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Capitolo 1 - Storia del Graffitismo
Il graffitismo nacque nella tarda metà degli anni „60 a Philadelphia, ma si diffuse più intensamente
a New York, in particolare a Washington Heights una sezione di Manhattan. Nel 1971 il New York
Times pubblicò un articolo su uno dei primi graffitari, Taki 183. Taki, il cui vero nome era
Demetrius, era un ragazzo residente nella zona e 183 era il numero della via dove viveva. Egli
lavorava come corriere e viaggiando sempre in metropolitana la scelse come luogo nel quale
eseguire con ripetizione la propria tag. La diffusione straordinaria di questa scritta attiro la curiosità
pubblica e mediatica. Ragazzi di tutta città compresero la fama e al notorietà che poteva essere
raggiunta imprimendo la propria firma sui vagoni della metropolitana e iniziarono ad emularlo,
cominciando a competere l‟uno sull‟altro. L‟ammontare di graffiti sui treni raggiunse livelli
altissimi. In questa fase scrivere sui muri consisteva per lo più nel realizzare tags e l‟obiettivo era
produrne il più possibile. Dopo poco tempo, i graffitari capirono come agendo direttamente nel
deposito dei treni se ne potessero dipingere di più in meno tempo, fù così che lo yard divenne uno
dei campi d‟azione nel quale ancor oggi si gioca l‟identità writers.
Dopo un po‟ di tempo, c‟era talmente tanta gente impiegata nello scrivere che i writers dovettero
trovare un‟altra strada per raggiungere la fama. La prima strategia fu quella di rendere la propria tag
unica. In questo periodo si svilupparono vari tipi di stile calligrafico spesso accompagnati da
disegni stilizzati, come la corona, comunemente utilizzata dai writers che si auto proclamavano
“King of the lines”.
Probabilmente la più famosa tag nella storia del graffitismo è STAY HIGH 149, il suo creatore
utilizzò una sigaretta accesa al posto della sbarra dell‟H e un omino stilizzato, preso in prestito e
reinterpretato dal logo della serie televisiva “TheSaint”.
Un successivo sviluppo portò i writers ad ingrandire la scala delle proprie tags, essi iniziarono a
trovare sul mercato bombolette spray in grado di realizzare getti più larghi di colore: nacquero così i
masterpieces.
Le lettere tridimensionali diedero l‟opportunità di personalizzare ulteriormente il proprio nome,
lasciandosi guidare dalla propria immaginazione nel riempimento dei contorni.
Questo primo periodo di creatività non passò inosservato, tantè che persino il sociologo Hugo
Martinez, dopo aver legittimato il potenziale artistico delle nuove generazioni emergenti, fondò
l‟United Graffiti Artists. Egli, dopo aver selezionato i migliori writers attivi, diede loro
l‟opportunità di esporre le proprie creazioni nell‟ambiente formale di una galleria. Nel 1973 uscì sul
New York Magazine un articolo di Richard Goldstein intitolato "The Graffiti Hit Parade", si trattò
del primo riconoscimento pubblico che i writers ebbero a livello sociale.
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Gli europei, colpiti da questo fenomeno, lo importano nei propri paesi di provenienza, ma il
principale veicolo tramite il quale si diffuse quest'arte fu l'hip-hop. Le migliaia di giovani che
seguirono questo movimento culturale, intriso di musica rap, break dance e graffiti, resero famosi,
anche nei loro paesi, personaggi come Africa Bambaataa, Phase 2, Blade e Lee.
Africa Bambaataa nei primi anni ottanta fondò a New York, la "Zulù Nation", una comunità
internazionale per "la pace, l'amore, l'unità e il divertimento". Il simbolo che la rappresentava era
una mano con l'indice e il medio alzato.
In molte capitali europee, la prima delle quali Parigi, i graffiti arrivarono grazie ai concerti rap e
furono presto sinonimo di libertà espressiva e trasgressione. Questa l'evoluzione li portò a diventare
uno dei simboli del moto di rivolta del sottoproletariato nero delle grandi metropoli, nei confronti
dell'opulenta società dei consumi.
Mentre negli anni „80 molti giovani europei iniziavano ad identificarsi nella cultura hip hop, negli
Stati Uniti la cultura writing si deteriorò drammaticamente a causa di molti fattori. Alcuni
riguardanti direttamente la cultura writer, altri relativi alla società in generale. Un‟epidemia di crack
e cocaina coinvolse i quartieri suburbani della città e il clima nelle strade divenne sempre più teso.
La legge restrinse la vendita di pittura ai minori e rese severe le pene per chi era sorpreso a scrivere
su superfici pubbliche. Il maggiore cambiamento fu l‟incremento delle Pattuglie di Sorveglianza
Anti-Graffiti nelle strade e nei depositi. Molte delle superfici più ambite divennero inaccessibili e i
graffiti, realizzati di nascosto, iniziarono ad essere velocemente ricoperti.
Mentre alcuni writers frustrati diminuirono la loro produzione, altri non si lasciarono scoraggiare e
sfidati dalle autorità divennero molto più aggressivi nello svolgere il loro presidio territoriale. Fu
questo il momento in cui le gangs di quartiere si unirono ai writers, esse frequentemente
arruolavano un tagger o un‟intera crew affinché gestissero la loro immagine, diffondendo le proprie
tags nelle loro zone d‟influenza.
Nelle strade, la ricerca stilistica e il graffitismo come creazione espressiva dovettero lasciare il
passo allo scontro violento tra bande rivali spesso coinvolte nel traffico di droga.
Al lento declino di cui ho parlato si aggiunse un altro fenomeno, apparentemente diverso ma
ugualmente nocivo. In questo periodo alcuni giovani writers furono adottati dal grande business ed
entrarono nel circuito di gallerie e musei. Keith Haring e Jean Michel Basquiat, due vite simbolo
della cultura hip hop divennero delle stars, iniziando ad organizzare mostre e a vendere graffiti
stampati su orologi, magliette, poster, felpe e gadget d'ogni tipo. I tags, rimbalzarono così dai muri
di strada ai salotti. Lo spirito underground e trasgressivo scomparse per lasciare spazio a mondanità
e spettacolo.
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Haring organizzò delle vere e proprie esibizioni, anche in Italia, in cui migliaia di seguaci
assistettero alla creazione dei suoi affreschi a ritmo di musica rap.
Le capitali furono invase da queste moderne opere d'arte estemporanee. Ma presto il processo di
museificazione batté in velocità l'artista finendo per ammazzare l'opera.
Nel „88 e nel '92 i due artisti morirono e con loro morì la corrente artistica che li vide protagonisti.
La New York d‟oggi non è più quella di trent‟anni fa, il bambino ribelle Kheit oggi probabilmente
farebbe lo stilista o il pubblicitario e non l‟artista undergraund. Nella “grande mela” hanno messo
addirittura una taglia di 500 $ su chi scrive sui muri.
Non volendo più sterminare questa tribù creativa, si creano delle riserve dove farli esibire senza che
arrechino danni al bene comune. La spinta di rottura dalle tradizionali forme visive, rapidamente
svilita e mercificata dal mercato internazionale, ha perso di rilevanza. Il graffitismo non si è
perfezionato come fenomeno artistico e oggi i writers che decidono di entrare a fare parte del
circuito dell‟arte possono farlo solo arrivando ad usare mezzi più maturi e metodi di comunicazione
diversi dal semplice segno della tag.
Figura 1 - “STAY HIGH 149”, la tag più famosa nella storia del graffitismo
da: http://www.subwayoutlaws.com/
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Capitolo 2 - Il writing come campo sociale
2.1- Modelli d’identificazione dei writers in bilico tra arte e devianza
Il writing può essere descritto come una pratica sociale che consiste nella realizzazione, illegale o
meno, di graffiti in luoghi pubblici attraverso l‟uso di vernici acriliche spray.
Si tratta di un fenomeno paradossale, esso è al contempo una ricerca estetica e un‟attività criminale,
che a partire dagli anni „70 ha acquisito un sempre maggior protagonismo nei dibattiti pubblici. Il
Sindaco di New York Rudy Giuliani, per esempio, dall‟anno 1980 in avanti diede grande
importanza alla necessità di sradicare i graffiti dal sistema metropolitano della città. In Inghilterra la
produzione di graffiti è una delle attività etichettate dalla legislazione come “comportamento
antisociale” e anche in Italia si moltiplicano casi come quello di Bologna, dove nell‟autunno del
2007 l‟amministrazione comunale ha invocato una politica di tolleranza zero conto chi “imbratta i
muri”.
Il fenomeno del Graffitismo è dal punto di vista teorico approcciato in vari modi, esso viene
analizzato come sottocultura sociale, attività compulsiva, delinquenza giovanile, fenomeno storico o
problema di normale amministrazione.
Come ho già detto nel capitolo precedente, l‟origine della pratica del writing va ricercata nelle aree
deprivate delle metropoli americane tra la fine degli anni sessanta e l‟inizio dei settanta, per opera di
giovani appartenenti a minoranze etniche nere e ispaniche. Il writing nella sua diaspora mondiale si
è da tempo trasferito e inserito in contesti socioeconomici estremamente dissimili da quelli
originari: i writers italiani degli ultimi due decenni non appartengono più a minoranze etniche
deprivate e senza prospettiva.
I due autori Brighenti e Reghellin, che nel 2007 hanno svolto una ricerca sociologica sul fenomeno,
sono concordi nel definire il writing una ricerca espressiva, non reattiva quanto piuttosto
trasformativa, volta a dar vita a esperienze sociali innovative.
Il graffitismo illecito non può essere adeguatamente descritto attraverso termini binari (arte buona /
cattiva, criminale / legale, creativa / distruttiva, etc. ), ma deve essere considerato nella sua globalità
di significato.
La maggior parte delle persone che si trovano ad osservare un graffito nella propria città, compie
delle ipotesi sul perché qualcuno lo ha eseguito. La più comune supposizione è che l‟esecutore fosse
annoiato o che egli desiderasse danneggiare o sfigurare la proprietà altrui. Ipotesi di questo tipo
guidano anche la polizia e le politiche municipali ma nelle interviste i writers riportano, come a
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guidare la loro entrata nel mondo del graffitismo, non fosse stato principalmente un bisogno di
trasgredire, quanto una combinazione tra fascinazione estetica e bisogno d‟aggregazione.
Una volta immersi nella cultura dei graffiti, la voglia di continuare a scrivere deriva da molti fattori:
l‟orgoglio derivante dal risultato del proprio lavoro, il piacere nello svolgerlo, il divertimento che
deriva dal condividere l‟attività con amici e soprattutto il riconoscimento che si ottiene dalla
“Writer‟s community”.
Molti degli elementi affettivi e viscerali dello scrivere, che incoraggiano i writers a continuare con i
graffiti, confluiscono nella nozione di piacere. Essi ricavano piacere da molti aspetti, ma
particolarmente dall‟esperienza psicologica che attraverso l‟atto pratico si compie.
Il piacere che molti writers descrivono come una “scarica d‟adrenalina” deriva direttamente
dall‟atto psicologico di scrivere la propria tag su di un muro, vedere la parola prendere forma e
sentire la connessione tra il controllo dei propri movimenti e la scrittura che compare sulla
superficie. Oltre che dal singolo atto dello scrivere il “griffitaro” ricava piacere: constatando
l‟incremento delle proprie abilità nell‟esecuzione di lettere sempre più difficili, dalla potente
emozione derivante dalla paura di essere scoperto dalle autorità, dall‟emozione di realizzare graffiti
in luoghi inaccessibili e pericolosi;
E‟ inoltre importante porre l‟accento su come i writers concepiscano il paesaggio urbano in modo
totalmente differente dai non-writers, essi vedono la città come una serie di superfici vuote da
riempire, “da portare alla vita”. Questa è la motivazione migliore che li spinge a continuare la loro
attività nonostante i possibili arresti, i cani poliziotto e le denuncie.
Alla domanda se essi concepiscano la loro azione come arte o vandalismo, la maggior parte dei
writers indica ovviamente la prima opzione. Il graffitismo è arte in quanto richiede capacita,
impegno e gusto estetico. Esso nasce da un‟energia creativa che deve essere sfogata e messa in
opera.
Molti atti criminali sono connessi ad incoscienza e comportamenti eccessivi, compiuti da soggetti
che perdono il contatto con il mondo e le sue regole sospendono la razionalità e lasciandosi
travolgere dalla tentazione di compiere atti disordinati ed esperienze caotiche. Le ricerche svolte sul
graffitismo invece ci danno buone ragioni per pensare che esso richieda tutte quelle proprietà
tipicamente associate al comportamento razionale (previsione, progettazione, praticità, pazienza,
allerta, attenzione ai dettagli etc.). Anche la più frettolosa tag realizzata, ha in se stessa uno stile che
è frutto d‟ore ed ore di perfezionamento dell‟immagine.
Le rappresentazioni e le pratiche associate al writing possono essere descritte come un “campo”
(Bourdieu, 1972), un ambito sociale semi autonomo in grado di generare una serie di ruoli, dai quali
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discendono disposizioni e orientamenti d‟azione, sia nell‟ambito strettamente operativo del
realizzare graffiti, sia nella vita più generale della comunità.
Il concetto di campo si collega ad un termine emico utilizzato dai writers stessi, che è quello di
“scena”. La scena è una realtà per lo più territoriale, composta da diversi attori dislocati in posizioni
di centralità/perifericità, d‟avanguardia/retroavanguardia, di gradi relativi d‟anzianità, militanza,
successo, in cui si fondono gradi diversi d‟impegno che generano a gradi diversi di riconoscimento.
La definizione del campo in questione è problematica, innanzi tutto perché è difficile rintracciarne i
confini. Esso s‟interseca, infatti, ad altri campi rispetto ai quali non riesce a distinguersi
interamente: l‟arte e il design, il diritto penale (in quanto crimine), la politica (in quanto messaggio),
la psicologia (in quanto bisogno compulsivo di auto affermazione), il mercato (in quanto prodotto),
e la pubblicità (in quanto concorrente nell‟ottenimento dell‟attenzione pubblica).
Poiché non esistono definizioni ufficiali e unanimemente condivise di questi confini, Brighenti e
Reghellin, definiscono il writing come un fenomeno interstiziale, che si colloca appunto negli
“interstizi” lasciati liberi da altre pratiche e dai loro campi specifici.
I writers si ritrovano loro malgrado a dover percepire la propria attività attraverso le lenti categoriali
e di nomenclatura che appartengono ad altri attori esterni, sia perché essi sono istituzionalmente
forti, sia perché sono socialmente influenti. Il nuovo termine coniato da uno dei primi siti web
dedicati al graffitismo (www.graffiti.org), per sottolineare l‟esistenza di questa tensione è, infatti,
Art Crimes.
Persino le scienze psicologiche si sono interessate al fenomeno del writing, collocandolo il bilico tra
affermazione identitaria e atto compulsivo.
Nel saggio “Il sé insipido degli adolescenti” scritto da R.Pani e R. Ferrarese (2007), si analizza il
writing dal punto di vista psicologico, evidenziando come l‟esecuzione ripetuta della propria tag
non sia altro che una modalità adolescenziale adottata per costruirsi, sperimentarsi, conoscersi,
superare il narcisismo infantile attraverso la proiezione dei propri interessi all‟esterno.
Nel definire il writing come mezzo costruttivo di appropriazione di sé e di socialità, i due autori
evidenziano però il rischio che, la nuova identità grafica investita di eccessivo valore simbolico
possa spingere a condotte compulsive irrefrenabili.
Quando si parla d‟investimento, ci si riferisce al peso in termini percettivi dell‟investimento stesso,
ovvero se l‟autore considera questa espressione di sé una sperimentazione, o se ad essa viene
attribuito un valore totalizzante esistenziale.
La compulsività sta in questo: lo spray murale diviene strumento per trovare ed esprimere la propria
identità e contemporaneamente oggetto del desiderio che provoca dipendenza e deve essere
realizzato ad ogni costo.