che tutto ciò si sia
riversato in un forte risentimento verso i banchieri, che in men che non si dica
ritornano ad essere ―delle caricature, con la pancia prominente e il panciotto
attraversato dalla catena d‟oro dell‟orologio da tasca, è la rappresentazione
terrena di Mammona, il falso dio delle ricchezze e dell‟avarizia‖
5
, così come
una certa tradizione li ha sempre rappresentati.
Si ride, ma solo per non piangere
Ecco allora come nella puntata dei Simpson del 2009, quella in cui alle
sconsideratezze finanziarie di Homer seguono terribili conseguenze, trova
spazio anche un sarcastico e tutt‘altro che velato attacco ai banchieri: il broker,
infatti, al momento di mettere all‘asta l‘abitazione, consiglia alla famiglia di non
5
Fabrizio Galimberti, SOS economia, ovvero la crisi spiegata ai comuni mortali, Laterza, Bari-Roma 2009, p. 78.
12
prendersela con le banche: “Abbiamo licenziato l‟amministratore ed è uscito
con soli 50 milioni di dollari‖. ―Oh poveretto, ma sta bene?‖, chiede Homer,
senza alcuna apparente ironia. ―Beh, per quanto si possa star bene nel nord
della Francia… ‖. Ancora una volta, quindi, la serie televisiva riesce ad
incarnare al meglio il sentimento dei taxpayer americani, per nulla contenti di
leggere sui quotidiani le cifre astronomiche che i banchieri hanno percepito
durante gli anni precedenti al tracollo, per non parlare delle cifre che, in molti
casi, continuerebbero a ricevere anche dopo lo scoppio della crisi e persino dopo
aver ricevuto gli aiuti statali, e naturalmente tutto questo non può non condurre
ad un ancor maggiore impopolarità della classe, che talvolta raggiunge dei livelli
quasi inverosimili: un articolo del New York Times, ad esempio, racconta che i
banchieri della Grande Mela avrebbero optato in massa per un radicale cambio
di look, sostituendo i pregiati abiti italiani con altri vestiti in grado di
mascherarne al meglio la professione: “I have guys coming in here saying, «I
don‟t want to look like a banker anymore» said Eric Goldstein, an owner of
Jean Shop, a premium denim store in the meatpacking district”
6
. Ad ulteriore
testimonianza della rinnovata antipatia che il ceto medio proverebbe verso i
banchieri vi è uno spot pubblicitario del famoso sidro Strongbow
7
, all‘interno
del quale vengono contrapposti il duro ma onesto lavoro della classe media e
quello ―parassitario‖ dei banchieri: passeggiando tra le file di un fantomatico
esercito composto esclusivamente da lavoratori, un uomo dalla faccia sudicia e
in abiti da lavoro ringrazia orgogliosamente i suoi ―soldati‖, anch‘essi
completamente sporchi ma dal volto soddisfatto. “The day has been long. Can
we remember why we are here? Roofers, you provide shelters for our families.
Gas-fitters, you bring us warmth to bathe, to eat”, ma arrivato di fronte al
gruppo dei banchieri, tutti elegantemente vestiti e tutt‘altro che sporchi, le parole
6
David Colman, When no one wants to look like a banker, «The New York Times», 14 maggio 2009.
7
http://www.youtube.com/watch?v=GmU3xoFrPJM
13
di gratitudine vengono a mancare, e dopo pochi secondi d‘imbarazzo,
l‘incertezza del condottiero viene coperta dalle grida dei lavoratori, che urlano
all‘indirizzo dei banchieri la poco elegante espressione ―Sod off, sod off‖. Per gli
uomini della ―nuova finanza‖ non resta altro, quindi, che abbandonare
mestamente le fila dell‘esercito. Slogan finale dello spot: ―Bowtime. Hard
earned‖, a sottolineare ulteriormente come la bevanda sia meritata solo da chi
lavora davvero.
Ma in questi mesi non soltanto la classe media si è schierata contro banchieri e
manager in generale: nel dicembre del 2009 Jeffrey Immelt, numero uno della
General Electric (che quell‘anno si è classificata al primo posto nella famosa
classifica delle compagnie più importanti al mondo stilata dalla rivista Forbes,
superata poi l‘anno successivo dalla JP Morgan Chase
8
), ha dichiarato che ―his
generation of business leaders had succumbed to «meanness and greed» that
had harmed the US economy and increased the gap between the rich and the
poor (...). «Rewards became perverted. The richest people made the most
mistakes with the least accountability»”
9
. Inutile dire che è stata soprattutto la
provenienza dell‘attacco a creare scalpore, a mostrare al meglio quanto terreno
la popolarità della finanza abbia perso in pochi mesi e presso praticamente tutti
gli ambienti.
Marco Onado, nel suo saggio ―I nodi al pettine‖, si pone quest‘interrogativo:
Qual‟è la vera natura del banchiere? Quella del Dr. Jekyll, serio scienziato e
buon cittadino, oppure quella del repellente e malvagio Mr. Hyde? È un sospetto
più che fondato, se si considerano non solo l‟entità‟ delle perdite (…) ma
8
Scott DeCarlo, The world’s leading companies, «Forbes.com», 21 aprile 2010.
http://www.forbes.com/2010/04/21/global-2000-leading-world-business-global-2000-10_land.html
9
Francesco Guerrera, GE chief attacks executive ‘greed’, «Financial Times», 9 dicembre 2009.
14
soprattutto l‟ampiezza e l‟eccezionalità degli interventi finora prodigati nel
tentativo di arginare la crisi.
10
E proprio questo quesito può esser considerato come il punto di partenza di
questo lavoro, all‘interno del quale si intende sì analizzare la crisi economica
che da oltre tre anni sta affossando l‘intera economia mondiale, ma dedicando
particolare attenzione alla figura dei banchieri e al loro operato, cercando cioè di
mettere in risalto i motivi che hanno causato la loro improvvisa perdita di
popolarità, ed evidenziando così dove l‘operato dei vari Fuld, Blankfein e degli
altri presunti masters of the universe (questo il titolo che gran parte della stampa
aveva attribuito loro… ) sia stato motivato unicamente dalla caccia al facile
guadagno, al dividendo più alto, alla soglia oltre la quale era possibile
raggiungere l‘ennesimo bonus milionario. In altre parole, dove queste persone
abbiano agito solo ed esclusivamente per avidità. Provocando più danni delle
due guerre mondiali messe assieme.
10
Marco Onado, op. cit., p. 6.
15
2
Dalla crisi dei mutui a quella dell‘economia globale
«Forse ai dirigenti delle banche si
dovrebbe imporre di camminare avanti e
indietro sulle strade principali
indossando cartelli con scritte del tipo:
”Il mio settore non fa bene il suo lavoro
e voi rischiate di perdere la casa. MI
DISPIACE”»
11
Quando il 9 agosto 2007, a seguito del fatto che il tasso interbancario a un
giorno era schizzato dal 4 ad oltre il 4,70%, la Banca Centrale Europea ha
iniettato all‘interno dei mercati la considerevole cifra di 95 miliardi di euro, in
molti, e tra questi non solo economisti e addetti ai lavori, capirono che qualcosa
di grave stava accadendo. Non a caso oggi si tende a far coincidere proprio con
quella data l‘inizio della crisi finanziaria che da quasi tre anni sta colpendo
pressoché tutte le economie del mondo. Eppure, nei giorni seguenti a quel
tragico 9 agosto, e per molte delle settimane successive, i giornali parlarono
soprattutto di ―crisi dei subprime‖, lasciando intendere che, per quanto la
situazione fosse grave, si trattava pur sempre di qualcosa di circoscritto. Ad
essere in crisi, infatti, sembrava essere esclusivamente il mondo dei mutui, se
non addirittura solo una parte di esso, quella, per l‘appunto, dei subprime (che,
come suggerisce proprio l‘espressione anglosassone, sono proprio i più a
11
Marina Hyde, riportato in Seth Freedman, La grande baldoria, Isbn Edizioni, Milano 2009, p. 181.
16
rischio). Eppure, in pochi mesi ci si è accorti che il fenomeno si stava
ingrandendo a macchia d‘olio, coinvolgendo ogni settore economico in ogni
regione del pianeta. Dalla crisi dei subprime, infatti, si è presto passati alla ―crisi
dei derivati‖, poi a quella delle banche, poi a quella della finanza in toto, fino ad
arrivare a una crisi onnipresente e onnipotente, capace di riportare in vita nella
memoria collettiva la tragedia del ‘29, spauracchio che si credeva
irraggiungibile e che, invece, ci siamo ritrovati dietro l‘angolo. I subprime,
quindi, erano stati solo il detonatore, la proverbiale goccia che fa traboccare il
vaso. Ma sono da considerarsi anche come il simbolo più rappresentativo di
un‘epoca finanziaria caratterizzata da guadagni enormi e indiscriminati, dall‘uso
di strumenti innovativi e insicuri, dal rischio che si fraziona e si crede di
condividere col mondo intero. Un‘epoca che è finita proprio il 9 agosto 2007
quando, quasi per caso, il vaso di Pandora della finanza è stato scoperchiato. E
dentro, naturalmente, non vi erano solo i subprime.
2.1 Una piccola collezione di elementi per una grande crisi
“Per quanto tu possa essere preparato a
livello finanziario, leggendo il foglio
informativo di un‟azienda che fa largo
uso di derivati non potrai mai capire
quali sono i rischi in agguato. Anzi, più
conosci i derivati, meno sai di poter
capire qualcosa dai documenti che ti
fanno leggere”
12
12
Warren Buffett, riportato in John Lanchester, Dalla bolla al crac, Fusi orari, Roma 2008, p. 37.
17
American dream
Innanzitutto un luogo: gli Stati Uniti. Ovvero il paese che per tutto il ventesimo
secolo ha fatto da traino all‘intera economia mondiale. Tutto è partito lì, negli
Stati Uniti, la patria del capitalismo ma anche, non a caso, dei subprime e delle
maggiori banche d‘affari al mondo. Come afferma Stiglitz:
La crisi è made in America per parecchi motivi. L‘America ha esportato in tutto il
mondo i suoi prodotti tossici, sotto forma di titoli garantiti da asset. Ha esportato
ovunque la sua filosofia di libero mercato deregolamentato, che persino il suo
sommo promotore Alan Greenspan ammette essere stato un errore. Ha esportato la
sua cultura dell‘irresponsabilità nella gestione delle imprese che ha rivestito un
ruolo di primo piano in questa debacle.
13
Ma prima dei prodotti tossici, degli asset, del libero mercato deregolamentato e
dell‘irresponsabilità, l‘America si contraddistingue qui per aver dato vita a
quello che passerà alla storia non a caso come l‘american dream, ovvero l‘utopia
di poter permettere a ogni famiglia a stelle e strisce di esser proprietaria di una
casa. In realtà, la vera caratteristica dell‘american dream consisteva nel
permettere ad un popolo estremamente mobile come quello statunitense, in cui
intere famiglie si spostano più volte anche da uno Stato all‘altro nell‘arco di
pochi anni, di poter vendere la propria abitazione e poi acquistare un‘altra
altrove senza troppi problemi, sfruttando così un mercato estremamente
―liquido‖. È da questo difficile progetto che prende il là quell‘enorme
meccanismo che trascinerà l‘intero globo all‘interno del vortice della recessione.
Niente più case in affitto, insomma, ogni famiglia ha il diritto di possedere
l‘abitazione in cui vive, entrando così di diritto a far parte della cosiddetta
ownership society, il ―club dei proprietari‖, fiore all‘occhiello dell‘economia di
mercato. Proprio da quest‘ultimo particolare si capisce come lo sponsor più
13
Joseph Stiglitz, Serve una nuova Bretton Woods, «La Repubblica. Affari & Finanza», 10 novembre 2008.
18
grande della campagna a favore della casa di proprietà sia stato il partito
repubblicano, e il suo ultimo emissario alla Casa Bianca, George W. Bush, in
particolare; ma, a volerla dire tutta, quest‘argomento è uno dei pochi che riesce a
mettere d‘accordo entrambe le forze dello scacchiere politico di Washington, e
questo perché dare un tetto stabile ai meno abbienti è, da sempre, uno primi
obiettivi del partito democratico.
Il popolo dal debito facile
Oltre al sogno della casa di proprietà, la società americana si caratterizza anche
per un'altra peculiarità: lo spendere a debito. È un dato di fatto che le famiglie
americane, siano o meno proprietarie di un immobile, tendono a spendere molto
più di quello che guadagnano, portando avanti, in questo modo, un tenore di vita
molto al di sopra delle proprie possibilità. Questo è reso possibile dall‘intervento
degli istituti di credito che, emettendo prestiti anche di piccola entità e favorendo
la rateizzazione di pressoché qualsiasi acquisto, rendono estremamente facile
l‘abbandono di ogni propensione al risparmio. Per non parlare poi del fatto che
anche le banche, a cominciare dalla metà degli anni Ottanta, si avviano ad
accumulare debiti su debiti che, come vedremo nei prossimi capitoli, durante la
crisi si scopriranno essere ben al di là del limite di capital ratio fissato dalla
cosiddetta Basilea 2, regola peraltro recepita in modo profondamente diverso tra
i due lati dell‘Atlantico. Come scrive Fabrizio Galimberti, nel 2008 il solo debito
delle banche ―aveva raggiunto quasi il 120% del reddito prodotto in un anno in
America: un settore che copre solo il 7% circa del Pil aveva il 33% del
debito!”
14
. Semplice, a questo punto, capire come in una società che spende
sistematicamente molto più di quello che guadagna, e dove il sogno della casa di
proprietà è talmente radicato da esser sostenuto da entrambi gli schieramenti
politici, il mutuo sia la vera chiave di volta per capire come la più grande
14
Fabrizio Galimberti, op. cit., p. 11.
19
economia del mondo abbia generato la più drammatica crisi finanziaria della
storia: mutui offerti praticamente a chiunque li richiedesse, senza pretendere le
dovute garanzie in cambio, stipulando contratti che talvolta arrivavano a coprire
non solo l‘intero costo dell‘immobile ma persino le spese per ammobiliarlo (i
cosiddetti ―mutui al 110 per cento‖).
Tutto ciò è stato reso possibile da due fattori strettamente legati tra loro: da una
parte, i bassi tassi d‘interesse imposti dalla Federal Reserve guidata da Alan
Greenspan; dall‘altra, la creazione, cominciata già a partire dalla prima metà
degli anni Ottanta, di nuovi e complicati strumenti finanziari che permettevano
alle banche di ottenere addirittura un triplo guadagno dall‘emissione di un
singolo mutuo. Questi strumenti si basavano sull‘utilizzo in larga scala del
principio della cartolarizzazione, di cui parleremo ampiamente nel capitolo
successivo; per ora soffermiamoci sulla politica economica della Fed di
Greenspan, ―colpevole‖, secondo molti, di aver tenuto i tassi d‘interesse a un
livello troppo basso, favorendo così la speculazione. Come afferma Onado :
A partire dagli anni Novanta i tassi d‘interesse sono stati drasticamente abbassati
(dall‘8 per cento di inizio 1990 al 4 alla fine dell‘anno successivo) rendendo il
credito sempre più facile e meno costoso. Il terreno ideale per far crescere le tre
grandi bolle speculative degli ultimi anni: quella delle azioni (in particolare
tecnologiche); quelle delle fusioni e acquisizioni (la cosiddetta merger-mania);
quella delle case.
15
Uno dei possibili motivi di questo così deciso, e dannoso, abbassamento dei tassi
consisterebbe nel fatto che il denaro a buon mercato può esser stato considerato
da Greenspan come il primo fattore che avesse potuto permettere un‘espansione
dei consumi da parte delle famiglie, espansione che fin da subito, però, si
sarebbe tradotta in un continuo aumento dei loro debiti verso le banche, anche
15
Marco Onado, op. cit., p. 7.
20
perché, sebbene l‘economia americana negli ultimi vent‘anni sia stata
protagonista di un‘incredibile crescita economica, i salari dei lavoratori a stelle e
strisce sono rimasti sostanzialmente fermi. L‘unico modo, quindi, che le famiglie
hanno avuto per innalzare il proprio stile di vita è stato quello di ricorrere in
maniera sistematica al credito. In realtà, vi sarebbero anche altri motivi per
spiegare le decisioni di Greenspan: il mantenere i tassi bassi sul medio periodo,
ad esempio, poteva esser giustificato dal principio del new paradigm, ovvero dal
fatto che la continua innovazione tecnologica porta a un più rapido aumento
della produttività, innalzandone così la tendenza storica; per quel che riguarda il
breve periodo, invece, bisognerebbe considerare la necessità di contrastare prima
la cosiddetta ―bolla dotcom‖ e, in seguito, il contraccolpo economico che gli
attentati dell‘11 settembre 2001 stavano provocando. In ogni caso è necessario
ammettere che ―gli Stati Uniti hanno registrato deficit (quindi consumi superiori
al reddito) in quasi tutti gli ultimi venti anni; nei tempi più recenti fino al 6-7 per
cento del loro Pil”
16
A questo punto è lecito chiedersi se non ci fossero controindicazioni a tutto ciò.
La risposta, naturalmente, sarebbe che sì, c‘erano eccome controindicazioni, sia
per le famiglie che si indebitavano con troppa facilità che per il sistema
monetario americano, che rischiava una svalutazione del dollaro, per non parlare
poi delle banche che cominciavano ad accumulare montagne di debiti. Ma in
tutti i casi i rischi venivano praticamente ignorati poiché da una parte c‘erano le
banche che, come vedremo, riuscivano sempre a produrre utili milionari e a
procurare denaro alle famiglie che chiedevano un prestito, talvolta utilizzando
più e più volte il valore degli stessi immobili, tanto che quest‘ultimi divenivano
una sorta di bancomat sempre in funzione; mentre dall‘altra vi erano gli
investitori stranieri, disposti a comprare una quantità sempre maggiore di dollari
a un prezzo sempre superiore, attirati dai guadagni che la finanza americana
16
Ivi, p. 8.
21
sembrava offrir loro. La classica situazione win-win, in cui a vincere sono tutti i
partecipanti al gioco. E non è un caso che per molti anni Alan Greenspan venga
visto da tutti come una sorta di genio o, meglio ancora, di oracolo, e che la sua
politica di deregulation del mondo della finanza sia considerata da tutti come
quella vincente. ―Poche regole, sarà il mercato a punire chi sbaglia‖ era
l‘imperativo di chi, ammiccando al numero uno della Fed, sfruttava fino
all‘inverosimile il laissez-faire delle autorità politiche e finanziare: l‘era
Greenspan viene accolta da tutti come l‘era della libertà, ma si rivelerà,
purtroppo, quella dell‘incoscienza.
Soldi facili col mercato immobiliare
Si capisce così come sia stato facile per le banche introdurre l‘utilizzo sempre
più massiccio di prodotti che aumentavano a dismisura la loro leva finanziaria
(cioè il rapporto tra capitale proprio e l‘indebitamento), che permettevano di
ottenere enormi guadagni utilizzando i contratti dei mutui stipulati come
trampolino di lancio. Come vedremo più approfonditamente in seguito, ―per ogni
euro di mutuo ipotecario si genera un multiplo di strumenti finanziari di vario
tipo, che naturalmente aumentano le opportunità di ricavo e profitto per le
banche”
17
. Va da sé che le banche si preoccupavano soltanto di una cosa: trovare
sempre nuovi clienti pronti a sottoscrivere un mutuo. E poco importa se questi
clienti non avevano le garanzie normalmente richieste: i mutui arrivavano ad
essere offerti persino ai cosiddetti clienti-ninja, in cui la parola giapponese non
indica persone particolarmente coraggiose ma è semplicemente un acronimo che
sta per No Income No Job or Assets, cioè, in parole povere, nullatenenti nel
modo più assoluto. Inoltre le banche non si preoccupano più della solvibilità di
queste persone, e questo perché pensano di aver trovato il modo per eliminare
ogni rischio: anziché inserirli in bilancio, gli istituti finanziari raccolgono i mutui
17
Ivi, p. 12.