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fermi di riferimento. Il leading actor, invece, è il punto di partenza della storia del te-
atro americano ed il seme per il non troppo lontano avvento della futura regia.
L’Italia, dal suo canto, offre una struttura di tipo capocomicale per compagnie teatra-
li, con la nota divisione per ruoli che rallenta il processo evolutivo verso la regia.
Proprio comparando la struttura organizzativa delle due realtà teatrali, ho ottenuto i
risultati più interessanti della ricerca; si è delineata, innanzitutto, una similitudine
fondamentale tra grande attore e leading actor : essi hanno la stessa funzione, sia
all’interno di una compagnia che nella storia del loro teatro, seppur con implicazioni
sociali diverse.
Il grande attore si pone a capo della compagnia, assumendosene l’intero an-
damento e le responsabilità; il leading actor conduce i suoi attori e li dirige come un
manager, un regista, un impresario. L’unica differenza è che la valenza
dell’impresario di un teatro di prosa, in Italia, è quasi solo formale, essendo tutto in
mano al capocomico; in America, il leading actor è un impresario, al pari di quello
italiano del teatro d’Opera e questo, spesso, costituisce un limite per la libertà e per la
carriera degli attori a lui subordinati.
Anche in questo caso, è emersa una similitudine interessante: la condizione
degli italiani “pertichini”, sempre in ombra rispetto al grande attore, è pessima quan-
to quella degli americani “sticks”, secondari in compagnie stabili e, una volta decadu-
te queste, in quelle nomadi. Mentre però il teatro italiano si regge fondamentalmente
su compagnie nomadi, quello americano presenta la doppia realtà della compagnia
stabile ( Resident company) ed itinerante ( Road company).
La prima decade verso la seconda metà dell’ottocento, con l’arrivo del grande
attore in America, danneggiata dalla nascita delle ferrovie e dalla maggiore facilità
degli spostamenti. Parallelamente , le road company crescono economicamente, con
uscite inferiori a quelle di una compagnia stabile, dando vita ad un elemento tipico
dello spettacolo americano : le combination company.
Questo tipo di compagnia nomade nasce, inizialmente, per le tournèes degli at-
tori americani, che abbandonano i teatri stabili e mettono in piedi un solo spettacolo
5
da replicare il maggior numero di volte possibili. Finito lo spettacolo, tutti i membri
si sciolgono dalla compagnia per altri ingaggi.
In realtà, la combination company diventa l’emblema delle tournèes degli arti-
sti stranieri in America che spesso, come nel caso della triade grandattorica, giungono
negli States da soli e si adattano al modo di recitare del gruppo. Ovviamente, anche
gli attori americani si protendono verso la star straniera per valorizzarla al massimo .
Il leading actor, come il grande attore, presiede alla sua compagnia nomade e tutela
tutti i suoi membri in base allo sharing system, una pratica importata dall’attore in-
glese Lewis Hallam nel 1750. Tale sistema prevede che tutti gli attori versino una lo-
ro quota per la compagnia, dividendo le stesse entrate e gli stessi rischi: un’altra ca-
ratteristica che il teatro americano prende a prestito dall’Europa. È noto come infatti,
in Italia, esistono le compagnie sociali,che si reggono sullo stesso sistema economi-
co. Nel caso delle compagnie itineranti italiane, la somma (o caratura )di ogni mem-
bro cambia in base al ruolo ricoperto all’interno della compagnia stessa. Il teatro sta-
tunitense, dunque, non è molto diverso da quello italiano, almeno dal punto di vista
organizzativo.
Le similitudini, o meglio, l’influenza dell’Europa e dell’Italia sul teatro ameri-
cano si fa più forte se si analizza lo spazio teatrale, non solo inteso come edificio ma
anche come luogo d’azione dell’attore.
Il teatro all’italiana è un vero e proprio punto di riferimento per gli americani; i primi
edifici costruiti con il consenso dei governatori, come il Bowery o il Park’s Theatre,
sono tutti concepiti come netta separazione tra sala e palcoscenico, tra attore e spetta-
tore; come in Italia, la galleria, i palchi e l’arcoscenico sono un raccordo per sala e
scena. I palchi enfatizzano e definiscono il volume della sala ancor prima di accoglie-
re lo spettacolo. È interessante però la questione particolare che riguarda il rapporto
del grande attore e del leading actor : lo spazio teatrale nel quale entrambi si esibi-
scono. Come il grande attore, il quale deve recitare in spazi impropri ( nei teatri
d’opera lirica, gli unici sovvenzionati dal mecenatismo) anche il leading actor non
conosce la fortuna di mostrarsi nei suoi ruoli in un luogo adatto alla prosa.
6
Come gli attori italiani, anche quelli statunitensi devono recitare solo nel proscenio,
illuminati da un unico fascio di luce centrale, piuttosto limitante per l’espressività de-
gli artisti dell’epoca. Come se non bastasse (e questa pratica sarà mantenuta anche da
alcuni artisti italo-americani di primo novecento), negli States esistono palazzi priva-
ti, abitati da gente comune, con al loro interno una sala riadattata a teatro. Grazie alla
collaborazione del Prof. Douglass McDermott, della Berkeley University, sono
riuscita a scoprire che nella cittadina di Modesto esisteva un negozio
d’abbigliamento, il Plato’s, sul quale sorgeva una sala da ballo che poteva diventare
anche teatro. Questo esempio conferma una prassi del teatro americano, secondo la
quale il leading actor recita anche in luoghi non teatrali. In queste particolari note
“folkloristiche”, si nota maggiormente l’incertezza nella quale si muove il teatro
statunitense, durante l’ottocento.
Nel momento, cioè, in cui l’Europa conosce innovazioni scenotecniche fon-
damentali, l’America utilizza la tradizione europea per costruirne una propria.
Nel 1866, la Ristori intraprende la sua prima tournèe negli States, supportata
dal marito e dall’impresario americano, Mr Grau. Successivamente, sarà emulata dai
colleghi Salvini e Rossi.
La comparazione che ho attuato analizzando le tournèes della triade grandattorica ne-
gli Stati Uniti, e che è forse uno dei punti più significativi della ricerca, ha messo in
risalto tutte le similitudini, le peculiarità e le “incertezze” del grande attore e del lea-
ding actor. Avvalendomi delle analisi fin qui esposte (che possono avvicinare en-
trambe le realtà, in apparenza così distanti), ho proceduto leggendo le recensioni de-
gli spettacoli della triade, lasciateci dai critici americani dell’epoca.
Dalla loro analisi emerge inequivocabilmente come le tournèes della Ristori, di
Salvini e Rossi abbiano arricchito la recitazione e la storia del teatro americano, fun-
gendo da coraggioso esempio e da modello, anche per i leading actors più famosi.
Ciò è documentato da molti studiosi americani, i quali non perdono occasione per ri-
badire che le stars dell’epoca, totalmente plasmate dallo star system, rimangono in-
7
cantate dall’innovazione recitativa del grande attore, dalla sua personalità dignitosa e
dalla sua passionale vis scenica.
Inoltre, ogni giro artistico dei tre interpreti italiani può essere visto come
un’esperienza individuale, foriera di tre diversi risultati e di conseguenze ben distinte.
L’esperienza della Ristori, ad esempio, non lascia tanto il segno dal punto di vista ar-
tistico, quanto dal punto di vista umano. In effetti, ho notato una prevalenza di lodi
nei confronti della sua storia personale, tanto simile al self-made man americano di
quegli anni. Analizzando le sue tournèes, ho rilevato che la Ristori è, molto più di
Salvini e Rossi, inserita nello star system americano. Ella diventa famosa ancor prima
di arrivare negli States; che poi sia un’attrice di talento ha un’importanza relativa
perché , al suo debutto, già è entrata nell’immaginario di tutte le donne che acquista-
no la giacca “taglio Ristori” o il mascara con il suo nome.
La Ristori è forse l’unica artista straniera ad aver beneficiato della tournèe compiuta
e ad essere stata influenzata dallo star system americano, sia dal lato artistico che da
quello organizzativo.
Il caso di Salvini è, invece, leggermente diverso. Egli compie ben cinque tour-
nèes in America, l’ultima delle quali lo vede invecchiato, ma ancora teatralmente ef-
ficace.
Più spesso rispetto ai suoi colleghi, Salvini recita con alcuni importanti leading actor
dell’epoca, come Edwin Booth, Clara Morris e Viola Allen, secondo la tradizione
americana della combiantion company ed egli è il primo attore straniero a recitare in
italiano, con il resto della compagnia che si esprime in inglese.
Dalle memorie del grande attore, emerge la sua stima per i colleghi statunitensi :
Salvini rimane stupito dal loro rigore tenuto durante le prove e dalla mancanza del
suggeritore, figura ancora fondamentale per il teatro italiano ed anch’egli impara a
recitare il suo Otello senza ricorrere all’aiuto di un suggeritore, inserendosi tra le pa-
role dei colleghi, sempre meno “straniere”. Ma, soprattutto, è proprio in questa occa-
sione che il grande attore coinvolge il leading actor, influenzandone lo stile interpre-
tativo.
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Studi e critiche dell’epoca riportano che, con il suo temperamento esplosivo e boom-
bastic, la rigidezza della star si lasciò conquistare dagli impulsi salviniani, producen-
do in alcuni casi veri e propri “miracoli artistici”. Su tutti, valgano due esempi fon-
damentali : Salvini recita con Viola Allen in Otello e con Edwin Booth, in Otello e in
Amleto.
L’attrice, nota in America per la sua compostezza convenzionale,mai indirizza-
ta all’immedesimazione, nella scena dell’omicidio sembrava davvero inorridita ed
impaurita per lo scempio che stava per compiersi : fino a quel momento, l’attrice era
stata aggredita con le parole da parte di artisti come Edwin Booth; Salvini le fa vive-
re quella scena anche fisicamente, prendendola letteralmente a schiaffi e gettandola
con veemenza sul suo letto di morte.
Dopo le recite di Amleto, Otello, Sansone del grande attore, anche il pubblico
americano inizia a privilegiare l’italian style, così distante da quello degli artisti suoi
connazionali. L’elevato livello tecnico, la voce in grado di riempire anche i teatri più
ampi e di prodursi nelle sfumature più diverse, la passione e l’immedesimazione, i
contrasti improvvisi negli stati d’animo , una coerenza attoriale tenuta durante tutta la
performance sono elementi ancora sconosciuti allo spettacolo statunitense che coin-
volgono e sconvolgono l’uditorio degli States.
Con Booth, Salvini riporta di aver vissuto un’esperienza ovviamente positiva
per entrambi; il fatto è che i due artisti possiedono caratteristiche fisiche ed attoriali
totalmente opposte e, per questo, “amalgamabili” in scena; Booth sarà uno Iago terro-
rizzato dal suo padrone. Alcune recensioni lo ritraggono come se fosse stato ridotto,
in quelle scene, ad un tappeto sotto i piedi di Salvini.
Il pubblico, soprattutto in questo caso, preferisce la veemenza del grande atto-
re alla compostezza e all’elegante rigidezza del Booth; dove questi “culla” l’uditorio,
l’altro confonde gli animi e li turba.
È quanto accade anche con la tournèe di Rossi, forse la più interessante ed ati-
pica.
9
Se la Ristori si lascia influenzare dal business americano, Rossi lo rifiuta fermamente,
attirando su di sé l’ostilità dei giornalisti dell’epoca e ritengo interessante l’ unica
tournèe di Rossi proprio perché, più di ogni altra, mette in risalto il modo di concepi-
re il teatro in America.
I critici americani considerano infatti Rossi ed il suo modo di interpretare Shakespea-
re assolutamente superiore, rispetto ai suoi colleghi americani ed italiani e deprecano
il trattamento riservato all’attore da parte della stampa, teso a metterlo in ombra.
L’“odio” tra Rossi e i recensori ha origine nella personalità ritrosa e riservata
dell’interprete italiano, totalmente in disaccordo con il modo di sfruttare gli attori
americani da parte dei managers. Rossi, inoltre,vorrebbe recitare in italiano e si vede
costretto ad imparare alcuni monologhi shakespeariani in inglese, secondo una pratica
tipicamente americana.
L ’insuccesso di Rossi in America non si deve dunque alla “scarsità” di talen-
to,uguale se non superiore a quello dei suoi colleghi, ma all’ incapacità dell’attore di
farsi leading actor, star del business americano.
Anche Salvini, pur apportando grandi innovazioni personali, si lascerà plasmare da
molte decisioni dei managers che organizzano i suoi spostamenti; Rossi non si sotto-
metterà passivamente e ne pagherà le conseguenze.
Come anticipato, le comparazioni tra il teatro italiano e quello americano del
secondo ottocento hanno dato anche la possibilità di analizzare nel dettaglio il modo
di lavorare degli attori di entrambe le realtà.
Ne è venuta fuori un’interessante relazione, sostanzialmente improntata su un fattore
di partenza : il grande attore è emozionalista ed il leading actor lo è solo nel caso di
alcune attrici individuate dallo studioso Garff Wilson, anch’egli Professore della Ber-
keley University.
La differenza fondamentale riguarda il modo di intendere il termine emozionalismo,
in Italia ed in America. Per gli studiosi italiani è emozionalista l’attore che coinvolge
il pubblico, semplicemente perché coinvolto in prima persona nel personaggio inter-
pretato. Si parla, allora, di immedesimazione da parte dell’interprete italiano.
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La triade grandattorica utilizza metodi diversi e possiede opinioni personali sul come
arrivare all’immedesimazione con i propri ruoli.
Le attrici cosiddette emozionaliste non attuano l’immedesimazione, ma una recitazio-
ne fatta sostanzialmente di lacrime, patologie e melodrammi. L’emozionarsi di una
Anna Cora Mowatt o di una Clara Morris non corrisponde all’identificazione con le
proprie eroine; diciamo, piuttosto, che l’attrice soccombe al pathos delle sue prota-
goniste, estremizzando in scena le emozioni che quella pièce può suscitare. Si tratta
sempre di emozioni forti, tristi e dolorose.
Il caso si fa ancora più interessante quando si analizza il modo di recitare delle attrici
successive alla “scuola dell’emozionalismo” , le cosiddette attrici “di personalità”.
Esse abbandonano tutte le scelte di repertorio delle colleghe precedenti, prediligendo
Shakespeare e le pièces popolari americane; inoltre, a differenza delle colleghe, que-
ste interpreti valorizzano la loro personalità, anteponendola ai ruoli da interpretare e
dando inizio a quella pratica delle stars cinematografiche che il pubblico identificava
con i personaggi interpretati e questa è l’unica forma di identificazione che cogliamo
poichè anche queste leading actress rifiutano l’immedesimazione, tranne nel caso
importantissimo della Allen quando lavora con Salvini.
Vista sotto quest’ottica, allora, l’influenza salviniana è davvero incisiva perché
porta un’attrice a cambiare totalmente il suo modo di lavorare sulla parte, pur mante-
nendo un rigore ed una tecnica comune al grande attore ed estranea, invece, alle pre-
cedenti attrici americane definite emozionaliste.
Del resto, la scuola classica americana che vede protagonisti attori come For-
rest, Booth, la Cushman o la Anderson e che ha dato l’avvio alla recitazione ufficiale
del teatro americano, vive completamente di riflesso rispetto alla scuola classica eu-
ropea. Se si escludono i casi di Forrest e Booth, i quali interpretano alcuni eroi shake-
speariani, avvalendosi delle visite negli ospedali e nei manicomi per riprodurre nel
dettaglio la pazzia, gli altri leading actors non colgono l’anima dei personaggi recita-
ti, non giungono all’immedesimazione. Se lo fanno, ciò avviene solo sporadicamente,
con risultati discontinui e poco efficaci.
11
Questo può considerarsi forse l’unico nodo non completamente risolto della mia ri-
cerca, e che meriterebbe un approfondimento a parte : la mancanza di immedesima-
zione da parte del leading actor costituisce in effetti un tema a sé e ancora da analiz-
zare. Lo star system e, di conseguenza, la base della storia teatrale americana, ha pla-
smato l’attore in modo che debba lavorare frettolosamente sui propri personaggi, sen-
za poterli approfondire da tutti i punti di vista.
Il lavoro compiuto dal leading actor è un lavoro superficiale che, quindi, non lo porta
ad immedesimarsi nei ruoli interpretati , ma solo a prodursi in belle performances.
Era quanto afferma lo stesso Salvini, nelle sue memorie nelle quali egli contrappone
il modus operandi degli attori americani e il lavoro del grande attore, per giungere
all’essenza e alla polpa con i suoi personaggi.
Sono l’applicazione, lo studio e l’impegno che conducono il grande attore
all’emozionalismo e all’immedesimazione; la Ristori la cerca nei suoi costumi
d’epoca, Salvini la ottiene con un progressivo “trucco dell’anima”, fuori le quinte e
dentro se stesso; Rossi, pur considerando l’immedesimazione un “vampiro che suc-
chia il suo sangue”, e quindi una sorta di dono naturale e mistico al contempo, si ritira
dalle scene per circa un anno per studiare Shakespeare come nessun altro collega farà
mai e non si deve trascurare la sua attenzione puntuale verso gli oggetti di scena che
lo portano all’autocontrollo e ad un’elevata concentrazione, una volta sul palco.
I successivi tentativi dell’attrice americana Fiske, vissuta tra l’ottocento ed il nove-
cento, anticipano le innovazioni del naturalismo (che, storicamente parlando, in Ame-
rica giunge come debole riflesso di quello europeo) deprecando il modo di lavorare
degli attori a lei precedenti, in particolare degli attori classici, così rigidi e formali.
L’attrice, però, critica fortemente anche lo scomposto emozionalismo delle colleghe
affermando che, per giungere al cuore del pubblico, un artista deve prima di tutto sen-
tire la propria parte, non tanto nel cuore quanto nella mente.
Solo così, egli può diventare il personaggio interpretato, partendo sempre
dall’intelletto.
12
Al di là della natura dei precetti diffusi dalla Fiske che, a quanto pare, saranno fon-
damentali anche nella prima recitazione cinematografica, ho rilevato con piacere que-
sti tentativi “primitivi” di dare importanza all’immedesimazione e di lavorare in quel-
la direzione coscientemente.Con interesse ancor maggiore, ho terminato la mia ricer-
ca riportando la “scoperta” di una comunità teatrale italo-americana nella parte popo-
lare della New York di fine ottocento. Gli attori che ne fanno parte sono quasi tutti
emigrati dall’Italia per sfuggire alla fame che attanaglia il nostro Paese. Quando
giungono in America, e qui si conclude la mia tesi, improntano semplici forme di in-
trattenimento a metà tra il mimo, il burlesque, la farsa dialettale napoletana e le future
slapstick comedies.
Questi attori “tuttofare” raccontano agli italoamericani della fame e della povertà,
dell’orgoglio dei meno abbienti e delle ridicole smanie dei ricchi. Il particolare asso-
lutamente interessante è che lo fanno prendendo a modello Salvini e le tradizioni tipi-
camente americane, tra cui quella di trasformare un giardino accanto ad un hotel in
teatro. Riporta uno studioso che “l’odore di cipolla fritta si accompagnava agli ultimi
respiri di Desdemona” ma, in quel modo, la comunità italo-americana aveva il suo te-
atro.
Senza distorcere troppo gli avvenimenti accaduti, non risulta così fuori luogo poter
affermare che, almeno fino al primo novecento, il teatro americano si lascia influen-
zare da quello italiano e che, grazie anche alle tournèes della triade grandattorica, es-
so possa finalmente accogliere la nascita della regia e l’acquisizione di una propria
personalità.
13
I CAPITOLO
IL TEATRO IN ITALIA E IN AMERICA NEL SECONDO OTTOCENTO.
UNA COMPARAZIONE.
Brevi cenni storici di entrambe le realtà teatrali.
Quando il grande attore italiano entra in contatto con l’attore americano, en-
trambe le realtà teatrali vivono una fase di instabilità; a livello sociale, l’America
viene attraversata da quelle lotte tra Stati del nord-est e Stati del sud che porteranno,
con Lincoln, allo scoppio della Guerra Civile ( 1861-1865). L’ Italia, invece, affronta
la questione dell’unificazione ( 1861-1862) con tutte le difficili conseguenze date dal
caso.
In apparenza, la situazione socio-economica americana sembra migliore e più
progredita rispetto a quella italiana. Gli stati del nord sono fortemente industrializzati
e caratterizzati da un’impronta capitalistica ed imprenditoriale : New York, Boston e
Washington sono cardini fondamentali per i commerci esteri e ciò, ovviamente, si ri-
flette anche in ambito teatrale.Al momento dell’Unità, invece, l’Italia si presenta co-
me un paese prettamente agricolo. L’agricoltura è il principale mezzo di sostentamen-
to ed è caratterizzata da una grande varietà negli assetti produttivi : aziende agricole
moderne ( Pianura Padana), mezzadria( Italia centrale) e latifondo ( Mezzogiorno).Il
problema più grave è la mancanza di reti di comunicazione (lo sviluppo delle ferro-
vie, in Italia avviene più lentamente che nel resto dell’Europa) che non permette di
creare una vera coesione nazionale. La classe dirigente, ad esempio, fatica a prendere
coscienza delle misere condizioni di vita dei contadini del Sud , proprio per questa
difficoltà di comunicazione territoriale.
Il grande attore italiano, seppur indirettamente, svolgerà un’importante funzione ri-
paratrice, in questo senso: parlando e, soprattutto, recitando in un perfetto italiano,
egli contribuirà alla realizzazione di un’ unità nazionale, almeno dal punto di vista
14
linguistico, mentre le tournèe all’estero, e soprattutto in America, contribuiranno a
diffondere l’idioma italiano e la cultura della neonata nazione.
La differenza più significativa fra la realtà teatrale americana e quella italiana risie-
de nelle origini dei due paesi; l’Italia è, appunto, una nazione assai più arretrata
dell’America e la sua dimensione artigianale non può competere con quella affaristica
degli States : è evidente, quindi, che il contatto con il business americano rappresenti,
per il grande attore, un’occasione molto appetibile e vantaggiosa :
«Il grande attore va in tournée all’estero per sfuggire alla crisi e alla fame che attana-
glia il teatro italiano a metà ottocento»
1
.
L’avvento della ferrovia e la nascita della comunicazione di massa fanno infatti
del teatro americano una vera e propria macchina economica. Gli spettatori più ab-
bienti riempiono le platee, ostentando l’appartenenza ad uno status sociale elevato e
facendo del teatro stesso un imponente medium qualificativo; anche la gente più po-
vera o meno colta ( a differenza di quanto accade in Italia) accorre a teatro con gran-
de entusiasmo e partecipa vivacemente agli spettacoli. Ernesto Rossi fornisce, nei
suoi scritti, una significativa testimonianza :
In New York, in Boston e in Filadelfia , il pubblico si contiene molto civilmente: ma
nelle provincie!…Figurati che mettono i piedi , ove da noi si appoggiano le braccia ,
e talvolta segue, che l’attore in luogo di veder teste, vede tante paia di stivali!
2
.
Tommaso Salvini, invece, rivela la potenza della pubblicità sul giornale come
maggiore forma di comunicazione e di informazione:
In America è necessario anzi tempo prevenire il pubblico di uno spettacolo qualun-
que, che si apparecchia, e a nulla servirebbe prevenirlo con i semplici mezzi usati in
Italia. Chi si occupa agli Stati Uniti di leggere sulle cantonate un avvi-
1
Cfr. R. Alonge, Teatro e spettacolo nel secondo ottocento, Laterza, Bari 1988, pag. 54
2
Cfr. E. Rossi, Quarant’anni di vita artistica, 3 voll., Niccolai, Firenze 1887, pag. 170, VOL. III
15
so?[…]Terminati gli affari ognuno legge il suo giornale e mediante questo, tutto
sanno e tutto dispongono
3
.
Dal suo canto, la Ristori evidenzia un aspetto molto interessante del teatro a-
mericano, dopo la sua prima tournèe del 1866-67:
Un fatto è da notarsi. Gli Americani han dato alla vecchia Europa, sul terreno tea-
trale, un esempio di cui essa ha profittato ben in ritardo. Essi hanno introdotto, come
abitudine, ciò che non si faceva che accidentalmente da noi-la rappresentazione
diurna- matinée, che permette alle donne, alle giovinette d’assistere allo spettacolo
senza mancare ai loro doveri o ai loro studi, senza esporsi alle fatiche di lunghe ve-
glie. Nell’America del Nord, hanno generalmente luogo due rappresentazioni in ogni
teatro drammatico, nei giorni di sabato e giovedì. Gli applausi sono naturalmente
meno fragorosi e più modesti; ma i ‘Bravo!’ sono accordati con tanta intelligenza, ed
esprimono così bene, al momento voluto, le emozioni provate, che l’artista si sente
sempre sostenuto dal suo uditorio
4
.
Il grande vantaggio che possiede il teatro italiano, o per meglio dire “la sua
principale ricchezza”, sta nello sviluppo a cui è giunta la grande tradizione attorica,
iniziata con la Commedia dell’Arte e culminata, a metà ottocento, con il fenomeno
grandattorico. Nel momento in cui si concretizza la sua consacrazione, il grande at-
tore ha acquisito già l’attitudine al «protagonismo attoriale»
5
. Nota Meldolesi :
Per studiare la professionalità dell’attore occorre ricostruire le sue tracce in
un’unica durata di tre secoli di vita europea, dal primo Seicento al primo Novecento,
quando la verticalità della regia e dello spettacolo neo-capitalistico ridimensionaro-
3
Cfr. T. Salvini, Ricordi, aneddoti ed impressioni, Dumolard, Milano 1895, pag. 343
4
Cfr. A. Ristori, Ricordi e studi artistici, Roux, Torino-Napoli 1887, pag. 92
5
L’espressione è stata utilizzata da Roberto Alonge nell’introduzione al suo libro Teatro e spettacolo nel secondo otto-
cento, op. cit., pag. 10
16
no lentamente il suo primato. Comico dell’arte e grande attore furono cittadini di
una stessa società
6
.
Il teatro italiano dell’ottocento, al pari di quello americano, ha il suo elemento
centrale nell’attore ma, a differenza dell’America e dell’Europa, in Italia la tradizio-
ne attoriale, con la struttura della compagnia capocomicale e la gerarchizzazione del-
la stessa in ruoli , fa da freno alle grandi innovazioni come la nascita della regia.
Il teatro italiano del diciannovesimo secolo è, dunque, il teatro del grande attore
7
. In
Italia, con l’espressione grande attore, non si vuole semplicemente indicare un’entità
superiore agli altri elementi caratterizzanti l’evento artistico; si vuole definire un par-
ticolare tipo di sviluppo dello spettacolo che si forma con il fenomeno di ascesa della
classe borghese, seguito al diffondersi degli ideali risorgimentali. Ovviamente, questi
cambiamenti di ordine sociale e politico cambiano anche il modo di vedere e di valu-
tare la figura dell’attore.
Adelaide Ristori, Tommaso Salvini ed Ernesto Rossi
8
concorrono a ridare di-
gnità alla categoria cui appartengono, per troppo tempo ingiustamente assimilata ad
un modus vivendi sciatto e poco gratificante; è lo stesso tipo di pregiudizio che, coa-
diuvato dall’applicazione di severe misure di censura e da fortissime repressioni, è
presente anche nel teatro americano, fino alla prima metà del diciannovesimo secolo.
Il grande attore
9
è responsabile dell’intera organizzazione e della vita teatrale
italiana. Erede di Gustavo Modena, del quale raccoglie la ‘rivoluzione’ estetica, ma
assai più pragmatico di quanto Modena non fosse, egli sfrutta a proprio vantaggio
l’onere di dover portare su di sé la responsabilità dell’andamento, non solo artistico
ma anche materiale, dello spettacolo italiano, trovando nel viaggio all’estero il modo
per accrescere il margine di potere e di prestigio che gli offre la sua posizione e cre-
ando una via di comunicazione con il capitalismo presente negli States :
6
Cfr. C. Meldolesi, La microsocietà degli attori. Una storia di tre secoli e più, in ‘Inchiesta’, n. 63-64, gennaio-
giugno, 1984
7
Questo termine viene utilizzato da Silvio D’Amico nel 1929 e da Vito Pandolfi nel 1954.
8
Adelaide Ristori ( 1822-1906) ; Tommaso Salvini ( 1829-1915) ; Ernesto Rossi ( 1827-1896).
9
Per un’analisi più dettagliata dell’estetica del grande attore, vedi CAP. III, § 1
17
Può sembrare un paradosso ma non lo è. Il nuovo attore del secondo Ottocento –non
solo italiano- è strettamente in sintonia con la nuova classe dominante, la borghesia
degli affari della fase imperialistica del capitalismo. Al grande attore italiano capita
però di sentirsela organicamente alle spalle all’estero, e assai meno dentro i confini
patri, per gli ovvi ritardi storici che ben conosciamo. Resta comunque indubbia la
capacità e l’astuzia di ribaltare sul piano nazionale i trionfi colti in campo extrana-
zionale
10
.
Il viaggio, per l’attore italiano, viene dunque visto come un altro possibile mezzo di
sopravvivenza e di crescita del successo e della fama; del resto, l’avvento della ferro-
via e le migliorie apportate in ambito marittimo favoriscono non poco gli spostamenti
degli artisti in tutto il mondo.
Inizia così a diffondersi l’arte del grande attore, con tutti i suoi pregi ed i suoi
limiti; in questo senso, l’eredità di Modena incide profondamente sull’operato di
questi ‘discepoli’ (seppur con modalità e conseguenze diverse) a partire dal lavoro
particolareggiato sul personaggio da interpretare, per Modena fondamentale. Rossi,
Salvini e, in parte, la Ristori scelgono infatti Shakespeare, preferendolo alla dramma-
turgia coeva, per la centralità introspettiva che l’autore conferisce ai suoi eroi ed alle
sue eroine
11
. Il grande attore tende a lavorare concentrandosi molto su se stesso e
molto poco sull’ ensemble. D’altronde, spesso si trova a recitare con attori mediocri
che non possiedono il suo carisma o il suo talento; altri aspetti del momento teatrale
quali, ad esempio, i costumi o la scenografia vengono notevolmente sottovalutati,
quand’anche addirittura ignorati. Del resto, come già detto, è solo l’attore-
capocomico a farsi responsabile di una produzione ingente il cui maggiore obiettivo è
quello di mettere in luce l’individuo rispetto all’insieme. In Europa, nel diciannove-
simo secolo, la situazione non è molto diversa da quella italiana.
10
Cfr, R. Alonge, op. cit., pag. 55
11
R. Alonge, op. cit., pag. 25